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SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, dodicesimo della serie VII, inizia col l o aprile 1932 e arriva alla fine dell'anno. Il periodo preso in esame, pur diviso in due dalla censura costituita dallo scacco subito alla conferenza di Losanna e dall'allontanamento di Grandi dalla direzione del Ministero, ha il suo leit-motiv nella questione del disarmo, che corre lungo tutto il volume e ne costituisce l'ossatura centrale. Dopo le dimissioni di Grandi, infatti, la diplomazia mussoliniana riprende la questione prestando una attenzione particolare al problema della richiesta tedesca di parità dei diritti e getta le premesse di quello che diventerà poi il Patto a Quattro.

2. -Anche la documentazione di questo volume, come dei precedenti, è tratta prevalentemente dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, sia dalla Serie politica 1931-1945 e dall'Ufficio della Cifra che dall'Archivio di Gabinetto, riordinato dal prof. Pietro Pastorelli. Altre serie dell'Archivio Storico del Ministero sono state consultate, in particolare quelle della Registrazione Generale e della Società delle Nazioni. Il Fondo dell'Ambasciata di Londra ha permesso di fare alcuni controlli e di rinvenire il doc. n. 570. 3. -Qualche documento proviene dall'Archivio Storico dell'ex Ministero dell'Africa Italiana e da alcuni fondi dell'Archivio Centrale dello Stato. Ma il contributo di gran lunga più impo!rtante dato dagli Archivi esterni al Ministero è quello dell'Archivio privato di Dino Grandi. 4. -Alcuni documenti erano già editi nelle seguenti pubblicazioni:

Bollettino del Ministero degli Affari Esteri 1932;

R. GUARIGLIA, Ricordi 1922-1946, Napoli, 1950;

G. BIANCHI, Rivelazioni sul conflitto itala-etiopico, Milano, 1967;

R. GuARIGLIA, Ambasciata in Spagna e primi passi in diplomazia, a cura di

R. Moscati, Napoli, 1972;

R. CoLLIER, Duce! Duce! Ascesa e caduta di Benito Mussolini, Milano, 1972;

R. DE FELICE, Mussolini il duce. I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974;

D. GRANDI, La politica estera dell'Italia dal 1929 al 1932, Roma, 1985.

5. Nel licenziare il volume desidero rinnovare il mio ringraziamento al prof. Renzo De Felice che, con la consueta liberalità, ha messo a disposizione della Commissione l'Archivio Grandi. Per la ricerca e la scelta del materiale mi è stata preziosa la collaborazione del prof. Francesco Lefebvre d'Ovidio che con la sua competenza mi è stato largo di aiuto e di sugge.rimenti. A lui vada il mio cordiale ringraziamento. Desidero infine ringraziare la dott. Emma Ghisalberti Moscati, la cui collaborazione è stata come sempre fondamentale nella revisione finale del volume e nella redazione dell'apparato critico, la dott. Alessandra Raffa, cui si deve la compilazione dell'indice dei nomi, e la signora Fiorella Giordano per l'attenta correzione delle bozze.

GIAMPIERO CAROCCI

Ul Provenienza e data ;r;"'

~------------~

l Addis Abeba 1° aprile 1932

2 Parigi 2 aprile

3 Roma 4 aprile

4 Belgrado 4 aprile

5 Innsbruck 4 aprile

6 Roma 8 aprile

7 Angora 10 aprile

8 Roma 10 aprile

9 Angora 11 aprile

IO Angora 12 aprile

11 Ginevra 13 aprile

12 Ginevra 14 aprile

13 Ginevra

14 aprile

14 Ginevra ,14 aprile

15 Budapest 14 aprile

16 Zagabria 15 aprile


DOCUMENTI
1
1

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. S. 1299/162 R. Addis Abeba, 1° aprile 1932, ore 19 (per. ore 5,30 del 2).

Secondo informazioni di difficile controllo giunte a R. addetto militare, negli ambienti del Ghebi sarebbe sorta viva apprensione in seguito voci allarmistiche pervenute da Parigi, secondo le quali Francia e Italia si preparerebbero a intese segrete a danno dell'Etiopia.

In seguito a ciò l'Imperatore avrebbe inviato in Francia con missione speciale degiac Tasbu, segretario generale al Ministero della Guerra ed uno degli uomini più fidi al Sovrano, e Blatingheta Sahle, vice presidente al senato. I due predetti, che sono partiti da Addis Abeba il marzo scorso, sbarcherebbero a Genova o Marsiglia. Secondo altri informatori essi sarebbero partiti solo per ragioni di salute.

Comunico quanto precede con ogni riserva salvo ulteriori controlli, ... (l) la convenienza che comunque le mosse dei due dignitari etiopici dal loro sbarco in Europa siano opportunamente seguite.

2

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE R. 1318/161 R. Parigi, 2 aprile 1932 (per. il 4).

Nella conversazione di stamane il signor Tardieu ha toccato l'argomento delle relazioni itala-francesi.

Molte persone estranee, ha detto, vengono a parlarmene. Suppongo succederà a voi la stessa cosa. (Ho detto di si). Ma se si vorrà fare qualcosa, sarà per azione diretta. Molti vengono a parlarmi di un mio incontro col signor Mussolini. I nostri due temperamenti sono tali da intendersi (sia pure a traverso qualche vivacità), perché entrambi sentiamo le realtà, ed entrambi sappiamo eventualmente deciderci agli accomodamenti necessari. Ma in ogni caso, ora, bisogna attendere che siano avvenute le elezioni. Poi, tra maggio ed ottobre, se fosse il caso di un incontro, non sarà difficile scegliere un ...Locarno, ossia una località conveniente. A mio avviso però il terreno delle conversazioni va mutato da quello ristretto a modeste questioni che è stato finora.

l

4 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

I o: --Intanto sarà già di per se stesso un fatto importante, e potrà essere anche un risultato sufficiente il mutare e lo stabilire tra i due paesi una nuova atmosfera che consenta amicizia e fiducia, e releghi al passato quella esistente da vario tempo, pesante ed ostacolatrice al punto di aver interrotto perfino le normali conversazioni i normali scambi di vedute.

Lui: -Si, ma è a mio avviso indispensabile che avvenga anche qualche fatto reale che sostanzi il mutamento. L'Inghilterra sarà ben lieta di questo cambiamento. Bisogna ristabilire le relazioni di intesa occidentale tra Inghilterra, Belgio, Francia, Italia.

Io: -Sono intanto lieto che il vo::;~iO arrivo al Quai d'Orsay abbia iniziato la ripresa di quelle conversazioni diplomatiche che da vari mesi non esistevano quasi più, od esistevano in condizioni che non mi rendevano facile lo spiegare la situazione al mio stesso Governo.

Lui: -Da un anno Briand non era più lui. Quel che succedeva a voi, avveniva anche a qualche altro vostro collega che pure me ne ha parlato.

(l) Gruppo indecifrato.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE FASCISTA DELL'INDUSTRIA, BENNI

L. 210291/18. Roma, 4 aprile 1932.

Riferendomi alla tua lettera del 2 Gennaio 1931 ed alla mia del 20 Marzo stesso anno (1), relative entrambe alle possibilità di una nostra espansione economica nell'Africa Occidentale-Equatoriale, ti sarei molto grato qualora tu potessi darmi qualche notizia in merito agli studi compiuti in quelle regioni dal Dottor Bordoni dell'Istituto Nazionale per l'Esportazione, ed in merito all'attività che in base ai risultati degli studi stessi si ritenga possibile svolgere per migliorare, in Africa, le nostre posizioni commerciali ed economiche.

Come già ebbi occasione di dirti in mie precedenti lettere, il problema della nostra espansione economica in Africa è da me considerato di importanza primordiale; e reputo necessario che si gettino fin da ora le basi di un proficuo lavoro che potrà svilupparsi man mano che le condizioni economiche mondiali andranno sistemandosi.

4

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. P. 90/46. Belgrado, 4 aprile 1932.

Marinkovich che ho incontrato casualmente mi ha detto essere stato messo al corrente da Re Alessandro della ultima fase dei colloqui, tanto di quelli

passati per il mio tramite, quanto degli ultimissimi diretti fra S.E. il Capo del Governo ed il Re (1).

Mi ha anche detto sembrargli che in questi ultimissimi sia stato trovato modo di superare l'iato che aveva sempre separato tutte le precedenti conversazioni e sperare quindi nulla più ostasse all'accordo il quale verrebbe opportunissimo nelle contingenze internazionali presenti (2).

(l) Cfr. serie VII, vol. X, n. 145.

5

IL CONSOLE GENERALE AD INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 1061/146. Innsbruck, 4 aprile 1932 (per. il 10).

Il Dr. Steidle non avendo potuto accedere al desiderio del Maggiore Pabst di recarsi ad incontrarlo a Berlino, si è recato, invece, quest'ultimo a Innsbruck per passarvi le feste pasquali ed avere i desiderati contatti con questi circoli delle Heimwehren. Il Maggiore Pabst è venuto a vedermi al suo arrivo ed ha ripetuto la visita prima di lasciare questa città, mettendomi al corrente delle sue intenzioni e del risultato delle conversazioni avute con questi suoi amici. Come io prevedevo nel mio precedente rapporto, il Maggiore Pabst ha dovuto subito rendersi conto della impossibilità di una «azione » delle Heimatwehren nell'immediato avvenire, come anche di una scalata al potere per le vie legali. Egli sarebbe pertanto giunto coi suoi amici alla conclusione della necessità pel momento di procedere al rafforzamento del movimento e delle file della Heimatwehren onde preparare, per l'ora giudicata opportuna e che non è a prevedersi possa presentarsi prima di parecchi mesi, quella «azione extra legale » che deve loro assicurare il potere. Il rafforzamento e la preparazione dovrebbero concernere sopratutto le Heimwehren del Tirolo, del Salisburghese della Stiria e della Carinzia, le quali dovrebbero, all'ora stabilita, formare il nucleo operante. Per ora almeno non si intenderebbe far troppo affidamento sulle forze della organizzazione a Vienna. Per meglio procedere alla progettata organizzazione, la Direzione federale delle Heimatwehren verrà prossimamente ristabilita a Innsbruck, dove il Principe Starhemberg, che ne resta a capo, fisserà verso la metà del mese corrente la sua stabile dimora: egli avrebbe all'uopo già fissato stanza a questo albergo «Kreid ». Il Maggiore Pabst riassumerebbe nella Heimatwehr le sue funzioni organizzative, ma, per non essere esposto ad ovvi pericoli, si asterrebbe dal fissarsi in territorio austriaco, prendendo dimora a Monaco di Baviera donde eserciterebbe il suo mandato. Egli intenderebbe anche, in collaborazione con Starhemberg, di far opportuni passi per procacciare al movimento aiuti materiali tanto a Berlino quanto a Roma, ove intenderebbe recarsi personalmente.

Queste le grandi linee degli accordi cui si sarebbe qui giunti. Se questo prog·ramma potrà essere realizzato è altra cosa: quanto ho detto nel mio prece

Caro Grandi, s. -E. il Capo del Governo mi ha detto che del complesso del rapporti itala-jugoslavi parlerà a lungo con te al tuo ritorno».

dente rapporto, che non ho motivo di alterare, lascia piuttosto scettici sull'esito finale di questi progetti e consiglia alla prudenza circa la concessione di appoggi, che, in ultima analisi, potrebbero anche servire a personale vantaggio di Tizio o di Caio. E, in ogni caso, questo abituale elemosinare all'estero non può fare buona impressione, ché si avrebbe diritto di aspettarsi anche da taluni circoli austriaci qualche sacrifizio per la causa che loro sta a cuore (l).

(l) -Tramite Malagola Cappi. Cfr. serie VII, vol. XI, nn. 234, 237, 281. (2) -Appunto a margine di Fani: «Va oggi a S. E. Grandi.
6

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. RR.S. 473/102 R. Roma, 8 aprile 1932, ore 19,15.

Suo telegramma 162 (2).

V.S. conosce le idee di codesta legazione di Francia in merito collaborazione locale costì. Tali idee non hanno avuto finora apprezzabile ripercussione a Parigi. Ma può convenirci continuare a seguirle localmente.

Inevitabili indiscrezioni in buona o mala fede avvenute a Parigi spiegano le voci pervenute costì anche attraverso alcuni giornali francesi di secondo ordine.

È ovvio che dobbiamo, di fronte abissini, mantenere atteggiamento di assoluto riserbo.

Quindi soltanto nel caso che fosse assolutamente necessario e che le fossero chiesti chiarimenti da codesto Governo, V. S. potrà mettere in rilievo che tali voci, come molte altre volte nel passato, vengono diffuse da scrittori di questioni africane, i quali sono completamente irresponsabili e certamente estranei ad ogni azione governativa. Quanto oggi avviene per l'Etiopia si è verificato a suo tempo, come ella ricorderà, nei riguardi della Turchia.

Ella potrà aggiungere se del caso che miglior modo per neutralizzare tali manovre è che venga sviluppata con reciproco buon volere collaborazione italaetiopica nelle varie iniziative in corso (3).

Allegato il seguente appunto di Fani <<S. E. Il Capo del Governo In seguito a questo rapporto e ad una considerazione d'Insieme sulla Inattività delle Heimwehren ha detto di sospendere il nostro contributo mensile. Roma, 18-4-32 X ».

Pregoti infine indagare e telegrafarmi se sia trapelato costì qualcosa delle note avances

francesi e nell'affermativa quali ripercussioni giudichi esse potrebbero avere nel miei eventuali

rapporti con Imperatore.

Sarebbe pure utile se nei limiti del possibile tu potessi indagare se l francesi ebbero mai

sentore della nota mia conversazione con l'Imperatore. Ho seguito tua opera e sono lieto di comunicarti la apprezziamo >>. Il passo fra asterischi è stato posto fra parentesi quadre da Guariglia.

(l) Il documento reca il visto di Mussolini.

(2) -Cfr. n. l. (3) -Si pubblica qui un progetto di telegramma segreto e personale, privo di data, che non fu spedito, indirizzato a Scammacca da Paternò con correzioni di Guariglia: «Per ragioniche spero spiegarti a voce reputo opportuno che in un colloquio con Imperatore tu gli faccia incidentalmente intendere che mio prolungato soggiorno in Italia è determinato dal desiderio di porre utili basi alla realizzazione di un programma di effettiva Intesa che abbia possibilmente per punto di partenza la nota Idea di Sua Maestà. • Puoi assicurare Sovrano che mi sono accinto al difficile compito con spirito di fedeltà alla fiduciosa amicizia di cui ha voluto onorarml •. Nella conversazione devi anche dire che è mia intenzione se tutto maturerà felicemente di sottoporre a Sua Maestà il mio desiderio di negoziare con i francesi una accessione da partedella Francia ad un nostro eventuale accordo con il Governo abissino così da neutralizzare un elemento che non mancherebbe di ostacolare il Sovrano nella sua intelligente attività sia all'Estero che all'Interno.
7

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. U. 1392/88 R. Angora, 10 aprile 1932, ore 21,05 (per. ore 23,15).

Per S. E. il Ministro.

Dopo le istruzioni di V. E. a Roma (1), ho avuto a varie riprese conversazioni con questo ministro affari esteri sulla opportunità di venire ad una intesa di reciproche consultazioni tra i due Governi. Tewfik Ruscdi bey dapprima desiderava estendere tale intesa a tutti i problemi di politica generale, ma alla fine ha condiviso mio avviso, !imitandone la portata alla politica balcanica ed arabica.

Quando ritornò da Ginevra, ho ripreso con lui tali conversazioni le quali però, a causa giornalieri consigli dei ministri ai quali doveva assistere per la preparazione del nuovo bilancio, non sono arrivate ad una conclusione.

L'ho riveduto sabato prima che ripartisse per Ginevra. Mi ha detto che non avendo potuto avere il tempo di chiedere in quale forma accordo potesse esplicarsi né di redigerne le linee principali, pensava che specialmente in questo momento conversazioni dirette con V. E. a Ginevra avrebbero potuto indicare la migliore soluzione. Che in ogni modo d'accordo con Ismet pascià, aveva deciso di proporre a V. E. a Roma di prolungare la durata del trattato di amicizia esistente.

Da queste ultime dichiarazioni di Tewfik deduco considerazioni seguenti:

l0 ) Che egli, dapprima volenteroso consenziente all'accordo, si è mostrato dopo il suo soggiorno a Ginevra alquanto restio, adducendo ragioni non plausibili (mi risulta in via confidenziale che di tali questioni ne ha parlato varie volte con i suoi colleghi).

3°) Che la sua nuova attitudine è dettata dal desiderio di non urtare in questo momento le suscettibilità francesi.

3°) Che tuttavia egli, oltre al prolungamento del Trattato in corso sente di dover fare qualche cosa. Questo qualche cosa, nel suo pensiero, si vorrebbe riferire probabilmente ai discorsi che saranno scambiati a Roma.

In fondo la consultazione reciproca tra i due paesi è già in atto, ma essa non è obbligatoria e perciò insufficiente.

Se pertanto V. E. è sempre nell'ordine di idee di cui discutemmo a Roma, sarei d'avviso migliore soluzione potrebbe essere che V. E. ottenesse da Tewfik Ruscdi bey una intesa di consultazione reciproca per mezzo scambio di note

-o meglio un articolo aggiuntivo del trattato di amicizia, che si potrebbe prolungare durante il soggiorno dei ministri turchi a Roma.

8.

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

L. P. Roma, 10 aprile 1932.

Mi dica se sia vero che in conseguenza della crlSl economica, è in corso un rapido aumento delle domande di « naturalizzazione 1> da parte di italiani.

(l) -Probabilmente nell'ottobre 1931.
9

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1454/746/93 R. Angora, 11 aprile 1932 (per. il 16).

Tefik Ruscdi bey mi ha comunicato che il consiglio dei ministri ha fissato la partenza del presidente del consiglio e del ministro degli affari esteri al 22 maggio per fare la visita ufficiale a Roma (1), e che i due ministri ed il loro seguito s'imbarcheranno quel giorno a Stambul per fare il viaggio di andata e ritorno sullo stesso battello italiano della linea espressa del Lloyd Triestino tra qui e Brindisi.

La loro permanenza a Roma durerà quindi quattro giorni circa.

Poiché V. E. dovrà disporre per il programma di tale visita mi permetto di svolgere le seguenti considerazioni.

Dal punto di vista politico, essa visita rappresenta il compimento della definitiva sistemazione dei rapporti itala-turchi in armonia al programma dettato da S. E. il Capo del Governo a Milano ed è quindi la chiusura d'una fase di assestamento che converrebbe far risaltare rialzando di uno speciale prestigio tale visita. Tanto più, come V. E. conosce. che essa è esclusivamente preparata e fatta col solo scopo di rendere omaggio all'Italia ed alla sua politica.

Se durante il soggiorno dei ministri turchi a Roma si potrà (vedi mio telegramma n. 88) (2) prolungare il trattato di amicizia esistente oppure addivenire ad uguali intese, ciò avvalorerà di più la necessità di dare una speciale importanza alla presenza del presidente turco a Roma.

Tale visita potrà anche avere un significato per la azione di cooperazione fin qui svolta tra Roma, Angora e Mosca se V. E. vorrà includere sul programma, come me ne ha manifestato il desiderio questo ministro degli affari esteri, una manifestazione «ad hoc 1>, come ad esempio un pranzo dato dall'ambasciatore sovietico a Roma agli ospiti turchi.

Fissato questo lato politico, aggiungo altre considerazioni di minore importanza, utili a V. E. per scegliere il genere delle cerimonie che possono formare il programma di tale visita.

I dirigenti turchi, e specialmente le loro mogli che non parlano che il turco, mal si adattano per la loro origine ed educazione a riunioni di esclusiva mon

danità che non possono apprezzare, come non le hanno apprezzate nelle sfarzose sale dei palazzi di Budapest, dove durante la loro visita il Governo ungherese aveva ricevuto l'aristocrazia magiara: in tali ambienti si muovono a disagio. Di qui la necessità di limitare la serata a quei banchetti di prammatica o ricevimenti che interessano in ispecial modo personalità politiche ed economiche.

Ismet pascià, quantunque affetto da parziale sordità, ama tuttavia la musica come pure il suo seguito: quindi una serata d'opera o di concerto sarebbe appropriata.

Il presidente del Consiglio poi sarà molto lieto ed interessato di prendere contatto col nostro esercito, ma avendo comandato con gran successo in guerriglie ed in guerra, essendo egli il generale vincitore della battaglia di Sakaria, apprezza più la sostanza che l'apparenza: suggerirei pertanto che sotto il suo duplice aspetto di soldato e di rivoluzionario, egli assistesse ad una manovra tattica a Civitavecchia, e ad uno spiegamento delle forze fasciste e giovanili.

Infine Ismet pascià ed i suoi compagni di viaggio sono molto interessati altresì ad esaminare i grandi lavori del regime: mi sembrerebbe pertanto utile che una buona parte delle giornate romane fossero impiegate per tali visite tenendo presente nella scelta dei luoghi che l'educazione artistica della mentalità turca è eccessivamente limitata e che gli sforzi da noi compiuti nelle campagne romane, nelle strade, per l'agricoltura e le bonifiche, l'industria, saranno più apprezzati di quelli fatti per far rivivere il nostro glorioso passato.

Tutto quanto ho suggerito interessa da vicino gli ospiti turchi che sono chiamati a risolvere nella nuova Turchia gli stessi problemi e farà in loro una forte impressione a nostro vantaggio.

Nello stabilire il programma domanderei a V. E. di volermi permettere dal canto mio di offrire al presidente del consiglio turco ed al suo seguito una colazione in casa mia a Roma.

Siccome il presidente del consiglio ed il ministro degli esteri partiranno da qui il 24 corrente per la Russia da dove non faranno ritorno che il 16 maggio per ripartire il 22 dello stesso mese per Roma, domanderei a V. E. che durante la loro assenza, la quale mi impedirà praticamente di fare cose utili, mi autorizzasse a partire per Roma alla fine del mese corrente onde coadiuvare a preparare la visita ed altresì per fruire del mio congedo annuale.

Pregherei inoltre V. E. di autorizzarmi ad invitare questo addetto militare e questo addetto navale a presenziare alla visita a Roma di Ismet pascià. Sarò grato a V. E. se vorrà telegrafare le risposte alle domande che rivolgo nella presente comunicazione, per poter prendere le disposizioni del caso.

(l) -Ismet pascià e Tewfik Ruscdi bey rima32ro in Italia dal 24 al 30 maggio e si trattennero a Roma dal 25 al 29 maggio. Sul viaggio non si è trovata documentazione di rilievo. Cfr. comunque n. 83. (2) -Cfr. n. 7.
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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1405/94 R. Angora, 12 aprile 1932, ore 11,30 (per ore 15).

Parlando oggi con Ismet pascià dell'accordo di reciproca preventiva consultazione tra l'Italia e la Turchia, ho spiegato al presidente che miglior forma di attuazione di tale intesa era quella da me accennata nel mio telegramma n. 88 (1}.

Egli, perfettamente al corrente della questione, mi è sembrato non opporre serie obiezioni alle mie indicazioni, ma mi ha detto di preferire, per decidersi, il risultato telegrafico delle conversazioni che avrà Tewfik Rouscdi bey con V. E.

11

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, AL CAPO GABINETTO, GHIGI

L. P. Ginevra, 13 aprile 1932 (2).

Ti ringrazio di a vermi inviato i documenti di Londra; anche Rosso teneva molto ad esserne al corrente. Come ho telefonato oggi a De Ciutiis il Comitato Finanziario nella seduta di ieri si è limitato a stabilire che i rappresentanti delle Tesorerie delle quattro grandi Potenze si incontrino alla data che sembra dover essere il 23 corrente invece che il 19 qui o a Lugano per uno scambio di vedute. Nella prossima seduta del Consiglio saranno chiamati a prender parte alla riunione i Delegati della Bulgaria, della Grecia, dell'Austria e dell'Ungheria per esporre la situazione dei loro paesi e proporre quelli che a loro avviso potrebbero essere i rimedl.

Dal telegramma fatto ieri l'altro da De Michelis avrai visto che Benès sembrava molto scoraggiato sulla possibilità di riprendere le trattative di Londra. Dello stesso avviso risultava che fosse il signor Tardieu. Dopo il discorso tenuto ieri al Consiglio dal signor von Btilow vi è qualche preoccupazione che possa essere ora la Germania a voler riprendere le trattative e spingerle avanti. Avrò domani una conversazione con Stoppani e ti terrò al corrente. Il testo del discorso di von Biìlow lo vedrai dal verbale del Consiglio che unisco.

Ti invio le copie in francese, in inglese e in italiano del discorso di S. E. che è stato, come al solito, un successo notevole. Esso è stato salutato alla fine da applausi più nutriti di quel che non si fosse verificato per i precedenti oratori, anche per il signor Tardieu che aveva pronunziato un discorso veramente brdllante.

Ieri l'altro la proposta Gibson di fare un primo passo verso la riduzione qualitativa abolendo le armi aggressive terrestri e cioè cannoni e carri armati, aveva riunito consensi, salvo naturalmente quello di Tardieu già in un primo intervento, e dato la sensazione che la Commissione potesse veramente incamminarsi verso risultati su questo terreno.

Se S. E. il Ministro avesse dovuto parlare, come sembrava, ieri mattina, egli avrebbe potuto limitarsi come era già la linea del discorso preparato, a ribadire il concetto di organicità del piano di distruzione delle armi aggressive terrestri navali ed aeree e a dare carattere di praticità a questo piano con lo stabilire le tappe e le precauzioni con cui la distruzione avrebbe potuto farsi. Ieri

mattina hanno invece parlato Litvinoff e Tardieu. Litvinoff ha, come il solito, accusato la Conferenza di non voler giungere a una vera e propria riduzione degli armamenti ma di preoccuparsi al massimo di !imitarli. Tardieu ha cercato di distruggere e di dimostrare inapplicabili tutte le proposte per un~ limitazione qualitativa dimostrando come non fosse possibile una distinzione teorica fra armi aggressive e armi difensive. Il compito che S. E. il Ministro doveva propors1 nel suo discorso veniva perciò a mutare profondamente. Occorreva vincere l'atmosfera di scoraggiamento che aveva creato il discorso Tardieu nei riguardi della possibilità di attuare la riduzione qualitativa e di mostrare che queste proposte avevano un contenuto serio ed erano sostenute con convinzione. Vedrai dal testo del discorso che la polemica col signor Tardieu è stata condotta con grande abilità e garbo. Il discorso rimasto nel suo complesso di carattere tecnico e concreto ha prodotto molta impressione sopratutto forse perché esso volutamente mancava di ogni ricerca oratoria. L'atmosfera alla fine della seduta di stamani era tornata simile a quella precedente al discorso Tardieu. Sarà interessante vedere le reazioni ai discorsi annunciati per oggi di Marincovich, Madariaga e Zaleski.

Ho chiesto stamane a De Ciutiis di domandare a te se avevi qualche nome da suggerire al posto di Bresciani Turroni che ha rifiutato, come esperto finanziario nella Commissione di inchiesta in Manciuria. Sarebbe urgente proporre un nom1:nativo perché Stoppani è assalito da richieste di stranieri.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Jacomoni si trovava a Ginevra per la conferenza del disarmo che aveva ripreso suoi lavori 1'11 aprile dopo un'interruzione di cinque settimane per le feste di Pasqua.
12

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T

.u. Ginevra, 14 aprile 1932.

Come Ti ho detto per telefono le nostre dichiarazioni di ieri (l) hanno fatto un'eccellente impressione. Hanno fornito la riprova della tenace continuità della nostra azione, e per essere l'illustrazione diretta dei deliberati del Gran Consiglio (2), hanno maggiormente messo in rilievo i deliberati del Gran Consiglio e il carattere di « organicità » con cui le direttive Mussoliniane vengono messe in azione nel campo interno e in quello internazionale. Anche i miei colleghi militari ne sono soddisfatti e dopo il <<punto fermo» messo dal Gran Consiglio l'armonia perfetta regna nella Delegazione. Sempre parlando del Gran Consiglio, gli ordini del giorno votati nella recente sessione continuano ad essere l'oggetto del più vivo interesse. Io faccio l'enigmatico, ma sono felice di tutto ciò, perché è la prima volta che l'organo supremo della nostra Rivoluzione, occupandosi cosi a fondo dei massimi problemi della vita internazionale, è entrato col suo soffio realistico e sano in questo ambiente pestifero e nemico, dove non solo l'Italia ma anche il Fascismo stanno vittoriosamente penetrando. Non basta infatti difendersi nelle proprie trincee; bi

sogna entrare nel campo nemico perché una controffensiva possa emcacemente svilupparsi. È quello che il Gran Consiglio ha detto, ed è quello che stiamo facendo. La Francia comincia ad avere paura della «sua» Società delle Nazioni. Il meccanismo così sapientemente costruito in tredici anni di lavoro paziente, sta scoppiandole nelle mani. dacché c'è la mina e la miccia che noi e, sino ad un certo punto, la Germania, abbiamo scavato ed acceso.

Non c'è, per ora, che da tener duro. I deliberati del Gran Consiglio costituiscono una «dichiarazione di diritti» della politica estera fascista, degli obiettivi strategici precisi, asse di orientamento alla nostra azione tattica quotidiana.

Ho ritrovato Tardieu molto mogio. Dopo la grossa sberla ricevuta a Londra da noi e dai tedeschi nella questione danubiana, dopo la sberla datagli dagli Americani lunedì mattina sulla questione del disarmo, e la confutazione nostra di ieri sullo stesso argomento, Tardieu ha abbassato molto il tono spavaldo e facilone delle prime settimane. Tardieu non è un buon combattitore su questo terreno internazionale. Briand, pur avendo sempre l'aria di concedere tutto, era in realtà molto più abile di lui. Non è giostrando alla D'Artagnan che si batte l'avversario, almeno su questo terreno.

Lunedì mi incontrerò con Stimson. Anche Simon dopo la Conferenza di Londra, sembra aver ripreso coraggio. La stampa francese dopo avere festeggiato le nozze franco-britanniche. nella settimana di Pasqua, è oggi furiosa contro gli Inglesi. Bene.

La prossima settimana si annuncia movimentata e interessante. Ti terrò quotidianamente al corrente, per Tue eventuali istruzioni e direttive.

P. S. -La risposta data da Simon (pel tramite del suo Sottosegretario) relativamente all'On. Giunta alle interrogazioni dei deputati MacDonald (conservatore), Wedgwood (indipendente) e Samuel (conservatore) è stata riguardosa e cortese come avevo domandato a Londra che fosse, e come Simon mi aveva promesso che sarebbe stata.

(l) -Cfr. n. 11. (2) -Del 7 aprile.
13

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TURCO, TEWFIK RUSCDI BEY

APPUNTO. Ginevra, 14 aprile 1932 (l).

Tewfik Ruscdi Bey -Mi ringrazia per l'attitudine presa dal Governo Italiano sulla questione economica danubiana e per essere stato tenuto al corrente da noi del suo svolgimento. Conferma il grande interessamento del suo paese per questo problema e l'intenzione della Turchia di opporsi al «danubismo » sostenendo l'esistenza di altri aggruppamenti economici non meno importanti. Mi ringrazia per avere il Governo italiano approvato la sua iniziativa tendente a unire insieme Turchia, Grecia, Bulgaria, Egitto, allo scopo di

lO

contrapporre una specie di aggruppamento di Paesi del Mediterraneo orientale all'eventuale gruppo danubiano.

Lo incoraggio a proseguire su questa strada.

Circa la visita di Ismet Pascià al Capo del Governo resta fissato, salvo approvazione del Capo del Governo per il 20 maggio. Programma politico della visita: Prolungamento del Patto di amicizia itala-turco, e intesa di reciproca consultazione. Sull'estensione di questo ultimo impegno, e sul modo di effettuarlo Rousdy Bey si rimette a quanto sarà proposto dal Governo italiano (Protocollo, scambio di lettere, inserzione nel comunicato della visita ecc. ecc.). Rimaniamo d'accordo che gli farò conoscere attraverso il nostro Ambasciatore ad Angora le nostre idee precise, dopo avere preso istruzioni dal Capo del Governo (l).

(l) In calce a questo ed al documento successivo c'è la data: Ginevra 20 aprile 1932. Questa è la data della lettera a Mussolini (cfr. n. 22) cui i due documenti erano allegati.

14

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI TEDESCO, BULOW

APPUNTO. Ginevra, 14 aprile 1932 (2).

Von Billow --Desidera parlarmi della questione danubiana. È fermo desiderio della Germania di procedere in stretto accordo coll'Italia nell'ulteriore svolgimento della questione. Il Governo tedesco è preoccupato della situazione in quei Paesi e insiste nelle sue proposte già formulate alla Conferenza di Londra, cioè: preferenze unilaterali agli Stati agricoli (Ungheria, Rumenia, Jugoslavia) e un largo trattamento preferenziale unilaterale all'Austria. Esclusione della Cecoslovacchia da ogni preferenza. Bruening ha l'intenzione di sottoporre a Tardieu, nei prossimi giorni, ancora una volta il piano tedesco. Prima tuttavia di farlo desidera mettersi d'accordo con l'Italia. e domanda la nostra opinione.

Grandi -Lo ringrazio. Rispondo che per ora il Governo italiano non può mettersi su questa strada. È desiderio del Governo italiano di continuare colla Germania la collaborazione stabilita alla Conferenza di Londra. Bisogna tuttavia dichiarare lealmente che questa collaborazione era indirizzata ad un fine negativo, e cioè quello tendente a fare cadere il progetto Tardieu. Più difficile appare una collaborazione itala-tedesca quando dalla procedura si passa alla sostanza. Io mi auguro, mi sono sempre augurato che questo punto di contrasto fra gli interessi dell'Italia e quelli della Germania possa essere superato. Gli organi tecnici dell'economia italiana, sollecitati dal Ministro degli Esteri, hanno studiato e stanno studiando questa possibilità. Sinora una formula conveniente che armonizzi i due interessi non è stata trovata.

Rimaniamo d'accordo che l'esperto tedesco Posse continui qui a Ginevra le conversazioni iniziate a Roma col Comm. Ciancarelli. Uno stretto contatto dovrà essere mantenuto allo scopo di regolare la nostra reciproca linea di condotta.

(l) -Allegato il seguente appunto di Ghigi: «S. E. è !n massima favorevole all'idea di cui al te!. unito». Questo telegramma manca. Per il suo probabile contenuto cfr. il n. 25. (2) -Cfr. n. 13, nota l, p. 10.
15

MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Budapest, 14 aprile 1932.

Di ritorno questa mattina stessa da Belgrado, credo opportuno fare avere subito a V. E. questo mio rapporto sulle conversazioni avute con S. M. il Re Alessandro.

Io pure spero che la venuta di S. E. il Ministro Galli sia in relazione coll'accordo desiderato e spero anche che V. E. vorrà parlare col Ministro Galli che avendo la piena fiducia del Re lo ha visto spesso. V. E. potrà avere così altri elementi preziosi di giudizio.

Sempre alla disposizione di V. E. ...

ALLEGATO

Belgrado, 12 aprile 1932.

Il Re è rimasto molto «découragé >> perché io non gli ho portato una risposta definitiva dello schema del trattato, sebbene gli abbia detto che S. E. il Capo del Governo mi aveva assicurato che si sarebbe subito occupato della cosa, ma che naturalmente intendeva informare ed accordarsi col Ministro degli Esteri. S. E. Grandi era assente da Roma e non tornò che per poche ore, per poi subito ripartire per Londra. Era quindi naturale che S. E. il Capa del Governo non avesse avuto il tempo di parlargli della cosa e tanto meno di preparare lo schema.

« Vostrà Maestà non deve quindi dare a questo ritardo una interpretazione troppo pessimistica».

Il Re mantiene il suo punto di vista circa la questione albanese, ripetendo che la frase colla quale la Jugoslavia dovrebbe riconoscere la prevalenza degli interessi italiani in Albania è in contrasto coll'indipendenza riconosciuta da S. E. Mussolini all'Albania, indipendenza che l'Italia e la Jugoslavia sono perfettamente d'accordo di garantire insieme.

« ... l'Italie a démontré à la Conférence des Ambassadeurs que l'Albanie était menacée par la Jugoslavie qui avait des idées ou des prétentions sur elle.

L'Italie a soutenu que l'Albanie doit étre un pays libre ed indépendent, et que comme elle ne pouvait pas se défendre des attaques de ses voisins elle devait avoir le mandat de la défendre en cas d'attaque.

La Conférence des Ambassadeurs a donné ce mandat à l'Italie. Donc la thèse italienne était que l'Albanie devait conserver son indépendance et son intégrité.

Si maintenant la Jugoslavie garantit en face du monde entier et dans la manière la plus ampie cette indépendance et cette intégrité albanaise, est-ce que l'Italie n'a pas gagné en plein, avec la complète victorie de sa thèse?

Est-ce que elle n'obtient pas de nous, exactement ce qu'elle nous demandait?

Si M. Mussolini a envoyé en Albanie 300 spécialistes pour créer un état où il y avait le caos, nous n'avons rien à dire, si l'Italie veut en envoyer encore qu'elle le fasse, si l'Italie a dépensé en Albanie des millions c'est son affaire, et si elle veut dépenser des milliards nous n'avons rien à objecter et nous ne ferions jamais rien pour lui empécher d'augmenter ses intéréts en Albanie.

Ces intéréts italiens en Albanie existent, on le voit, on le sait, on ne le nie pas, car c'est un état de fait, mais pourquoi l'Italie doit s'obstiner à prétendre que nous reconnaissions à elle une prévalence d'intéréts dans un traité?

Dans cette prétention on laisse soupçonner que l'Italie a de arrière pensée ou d'annexion, ou d'occupation du territoire albanais, et moi je ne pourrais jamais signer un pacte, si dans ce pacte il y a un seui point qui puisse apparaìtre pas tout a fait clair, qui puisse avoir le simple soupçon d'un piège, et qui soit en contradiction avec ce principe admis par M. Mussolini de l'indépendance et de l'intégrité de l'état albanais. Je ne veux pas des équivoques possibles.

Si l'Albanie est un pays libre, camme l'Italie le reconnaìt dans le premier article du traité, ça veut dire que demain n'importe qui peut aller en Albanie, créer des industries, porter des capitaux.

L'Italie ne pourra pas l'empècher, et si un beau jour on s'aperçoit que par exemple l'Angleterre a apporté des capitaux supérieurs aux capitaux italiens, ou a créé des industries plus importantes des industries italiennes, et si ce jour là, l'Angleterre demandait a M. Mussolini de reconnaìtre dans un traité que ses intérèts en Albanie sont prévalents, est-ce que M. Mussolini pourrait le reconnaìtre?

Cette prévalence ne peut pas étre absolue ni dans l'espace, ni dans le temps. Si l'Italie voulait s'assurer la prévalence absolue de ses intérèts en Albanie, elle devrait demander que toutes les puissances la reconnaissent, et pas seulement ça, mais elle devrait aussi demander à touts les puissances de rien faire pour sourpasser ou nuir à ses intéréts, ce qui est bien plus important.

Quant à nous sommes prets à nous engager à ça ouvertement donc l'Italie a obtenu le maximum de garantie et de notre còté elle n'a plus rien à craindre en Albanie.

Admettons meme pour un moment que je reconnaisse cette prévalence d'intérets italiens. Quel avantage matériel pourrait avoir l'Italie? Qu'est-ce que il y aurait pour elle de changé en Albanie?

Pourquoi l'Italie doit elle donner plus d'importance à cette phrase avec la quelle nous reconnaissons la prévalence d'intérèts que à l'autre avec la quelle la Jugoslavie s'engage à ne rien faire contre les intéréts italiens?

Est ce que cette phrase ne contient pas en elle méme la reconnaissance d'intérets d'une grande importance, si on sent la nécessité de ne rien faire pour leur nuir?

Je pense qu'il s'agit seulement d'une question de prestige, mais dans ce cas il me semble que l'Italie pourrait s'appuier plutòt sur la grande victorie obtenue par sa thèse de l'indépendance albaneise que elle a voulue, et que elle a obtenue. Mais je dois pertant avouer que il me semble impossible qu'une simple question de prestige puisse avoir sur la balance plus de poids que tous les intérèts réels de notre accord, camme la tranquillité de l'Europe et la prospérité de nos pays. Je ne peux pas le croire et voila que de nouveau on ne peut pas s'empècher de revenir à l'ìdée que l'Italie ait d'autres pensées ou arrière -pensées que nous ne pourrions pas admettre.

Si cet accord n'est pas limpide et complet il vaut mieux de ne rien faire et de rester camme nous sommes pour ne pas commettre de nouveau la faute du traité du 1923 qui a donné les résultats que nous subissons!

Croyez moi que je suis très découragé, en voyant que nous n'avançons pas et je me persuade une foi de plus que pour traiter avec les italiens, une des plus grandes difficultés c'est qu'ils ont toujours l'idée que l'on veuille saboter leur prestige ».

Durante la colazione, alla quale era anche S.M. la Regina si è parlato dell'Italia e dei grandi progressi da essa fatti durante il fascismo, dei lavori di Roma ecc., e la Regina mi ha detto:

« Pensez que je ne connais pas du tout l'Italie car je suis restée seulement 24 heures à Venise » ed il Re ha aggiunto: «mais si, comme j'espère nous arrangerons nos choses nous irons souvent en Italie, car j'en ai vraiment la nostalgie».

Belgrado, 13 aprile 1932.

Il Re mi ha chiamato verso le 11 per fare con lui una lunga passeggiata. L'ho trovato molto più contento e mi ha subito detto che era stato informato della partenza per Roma di S. E. il Ministro Galli.

« ... J'espère qu'il y aura une coincidence favorable avec ce départ, et ce que vous m'avez dit hier.

je voudrais bien savoir ce que l'an entend en Italie pour « intéréts italiens en Albanie » ... est ce que il s'agit seulement d'intérets commerciaux, financiers, èconomiques, en somme d'intérèts pacifiques, ou bien dans cette expression générique an veut enclure d'autres intérèts sans s'expliquer clairement, intéréts que l'on n'aime pas de déclarer ouvertement? si ce n'est pas comme ça, comme j'espère sincèrement, et comme j'ai toujours cru, je vous jure que je ne peux pas expliquer l'on s'arrete si longtemps et que l'on donne tant d'importance à cette phrase, que tout au plus peut avoir un simple valeur de prestige, mais en tout cas pas assez grand pour le considérer suffisant pour causer l'insuccès de notre accord, qui est, après la guerre mondiale la première chose vraiment grandieuse, que l'on a fait en Europe, la seule chose constructive le vrai premier pas positif sur le chemin de la résurrection européenne, le premier rayon de lumière dans la brume, le premier rayon d'espoir dans cette atmosphère de découragement et de continuelles déceptions. Voila où l'Italie pourra montrer au monde entier son grand prestige, elle pourra montrer que elle seule, guidée par son chef, a su donner IH discipline a l'intérieur, la paix de la conscience à son peuple avec le traité du Latéran, et la paix et la confiance à l'Europe avec le traité avec nous. Voila ce que nos Régimes peuvent réaliser; des grands événements devant !es quels le monde entier resterait étonné, pas des Conférence devant !es quelles le monde entier reste suriant et sceptique! Pensez quelle formidable matière pour un bon Chef de Bureau de Presse! !

Mais, je me demande: En Italie est-ce que on veut vraiment cet accord comme moi je le prévois, c'est à dire, complet, loyal, sans posibilité d'équivoque ou des sous entendus, et mal entendus?

Est-ce que l'Italie a l'intention, comme j'ai toujours cru par ce que vous m'avez dit de la part de M. Mussolini, et M. Yevtich de la part de M. Grandi? Ou bien l'Italie voudrait tenir une porte ouverte ou seulement entrouverte et donner une solution moyenne qui aurait le mémes défauts de notre traité du 23?

Ces indécisions m'inquètent, parce que je ne comprends pas au fond la vraie raison.

Je prie M. Mussolini de voir dans mon insistence, qui peut sembler embétante, seuJement mon grand désir d'arriver à l'accord complet, sans possibilité d'équivoque ni pour moi ni pour mes successeurs, Je le prie de considérer que je dois changer complètement ma politique et que, par conséquence je dois la poser sur des bases bien solides et inébranlables « je ne veux pas refaire la faute du traité du 23 que pour trop vouloir " sorvolare " sur les questions importantes et sur !es difficultés a donné !es résultats que voilà >>.

Ritornando poi sull'Albania e avendo letto a S. M. il periodo del mio ultimo rapporto: la Jugoslavia rendendosi conto della importanza degli interessi commerciali e finanziari già creati dall'Italia in Albania e dello sviluppo che essi possono avere in avvenire, s·enrage à ne rien faire qui puisse nuire ou porter atteinte aux dits intéréts >>.

Il Re mi ha dichiarato che egli sarebbe dispostissimo di accettare questa formula.

16

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1448/153. Zagabria, 15 aprile 1932.

A circa due settimane dal ritiro del Generale Zivkovié dal Governo in

Belgrado, e dall'assunzione alla Presidenza del Signor Marinkovié, ho l'onore

di riferire a V. E. alcune impressioni dettatemi dall'osservazione e dalle con

versazioni avute con alcuni croati di questa città.

Il Governo del Signor Marinkovié non sarebbe che provvisorio, mentre

ormai il vero ed unico responsabile della politica interna ed estera del paese

sarebbe apertamente Re Alessandro.

Egli, sotto forme più o meno mascherate, specialmente con la speranza

di continuare ad illudere i paesi esteri non amici della dittatura, non intende

rebbe rinunciare a tale sistema di Governo, per raggiungere il suo scopo che

è, oltre che mantenere la Jugoslavia, fare di essa una grande Serbia. Le voci

che corrono di nuove elezioni, di libera formazione di partiti a nome tradizio

nale o nuovo, di divisione dello Stato in tre banovìne dì Serbìa, Croazia, Slovenìa, dì più o meno larghe autonomie regionali o provinciali, sarebbero state sparse ad arte e largamente diffuse all'interno e all'estero dagli agenti del Re, per superare questi momenti di crisi politica e finanziaria e guadagnare in una relativa tranquillità quanto più tempo è possibile.

L'ex partito dei contadini croati, che per causa del malgoverno dì Belgrado avrebbe una grandissima quantità dì nuovi aderenti in Dalmazia e in Bosnia, sarebbe ora più compatto che mai, e guidato dal suo capo Dott. Maéek, e aiutato nella propaganda dai suoi agenti fuorusciti, aspetta con fiducia il crollo dello Stato, per dichiarare la separazione dì queste regioni dalla Serbìa e ritiene che tali avvenimenti siano prossimi. D'altra parte il partito del Re, da Belgrado, pienamente informato dei sentimenti ostili di queste popolazioni e del loro odio sordo e tenace a tutto quanto sa dì serbo, avrebbe sparpagliato per il paese un gran numero dì comunisti 1ìnora tenuti in carcere. In caso dì moti insurrezionali, dì dimostrazioni contro la Jugoslavia nelle campagne o nelle città, questi comunisti cosi abilmente sparsi ed istruiti, sarebbero il pretesto per una spietata repressione che, dettata apparentemente da misure antibolsceviche, specialmente per impressionare l'estero, dovrebbe in realtà dare un colpo definitivo alle aspirazioni separatìste dì queste popolazioni.

Il Re sarebbe già stato chiaramente informato che qualunque suo nuovo tentativo, anche personale, per ottenere una certa collaborazione dall'ex partito dei contadini croati, con a capo il Dott. Maéek, non darebbe alcun risultato favorevole: il Dott. Maéek mi ha fatto espressamente sapere che se anche il Re venisse a Zagabria e lo mandasse a cercare, egli si rifiuterà di andare da lui e partirà da Zagabrìa, per la campagna, per tutto il tempo in cui il Re dovesse rimanere in questa città. « Il Re ha mancato troppe volte dì parola verso di noi -avrebbe dichiarato il Maéek -perché sia più possibile da parte nostra qualunque contatto o collaborazione né con lui, né coi suoi seguaci. Il Re, con la sua testardaggine, con la sua megalomanìa, colle ruberìe sue personali e quelle permesse ai suoi serbi, colla sua politica crudele e violenta all'interno, e stupidamente ligia alla Francia, per quella estera, sì è già da un pezzo alienato l'animo di tutti i croati, i quali non vogliono più sentir parlare di lui e di Belgrado e sanno bene che la sua vita di Re e quella della Jugoslavia hanno i mesi, per non dire i giorni, contati.

«Noi croati non contribuiremo mai a tenere su un Regime e uno Stato moribondo che andrà a pezzi, non per forze esterne, ma per l'assoluta impossibilità che un Governo testardo e feroce tenga unite regioni che nulla hanno di comune».

Mi sì assicura che, all'infuori dell'esercito che si manterrebbe ancora in gran parte fedele al Re, un gran numero dì impiegati statali, finora ligi ed obbedienti, -anche troppo -a Belgrado, sentendo che c'è nell'aria qualcosa di grosso, che fa pensare sul serio che avvenimenti gravi abbiano a succedere, stanno iniziando e riallacciando contatti con quei croati dell'opposizione che finora avevano o evitato o addirittura perseguitato; a ciò non deve essere di sicuro estraneo il fatto che i loro stipendi, già meschini, sono stati recentemente di troppo diminuiti e, in questi ultimi tempi, pagati con ritardi troppo forti. Così che anche questi puntelli del Regime sarebbero ora di dubbia solidità.

Qui si crede e si dice apertamente da tutti che, già all'inizio della dittatura di Zivkovié era sicuro che la compagine statale correva un grave pericolo. ma che nessuno avrebbe potuto prevedere che si sarebbe arrivati così presto alla vigilia del crollo. La parte troppo antipatica sostenuta dal Re durante tutto questo tempo, i grossi errori da lui commessi in politica interna ed estera e, in questi ultimi tempi, la crisi economica e finanziaria così grave, mentre il paese ha tante risorse che, se esso fosse stato solo meno disonestamente amministrato, gli avrebbero permesso di superare meno crudamente momenti così duri; tutto questo, messo assieme, rende sicuri questi croati che il tempo della loro indipendenza è arrivato. Dirò anzi che mentre alcuni mesi indietro, quando la situazione era meno grave, questi croati erano realmente avviliti, ora che il paese è politicamente ed economicamente così malato, essi hanno animo e parole meno depressi, in quanto sperano e dicono che peggio vanno le cose, più presto saranno liberati dai serbi.

Curioso stato d'animo e curiosi discorsi di questa gente, se si confrontano con le illusioni e le propagande di una dozzina di anni or sono.

Per concludere sull'argomento, sia per quanto ho sentito senza cercare, sia per quanto i capi dell'opposizione croata mi hanno espressamente fatto sapere, solo un miracolo potrebbe non già evitare -ciò che tutti assolutamente escludono -ma ritardare anche di qualche anno il raggiungimento del programma separatista dei croati. Tale miracolo mi è stato detto potrebbe verificarsi o in fatti di politica interna o in qualche avvenimento di politica estera che nessuno, del resto, prevede da quale parte potrebbe venire a dare un poco di ossigeno ad un Regime e ad uno Stato in agonia (1).

17 marzo:

«Coi miei precedenti telespressi ho già comunicato a V. E. che il Generale Zivkovié ha tentato varie volte specialmente in questi ultimi tempi, mandando anche espressamente alcuni suoi amici da Belgrado a Zagabria, di ottenere un avvicinamento con questi capi della opposizione croata e specialmente col Dott. Macek. Come ho già informato. tutti questi tentativi sono finora riusciti vani, pOiché tutti i capi dell'opposizione e part;colarm<>nte lo stesso Macek, si sono rifiutaLi di addivenire a qualsiasi accordo con l'attuale Governo Jugoslavo e mantengono intatto e fermo il loro programma di assoluta separazione politica tra Croazia e Serbia.

L'ultimo Ordine del Giorno votato dagli studenti croati nella loro riunione del 6 corrente

in questa Università che ho integralmente mandato a V. E., continuerebbe a rappresentare

il reale programma della opposizione stessa, e a quanto ho potuto sapere da conversazioni

che ho avuto occasione di avere con persone dei più svariati ceti di questa regione, corri

sponde alla totale aspirazione del popolo croato.

A tale riguardo ho ora l'onore di comunicare a V. E. che da circa una decina di giorni trovansi a Zagabria alcuni personaggi della Corte di Belgrado, incaricati di mettere in ordine questa villa per un prossimo soggiorno delle Loro Maestà in queste regioni. La data precisa del loro arrivo non mi è ancora nota. Ma da notizie avute da fonte che devo ritenere sicura, mi è stato confermato che scopo precipuo del soggiorno di Re Alessandro a Zagabria, sarebbe quello di tentare di avere con qualche capo della opposizione croata, e possibilmente con Io stPsso Dott. Maéek, conversazioni atte a chiarire in modo definitivo le intenzioni della opposizione stessa per ottenere la collaborazione al Governo dello stato, magari dietro concessioni o garanzie adeguate.

Lo stesso informatore mi dà per sicuro che se anche tali fossero i desideri del Re, il Dott.

Macek e tutta la opposizione non sarebbero peraltro disposti a cambiare una linea del loro

programma.

Cosicché i nuovi tentativi del Re sarebbero fino da ora destinati ad avere un risultato

negativo.

Questo importante tentativo che Sua Maestà in persona cercherebbe di fare in pro' del

suo pae"e, sarebbe determinato dalla gravissima situazione finanziaria dello Stato, la quale

non potrébbe essere anche parzialmente risanata se non da un grande prestito all'estero,

che però r:essun Paese è ora disposto a concedere alla Jugoslavia fintanto che la opposizione

croata mantiene il suo atteggiamento intransigente con programma assolutamente separatista.

Sarà naturalmente mia cura tenere V. E. al corrente delle altre notizie che potessi avere

in riguardo ».

(l) Cfr. anche quanto comunicato precedentemente da Umiltà con telespr. 1029/117 del

17

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 1471/865. Vienna, 16 aprile 1932.

Ho avuto un colloquio con Starhemberg, di ritorno dal suo soggiorno per cura in alta montagna. Appare ristabilito e si dice soddisfatto della situazione delle Heimwehren.

Mi ha confermato le notizie che mi aveva fatto dare da un comune amico (mio telespresso n. 833 del 14 aprile) (l). È cosa decisa che Pabst riprenda l'organizzazione militare del movimento: nessuno ha qui la sua esperienza e la sua capacità. Abiterà a Monaco ove gli sarà affidata «pro forma» la rappresentanza della Fabbrica di cartucce dell'austriaco Mandl, ciò che gli consentirà di avere un ammisibile scopo apparente per i suoi viaggi in Austria. Sulla misura della retribuzione non si sono ancora messi d'accordo: chiede 1500 marchi mensili, che è difficile dargli giacché le sovvenzioni degli industriali austriaci si sono ridotte a meno di ventimila scellini mensili. Sarà ricostituito un piccolo ufficio centrale in Vienna con persona anch'essa esperta e capace. Egli andrà a passare alcune settimane a Innsbruck per porre ivi le basi, come la provincia più adatta, alla ricostituzione del movimento, e per tenersi almeno nei primi tempi più vicino a Pabst. Si recheranno insieme a Berlino, ove Starhemberg ha rapporti specialmente con Hugenberg, gli elmetti di acciaio e il ministero della guerra. Vi andranno dopo le elezioni in Prussia, per rendersi conto della situazione susseguita ad esse. Crede vi si prepari un governo di coalizione fra centro e hitleriani, il quale preluderebbe a un consimile governo del «Reich »: secondo notizie giuntegli da Berlino, ma di cui ignora il fondamento, la dissoluzione dei corpi armati di Hitler sarebbe avvenuta con il consenso di questo che vedeva in essi un pericolo di rivolta contro il proprio programma di azione legale. Per ciò che riguarda il movimento hitleriano in Austria crede che oramai abbia raggiunto il massimo dello sviluppo, il quale è rimasto ristretto alle città; alle organizzazioni delle «Heimwehren » esso non ha tolto che quella non vasta massa fluttuante sulla quale egli non faceva assegnamento. Non è favorevole alla richiesta di fondi ai partiti di destra germanici, poiché la loro concessione sarebbe da questi subordinata a condizioni politiche ch'egli non può accettare. Da Berlino, ripassando forse da Vienna, si recherebbe a Roma; ciò avverrebbe forse ai primi di maggio. Lo accompagnerebbe Pabst, che desidera conferire costì con alcuni membri del Partito Fascista. Egli chiederebbe un'udienza, ma da solo, a S. E. il Capo del Governo, e a V. E. se l'E. V. si trovasse a Roma in quell'epoca. La sua situazione finanziaria non lo preoccupa, ed è convinto che tutto si accomoderà favorevolmente. Come ha detto in una riunione affollatissima tenutasi qui l'altra sera in una delle maggiori sale di Vienna, nella quale hanno anche parlato Steidle e Fey, tutti assai applauditi, è motivo di fierezza per lui di aver perduto una parte della sua fortuna per il bene dello stato. Mi ha spiegato perché abbia dovuto contrarre

5 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

numerosi piccoli debiti a tassi usurari. Nell'estate del '29, poco dopo ch'egli aveva assunto il comando delle «Heimwehren » dell'Alta Austria, Steidle, ch'era allora il capo supremo, gli disse dover egli entro due mesi armare i gregari di quella provincia, poiché trascorso tale termine le « Heimwehren » avrebbero marciato su Vienna e conquistato il potere. La ristrettezza del tempo e la mancanza del capitale liquido di più di un milione di scellini che gli era necessario lo costrinsero a rivolgersi a vari fornitori e ad accettare le loro onerose condizioni. Poté così costituire sedici battaglioni di uomini che fornì a sue spese di vestiti calzature ed elmetti; quanto alle armi ne riuscì a raccogliere in numero insu!Ilciente ma pur tale che ve ne fosse una ogni due uomini. Egli era convinto che Steidle sarebbe andato al governo e che perciò avrebbe poco dopo potuto rimborsarlo almeno in parte delle ingenti spese da lui sostenute per il bene comune. Senonché gli avvenimenti presero una piega diversa da quella sperata ed egli, ridottesi per la crisi mondiale le sue vendite di legname e perciò le sue rendite, fu costretto, nella speranza di tempi migliori, ad accrescere la misura degli interessi delle sue numerose cambiali per attenerne il rinnovo. Il fatto che quasi tutte le sue vaste proprietà (solo i tetti dei suoi edifici formano complessivamente una superficie di 45 ettari), siano costituite in fedecommesso, se per un verso rende più lenta la liquidazione delle varie passività, potrà per un altro renderla più facile in quanto obbligherà i credi

tori ..a contentarsi di assai meno di ciò che chiedono.

Venendo poi alla parte più sostanziale delle sue comunicazioni e cioè alla situazione e al programma attuale delle «Heimwehren », essa può in poche parole essere riassunta cosi. Il suo accordo con Steidle di Innsbruck e Fey di Vienna e con gli altri capi continua ad essere saldo e cordiale. Bisogna che le «Heimwehren » provvedano a rafforzare il loro ordinamento militare e si traggano fuori dal pantano delle lotte quotidiane parlamentari. Perciò e per evitare il ridestarsi di discordie fra i gregari di tendenze politiche diverse si è stabilito che esse non prenderanno parte alle imminenti elezioni provinciali di Vienna e altrove: se qui, com'è probabile, queste daranno qualche seggio di più ai socialisti, ciò potrà valere a far meglio aprire gli occhi alla borghesia. È necessario che le « Hcimwehren >> costituiscano un'ampia fronte borghese antimarxista, raccogliendo intorno a sé tutti quelli che, quali che siano per il resto le loro idee politiche, siano decisi a combattere i rossi: solo dopo la vittoria le « Heimwehren », come il partito più agguerrito e disciplinato, potrebbero imporre il loro specifico programma e farlo prevalere. In questo movimento per l'ordinamento armato delle « Heim~7ehren » e per la raccolta intorno ad esse di tutti i partiti borghesi consenzienti, esse si intenderanno con i vari capitani provinciali, escluso naturalmente quello di Vienna: da alcuni come Stumpf del Tirolo e Rintelen della Stiria l'appoggio è già assicurato; con gli altri si negozia con speranza. Sostenute dalle massime autorità delle varie regioni, le «Heimwehren » non avrebbero innanzi tutto nulla da temere ove il governo centrale volesse tentare dì effettuare il tante volte preannunciato disarmo perché le sue misure non sarebbero ìn realtà attuabili senza il concorso dei governi provinciali. Ma oltre a ciò, e più che ciò, qualora si giungesse in Vienna alla costituzione di un governo con partecipazione dei socialisti, ciò che non può escludersi, questa solida barriera intorno alla capitale, costituita dalle « Heimwehren » militarmente bene ordinate sostenute dai vari capitani provinciali e seguite dai borghesi antimarxisti favorevoli, sarebbe la prima misura di difesa che mentre impedirebbe ai rossi l'offensiva lascerebbe tempo e modo alle « Heimwehren » di fissare e decidere quanto fosse ulteriormente da farsi in rapporto alla nuova situazione che si fosse prodotta.

Ho detto a Starhemberg che approvavo il suo programma e me ne compiacevo. Quando nell'estate '30 V. E. ebbe in legazione il colloquio con lui, enunciò, traendo esempio dalla storia del Fascismo, questi due principi fondamentali: unione dei capi e fronte unico antimarxista. Da allora ero sempre andato con lui insistendo su di essi: mi rallegravo nel vedere che finalmente la nostra convinzione era divenuta anche sua.

(l) Non pubblicato.

18

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Parigi, 17 aprile 1932.

Al quesito (l) se è in corso un rapido aumento delle domande di naturalizzazione da parte di Italiani in Francia rispondo quanto segue.

Per esperienza personale, per relazioni ricevute da alcuni Consoli, devo ritenere che la crisi economica abbia causato un aumento delle domande di naturalizzazione da parte di Italiani in Francia; ma non ho base per affermare che questo movimento sia stato grande, tanto meno che sia stato catastrofico, malgrado la propaganda snazionalizzatrice, malgrado la necessità economica. Si potranno avere dati positivi quando sarà compiuto lo spoglio delle naturalizzazioni sulle liste che pubblica il Journal Officiel. Dall'aprile 1928 questo lavoro è stato avocato a sé dal Ministero degli Affari Esteri (L.I.E.). L'ultimo riassunto annuale pervenutomi è quello del 1929: giunse nel gennaio 1931. Ho fatto, per conto mio, lo spoglio di quattro liste di naturalizzazioni sanzionate con decreto Presidenziale del 4 corrente e pubblicate sul Journal Officiel di ieri. Totale 321 -Italiani 159. Poiché la proporzione degli Italiani sul totale è stata finora del 60 (ed anche più) per %, (nel 1928 il totale fu 25450, con Italiani 17654 e proporzione del 69.37 %) queste quattro liste non giustificano la voce di accresciuta snazionalizzazione Italiana in Francia per causa della crisi economica.

Ad ogni modo, Ambasciata, Consolati, Fasci all'estero e Società di Beneficenza, hanno attivamente operato per arginare il possibile aumento delle snazionalizzazioni italiane.

Si è dato il maggior sviluppo possibile all'attività assistenziale (sussidi, buoni per pasti, vestiti, pacchi di viveri, rimpatrii); si è vigilata la estensione agli Italiani dei sussidi di disoccupazione in base al vigente Trattato di lavoro avendo cura di far loro sapere che questo diritto proveniva dall'azione protettrice del patrio Governo.

La disoccupazione comincia qui a diminuire: è verosimile che si sia già entrati nel periodo discendente. Si può perciò prevedere che anche la pressione snazionalizzatrice entrerà presto nel periodo decrescente.

(l) Cfr. n. 8.

19

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL CANCELLIERE TEDESCO, BRUNING

APPUNTO. Ginevra, 18 aprile 1932.

Colloquio breve, di carattere protocollare. Il Cancelliere mostra desiderio di entrare a fondo in molte questioni, riparazioni, disarmo, Conferenza Losanna, rapporti italo-tedeschi. Mi domanda notizie del Duce e mi parla della grande impressione fatta in Germania dal discorso da Lui pronunciato su Goethe (1). Bruening spera molto che dall'incontro con Stimson e MacDonald qualcosa di utile possa uscire, d'ordine preliminare, per avviare la Conferenza di Losanna a qualche risultato. Briining insiste sulla questione danubiana, e sull'utilità di una reciproca collaborazione. Su questo punto ripeto presso a poco quanto ho detto a von Biilow la settimana scorsa (2), e domando al Cancelliere perché la Germania mostra tanto interesse a « puntellare » la situazione economica fallimentare degli Stati danubiani. Brtining ammette che gli investimenti della Germania in questi Paesi sommano a un miliardo di marchi.

Salvo questo punto non entro negli argomenti su cui Briining si è divulgato, cosicché la conversazione finisce, non senza un comune imbarazzo. Il Cancelliere mi prega di presentare i suoi saluti più cordiali al Duce. Lo assicuro naturalmente che lo farò.

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COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 19 aprile 1932.

Dopo aver discusso alcune questioni all'ordine del giorno della Conferenza Generale del Disarmo, Nadolny entra a parlare della questione danubiana.

Nadolny -Il Cancelliere mi ha riferito che nella conversazione avuta con lui (3), voi vi siete manifestato piuttosto pessimista sulla possibilità di una effettiva collaborazione itala-tedesca nell'Europa danubiana. Egli ne è rimasto deluso e rattristato. Ma non è proprio possibile superare le difficoltà? D'altra parte io sostengo che soltanto una leale intesa coll'Italia può portare

ad assicurare all'Italia e alla Germania una legittima posizione economica in questa così importante parte dell'Europa.

Grandi -Anch'io mi auguro che queste difficoltà che sinora il Ministro delle Corporazioni ritiene molto difficile a superare possano essere superate, nell'interesse comune.

Voi, Nadolny, siete un sincero amico dell'Italia, e posso parlare ancora più chiaro. Dopo l'avventura della Zollunion dell'anno scorso è molto difficile da parte italiana di vincere un istintivo sentimento di diffidenza di fronte a qualsiasi progetto tedesco di carattere economico nell'Europa centrale. Noi vogliamo essere i migliori amici della Germania, ma non vogliamo avere la Germania alle nostre frontiere. L'Anschluss non la vogliamo. Ecco tutto. Poi c'è una questione economica. Possono l'industria tedesca e quella italiana armonizzare i loro reciproci interessi nei mercati danubiani? Ecco il secondo importante quesito.

Nadolny -Capisco che è difficile per voi accettare il sistema delle preferenze. Perché non studiamo il metodo dei «contingenti »? Vi dò questa indicazione con seria preghiera di farla studiare, e di sapermi dire qualcosa.

Grandi -Sta bene. Ne parlerò col mio collega Bottai.

(l) -Cfr. serie VII, vol. XI. n. 302 e nota 2 allo stesso. (2) -Cfr. n. 14. (3) -Cfr. n. 19.
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COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO DEGLI STATI UNITI, STIMSON

APPUNTO. Ginevra, 19 aprile 1932.

Stimson è stato molto affabile, ed ha voluto riserbarmi un'accoglienza di carattere prettamente famigliare, come s'usa ad un amico, più che ad un collega. Mi ha detto che i ricordi dei suoi incontri col Duce, a Roma e a Nettuno (l) sono indimenticabili. e mi ha pregato di confermargli la sua calda ed ammirata simpama. Circa il suo viaggio, esso è stato improvvisamente deciso dall'assicurazione data al Delegato americano Norman Davis da parte francese che Tardieu era deciso a qualche seria concessione, in materia di disarmo, prima delle elezioni. « Purtroppo nel mio incontro con Tardieu venerdì scorso ho potuto rendermi esattamente conto che Norman Davis si era sbagliato. Non c'è nulla da attendersi da parte francese su questo campo, e ciò è estremamente scoraggiante».

Ho passato con Stimson buona parte del pomeriggio. Secondo l'uso americano la confidenza viene passeggiando in giardino. Stimson mi ha confessato che lo scopo vero del suo viaggio in Europa è la situazione dell'Estremo Oriente. Il Governo americano è « furioso » contro il Governo britannico per il nessun appoggio dato da questo alle proposte americane tendenti a creare un fronte unico contro il Giappone. MacDonald e Simon hanno agito lealmente, ma il partito conservatore non dimentica l'antica solidarietà anglo-giapponese. Non una sola nave della squadra britannica del Mediterraneo è stata inviata a Shanghai. Il solo paese europeo che lo ha fatto è stata l'Italia Bisogna convincersi

(prosegue Stimson) che la situazione in Estremo Oriente è molto grave, e che essa, anziché migliorare minaccia di peggiorare sempre più. Gli Stati Uniti non tollereranno mai che il regime della porta aperta in Cina, regime cui tutti gli Stati Europei sono insieme coll'America interessati, sia compromesso. Basti pensare che nell'anno scorso, che è stato il peggiore per il commercio americano, le esportazioni americane in Cina sono raddoppiate. Tutti gli Stati americani de'l West sono in fermento. L'Europa non si rende conto della situazione nel Pacifico, e particolarmente non conosce la situazione interna del Giappone. Il Giappone, dopo ottanta anni di politica modernizzante è ritornato ad essere dominato da una pericolosa casta militare. Gli esponenti politici di maggior valore sono stati assassinati, o si trovano sotto la minaccia continua della loro vita. Gli Stati Uniti d'America, quando hanno accettato gli accordi navali di Londra non prevedevano questa situazione. Nell'attuale situazione, perdurando il pericolo di guerra nel Pacifico, gli Stati Uniti d'America non intendono diminuire di una sola tonnellata e di un solo strumento di guerra la loro flotta che ritengono già anche troppo limitata dagli accordi di Londra.

Circa il problema della sicurezza, (prosegue Stimson), ho detto a Tardieu che esso è un affare europeo e non ci riguarda. Del resto quale atto di solidarietà ha fatto l'Europa nella questione dell'Estremo Oriente che tocca così profondamente l'America? Nulla. Ho avuto un colloquio con Berthelot, il quale mi ha dichiarato che circa il conflitto cino-giapponese «la Francia sarà al fianco dell'America sino in fondo».

Ho fatto presente a Stimson che egli si fa delle illusioni se ritiene che sul terreno della Società delle Nazioni qualcosa di pratico possa essere raggiunto in merito alla situazione dell'Estremo Oriente. A cominciare dall'Italia, vi sono molti Stati che non desiderano sia messa in moto la procedura dell'art. 15 e dell'art. 16 dando al Covenant delle possibilità di intervento che molti Stati (l'Italia fra questi) desiderano evitare per ragioni di principio. Molto più facile sarebbe mettersi d'accordo su un altro terreno, più specifico, quello del Trattato delle nove Potenze.

« Ma la Gran Bretagna » ha risposto Stimson « non ne vuole sapere. È perfettamente inutile fare appello agli altri firmatari quando il più interessato fra questi, il Governo britannico, non mostra alcuna buona volontà di seguire quello americano. Anche la Germania, che ha aderito, ma non ratificato ancora il Trattato dei nove deve decidersi a prendere una precisa attitudine su questa questione>>.

Circa la Conferenza di Losanna Stimson mi ha ripetuto quello che Hoover e lui mi avevano detto a Washington: gli Stati Uniti hanno fatto una così amara esperienza della cattiva volontà dell'Europa al tempo della moratoria Hoover per cui il Governo americano non intende per ora assumere od associarsi ad alcuna iniziativa sul terreno dei debiti interstatali.

Stimson ha fatto un leggero accenno alla questione navale itala-francese e alla necessità dell'adesione dell'Italia e della Francia agli accordi di Londra, aggiungendo che l'Italia aveva fatto tutto il suo dovere.

Gli ho domandato se gli Stati Uniti intendevano prendere parte attiva al regolamento della questione economica danubiana, e quale sarebbe stata l'attitudine americana di frante all'eventualità di un sistema preferenziale relativo a quei Paesi. Stimson mi ha risposto che gli Stati Uniti considerano quei paesi come dei «mendicanti » da soccorrere e che non invocherebbero la clausola della Nazione più favorita ove fosse adottato un sistema di mutue preferenze fra di essi, a condizione che nessun altro Paese europeo ne beneficiasse. Gli ho domandato se eguale attitudine gli Stati Uniti prenderebbero nel caso di preferenze unilaterali da parte dei Grandi Paesi. Egli mi ha detto che il problema non era stato ancora esaminato, ma che egli ritiene che anche in quel caso gli Stati Uniti non farebbero difficoltà.

(l) Cfr. s::rie VII, vQ\. X, n. 387.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Ginevra, 20 aprile 1932.

Lunedì (l) si è ripresa l'esasperante, estenuante discussione in seno alla Commissione generale. Raramente il mio spirito si è trovato a sopportare tanta tatica morale, come in questi giorni, e, certamente, come in quelli che verranno. Si parla, si parla, ma è ormai convinzione generale che la Conferenza del Disarmo è finita, ed è fallita. Ciascuno lavora ormai con un solo scopo: quello di gettare sull'altro le responsabilità di questo fallimento. Siamo dunque già alla fase considerata nella seconda parte dell'ordine del giorno votato dal Gran Consiglio (2), quello cioè relativo alle responsabilità. La mia azione si muove decisamente su questo terreno, ormai.

Lunedì e martedì hanno segnato un tentativo da parte francese e satelliti di fare scivolare la Conferenza, mediante due progetti ambigui di risoluzione concernenti l'art. 8 del Covenant sul piano francese, escludendo le proposte concrete che ci interessano. Sono intervenuto tanto nella seduta di lunedì, come in quella di martedì, allo scopo di mettere le cose in chiaro e mostrare ai francesi e ai loro amici che il loro giuoco, anche se per ora limitato alla schermaglia, non può passare liscio. Abbiamo avuto ragione.

Stamane Simon, riprendendo le linee fondamentali delle proposte italiane, ha presentato alla Conferenza un progetto di risoluzione che ha lo scopo di raccogliere insieme in un solo blocco Gran Bretagna, Italia, America, Germania, Russia ed isolare la Francia. L'ho naturalmente sostenuto. La Germania, come al solito, si è mossa con una pesantezza di elefante, e non ci ha facilitato il compito. Questi tedeschi sono degli autentici bestioni: lunedì prossimo avremo la discussione sulla uguaglianza dei diritti, la questione tedesca. Questo punto fa parte dei postulati posti nel discorso di Napoli. Occorrerà da parte nostra intervenire ancora. Poi avremo la discussione del progetto francese, e qui avverrà il cozzo finale, dopodiché la stagione si chiuderà, almeno voglio spe

( 2) Del 7 aprile.

rarlo, perché Ti confesso che questo soggiorno ginevrino, seppure necessano, mi è moralmente e spiritualmente insopportabile.

A parte questo personale, e credo, legittimo stato d'animo occorre prendere atto che la Conferenza del Disarmo, nel bel mezzo della quale Tu hai al momento opportuno, collocato i deliberati del Gran Consiglio, ha servito ad affermare sempre più la posizione di autorità internazionale non solo dell'Italia, ma del Regime. L'Italia fascista ha preso, fra le Grandi Potenze, un posto di prestigio morale e materiale cosi solido che la stessa Francia, ormai, non solo non conte::;ta più, ma è costretta a riconoscere esplicitamente senza ricorrere a quelle meschine ritorsioni polemiche, vecchia roba che non attacca più. Basta gettare uno sguardo sulla stampa internazionale quotidiana per rendersi conto della posizione e del prestigio acquistati anche in questo campo dall'Italia fascista.

Ti allego alcuni sommari appunti relativi ai colloqui da me avuti in questi giorni (1). Circa il mio incontro con Briining (2), ho seguito le istruzioni da Te inviatemi. Sono stato cioè freddo e riservato. Il che non ha mancato di essere rilevato non solo nell'ambiente della Delegazione tedesca, ma anche in quello della stampa.

Come rileverai dal mio colloquio con Wall;:o, gli ungheresi e gli austriaci, dopo le illusioni della sirena francese stanno ritornando sulla via di Roma, come Tu avevi preveduto. La questione danubiana tornerà nei prossimi giorni a costituire uno dei punti centrali delle discussioni ginevrine. Mi riservo su questo punto di ragguagliarTi più estesamente. La nostra posizione è forte, ma non facile perché deve svilupparsi contemporaneamente su due fronti, quello francese e quello tedesco. Non ho tuttavia preoccupazioni, e sono certo che riusciremo.

Domattina arrivano MacDonald e Tardieu. Avremo un rincrudire di discorsi, e dopo le cose... (3) come prima. Non Ti sarà certo sfuggita una circostanza importante: il Governo britannico ha cancellato nel proprio bilancio le voci <<riparazioni>.> e «debiti>>. È indubbiamente un atto di coraggio di MacDonald, alla vigilia della Conferenza di Losanna. e la notizia ha suscitato qui molti commenti. I Tedeschi ne traggono buoni auspici.

Il Presidente del Consiglio Federale Motta con cui mi sono trovato stasera mi ha pregato di inviarti le espressioni della sua rispettosa cordialità, e ci tiene Tu sappia che le sue impressioni sul recente soggiorno in Italia hanno superato la sua aspettativa Lo hanno colpito non solo l'ordine e la disciplina, i grandi progressi ovunque. ma l'attività e il buon umore della gente per cui si direbbe che l'Italia si presenta come un paese risparmiato dalla crisi.

In qucs~o momento mi informano che i giapponesi hanno respinto l'ordine del giorno proposto dalla Commissione dei Diciannove circa le modalità dell'evacuazione della zona di Shanghai. Siamo dunque al punto di prima, se non peggio.

13) L:J. lacun~ è nel tc~t::>.

ALLEGATO

COLLOQUIO GRANDI-WALKO

APPUNTO. Ginevra, 20 aprile 1932.

Il Ministro ungherese Walko, giunto a Ginevra ieri sera, ha domandato subito di vedermi.

Egli rigetta l'idea Tardieu-Flandin, e desidera essere ben chiaro su questo punto. Ha parlato con Marinkovich e Marinkovich gli ha manifestato, presso a poco eguale punto di vista. Marinkovich ha aggiunto che non intende chiudere la porta ad un vasto accordo economico coll'Italia, l'unico che interessi veramente la Jugoslavia. Walko è d'accordo nella necessità di mettere subito in vigore ed allargare gli accordi Brocchi, e si dice lieto di avere constatato che Schuller è dello stesso avviso. Walko ha per questo inviato Nickl a Roma colle istruzioni di non lasciare Roma se non dopo avere fatto ogni sforzo per ottenere entro i limiti fissati dagli accordi firmati, le promesse facilitazioni sul bestiame, ed iniziato le conversazioni per l'allargamento degli Accordi Brocchi, allargamento che dovrebbe coincidere sostanzialmente, pure non dicendolo espressamente, con l'Unione doganale italo-austro-magiara. Walko prospetta la utilità che i cinque Paesi danubiani, eventualmente anche la Bulgaria, siano invitati ad esporre in singoli memorandum la loro rispettiva situazione e le singole necessità. Così si vedrebbe subito, dice Walko, quali profonde divergenze esistòno tra questi Paesi e le Tre Potenze della Piccola Intesa sarebbero costrette a dichiarare un'attitudine che non può essere a meno che discorde tra loro.

Gli ho risposto che su questo ultimo punto non ho difficoltà.

Domattina vedrò Schuller espressamente giunto da Vienna.

(l) Il 18 aprile.

(l) Gli all~gati sono pubblicati sotto 18. rlspr,11-Jvg d8+r1 r-crnt~'ì rnJJ·~lfl r~'lativo al colloquio con Walko che è dello stcss0 20 npr!!c.

(2) Cfr. n. 19.

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IL DIRETTORE GENERALE PER LE COLONIE DELL'AFRICA ORIENTALE DEL MINISTERO DELLE COLONIE, GABELLI, AL CAPO DELL'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE EUROPEA, LEVANTE ED AFRICA, GUARNASCHELLI

L. P. Roma, 22 aprile 1932.

S. E. il Ministro De Bono, al quale ho presentato l'accluso pro-memoria sulla questione del confine Somalia-Abissinia, desidera che sia portato a conoscenza della Direzione Generale E.L.A. senza farne oggetto di lettera ufficiale. La prego pertanto di farlo leggere al Ministro Guariglia affinché sappia che il Ministero delle Colonie non ha nulla in contrario che. alla prossima favorevole occasione, sia fatto capire al Negus che saremmo disposti a discutere la questione del confine Somalia-Etiopia.

Per ora potrebbe bastare questo, quanto a precisare maggiormente ci sarà tutto il tempo necessario perché gli Abissini hanno per adesso da dipanare la matassa del confine colla Somalia Inglese.

Ha letto gli ultimi telegrammi circa Ras Hailù e quell'incidente di Adua? Vorrei sentire in proposito che cosa pensa della situazione abissina in generale il Ministro Guariglia.

Non avendo potuto venire oggi cercherò di passare fra qualche giorno (1).

«Il M. Guariglia ha conferito al riguardo col Comm. Gabelli, restando inteso che non

conviene, per ora, in assenza del titolare e pendente la nota richiesta clell· imperatore, parlare a qucs~i della cosa. La questione patri essere riesam!nat~ prim:t del!a pa;tcnca di P:tt~rnò

o del nuovo Minis~l'C) A[dJic] A[beba].

ALLEGATO

GABELLI A DE BONO

PROMEMORIA. Roma, ... aprile 1932.

Le voci ricorrenti di una nuova spedizione abissina nelle zone di confine con la nostra Somalia, -voci, a cui conferisce notevole valore l'informazione, peraltro non controllata, dell'invio di materiale bellico all'Etiopia, destinato appunto alle dette zone, -inducono a riconsiderare l'atteggiamento da noi finora assunto nella questione della delimitazione dei confini Somalia-Etiopia, per vedere se sia il caso di mantenerlo immutato opure di modificarlo, ai fini della miglior tutela dei nostri interessi.

Tale atteggiamene è stato finora, com'è noto, del tutto negativo: nel senso che ci siamo sempre opposti, ed abbiamo sempre cercato di sfuggire, non solo ad ogni delimitazione di quel confine, ma anche ad ogni sia pure generale e preliminare conversazione col Governo etiopico al riguardo. E ciò per ragioni varie, fra cui precipue: a) la grave incertezza, derivante dagli stessi documenti ufficiali (tracciato Nerazzini del 1897; convenzione italo-etiopica 1898; carte geografiche ecc), circa l'andamento della frontiera: incertezza, già fonte di numerose discussioni, e prevedibile causa di nuove aspre controversie; b) il conseguente nostro intendimento di modificare a nostro vantaggio lo stato delle cose nelle regioni confinarie, così da giungere alla eventuale delimitazione in condizioni nettamente favorevoli: intendimento, a cui, negli anni decorsi, si è cercato di dare attuazione mediante assidua opera di penetrazione economico-commerciale, di assistenza medica, veterinaria, ecc. fra le popolazioni ivi abitanti.

Con l'accennato nostro contegno noi siamo in realtà riusciti a procrastinare di continuo la delimitazione della frontiera.

Senonché bisogna pur dire che, attraverso gli anni, e per lo sviluppo stesso degli avvenimenti, la situazione è andata cambiando. La nostra opera di penetrazione, anche perché non condotta, specie negli ultimi tempi, con la necessaria moderazione e cautela, ha finito coll'apparire evidente e temibile al Governo etiopico; il cui antico desiderio di regolare la questione dei confini ha trovato in essa un facile incentivo, al quale si è indubbiamente aggiunto quel certo nuovo spirito da cui il Governo stesso sembra pervaso, reso manifesto soprattutto attraverso la tendenza al consolidamento del potere centrale ed alla più vigile tutela degli interessi dello Stato. Donde la recente spedizione nella regione degli Ogaden, con il dichiarato, e in Addis Abeba mal dissimulato, scopo di riprendere contatto e possesso di territori da tempo abbandonati; donde, pure, la recentissima benché non ufficiale richiesta, fatta alla R. Legazione in Etiopia, di regolare il confine con la Somalia: richiesta, alla quale nessuna esplicita risposta è stata, da parte nostra, data.

Deve dirsi, d'altra parte, che la nostra opera di penetrazione ha ormai, grosso modo, dato i frutti e raggiunto i limiti che poteva; che ai tentativi di proseguirla, sia pure con metodi più adeguati, non arriderebbe certamente, nell'attuale risveglio della sensibilità abissina, un apprezzabile successo; che essa quindi travasi ad un «punto morto», nel quale sta a rappresentare per noi un valore ed un interesse suscettibile forse meno di aumento che di diminuzione.

In tal condizione di cose, non pare dubbio che sia ormai grandemente scemata, se

non addirittura venuta meno, la convenienza, per noi, di conservare il nostro contegno

negativo nella questione della delimitazione dei confini. Inoltre, date le anzidette minori

ragioni, che noi abbiamo, a persistere in esso, e dato che comunque i rinvii non potranno

certo rinnovarsi indefinitivamente, una cosa, sembra, bisognerebbe sopratutto, e per

ovvie ragioni, evitare: che alla delimitazione fossimo tratti a consentire (ciò che, a

rigore, dovremmo rifiutarci di fare) in occasione e per effetto di una nuova spedizione

militare etiopica, la quale ponesse appunto come suo fine esplicito il regolamento delle

questione confinaria. E anzi, per evitare ciò, potremmo cogliere qualche buona occasione

per far sapere fin d'ora, e genericamente, al Governo etiopico, che noi non abbiamo

nulla in contrario ad una eventuale delimitazione, ma che siamo disposti ad addivenirvi,

8. tempo opportuno, s'int~n1e. ed in cir::ost!l!'::e f'l1'cre,:o!i.

Un simile avvertimento varrebbe, si pensa, a chiarire la nostra pos1z1one attuale ed a facilitare la nostra condotta futura; così che esso, senza toglierei i vantaggi, ci eviterebbe il disagio ed i pericoli connessi all'odierna situazione.

Quanto precede si sottopone all'esame della E. V.; con preghiera di compiacersi, ove crede, di esprimere in merito il proprio giudizio e far conoscere le proprie determinazioni.

(l) Annotazione a margine di Guarnaschel\i:

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Ginevra, 23 aprile 1932.

Si è chiusa ieri la seconda settimana della ripresa della Conferenza. Le ultime due giornate di giovedì e venerdì sono state buone. Niente di pratico

o di sostanziale, naturalmente, sul terreno del disarmo. Ma ormai sta accadendo qui quello che ad un certo punto è accaduto alla Conferenza navale di Londra, tre anni or sono. Entrato nella persuasione di ciascuno che un disarmo effettivo è impossibile per i contrasti insanabili fra le Potenze (quello che uno propone l'altro necessariamente rifiuta), la Conferenza assume un senso esclusivamente e squisitamente politico. Le Potenze si raggruppano o si dividono secondo le linee direttrici della loro politica e dei loro interessi generali. Ciascuna Potenza lotta per acquistare una posizione sempre più autorevole e marcata. Sotto il compromesso grigio e mediocre che caratterizza quasi sempre la conclusione di una discussione, si può vedere nettamente un progresso, non nel disarmo, beninteso bensì nella chiarificazione e nell'orientamento dei rapporti tra le Nazioni. Sotto la cappa pesante c'è qualcosa che «si muove». La Conferenza sta diventando una specie di prova generale e un'anticipazione sperimentale del futuro equilibrio fra le Grandi Potenze e le loro costellazioni rispettive.

La manovra inglese è riuscita in buona parte. Durante queste due giornate, sull'ordine del giorno Simon è avvenuto il primo schiarimento importante della Conferenza. La Francia è rimasta per la prima volta effettivamente sola di fronte a tutto il mondo coalizzato. Con essa non sono rimasti che i suoi alleati e qualche repubblichetta sud-americana, senza importanza, i cui delegati a Ginevra non sono che i rappresentanti diplomatici accreditati a Parigi. Simon, rinforzato anche dalla presenza di MacDonald, si è battuto bene. Boncour è stato abile, Tardieu giunto in fretta da Parigi coll'aria di voler salvare tutto, ha peggiorato, con un discorso dispettoso, la posizione già delicata della Francia. Quest'ultima, che all'inizio della Conferenza aveva tentato di prendere «le devant » è oggi sulla stretta difensiva. Il tentativo di fare del famoso progettone francese il centro delle discussioni è fallito. Oggi l'azione francese si riduce a domandare che il loro progetto non sia « escluso » dalla discussione. Il cambiamento nelle posizioni è più che evidente, ed il nervosismo della opinione pubblica francese è spiegabile. Oggi al centro della Conferenza è la «limitazione qualitativa », e cioè la concezione italiana del disarmo. Siamo stati noi i primi (ed ogni oratore che monta allEL tribuna comincia col riconoscere all'Italia questo merito) a indicare, con proposte solide, questo principio, contrapponendo al criterio dell'internazionalizzazione il criterio dell'abolizione delle armi più offensive. Nei due discorsi pronunciati dal Ministro degli Esteri inglese questi ha dichiarato ripetutamente di riferirsi alle argomentazioni e ai concetti esposti dalla Delegazione Italiana, dichiarando di accettare anche il nostro principio relativo alla Parte V. dei Trattati, principio che, concludendo direttamente all'eguaglianza dei diritti da concedersi agli Stati vinti, è principio nettamente revisionista. I Tedeschi, come al solito, non hanno capito nulla, ed invece di appoggiare incondizionatamente me e Simon, hanno dato un'adesione con riserva alla risoluzione italo-anglo-americana che mirava a risolvere la loro questione fondamentale. Più intelligente è stato Litvinoff, che, saltando a piè pari tutte le sue pregiudiziali, ha aderito incondizionatamente alla nostra tesi, bloccandosi insieme a tutti noi contro la Francia.

Queste due ultime giornate hanno indubbiamente fatto riflettere Tardieu, che ieri sera si è messo d'accordo coi Tedeschi, ed ha domandato egli stesso il rinvio della discussione del progetto francese e della questione dell'uguaglianza dei diritti (art. 53 della Convenzione preparatoria -questione tedesca, ungherese, bulgara ecc. ecc.). I Tedeschi, che si fanno delle illusioni sulla condotta francese e sulle possibilità di un accordo con Tardieu, una volta che questi abbia superato lo scoglio delle elezioni, hanno accettato. Questo compromesso procedurale franco-tedesco rimanda la discussione dei due ultimi argomenti cruciali della Conferenza del disarmo alla prima settimana di maggio. La prossima settimana sarà impiegata in discussioni minori. Ciò mi permette di ritornare, almeno per una settimana, a Roma, lasciando qui il Generale Cavallero.

Lunedì mattina (l) sarò a Palazzo Venezia per riferirti con maggiori dettagli sulla situazione e particolarmente sugli incontri personali che coronano la quotidiana pesante fatica della parlamentaristica diplomazia ginevrina.

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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1564/841/114 R. Angora, 23 aprile 1932 (per. il 28).

Tefik Ruscdi bey tornato oggi da Ginevra si è mostrato meco pienamente soddisfate dei colloqui avuti con V. E. (2). Egli mi ha dichiarato di essere rimasto con V. E. d'accordo, per dare al prossimo incontro di Roma il significato di un coronamento della politica di Milano e per rinnovare in quell'occasione, come io avevo proposto, per altri cinque anni il patto di amicizia essitente.

Poiché V. E. dovrà far redigere il nuovo Protocollo, d'intesa con Tefik

rl) 25 aprile. : 2) Cfr. n. 12

Ruscdi bey, invio quello del 30 ottobre scorso con il quale venne rinnovato il trattato di amicizia e neutralità turco-russo che potrà essere con vantaggio preso come tipo.

Ne allego il testo.

Tefik Ruscdi bey è inoltre pienamente d'accordo affinché il testo dei discorsi ufficiali che verranno scambiati in occasione della visita e quello del comunicato che verrà pubblicato in tale occasione, contengano la constatazione dell'utilità che finora ha dato la reciproca preventiva consultazione dei due Governi e l'impegno di seguire tale politica in tutte le questioni internazionali che riguardano i due paesi.

ALLEGATO

Ankara, 30 ottobre 1931.

Les représentants des Gouvernements turc et soviétique ont signé aujourd'hui le protocole suivant: «Le Gouvernement de la République turque et le Gouvernement de l'Union des Républiques Soviétiques Socialistes estimant conforme à leurs intéréts mutuels et au désir dont ils sont animés de maintenir et de consolider davantage leurs relations normales durables et de sincère amitiè, ont décidé de prolonger la durée de validité du traité d'amitié et de neutralité signé à Paris le 17 décembre 1925 et des trois proto~oles y annexés, portant la méme date ainsi que celle du protocole de prolongation du 17 décembre 1929 et du protocole naval du 7 mars 1931 signés à Ankara et ils ont nommé à cet effet:

D'une part:

Le dr. Tewfik Ruscdy bey, ministre des affaires étrangères de la rétuplique turque, et Hussein Raghib bey, ambassadeur extraordinaire et plénipotentiaire de Turquie dans l'Union des Républiques Soviétiques Socialistes:

et d'autre part,

M. Litvinoff, Commissaire du peuple pour les affaires étrangères de l'Union des Républiques Soviétiques Socialistes, et

M. Souritz, ambassadeur extraordinaire et plénipotentiaire de l'Union des Républiques Soviétiques et Socialistes en Turquie, lesquels, après s'étre communiqué leurs pleinspouvoirs trouvés en bonne et due forme, ont arreté les disr;ositions suivantes:

Article l

La validité du traité d'amitié et de neutralité conclu à Paris le 17 décembre 1925 et des trois protocoles y annexés portant la méme date ainsi que celle du protocole de prolongation du 17 décembre 1929 et du protocole naval du 7 mars 1931 signés à Ankara sont prolongées pour la durée de cinq ans à partir de la date de leur expiration.

Toutefois si une des partie contractantes ne prévient pas l'autre six mois avant le terme de cinq ans de son désir d'y mettre fin, le traité ainsi que les protocoles susmentionnés seront considérés comme authomatiquement renouvelés pour une nouvelle période d'une année.

Article 2

Le présent protocole entrera en vigueur dès sa ratification qui sera notifiée par chacune des Parties à l'autre partie contractante. Fait à Ankara, en deux exemplaires le 30 octobre 1931.

26

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1565/842/115 R. Angora, 23 aprile 1932 (per. il 28).

Appena di ritorno da Ginevra, Tefik Ruscdi bey ha voluto vedermi per felicitarsi con me della stretta collaborazione avuta con V. E. e dei consigli ed aiuti ricevuti dal ministro degli esteri italiano al quale egli sembra aver votato la più grande ammirazione ed amicizia. Mi asterrei da tali riferimenti, chè potrebbero sembrare fuori luogo, se l'entusiasmo manifestato da Tefik Ruscdi bey per la persona di V. E., per il Governo fascista e sopratutto per il posto eminente e preponderante preso nelle direttive mondiali dalla politica di S. E. il capo del Governo, non fossero destinati ad avere un'influenza immediata nella politica turca in ispecie ed in quella balcanica.

Ricordo subito che Tefik Ruscdi bey immediatamente prima di rientrare in Turchia, ha visto a Sofia il signor Mouchanoft' al quale ha comunicato le sue impressioni di Ginevra e tali impressioni sono esclusivamente basate sull'enorme rialzo del prestigio italiano nella politica internazionale. Egli ha potuto cosi dirmi che il presidente del Consiglio bulgaro entrava appieno nella maniera di vedere patrocinata da Roma per la risoluzione dei grandi problemi in corso e che pertanto egli Mouchanoft' si è avvicinato di più alla politica mediterranea che noi facciamo con la Turchia.

Prima di vedermi Tefik Ruscdi bey ha pure messo al corrente il Consiglio dei ministri, convocato all'uopo, delle sue impressioni che sono cadute [sic] ed hanno ancora alimentato un terreno propizio. Per modo tale che, non esito a constatarlo, l'ambiente mi sembra oltremodo propizio per mettere al giusto valore la visita d'Ismet pascià a Roma.

Questa visita ha di già un significato politico indiscusso; essa avverrà poi l'indomani delle elezioni francesi ed in vista del noto progetto di una possibile federazione sud-balcanica, approvata in principio da V. E. Se è vero poi, come mi ha detto Tefik Ruscdi bey, che il signor Marinkovich ventila l'idea di un patto mediterraneo, «l'unico atto, secondo lui, a salvare l'Europa» riferisco le di lui parole e che « questa non può essere salvata che da S. E. il Capo del Governo», le giornate romane aumenteranno ancora il prestigio della nostra posizione.

La graduazione quindi delle manifestazioni in occasione della presenza del presidente del Consiglio turco a Roma avrà una speciale importanza e potrà dare a questa visita delle conseguenze tangibili non solo in Turchia ma per tutta la nostra politica orientale.

Non riferisco sulle impressioni di questo ministro degli Esteri sulle grandi questioni in corso, perché egli le ha già comunicate all'E. V. La stampa quotidiana turca è già intonata alle impressioni riportate da Tefik Ruscdi bey da Ginevra.

27

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. RR. 2683/211-212 P.R. Addis Abeba, 26 aprile 1932, ore 19 (per. ore 2,30 del 27).

Barone Franchetti invia alla S. V. seguente telegramma: «Avvenuta prima conferenza con Imperatore. Illustrato ragioni della sfavorevole opinione pubblica italiana citando:

lo -sterile sviluppo realizzazione strada Assab-Dessiè;

2° -atmosfera ostile ogni iniziativa italiana, sempre ostacolata non da Imperatore, ma da suo ambiguo " entourage " particolarmente quello costituito da consiglieri tecnici stranieri;

3° -costante diniego concessioni stradali;

4° -poco cordiale atteggiamento verso nostro paese, preferendo collaborazione giapponese e americana trascurando nostro patto di amicizia che ha consentito attuale posizione Imperatore, il quale nulla ci concesse come efficace compenso;

5° -vantaggio, tale da modificare opinione pubblica italiana, che risulterebbe ove si stabilissero punti affluenza bene preparati con nostre colonie attraverso razionale rete stradale appoggiata da rete radiotelegrafica ed organizzazione transito aereo.

Imperatore risposto rispettivamente:

P -aver egli, su questo punto, sua ultima visita a Roma chiesto sbocco al mare fosse Massaua, convenendo assai più che Assab non adattata. Roma rispose negativamente proponendo Assab!

Temo astuta risposta dell'Imperatore nasconda sua intenzione chiedere nuovamente sbocco al mare Massaua. Chiedo conferma e istruzioni nel caso convenisse ritornare sull'argomento e sembrasse vantaggioso concedere detto sbocco via lago Tana-Gondar-Setit;

2° -risposto evasivamente, accennando però che ha richiesto ingegneri idro-elettrici italiani quali consiglieri; 3° -risposto accennando diffidenza nostra verso Etiopia trova corrispondente diffidenza Etiopia verso noi giustificata seguenti fatti.

Nessun aiuto ricevuto da noi durante conferenza armamenti Parigi e questo dopo assicurazioni date dal ministro Cora; aiuto militare negato da noi occasione ribellione Ras Gugsa. Negato prestito per riscatto Banca Abissinia. Questione di frontiera Eritrea e Somalia;

4° -risposto alla maniera orientale che Giappone e America sono lontane e non possono preoccupare trattandosi anche di [collaborazioni] molto limitate [sic!];

5° -rimandato discutere in seconda riunione prossima settimana su questioni relative convenienza nuova attitudine Governo etiopico.

Ricevuto sensazione Imperatore. dietro anche mia affermazione, che non mi sarei accontentato delle solite risposte ambigue, ma impegni definitivi con sollecita precisione, sia rimasto impressionato. Intuendo egli (ripeto intuendo) mia azione costituisse tentativo Italia sondare efficacemente situazione senza esporsi insuccesso diplomatico, ritengo prossima conferenza potrà delineare attitudine Etiopia per il futuro.

Dato interessamento che ha sempre dimostrato S. A. R. il duca d'Aosta per il problema abissino, pregherei informare l'augusto principe dello svolgimento di questa pratica».

28

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI TELESPR. 1007 /3D5. Tirana, 26 aprile 1932 (per. il 30).

Il Generale Pariani, tornato dalla sua recente visita in Italia, dove rimase dal 6 al 12 Aprile, mi ha riferito che, tanto da S. E. il Capo del Governo, quanto da S. E. l'Ambasciatore Lojacono aveva avuto incoraggiamenti ed ordini a proseguire decisamente sulla via sin qui seguita da lui in Albania nell'esercizio delle proprie mansioni. Non mi accennò che di sfuggita alle diverse questioni sollevate negli ultimi tempi, ma mi diede l'impressione di averne avuto il benestare che meglio poteva desiderare dalle prefate Autorità.

Egli mi ha in seguito consegnato copia dei resoconti delle conversazioni avute con S. E. Mussolini e coll'Ambasciatore Lojacono, che qui trasmetto per utile conoscenza.

Appena saputo, verbalmente dal Generale Pariani, che l'acquisto dell'immobile Kotta era stato subordinato, dal R. Ministero degli Esteri, all'acquisto dell'immobile in cui è insediata la R. Rappresentanza Diplomatica, ho subito informato per iscritto il Generale che poteva considerare come perfezionato l'acquisto in parola, e che quindi nulla ostava a che egli desse corso al contratto con S. E. Kotta.

Ciò ho fatto perché il ritardo, inevitabile data la complicazione delle questioni di oronriP.tà in Albania, con ~ui debbo procedere all'atto d'acquisto dello stabile della Legazione, non potesse essere interpretato in modo inesatto dal Generale.

Inoltre, io sono stato letteralmente assalito dal Signor Kotta, il quale voleva che io intervenissi personalmente per indurre il Generale ad assolvere le promesse e gli impegni di compera che lo stesso avrebbe da tempo preso con lui. Al qual proposito, aggiungesi che il Generale Pariani mi ha dichiarato che esso è stato spinto alla compera dell'immobile Kotta, ben più da ragioni politiche, cioè per acquistare il favore del Presidente della Camera, che dai vantaggi presentati dall'edificio.

ALLEGATO

P ARIANI A GAZZERA (l)

N. R. P. 175. Tirana, 15 aprile 1932.

Dal 6 al 12 aprile venni ricevuto, oltre che da V. E., da:

S. E. il Capo del Governo (giorni 8-9 Aprile);

S. E. il Ministro della Marina (giorni 7-12 Aprile);

S. E. il Ministro dell'Aeronautica (giorno 11 Aprile);

s. -E. il Capo di s. M. dell'Esercito (12 aprile); S. -E. il Capo di S. M. della Marina (12 Aprile); S. -E. l'Ambasciatore Lojacono (8 Aprile). I principali argomenti trattati risultano dagli acclusi promemoria. In sintesi: l) Rimane assolutamente invariato il programma militare, col duplice scopo di:

a) costituire in Albania una base militare per eventuali azioni offensive o controffensive, b) assicurare, in ogni caso, la difesa della zona costiera, specie di Durazzo, Valona e Saranda.

2) Accanto al programma militare, inteso ad assicurare alcune finalità belliche, esiste un programma civile, tendente a finalità di pace e cioè di organizzare l'Albania nel campo economico ed a creare vincoli sempre più forti tra i due paesi.

3) I due programmi, tendenti all'obiettivo, sostanzialmente unico, di valorizzare il paese, sia nel campo militare che in quello civile, debbono svolgersi parallelamente, senza contrasti.

ANNESSO I

UDIENZA DA S. E. IL CAPO DEL GOVERNO

Esposi la situazione.

In Albania domina ancora l'incertezza perché, in seguito alla risposta alla nota, le relazioni ufficiali tra i due Paesi sono tornate normali, ma vi è in molti la netta convinzione che non è stata ancora ripresa la cordialità di rapporti fra S. E. Mussolini e Re Zog.

Ad accrescere tale incertezza sono valse alcune voci corse sul diminuito interesse italiano per l'Albania, dal punto di vista militare, e sulla conseguente riduzione del programma militare.

A questo riguardo io stesso (in colloqui col R. Ministro a Tirana) avevo avuto l'impressione che qualche cosa si volesse effettivamente variare ed avevo perciò preparato un promemoria (che consideravo come una specie di mio testamento) ma che, avendo poi avuta una lunga conversazione con S. E. Lojacono, ed essendo stato tutto chiarito, ritenevo superato il promemoria stesso.

Il Capo del Governo volle che gli presentassi ugualmente il promemoria. Lo lesse e lo approvò.

Mi accennò poi alla situazione internazionale, che aveva influito ad attrarre in campi più vasti la nostra attività e soggiunse che, non appena chiuso l'attuale periodo di politica mondiale, sarebbe stata ripresa, senza tentennamenti, la politica nazionale, nettamente tracciata.

Mi chiese poi come procedevano le mie relazioni con Re Zog, dopo il mancato rinnovo del Patto. Risposi che il Re, mentre prima della scadenza del patto aveva cercato di disinteressarmi dalla questione del rinnovo, dicendomi che intendeva trattarla col R. Ministro,

o -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

dopo il noto incidente mi ha dichiarato di essere lieto della mia permanenza in Albania ed ha spesso cercato di convincermi che la mia presenza è di buon segno per le cordiali relazioni fra i due Paesi.

D'altra parte egli sa perfettamente che io resto in Albania da soldato, senza preoccupazioni di interessi personali, fedele ed intransigente esecutore dei miei doveri.

Soggiunse che, comunque, io avrei, entro la prossima estate, completata la complessa intelaiatura dell'organizzazione militare e che dopo sarebbe stato solo necessario insistere tenacemente, per portare a termine un programma già materialmente sviluppato nelle grandi linee.

Informai che nello stesso periodo avrei anche ultimato la Monografia militare dell'Albania e che, alla fine dell'anno, avrei quindi potuto essere sostituito, senza inconvenienti dal punto di vista tecnico.

S. E. il Capo del Governo disse che di questo se ne sarebbe parlato più tardi e che, per ora, era necessario che continuassi nel mio lavoro.

Accennai all'opportunità di addivenire all'acquisto della casa per la Missione militare, dato che stava per essere sorpassato l'ostacolo principale, rappresentato dal fatto che la R. Legazione non aveva ancora una Sede propria.

s. E. il Capo del Governo mi disse che potevo impegnarmi con il Signor Kotta per l'acquisto della casa, acquisto che si sarebbe effettuato non appena la R. Legazione avesse iniziato gli atti per entrare in possesso della sua sede.

ANNESSO II

UDIENZA DA S. E. L'AMBASCIATORE LOJACONO

Mi fece accenno alle lettere scambiate fra le LL.EE. il Ministro della Guerra, e il Ministro degli Esteri, relative alla mia inframmettenza in questioni politiche, ed alle dichiarazioni fatte dal R. Ministro Marchese di Soragna circa il cambiamento del nostro programma militare in Albania. Soggiunse che al riguardo era necessario un chiarimento definitivo, allo scopo di evitare il ripetersi di inconvenienti che sono dannosi alla nostra opera in questo Paese.

Rifece brevemente la storia degli avvenimenti che, pur essendo sorpassati, possono servire a spiegare l'attuale situazione e ad orientare su di essa.

All'inizio del 1927 il Ministro degli Affari Esteri salvò la situazione albanese, che minacciava di intorbidarsi, con la denuncia al mondo delle mene jugoslave. Non essendo però possibile garantire la tranquillità albanese ripetendo il sistema delle denuncie, venne inviato in Albania il Colonnello Pariani, col compito di organizzarvi delle forze armate atte a mantenere l'ordine interno.

L'organizzazione ottenuta nel primo anno di lavoro assicurò infatti una tranquillità mai verificatasi, fino allora, in Albania.

Visto il buon esito dell'organizzazione, si pensò di ampliarla, fino al punto di fare delle forze armate albanesi un complesso utile non solo ai fini dell'ordine interno, ma anche ai fini bellici.

L'organizzazione militare procedette bene anche in questa nuova fase ma, essendosi nel contempo dato inizio al lavoro di organizzazione civile, si produssero alcuni inconvenienti, dovuti principalmente a questioni di competenza.

È necessario tener presente che questi due programmi: organizzazione militare ed organizzazione civile debbono coesistere ed essere svolti parallelamente, perchè il primo deve assicurarci le finalità belliche, il secondo deve invece assicurarci le finalità di pace.

Le due azioni debbono pertanto essere svolte, non in contrasto, ma in appoggio reciproco.

Risposi che io non avevo mai avuto l'animo disposto a contrastare l'organizzazione civile e che il mio lavoro si è sempre svolto a consolidare l'organizzazione militare. Soggiunsi che se qualche volta sono entrato nel campo altrui, questo ho fatto al

solo scopo di cercare di superare difficoltà che si opponevano al mio lavoro. D'altra parte, se sconfinassi, dato che io lo farei in buona fede ed a buon fine, basterebbe richiamarmi nel mio binario ed io obbedire! senz'altro.

Ma i richiami mi sono stati fatti inv<::c nel campo militare. Mi è stato detto, act esempio, che io ho oltrepassato gli obiettivi assegnatimi, sviluppando nelle forze armate albanesi lo spirito nazionale (che potrebbe un giorno essere per noi dannoso) e a questa osservazione debbo rispondere che non posso organizzare una forza armata senza lo spirito ad essa necessario.

Se debbo assicurare che le forze italiane possano sbarcare in Albania prima che gli jugoslavi raggiungano la costa, è indispensabile mettere l'Esercito Albanese, non solo materialmente, ma anche moralmente, in grado di battersi efficacemente. In caso contrario, le nostre spese e le nostre fatiche, per la costituzione di una base di operazioni in questo Paese, sarebbero perfettamente inutili.

Circolano attualmente voci di probabili riduzioni del nostro programma militare. Si dice anche che l'organizzazione militare può essere utile per un baratto in eventuali trattative di carattere internazionale etc.

Di questo, che è di puro interesse militare, io non so nulla e continuo a far fare spese che potrebbero essere inutili qualora il programma venisse cambiato, o ridotto. A tale riguardo S. E. Lojacono mi ha dichiarato che il nostro programma militare in Albania resta invariato e che io non debbo avere alcuna preoccupazione in proposito. Soggiunse che la situazione dei mesi scorsi ha portato a fare varie congetture, ma che tutto sarà presto chiarito. L'importante è che siano bene determinati i due scopi da raggiungere (militare e civile) e che si lavori per tendere a questi con spirito di collaborazione. Se questo spirito esiste, anche i limiti di competenza possono essere ampii.

Accennai infine alla questione relativa all'acquisto della Sede della Missione Militare nella quale mi trovo impegnato, e S. E. Lojacono mi assicurò che nessuna difficoltà esiste da parte del Ministero degli Affari Esteri, che anzi usa tale questione come leva per ottenere, da parte sua, l'acquisto della Sede per la R. Legazione a Tirana.

Definito tale acquisto, egli farà comunicare al Ministero della Guerra che nulla si oppone all'acquisto della Sede da parte della nostra Missione Militare.

(l) Inviato per conoscenza a Bonzani e Soragna.

29

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. RR. 3479/123 P.R. Roma, 28 aprile 1932, ore 24.

Telegrammi di V. S. 211 et 212 (1). Prego ringraziare Franchetti delle sue cortesi comunicazioni personali ed assicurarlo che provvedo informare S. A. R. duca d'Aosta.

Sembrami che conversazioni Franchetti possano essere da un punto di vista generale utili a chiarire, mediante un tramite non uiDciale, reali intenzioni Imperatore nei nostri riguardi, per quanto debba evitarsi che impostazione generale data alle conversazioni stesse possa in prosieguo essere di ostacolo agli scopi precipui viaggio Franchetti.

Ad ogni modo non dubito V. S. avrà già forniti a quest'ultimo tutti elementi adatti a metterlo in grado di obiettare opportunamente alle risposte dell'Imperatore. A tale riguardo osservo non risultarmi che, nell'ultima visita a Roma, Ras Tafari abbia precisato Massaua come sbocco dell'Etiopia al mare; né è esatto che noi proponemmo Assab. Fu invece Imperatore che in relazione a negoziati per trattato di amicizia del 1928 ci domandò Assab quale sbocco

al mare, sbocco che noi concedemmo con la convenzione per strada AssabDessiè. Tutto ciò sempre escludendo concessioni territoriali.

Franchetti può aggiungere sempre a titolo personale sembrargli interesse italiano che Massaua diventi lo sbocco commerciale dell'Etiopia, ma politica imperiale che si oppone a qualunque allacciamento stradale verso Eritrea sembra tutt'altro che favorire tal fine.

Circa atteggiamento italiano nella conferenza armi di Parigi, marchese Paternò ebbe già occasione spiegare all'Imperatore come fossero infondate le notizie riferitegli al riguardo.

Circa aiuto militare richiestoci da Imperatore in occasione ribellione Ras Gugsa, fu abbondantemente spiegata a suo tempo impossibilità realizzare richiesto raid di tanks da Assab, attraverso regioni prive di strade.

Franchetti conosce, per essersene egli stesso a suo tempo personalmente interessato, nostri sforzi per favorire la concessione di un prestito all'Etiopia, e ragioni che ne hanno impedito realizzazione.

(l) Cfr. n. 27.

30

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI TELESPR. 1584/931. Vienna, 28 aprile 1932 (per. il 2 maggio).

Non è agevole, dopo appena pochi giorni dalle elezioni amministrative in Vienna e in alcune province austriache, fare fondate previsioni sugli effetti che il successo dei nazionalsocialisti addurrà nel contegno degli altri partiti politici e nello svolgimento della vita parlamentare in questa repubblica.

Tale successo ha indubbiamente superato le previsioni di quest'opinione pubblica che, pur tenendo conto dell'ascesa negli ultimi tempi del partito nazionalsocialista in Germania, rammentava come nelle ultime elezioni politiche austriache della fine del '30 questi nazionalsocialisti non fossero riusciti a ottenere un solo seggio in parlamento. Il successo stesso può spiegarsi, oltre che come una ripercussione del rapido progredire del partito in Germania e delle sue speranze colà di pronto avvento al potere, come un effetto della intesa propaganda qui svolta, sostenuta certamente da larghi mezzi. Siffatta propaganda, che era principalmente diretta ad acquistare i voti della borghesia cittadina, ha trovato un terreno assai favorevole. La borghesia austriaca, e specialmente la giovane generazione che terminati gli studi non vede nelle professioni libere e nella burocrazia la via aperta a guadagnarsi la vita, è il ceto che forse più risente la crisi e in cui più vivo è il malcontento verso il presente stato di cose, verso i vari gabinetti borghesi deboli e poco capaci succedutisi qui negli ultimi tempi e verso le prepotenze dei rossi: l'operaio è largamente protetto dalle sue organizzazioni socialiste, e il contadino, con minori bisogni del cittadino, per quanto assai poco soddisfatto della situazione non è privo di un tetto e di un pane. Perciò nelle province in cui sono avvenute le elezioni la vittoria nazionalsocialista è andata a danno dei partiti borghesi, principalmente dei piccoli: il pangermanista che è scomparso e l'agrario (specie di duplicato del cristiano-sociale ma senza carattere religioso) che è stato fortissimamente decimato; minori perdite, ma pur sempre considerevoli, ha subito il cristiano-sociale, che dopo i socialisti è il partito più forte e meglio organizzato: sono i tre partiti che da oltre un decennio tengono ininterrottamente il potere, e che pur avendo formalmente combattuto il socialista e impeditogli l'avvento al governo ne hanno subito la tirannia e si sono in segreto accordati con esso per la spartizione dei benefici. Le «Heimwehren » non hanno quasi in nessun luogo presentato propri candidati. Quanto infine ai socialisti, il loro danno non è tanto nella perdita di voti, che del resto date anche le incongruenze della proporzionale è stato compensato in alcuni centri dal guadagno di qualche nuovo mandato, bensì nel vedere sorgere quasi improvvisamente un nuovo partito giovane e battagliero, con l'aureola delle vittorie germaniche e anche delle proprie, non logorato dal passato e scevro da responsabilità per il presente, il quale assumerà inevitabilmente un contegno assai diverso di fronte ai marxisti di quello dei precedenti partiti borghesi, che lottano a parole contro i socialisti ma se la intendono a fatti. È da prevedere che nuove vittorie attendano i nazionalsocialisti nelle future elezioni specie in quelle politiche e che l'Austria, senza contare i comunisti che finora hanno qui pochi seguaci, si avvii ad avere i seguenti tre partiti indicati per ordine di importanza numerica: il socialista rappresentato dagli operai, il cristiano-sociale dai contadini e il nazionalsocialista dai borghesi. Questi raggruppamenti sono fatti «grosso modo », giacché per esempio, per quanto gran parte dei voti ancora dati ai cristianosociali andranno prevedibilmente in seguito ai nazionalsocialisti, i primi ne avranno sempre da coloro che. stretti osservanti religiosi, non vorranno mettersi in conflitto con la propria coscienza votando per un partito che è in contrasto con la Chiesa. Più a!Ilpie possibilità di sviluppo per i nazionalsocialisti, anche nei piccoli centri, potrebbero però presentarsi qualora avvenisse la sua conciliazione con il Vaticano.

Mi riservo tornare sull'importante argomento.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. 528/56 R. Roma, 29 aprile 1932, ore 2.

Suo telegramma n. 746/93 (1).

Sta bene per epoca viaggio codesti presidente consiglio e ministro esteri e prego appena possibile indicare data precisa loro arrivo Roma. Sarà fatto quanto meglio nel senso suggerimenti di V. E. per programma giornate loro permanenza

Roma. Occorre però lasciar cadere opportunamente idea di una colazione dell'ambasciatore soviettico. Naturalmente noi non possiamo suggerirla a quest'ultimo, ma se egli volesse offrirla di propria iniziativa o per suggerimento turco, nulla osterebbe per parte nostra. Non (dico non) reputo il casa di far venire a Roma né l'addetto militare né quello navale. Anche per quanto riguarda

V. E. sua venuta deve essere subordinata alla piega che prenderà la grave controversia delle forniture navali.

Circa la portata sostanziale della visita Tewfik Ruschdy bey me ne ha parlato a Ginevra, e mi ha detto che avremmo potuto procedere al prolungamento del patto di amicizia italo-turco ed ad una intesa di reciproca consultazione, aggiungendo che quanto alla forma di quest'ultima si rimetteva a quanto sarebbe stato proposto dal Governo italiano pel tramite di V. E. Occorre pertanto che V. E. approfittando del breve tempo che i ministri turchi passeranno costi,

faccia in modo di raggiungere l'accordo su di un protocollo da firmarsi a Roma mediante il quale «i Governi italiano e turco, nel desiderio di consolidare maggiormente le relazioni amichevoli fra di loro esistenti decidono di prolungare fin d'ora per tre anni il termine di scadenza previsto dal trattato di amicizia del 30 maggio 1928 ~. Tale trattato fu, come le è noto, ratificato il 29 aprile 1929 e quindi verrebbe a scadere il 29 aprile 1934 (art. 5 comma 2°). Con la proroga proposta scadrebbe invece il 29 aprile 1937.

Per quanto riguarda la reciproca consultazione, senza riprendere le discussioni di cui al suo telegramma n. 88 (1), ritengo preferibile ricercare qui a Roma con i ministri turchi una formula da inserirsi eventualmente nel comunicato ufficiale della visita (2).

«Suo telegr:1mma n. 746/93.

Sta bene per epoca viaggio codesti presidente Consiglio e ministro esteri, ma prego appena possibile indicare data precisa loro arrivo a Roma. Sarà fatto quanto possibile nel senso suggerimenti di V. E. per programma giornate loro permanenza Roma e nulla asta percolazione che Ella Intenderebbe offrire. Occorre però lasciar cadere opportunamente idea di una colazione all'ambasciatore sovietico a Roma. Naturalmente noi non possiamo suggerirla a quest'ultimo, ma se egli volesse offrirla di propria Iniziativa o per suggerimento turco, nulla osterebbe per parte nostra senza però, come è ovvio, Intervento di personaggi italiani. Non (dico non) reputo Il caso di far venire a Roma né l'addetto m!IItare né quello navale. Per quanto riguarda v. E. sua venuta deve essere subordinata alla piega che prenderà la gravequestione delle forniture navali. Circa Infine le considerazioni politiche da V. E. prospettate, osservo che la prima visita del ministri turchi non può risolversi in altro che In una manifestazione formale se non le si darà un contenuto pratico e sostanziale con la firma di un accordo, che sarebbe stato necessario predisporre prima della visita stessa, poiché come V. E. non ignora, è assai difficile discutere e portare a soluzione del negoziati politici durante l pochigiorni di una visita ufficiale, già occupati da cerimonie e manifestazioni varie. Naturalmente si sarebbe dovuto riprendere in questi ultimi tompi con mag!'ior vigore ed efficacia la nostra azione per indurre l turchi alla firma dell'accordo a tre prospettato nelle conversazioni di Milano, sollecitandoli a premurare essi stessi Il Governo greco, il che a noi non conviene di fare direttamente. Ma poiché ciò ormai non è possibile, soggiungerPi se S. E. il Ministro approva e poiché le conversazioni costì intraprese da qualche tempo per un patto di consultazione !taio-turco non hanno dato concreti risultati, appunto per le tergiversazlonl turche, bisognerà, per lo meno convincere il Governo turco a dare alla visita un certo risalto prolungando anticipatamente per ancora cinque anni (preferirei tre) Il trattato di amicizia che scade il 29 aprile 1934. Spetta a V. E. svolgere subito azione a tale scopo parlandone se del caso con Mustafà Kemal, che potrà dare ordini al suoi ministri, anche se costoro fossero già partiti per la Russia. Almeno questo atto, e non l vuoti discorsi e le solite cerimonie. potrà dare valore alla loro visita».

Testo del protocollo !taio-turco, firmato a Roma il 25 maggio 1932 in Trattati e convenzioni tra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. 44, pp. 335-336. Il protocollo è privo dell'articolo sulla reciproca consultazione.

(l) Cfr. n. 9.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Un primo progetto del telegramma pubblicato nel testo era del seguente tenore:
32

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2758/222-223-224 P R. Addis Abeba, 29 aprile 1932, ore 18 (per. ore 3,30 del 30).

Strettamente segreto.

Franchetti continua svolgere sua azione. Uniformandomi istruzioni codesto Ministero. facico del mio meglio per secondare sua opera ai fini del raggiungimento de noti obiettivi, mantenendo con lui i rapporti personali e cercando di dargli opportune indicazioni e suggerimenti. Ma non mi è possibile naturalmente seguire da vicino tutte sue conversazioni e suoi contatti. Ho trasmesso integralmente suoi telegrammi.

Sua venuta e sua attività hanno sollevato incertezza ed anche una certa apprensione. Fra l'altro, ne ho avuto ieri un chiaro segno anche da una conversazione con persona notoriamente intima dell'Imperatore, che è venuta a vedermi per evidente incarico del Sovrano.

Premesso che egli «parlava a titolo personale e come sincero amico dell'Italia e uno dei più convinti fautori delle relazioni cordiali fra l'Italia e l'Etiopia"· il mio interlocutore ha soggiunto che non poteva nascondermi sua apprensione per discorsi pronunciati in ... (l) e attribuiti a Franchetti e che si sarebbe vivamente rammaricato se da tali discorsi potessero sorgere equivoci e diffidenze tali da gettare sospetti su sincerità italiana verso l'Etiopia. Egli voleva mettermi in guardia e avvertirmi delle voci che erano giunte fino a lui.

Aggiungeva che non appariva chiaro quale fosse la veste reale del Franchetti, quali i suoi scopi, e se egli agisse come un privato uomo d'affari o come una specie di agente ufficioso. In ogni caso il linguaggio brusco e «cassant » da lui adottato, e le confidenze fatte a troppe persone non apparivano certo come il metodo più felice per condurre a buon esito dei negoziati, e ciò sopratutto in un paese come l'Etiopia e con uomini politici di costumi e di mentalità orientali come questi.

Ho risposto a mio interlocutore che ero lieto dell'occasione che mi dava di poterlo rassicurare interamente nei riguardi della sincerità e della chiarezza dei rapporti tra l'Italia e l'Etiopia. Che tali relazioni erano basate su interessi e sentimenti comuni troppo forti perché potessero essere mutati. Non mi risultava che Franchetti avesse tenuto dei discorsi come quelli a lui riportati, ma lo mettevo in guardia contro facili voci e le malevoli deformazioni di questi ambienti. Franchetti è un finanziere privato che si occupa di imprese commerciali per conto di una sua società. La sua situazione finanziaria e le sue relazioni personali sono garanzia per la serietà delle sue proposte, che egli intende appunto basare sulle relazioni di amicizia fra l'Italia e l'Etiopia alle quali si propone dare anche una pratica realizzazione mediante iniziativa di utilità comune per i due paesi.

Franchetti è ben conosciuto in Etiopia come un provato amico del paese ed è privilegio appunto degli amici di poter esprimere il loro pensiero con tutta chiarezza senza che ciò implichi alcuna malevolenza e tanto meno un pensiero ostile. Ho aggiunto che, se le pratiche di Franchetti approdassero a buoni risultati, i fautori dell'amicizia itala-etiopica ed io per primo, cui è amdato qui il compito preciso di lavorare sulla sfera di questi risultati, non potremmo che rallegrarcene.

Il mio interlocutore parve molto rassicurato e la sera stessa andò dall'Imperatore. Franchetti sarà ricevuto in una seconda udienza martedì. L'ho pregato di entrare in merito delle note questioni.

Non sono in grado di fare alcuna previsione circa risultati eventuale azione. Franchetti mi dice che intende partire verso 12 maggio. Egll non è informato di quanto è oggetto del presente telegramma.

(l) Gruppo indecifra.to.

33

IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, AL CAPO GABINETTO, GHIGI

L. P. Ginevra, 29 aprile 1932.

Ieri sera partecipai ad un pranzo che Norman Davis ha offerto in onore di Stimson. Ne approfittai per trasmettere a Stimson il messaggio di cui mi aveva incaricato il Ministro: fargli cioè i suoi saluti, dicendogli che S. E. Grandi era molto spiacente di non averlo potuto vedere prima della sua partenza. Il nostro Ministro sarebbe stato molto lieto se Stimson avesse potuto fermarsi, qualche ora almeno, in Italia, nel qual caso avrebbe fatto in modo di incontrarsi ancora una volta con lui.

Stimson disse che era egli stesso molto spiacente che il piroscafo italiano non facesse più nessun scalo in porto italiano. Intendeva partire da Ginevra in automobile per la via di Grenoble-Basse Alpi-Cannes. Aveva l'aria molto stanca e -mi è parso -anche un po' depressa. Mandava a S. E. Grandi i suoi saluti più cordiali.

Nella serata Simon mi si è avvicinato per chiedermi notizie del Ministro ed abbiamo poi continuato a parlare a lungo. Mi interrogò anzitutto sulle intenzioni del Ministro nei riguardi dei lavori di Ginevra.

Dissi che in questa ultima settimana avevo avuto delle frequenti comunicazioni telefoniche col Ministro, che desiderava essere tenuto al corrente di quanto succedeva a Ginevra e si teneva pronto a partire ave la sua presenza qui fosse apparsa utile. In seguito alla notizia del mancato arrivo di Tardieu ed all'annunzio delle prossime partenze di quasi tutti gli altri uomini di Governo, il Ministro Grandi si rendeva conto oggi che la sua venuta a Ginevra non era più necessaria, almeno per qualche tempo. Ne approfittava quindi per occuparsi degli affari che doveva trattare a Roma e specialmente per attendere alla discussione del Bilancio degli Esteri alla Camera.

Chiesi a Simon quali fossero le sue intenzioni e se si proponeva di assistere alle sedute del Consiglio, che si sarebbe riunito il 9 Maggio.

Mi disse che aveva molto da fare a Londra e che forse non avrebbe potuto assistere al Consiglio, dove probabilmente sarebbe stato rappresentato da Cecil. (A questo proposito, se il Ministro non viene per il 9, sarebbe forse il caso di pregare Scialoja di venire a sostituirlo al Consiglio).

Simon si espresse con uno scetticismo piuttosto marcato sulla Conferenza del Disarmo. Disse che era scoraggiato del modo come erano andate le cose in questi ultimi tempi. Egli era convinto (come lo erano MacDonald e Stimson) che le discussioni tecniche che si stanno svolgendo in questo momento non avrebbero portato molto lontano. La chiave della situazione è rappresentata dalle relazioni fra Francia e Germania. Se fra i due Paesi non si trovava un terreno di conciliazione, la Conferenza non avrebbe condotto a nulla di positivo. Era questa persuasione che aveva spinto MacDonald e Stimson a prendere l'iniziativa delle conversazioni Briining-Tardieu. Simon sperava che S. E. Grandi non avesse « misinterpreted ~ il fatto che l'invito era stato fatto solo al Cancelliere tedesco ed al Presidente del Consiglio francese. Le principali difficoltà da superare erano effettivamente quelle fra Francia e Germania. Siccome si trattava di fare una pressione su Tardieu, la presenza anche del Ministro italiano -la cui tesi sul disarmo era nettamente contraria a quella francese avrebbe potuto apparire a Tardieu e specialmente all'opinione pubblica francese come una coalizione e provocarne quindi delle reazioni sfavorevoli. Sfortunatamente, il piano anglo-americano era andato a monte e per il momento non c'era più nulla da fare.

Simon ha detto che la maggiore preoccupazione per lui è rappresentata dallo stato d'animo degli americani. Essi sono molto scoraggiati. Pur considerando il problema del disarmo, come quello delle riparazioni, dei problemi essenzialmente «europei », essi erano venuti a Ginevra con la migliore buona volontà di cooperare ed aiutare. I loro sforzi non hanno finora trovato la sperata corrispondenza da parte dell'Europa e sono diventati scettici.

« Allora -ho chiesto io -quali sono le vostre idee e le vostre previsioni sulla continuazione dei lavori della Conferenza? Circola la voce che le Commissioni tecniche potrebbero continuare a lavorare fino verso la metà di giugno, dopo di che la Conferenza si aggiornerebbe, per lasciare lavorare la Conferenza di Losanna, salvo riunirsi nuovamente in autunno. Credete che questo programma sia il migliore?».

Al che Simon ha risposto dicendo che egli non si aspetta gran che dal lavoro delle Commissioni tecniche e che bisognerà affrontare il problema dal lato politico il più presto possibile. Se la Conferenza si aggiornasse alla metà di giugno e gli americani se ne tornassero in America per l'estate, correremmo il rischio di non vederli più tornare. Bisognerà che gli uomini politici si ritrovino a Ginevra appena la situazione politica francese sarà chiarita. Simon non crede però che ciò possa avvenire prima di Giugno perché, dopo le elezioni di ballottaggio dell'8 Maggio, occorrerà dare tempo al Governo francese di presentarsi alla Camera, forse di rimaneggiare il Gabinetto, di ottenere un voto di fiducia ecc. Tutto ciò ci porterà alla prima metà di giugno. Allora si dovranno però riprendere seriamente le discussioni e le trattative politiche e non !asciarle interrompere, per non lasciar partire gli americani. (Questa mi è parsa la preoccupazione dominante di Simon).

Simon mi ha parlato infine della questione navale, ripetendo che gli inglesi non possono ammettere che la Francia si serva di quest.a r.arta oer fare del « bargaining ». I francesi vorrebbero arrivare ad una fissazione definitiva di livelli fra Francia ed Italia. Questo Simon non crede si possa raggiungere e quindi l'unica soluzione è quella del compromesso. I francesi non hanno nessun diritto di farselo pagare, perché non hanno nessuna contropartita da dare.

Simon ha detto infine che non vede alcuna possibilità di raggiungere risultati concreti se non col disarmo qualitativo.

Ho cercato di mettere la conversazione sul tema «Stati Danubiani>>, ma Simon si è mostrato molto restio a parlarne. Forse non si è occupato e non conosce bene la questione.

Di questo argomento ho parlato invece con Btilow, al quale ho detto che Buti aveva cercato senza successo di tenere coi tedeschi quello stretto contatto che era stato giudicato opportuno nei colloqui che egli CBiilow) aveva avuto col Ministro Grandi Biilow non ha rilevato la mia osservazione. Mi ha parlato invece della impossibilità per la Germania di accettare il progetto francese di invito agli Stati Danubiani, mentre da parte francese si era dichiarato di non poter accettare il «progetto tedesco». Ho mostrato la mia sorpresa per l'esistenza di un «progetto tedesco» (che Buti conosce soltanto per mezzo di Stoppani, non avendone avuto comunicazione dal suo collega tedesco), ma BUlow ha « glissé » anche su questo. Ha aggiunto che nel pomeriggio Massigli era venuto a fargli una proposta nel senso che si lasciasse all'Inghilterra il compito di invitare «verbalmente » gli Stati interessati a far conoscere le loro idee. Btilow non vedeva speciali difficoltà ad accettare tale « modus procedendi », tanto più -ha aggiunto -che il Governo tedesco avrebbe a sua volta potuto far sapere agli Stati invitati quale era il punto di vista tedesco sulla questione.

Circa gli Stati da invitare, la Germania teneva a che fossero compresi nel numero tanto la Polonia quanto la Svizzera. Quest'ultima interessava naturalmente molto meno della prima, e per la Polonia Biilow non aveva preoccupazioni, perché pare che la Polonia di sua iniziativa abbia deciso di far pervenire (suppongo a Londra) un memorandum con cui espone il proprio punto di vista sul problema del riassetto economico dell'Europa centro-orientale.

Briining e Biilow ripartono stasera per Berlino.

Intanto Massigli mi ha preannunciato per oggi una sua visita. Suppongo venga farmi una comunicazione nel senso della proposta di cui mi ha parlato Biilow. Se Massigli viene prima della partenza del corriere, ti riferirà al riguardo con questa mia stessa lettera. Altrimenti lo farò, secondo le circostanze, per telegramma o con una lettera successiva.

Per completare la cronaca, aggiungerò che Appony ha chiesto stamattina di vedermi. Naturalmente andrò io da lui ed ho preso un appuntamento per questo pomeriggio.

Ti sarò grato di mettere S. E. il Ministro al corrente di quanto ti ho scritto.

34

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

APPUNTO. Roma, 30 aprile 1932 (1).

S. E. il Capo del Governo chiestomi da quanto tempo fossi a Roma e quando contassi ripartire per Belgrado mi ha detto:

a) che quando fossero liquidate le questioni del disarmo e delle riparazioni, questioni di fondamentale e generale importanza egli avrebbe rivisto alcune posizioni politiche dell'Italia ed in primo luogo quella con la Jugoslavia. Mi autorizzava perciò ad esprimermi in tal senso con Re Alessandro aggiungendogli che egli continuava a considerare tale revisione con ogni simpatia, ma doveva farla precedere dalla soluzione delle due questioni fondamentali suaccennate. Aveva del resto constatato con piacere e soddisfazione l'andamento delle conversazioni per la revisione di alcuni punti della tariffa doganale itala-jugoslava e rilevato l'atteggiamento cortese e compiacente della delegazione jugoslava. Da conversazioni del Conte Malagola Cappi egli aveva sentito genericamente che la Jugoslavia parlava anche di unione doganale e riteneva che effettivamente fosse il solo stato disposto a trattarla (mentre altri come l'Ungheria e l'Austria all'ultimo momento si erano sottratti a tale discussione) tanto più che essa appariva logicamente dedotta dalla rispettiva situazione geografica e dalla complementarietà della produzione. Egli sarebbe stato quindi disposto ad esaminare anche tale possibilità, mentre intanto i colloqui ed l contatti della commissione economica itala-jugoslava creata nell'ultima occasione avrebbero dato qualche utile indicazione in tal senso.

b) La situazione interna jugoslava gli pareva per altro assai seria. Egli aveva impressione di tentennamenti, di indecisioni, di contraddizioni sempre pericolosi e forse forieri di sorprese per quanto egli escludesse qualsiasi smembramento della Jugoslavia o qualsiasi altra situazione catastrofica.

Ho risposto a S. E. il Capo del Governo:

a) la situazione interna jugoslava era infatti assai delicata e da considerarsi con ogni riserva. Mentre finché l'edificio dittatoriale era intatto si poteva fare qualsiasi più lontana previsione di stabilità politica, dalla emanazione della nuova costituzione continuando poi fino alle elezioni ed ora all'allontanamento del Generale Zivkovich, la situazione interna doveva infatti considerarsi delicatissima e difficile, tanto più che sulle difficoltà politiche si innestavano le economico-finanziarie rese più acute dal recente fallimento della Banca Croata che sottraendo ai piccoli risparmiatori croati circa 2 miliardi di dinari non poteva che aumentare la ostilità al regime.

Nel momento presente la situazione poteva indicarsi sinteticamente così: da un lato il Re con l'esercito e la polizia ed un barlume di faticoso inizio di nuova vita parlamentare dove per altro si riflettevano le passioni e le divisioni

della vecchia Scupcina in relazione anche al sentimento pubblico e dall'altro la quasi totalità della opinione pubblica non ancora organica malgrado che vecchi partiti siano ancora pressoché intatti.

Da questa situazione per altro (con la riserva di ogni imprevedibile sorpresa) non ritenevo potesse venire alcuna crisi e momento veramente grave. Escluso che un movimento potesse partire dagli sloveni, pensavo che anche i croati malgrado il loro stato d'animo croatamente ostinato nella opposizione al serbismo non avrebbero provocato alcun movimento pericoloso. Il solo pericolo veniva dai serbi della opposizione extra parlamentare.

Era mia impressione, ed era anche uguale impressione di moltissimi, che Re Alessandro volesse gradatamente avviarsi ad un regime di più libere istituzioni parlamentari, a tappe lente e misurate, salvaguardando per altro alcuni dei postulati per i quali egli aveva maggiormente lottato; in primo luogo lo jugoslavismo.

Si trattava di vedere se fra la misura del Re e la impazienza della opposizione extra parlamentare di tornare al potere vi sarebbe stato coincidenza di tempo ovvero si potessero produrre attriti e crisi.

Ma concludevo che se anche ad una crisi ci si fosse avvicinati, poiché l'interesse serbo del Re e del maggior nucleo della opposizione extra parlamentare erano identici e si trattava di salvare in primo luogo il serbismo, un accordo sarebbe potuto intervenire senza eccessive difficoltà, anche perché coloro che oggi si atteggiano a giacobini sarebbero i primi ad accorrere felici all'appello del Re.

In ogni caso dopo la mia partenza erano avvenuti incontri fra Re Alessandro e la opposizione parlamentare, come, pare, fra detta opposizione e Marinkovich. Al mio ritorno a Belgrado sarei certamente informato del contenuto di tali incontri; informazioni precise essendomi state promesse da Nincich (ho fra parentesi aggiunto a S. E. il Capo del Governo che questi era il solo serbo che continuava a tenere esposto nel suo studio un ritratto del Duce, ed aveva anche inviato un telegramma di viva condoglianza in occasione della luttuosa fine di Arnaldo Mussolini). E prima della mia partenza secondo informazioni dei più autorevoli capi della opposizione extra parlamentare la situazione era a me stata indicata nel modo seguente:

la opposizione extra parlamentare intende costituire un nuovo partito in tutta la Jugoslavia, vuole nuove elezioni e tornare al governo.

La opposizione croata non intende neanche accettare invito a trattare con Marinkovich che considera doppiamente traditore e al potere solo transitoriamente anche per le sue condizioni di salute. Essa è disposta a trattare col Re, ma a condizione sia accettata la pregiudiziale della sua « completa autonomia». Se però la opposizione extra parlamentare (ex serbi radicali e democratici, musulmani e clericali sloveni), tornasse al potere è disposta ad accordargli l'appoggio nella Scupcina iniziando subito trattative per l'« autonomia».

A conclusione mi permettevo precisare che sull'avvenire della Jugoslavia si

potevano fare tre ipotesi:

od essa restava nella condizione presente, o giungeva allo smembra

mento, o perseguiva l'ideale del pan-jugoslavismo con l'unione alla Bulgaria.

Nel secondo caso era per me vangelo che 1 fermenti ex imperiali esistendo ancora fortissimi la tendenza fatale di una croazta separata sarebbe stata il ricongiungimento con l'Austria e l'Ungheria, ner terzo caso <e richiamavo la attenzione su un recente rapporto del Comm. Umiltà circa le dichiarazioni relative ad una confederazione con la Bulgaria cui i croati tenderebbero per meglio schiacciare i serbi) avremmo al nostro confine uno stato di circa 19 milioni di abitanti anziché di 13-14 come ora.

Stimavo quindi nostro interesse che la prima ipotesi dovesse permanere come la meno pericolosa e la più facile ad accordarsi con noi.

Se poi fossi stato ,interrogato sulla convenienza di concludere oggi trattative politiche con la Jugoslavia, avrei risposto essere preferibile attendere qualche settimana per meglio apprezzare la situazione interna. Se la volontà del Re è sincera e chiara verso di noi, ed è la espressione più certa della «continuità», è preferibile che accordi politici siano conclusi con un governo chiamato a durare, che non con l'attuale governo Marinkovich sulla cui durata debbono esser fatte molte riserve.

b) Quanto alla disposizione di accordo con noi S. E. il Capo del Governo conosceva da tutte le mie relazioni quali fossero i postulati massimi cui Re Alessandro mi aveva costantemente dichiarato di tenere: nella politica coordinare l'azione della Jugoslavia a quella dell'Italia sottraendosi a qualsiasi direttiva ed impegno francese (non però a prendere posizione ostile alla Francia), nella economia raggiungere la unione doganale man mano che impegni con terzi stati lo consentissero, e cercando o superare od eludere alcuni dei canoni che regolano i rapporti commerciali e internazionali (clausola della nazione più favorita). Da Re Alessandro in giù tutti mi avevano fatto le stesse dichiarazioni, e ricordavo che Pilja ne aveva anche ufficialmente parlato in una sua recente proposta durante le ultime trattative avvenute a Roma.

Il colloquio è poi passato a dettagli della vita jugoslava sviluppo della città di Belgrado, società ecc. ecc.

S. E. il Capo del Governo chiestomi se avevo altro da aggiungere ho risposto che nulla avevo di essenziale, e lo ho pregato di confermarmi quanto potevo dire a Re Alessandro e che è contenuto nel punto a) del mio colloquio. Al che S. E. il Capo del Governo ha cortesemente aderito.

(l) Il colloquio era avvenuto il 29 aprile alle ore 20.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 1660/975. Vienna, 2 maggio 1932 (per. il 9).

Ho avuto un colloquio con Starhemberg tornato da Berlino. Lo riassumo.

Le recenti vittorie nazionalsocialiste non hanno conseguito effetto favorevolmente decisivo per questi. Da soli non possono prendere il potere, con i socialisti non vogliono, e con il centro rischiano perdere popolarità: d'altra parte hanno forse ora toccato il culmine dell'ascesa e se nel corso dell'anno non vengono al governo comincierà la loro discesa. Una soluzione potrebbe essere quella di una dittatura di Hitler con il ministero della Guerra. Tra parentesi vi sono in quel dipartimento, secondo Starhemberg. gravi preoccupazioni per il contegno della Polonia. di cui si prevederebbe come sicuro e per un tempo vicino un attacco armato contro la Germania.

Starhemberg ha parlato non solo con membri del ministero della Guerra, del partito tedesco-nazionale e con «elmetti di acciaio>>, bensì anche con hitleriani e con Hitler stesso. Egli non ne aveva molta voglia e aveva rifiutato anzi dapprima un colloquio con Hitler, propostogli da questo stesso, che aveva incontrato casualmente, colloquio avvenuto poi ma segretamente in seguito a un secondo invito. I partiti di destra germanici desidererebbero che le « Heimwehren)) passassero in Austria all'azione, perché ciò faciliterebbe loro in appresso l'attuazione di un consimile programma. Starhemberg vede analogie fra la situazione degli hitleriani in Germania e delle « Heimwehren » in Austria. Queste non potranno certo qui, come probabilmente quelli colà, giungere al potere in modo pacifico; tanto gli uni quanto gli altri se non vi riusciranno nel corso dell'anno si avvieranno alla loro fine; e cosi gli uni come gli altri non saranno in grado di riuscirvi con i mezzi legali e non avranno quindi altro modo che l'impiego della forza. Al riguardo quello che principalmente occorre in Austria alle << Heimwehren >> sono le armi: se esse ne avessero, ciò sarebbe un vantaggio oltre che dal punto di vista dell'interesse generale anche da quello del partito, perché rimarrebbero più facilmente compatte: disarmate, l'attività dei membri, che non può trovare impiego negli esercizi militari, si volge alla partecipazione alle esercitazioni oratorie degli hitleriani. Starhemberg non si mostra molto preoccupato dei recenti successi di questi (l) dai quali non teme che i propri gregari abbiano a essere assorbiti, perché la sua forza principale è nelle campagne, e sui contadini non hanno influsso i nazionalsocialisti che del resto non hanno qui dirigenti di valore. Egli crede che una sua intesa con Hitler, cui ne ha accennato, sarebbe effettuabile sulle seguenti basi. Le « Heimwehren >> si allontanerebbero dalla vita politica, lasciando in essa libero campo ai nazionalsocialisti e permettendo ai propri gregari di seguire quel partito politico che preferissero; esse si limiterebbero all'organizzazione armata, ciò che è il principale, dato che solo con le armi si può arrivare qui a una soluzione. Quanto all'annessione di cui le « Heimwehren » non vogliono occuparsi, Hitler stesso riconosce che la Germania potrà pensarvi solo quando avrà la forza di rompere i vincoli dei trattat1 e quindi non per ora. Per di più l'annessione sarebbe, secondo Starhemberg, di dubbia utilità per la stessa Germania perché potrebbe rafforzarvi pericolosamente le idee separatiste della Baviera, mentre qualche piccolo stato-cuscinetto tedesco intorno alla Germania ne tutelerebbe meglio l'unità.

Starhemberg si procurerà ora nuovi colloqui con tutti i suoi capi, un po' disorientati e impressionati dai successi nazionalsocialisti, e sarà così in grado venendo a Roma di fare a S. E. il Capo del Governo e a V. E. un'esposizione precisa e completa della situazione. Si propone giungere costà la settimana prossima Questa volta farebbe il viaggio da solo; ma forse, dopo qualche settimana, tornerebbe con Pabst per mettersi in contatto con il Partito. Ad ogni modo mi farà conoscere in tempo le sue ultime decisioni.

(ll Cfr. n. 30

36

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 1661/976. Vienna, 3 maggio 1932.

Un nuovo partito è entrato nella vita pubblica austriaca con le recenti elezioni parziali amministrative: quello dei nazionalsocialisti. La loro vittoria ha superato qui ogni previsione, e da essa è logico arguire che il successo si accrescerà nelle elezioni politiche le quali, da quanto per ora pare, avverranno in autunno, anticipandosi così di parecchio la fine dell'attuale parlamento, in considerazione della nuova situazione prodotta dal fatto che il giovane partito, pur così largamente rappresentato adesso in varie diete provinciali, non dispone di un solo seggio nella camera.

I nazionalsocialisti non avevano finora qui alcun peso. Per ciò e anche per il nostro appoggio alle «Heimwehren » le quali si sono finora tenute separate da essi (nelle ultime elezioni politiche del '30 non potettero accordarsi per una lista comune), ho creduto prudente non cercare direttamente di entrare qui in relazione con loro. Ho solo ricevuto, e del resto assai raramente, qualche corrispondente nazionalsocialista tedesco che aveva desiderato conferire con me, limitandomi a tenere la conversazione su un terreno cortese ma vago. Maggiori contatti ho fatto curare da Morreale, dandogli però istruzioni di serbare un contegno gentile ma generico e di astenersi da qualsiasi dichiarazione impeg.nativa che avrebbe potuto metterei in sospetto agli occhi delle «Heimwehren », di ascoltare insomma piuttosto che parlare. Analoghe istruzioni avevo date al console in Klagenfurt che mi aveva riferito sul desiderio di quei nazionalsocialisti dì avvicinarsi a noi, e chiesto come dovesse regolarsi.

Senonché l'importanza già assunta dai nazionalsocialisti in Austria e quella prevedibilmente maggiore che assumeranno in seguito mi sembra richiedano di esaminare e stabilire quale debba qui essere la nostra condotta nei loro riguardi, sia che essi cerchino ora di avere più dirette e continue e solide relazioni con la legazione sia che essi se ne astengano, ciò che non appare probabile, nel qual caso vi sarebbe da considerare se convenga a noi prenderne l'iniziativa.

Non so quali siano con precisione i nostri rapporti con i nazionalsocialisti in Germania: vedo che la nostra stampa li appoggia apertamente e odo che il maggiore Renzetti mantiene relazioni con loro, per quanto sembri che la nostra ambasciata in Berlino non abbia con essi alcun contatto. Possiamo qui noi tenere lo stesso favorevole atteggiamento nei loro riguardi? Vi sono varie diftìcoltà e tutte specifiche all'Austria.

La prima deriva dal loro programma. Nel programma tedesco la questione dell'annessione -per quanto io possa sapere da qui -non è che uno dei punti, e se in questo noi dissentiamo, consentiamo invece in molti degli altri, che hanno del resto per i tedeschi stessi importanza maggiore. Diversamente è la cosa in Austria, ove, per non citare che un esempio, i nazionalsocialisti non hanno da parlare della questione delle riparazioni per la semplice ragione che l'Austria pur non avendo riparato niente non ha più niente da riparare... Di modo che il programma nazionalsocialista tedesco trapiantato in Austria subisce alcune restrizioni le quali portano e porteranno per compenso ad alcuni ampliamenti, e così la testa del chiodo dell'annessione è, e sarà forse anche meglio in seguito, battuta qui con più vigore dal nuovo partito. Più o meno battuto che sia, il chiodo rimane in ogni caso e come una delle questioni fondamentali del programma nazionalsocialista in Austria.

La seconda difficoltà deriva dall'esistenza in Austria delle «Heimwehren ». Fino alla penultima volta in cui avevo parlato con Starhemberg, un tre settimane fa, (l) non appariva alcun suo proposito di intesa con i nazionalsocialisti verso cui si mostrava indifferente se non anche diffidente. In questo suo ultimo viaggio a Berlino, come risulta dal mio colloquio di ieri, sul quale riferisco a parte con il mio telespresso n. 975 (2) Starhemberg cedendo alle insistenze di Hitler ha avuto con lui uno scambio di idee, che entrambi hanno deciso mantenere segreto. Starhemberg vede possibile la convivenza dei due partiti in Austria mediante una divisione di competenze: le << Heimwehren » si riserverebbero il campo militare e lascerebbero ai nazionalsocialisti quello politico, impegnandosi reciprocamente le due parti a non molestarsi e a permettere che ognuna svolga nella propria sfera indipendentemente dall'altra quell'azione che più creda utile ai propri interessi. Ma sarà perfezionato quest'accordo e attuato poi pacificamente? È lecito qualche dubbio. Non può negarsi che il rafforzarsi degli hitleriani danneggi le «Heimwehren » privandole di molti cittadini borghesi che finora vi appartenevano. Tuttavia bisogna tener presente che il grosso dei partigiani delle << Heimwehren » è dato dai contadini e dai proprietari di terre, gli uni e gli altri sotto l'influsso del clero e i secondi in gran parte anche legittimisti, e che su questo elemento la propaganda delle dottrine anticattoliche o quanto meno acattoliche e annessioniste e pangermaniste di Hitler non è presumibile abbiano effetto. Non sembra quindi probabile che, non solo per amor proprio bensì anche per opportunità, Starhemberg si avvicini troppo ai nazionalsocialisti per non correre il rischio di perdere i suoi. Ma se si mantiene troppo lontano da questi non v'è da prevedere che gli hitleriani, ave non riescano a valersi delle << Heimwehren » per i propri scopi, le combattano per cercare di disgregarle e incorporarle? Ora in caso di lotta fra i due campi, un nostro precedente chiaro e noto appoggio ai nazionalsocialisti austriaci non danneggerebbe i nostri rapporti con le << HeimHehren »? Queste hanno difficoltà a causa dell'Italia nel Tirolo, ove i cristiano-sociali da cui deriva la maggior parte dei loro seguaci combattono la propaganda nazionalsocialista rimproverando a Hitler di aver tradito per noi il <<Sud Tirolo». Un nostro manifesto propendere per quest'ultimo sarebbe colà sfruttato a nostro danno e vi accentuerebbe la corrente diretta a mettere le «Heimwehren » contro di noi.

Rimane infine come terza difficoltà quella del partito cristiano-sociale austriaco. Questo, a differenza del centro tedesco, non ha mai collaborato con i socialisti nel governo e quindi, almeno teoricamente, ha sostenuto principi meno dissimili dai fascisti. È vero che la sua ala sinistra ha desiderato e desidera tuttora tale collaborazione, ma siffatto desiderio non si è finora attuato nei fatti e si è limitato a macchinazioni di corridoio e a celate intese per la spartizione di cariche e relativi utili, mentre l'ala destra ha reagito a tali ten

tativi e fino adesso con successo manifestando simpatie per i nostri ordinamenti forse più chiare e decise che non nel corrispondente partito tedesco, e antipatie ai progetti di annessione che non so se siano apparse ne~ centro germanico. Quale sarà per essere l'atteggiamento dei cristiani sociali di fronte ai nazionalsocialisti nel futuro prossimo e nel più lontano non è dato ancora prevedere, e i loro giornali pur non commentando ostilmente il successo degli hitleriani si sono finora mostrati parecchio riservati. Il loro contegno avvenire potrà dipendere dall'ulteriore svolgimento degli avvenimenti non solo in Austria ma anche in Germania: se colà il centro si accordasse con i nazionalsocialisti un simile accordo sarebbe meno imprevedibile in Austria. Ciononostante, dato tutto quanto precede, sembrerebbe prudente che, anche in considerazione dei nostri rapporti con l'ala destra dei cristiano-sociali, ci astenessimo qui da troppo pronte manifestazioni a favore di Hitler in attesa di un chiarimento della situazione.

Senonchè, pur stimando come il più opportuno e conveniente un contegno di prudente attesa e riserva, rimane il fatto che ci sarebbe dilficile, specie se sollecitati dagli hitleriani, di serbare un atteggiamento negativo e di astenerci da qualsiasi afferma,zione che indichi sia pure in modo assai generale quali direttive ci proponiamo qui seguire nei loro riguardi, dilficile in relazione così al linguaggio della nostra stampa verso quel partito in Germania come alla situazione che verrà qui attuandosi. Dilficoltà del resto che non si limita ai nostri rapporti con i nazionalsocialisti, perché è prevedibile che anche dagli altri partiti borghesi, « Heimwehren » cristiano-sociali agrari pangermanisti, ci si chiederà qui quale sia la nostra opinione e quale sarà per essere la nostra condotta nei riguardi del nuovo partito d'ordine apparso subitamente e affermatosi strepitosamente.

Non sono in grado di fare proposte concrete e precise perché, come dicevo più sopra, non conosco con esattezza le nostre relazioni con i nazionalsocialisti in Germania dei quali quelli austriaci non sono che una sezione supinamente dipendente. Ad ogni modo non mi pare potrebbe bastare dicessimo agli hitleriani: ci manteniamo decisamente contrari all'annessione ma per il resto siamo con voi. Questa dichiarazione, fatta a quattr'occhi, a che potrebbe servire di fronte ai terzi che vedessero i nazionalsocialisti fare propaganda annessionista e li sapessero sostenuti da noi? E che dire alle « Heimwehren » di cui abbiamo favorito la prima presa di contatto, se pur rimasta finora, credo, senza ulteriori seguiti, con questa legazione di Francia, quando già affermammo alle une e all'altra e ponemmo come base di questa triplice intesa la nostra opposizione all'annessione? Che dire al conte Clauzel se mi chiedesse quali siano le nostre direttive verso i nazionalsocialisti austriaci, e come dissipare i suoi sospetti se gli affermassi che siamo loro favorevoli, pur ripetendogli con ogni energia che ci manteniamo contrari all'annessione?

La questione non mi pare semplice: essa è ad ogni modo tale ch'io non posso fare qui alcuna dichiarazione o azione, nei riguardi così delle «Heimwehren » e degli hitleriani come di terzi, senza le istruzioni di V. E. Vorrà quindi l'E. v. considerare l'opportunità di farmele giungere, a meno non creda preferibile ch'io venga costì subito dopo il viaggio di Starhemberg a Roma (1).

7 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(l) -Cfr. n. 17. (2) -Cfr. n. 35.

(l) n documento reca il visto di Mussollnl.

37

IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI, ROSSO, AL CAPO GABINETTO, GHIGI

L. P. Ginevra, 3 maggio 1932.

Affldo al Corriere che parte fra un quarto d'ora un resoconto (l) molto sommario di una lunga conversazione da me avuta ieri sera con Massigli sulle questioni del disarmo. Mi sono limitato ad esporre in breve le idee espresse da Massigli, senza riferire la parte mia della conversazione, che tu puoi benissimo immaginare.

Abbiamo anche parlato del problema danubiano (dal lato finanziario e da quello economico) ma Massigli non mi ha detto nulla che già non risultasse dalle conversazioni di Buti con Bizot. Massigli del resto non era ancora stato in comunicazione con Parigi su questo argomeno. Si propone di recarsi a Parigi due o tre giorni per prendere accordi coi suoi circa le prossime discussioni al Consiglio. Massigli non ne è ancora sicuro, ma non esclude che Flandin possa venire a Ginevra per l'occasione.

La sola conclusione che ho tratto dalla mia conversazione con Massigli su questa materia è che importa principalmente che anche noi abbiamo un nostro programma. Continuare a rimanere su posizioni negative ed esclusivamente difensive può ad un dato momento diventare molto difflcile, se non impossibile. Ho del resto avuto l'impressione che i Francesi non neghino la fondatezza di molte nostre obiezioni e che siano disposti a cercare un terreno d'intesa.

Quanto alla proposta che Biilow mi aveva detto avergli fatto Massigli, nel senso che l'invito alle Potenze danubiane potesse venire verbalmente, Massigli mi ha spiegato che aveva espresso questa idea come un « pis-aller ». Ha poi riassunto le sue impressioni sulla riunione di Londra dicendo che « con un altro Presidente che avesse saputo dirigere la discussione, i risultati della Conferenza di Londra avrebbero potuto essere ben diversi!''·

Chiudo perché il Corriere sta per partire. Ti prego di informare Buti di quanto ti ho scritto sopra...

38

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO

N. 5882 RR. Roma, 5 maggio 1932.

Ho ricevuto la Sua lettera n. 400 u.c., in data 15 aprile corrente (2). Avevo già letto gli interessanti rapporti del Ten. Col. Ruggero, i quali a me hanno data un'impressione di relativa tranquillità. poiché, in fondo il Rug

gera soprattutto fa rilevare il complesso, caotico ancora, delle forze armate abissine e nota come la formazione di reparti regolari sia per ora all'inizio e proceda lentamente. Le nostre condizioni militari in Eritrea non son certo delle migliori, però, anche ad opinione del Col. Cubeddu, possono assicurare una valida difesa. Sperare in un aumento di bilancio in questi momenti non sarebbe neppure onesto.

Per quanto la situazione internazionale non possa dare la sicurezza assoluta della pace, l'incertezza è tale ovunque da non far ritenere probabile una guerra, almeno per ora.

Che l'Abissinia voglia fare un colpo di testa e solamente contro di noi, lo escludo. È certo però che essa non è nostra amica, ma non lo è neppure con le altre potenze europee.

L'idea base esposta nella seconda parte della Sua lettera è grandiosa (1). È l'idea del Duce; e, debolmente, è la mia da circa un cinquantennio; ma, come V. E. sa e vede... bisogna lasciare maturare i tempi. Intanto stare in guardia bene per non farci malamente sorprendere dagli eventi e fidare nella nostra sorte, poiché indubbiamente l'avvenire è per noi (2).

«Situazione politico-militare. -V. E. ne è al corrente meglio di me. L'Abissinia è una incognita non ancora paurosa; ma che può diventarlo. Indubbiamente la politica accentratric~ dell'Imperatore va sempre p1ù manifestandosi e di essa se ha la sensazione anche in Colonia.

Noi non dobbiamo mal dimenticare che siamo gli sconfitti di Adua che deteniamo un pezzo d! territorio etiopico.

Per ora no.n credo a dolorose sorprese. Il nostro apparecchio m!l!tare esistente specie dopo la costituzione di una discreta aviazione, rinforzato da ciò che si potrà mobilitare sopra luogo è sufficiente per una resistenza sicura in attesa d! rinforzi dalla Madre Patria.

Gli Abissini per essere in grado di attaccare le nostre posizioni (che sono opportunamente sistemate a difesa) devono impiegare circa un mese. Né hanno ora mezzi log!stlcl Idonei per una campagna di qualche durata.

Ma se Selassié continuerà ad organizzare forze regolari -come sta facendo -bisognerà pensare seriamente ai fatti nostri. Cl converrà altresì tenere presente che, con ogni probabilità, In caso di mosse offensive etiopiche anche la Somalia sarà minacciata.

Il Capo d! S. M. dell'Esercito è assai più, di me impressionato della situazione. Egli si basa, In massima, sui rapporti che riceve dal nostro Addetto Militare ad Addis Abeba ed lo non escludo affatto che il Generale Bonzani possa vedere meglio di me.

Per supplire alle deficienze rilevate dal Capo di S. M., come esso vorrebbe, accorrerebbero parecchi milioni, pur sempre, s'intende, tenendoci soltanto nel campo di una vigorosa difensiva. L'Etiopia, per quanto faccia parte della Società delle Nazioni e posi a popolo di matura

civiltà, non è, in sostanza, che uno stato semi-barbaro. Perciò quel che meglio capisce e che.

forse, solo comprende è l'uso della forza. Un nostro intervento armato in forze che ci desse un successo militare stabilizzerebbe per anni ed anni la nostra situazione. Ma è inutile pensare! adesso. Esso comporterebbe un lungo lavoro di preparazione e centinaia di milioni di spesa, che sarebbero certamente impiegati meglio altrove. Resta quindi l'azione politica. Il «morfinlzzamento » è riuscito pochino; la politica periferica di accordo col Capi è fallita e non la ritengo più possibile. Ci rimane l'accordo con la Francia e l'Inghilterra. Dare cioè una sostanza pratica e positiva all'accordo tripartito del 1906.

Se non avremo la Francia ostile e soffiatrice nel fuoco l'Imperatore finirà col sentirsi isolato e le mene nazionaliste non potranno avere conseguenze deleterie. Inoltre, togliendo a Selasslé l'appoggio europeo egli ne scapiterà di fronte ai Ras, che è riuscito a mettere in soggezione, e costoro riacqulsteranno quindi la passata potenza facendo opera disgregativa a noi vantaggiosa.

Ho stimato doveroso dire il mio pensiero anche in un campo che non è precisamente nelle mie competenze; ma quel che ho scritto è frutto, non solo della mia convinzione, ma ezlandlo di una sensibilità che ho avuto laggiù.

Io ritengo che una decisione debba prendersi e presto, per non perdere terreno. Le nostre relazioni con lo Yemen vanno migliorando; ossia danno maggiori frutti; ma giova dirlo, si è dovuto riprendere la politica bene iniziata da S. E. Gasparini. Credo di aver detto tutto ciò che può interessare l'E. V. che sento mette ognora maggior passione nella vitale questione delle colonie ».

Mussolini rispose in data 23 marzo (ASMAI, Fondo segreto, ed in BrANcm, p. 12):

<<Ho letto col più grande Interesse, il tuo importante completo sintetico rapporto sul tuo recente viaggio in Eritrea. Anche le tue considerazioni di ordine politico-militare, meritano la più grande attenzione. Sono lieto di constatare, che, nel complesso, anche l'Eritrea cammina».

(l) -Non si pubblica. (2) -Non pubblicata; Astuto vi condivideva le preoccupazioni eli Ruggc·ro per il costituirsi della guardia imperlale. (l) -L'idea-base della seconda parte della lettera, cui De Bono allude, era la guerra all'Etiopia. (2) -Si pubblica qui un brano di una relazione di De Bono a Mussolini del 22 marzo su un suo viaggio in Eritrea (ASMAI, Fondo segreto, ed. In BrANcm, pp. 125-131):
39

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. 3704/141 P.R. Roma, 6 maggio 1932, ore 23.

Suo telegramma n. 222 e seguenti (1). Sta bene linguaggio tenuto da V. S. con fiduciario. D'altra parte non è male che Franchetti dica per conto suo alcune verità in linguaggio non diplomatico. Impressione che egli lascerà costi potrebbe anzi essere utilmente sfruttata da codesta legazione.

40

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. u. 1666/89 R. Vienna, 7 maggio 1932, ore 17,25 (per. ore 19,30).

Schuller mi comunica che, non appena formato il nuovo Gabinetto, proporrà al cancelliere dirigere una nota al segretario generale Società delle Nazioni. In essa lo informerà proporsi il Governo austriaco:

1° -riprendere iniziativa Buresch del febbraio e invitare i vari Stati interessati a iniziare trattative per nuovi accordi commerciali più favorevoli all'Austria (Schuller crede non si otterrà molto, ma che anche il poco conseguibile sarà utile e che in tale occasione potrebbero essere ripresi anche i nostri negoziati per ampliamento accordo Brocchi) ;

2° -far presente come con il prossimo mese Governo si troverà nell'impossibilità di effettuare ulteriori trasferimenti delle divise per pagamento suoi debiti all'estero e che perciò converrà convocare qui in precedenza tanto il comitato finanziario quanto il comitato di controllo.

Questa comunicazione dovrebbe essere inviata a Ginevra mercoledì, qualora il Gabinetto fosse già costituito e come prevedibile nuovo cancelliere accettasse proposta. Riunione a Vienna dei due comitati dovrebbe effettuarsi subito dopo la Pentecoste, per poter prendere le necessarie decisioni entro il mese corrente.

Schuller mi ha chiesto di comunicare subito quanto precede a V. E., affinché ne riceva per il primo notizia e amnchè, se V. E. abbia osservazioni da fare, queste possano giungere qui prima di mercoledì.

Van Rost, venuto a visitarmi in questo momento e che fino ad ora si era sempre mostrato ottimista, dice che la situazione finanziaria va sempre più aggravandosi e che se l'Austria non sarà prontamente soccorsa si avvierà a una catastrofe.

Analoga comunicazione ha fatto ai miei colleghi di Francia e d'Inghilterra.

(l) Cfr. n. 32.

41

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. U. 214098/334 Roma, 7 maggio 1932.

Telespresso di codesto R. Ministero n. 43978 del 3 Maggio 1932/X (1).

Con riferimento al contenuto del telespresso sopra citato e richiamandosi anche al telegramma n. 235 in data 4 u.s. della R. Legazione in Addis Abeba (l) pervenuto direttamente pure a codesto R. Ministero, questo R. Ministero conviene con codesto nel ritenere opportuno, giusta quanto propone il Governatore della Somalia nel suo telegramma 8474 del 30 aprile (1), che il nostro Comandante di Settore recandosi a Madaghegno diffidi formalmente i topografi del servizio etiopico dall'eventualmente proseguire i lavori di delimitazione della frontiera anglo-etiopica oltre il punto di intersezione del 47° meridiano con 1'8° parallelo dove è collocato il primo cippo del confine Somalia-Somaliland.

Questo R. Ministero riterrebbe opportuno che, ove nulla osti da parte di codesto e del Governo della Somalia, recandosi a Madaghegno, il nostro ufficiale Comandante del Settore sia accompagnato da regolari armati e ciò anche per affermare, con la presenza di essi, i nostri diritti sul territorio in contestazione.

Di quanto precede questo R. Ministero provvede a dare conoscenza alla

R. Legazione in Addis Abeba.

Del seguito della questione di cui trattasi questo R. Ministero gradirà essere tenuto al corrente.

42

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 566/83 R. Roma, 9 maggio 1932, ore 23.

Suo telegramma 89 (2). Non abbiamo speciali rilievi da fare circa le intenzioni comunicate a V. S. da Schuller. Naturalmente tali propositi non sembrano capaci apportare radicali cambiamenti nella situazione austriaca che occorrerebbe affrontare con maggiore larghezza di criteri se si riuscisse a stabilire un reale accordo fra tutti gli Stati interessati senza secondi fini politici.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Cfr. n. 40.
43

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1721/66 R. Belgrado, 10 maggio 1932 (per. il 12).

Mentre mi riservo esporre con ogni possibile dettaglio la situazione interna che appare estremamente delicata, debbo fin da ora richiamare l'attenzione di V. E. su uno stato d'animo febbrilmente eccitato che si manifesta in vario modo ma con finalità identiche in tutta la Jugoslavia, dalla Macedonia, fino (vedi telegramma Stefani di ieri relativo alle manifestazioni di Lubiana per Koroschez) (l) alla Slovenia. Le voci più stravaganti ed assurde trovano facile credito, le speranze più ardite sono espresse senza ritegno, quasi a spregio della vigilante polizia che appare rilassata. Ciò è sopratutto sensibile in Serbia dove le manifestazioni repubblicane si ripetono ormai ad ogni occasione con una frequenza impressionante (si potrebbe dire ad ogni apparire del segretario di questa legazione di Spagna in pubblico locale).

Questo stato d'animo cominciò a palesarsi nell'autunno dello scorso anno (e lo segnalai) (2) poi ebbe una sicura calma sosta. Ora si è riacceso ben più forte che allora e non è esagerato dire che a Belgrado la notizia dell'attentato contro Doumer ha fatto esclamare da persone di ponderatissimo senno che «non sono i presidenti di repubblica quelli che debbono essere uccisi».

Ed a conclusione si può affermare che anche in Serbia è diffusissimo lo stesso messianico stato d'animo che in Croazia; attesa di qualche evento straordinario che capovolga radicalmente la situazione politica.

Non intendo attribuire a questa specie di forse momentanea psicosi collettiva una valutazione superiore al necessario, ma essa pure è un fatto. Il Governo Marinkovich, col Re, ha tuttora forti riserve di resistenza e di accorta vitalità mentre l'opposizione serba extraparlamentare non sembra avere ancora trovata la sua nuova via di azione politica. Ma mi premeva fino da questo momento darne segno all'E. V.

44

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1722/67 R. Belgrado, 10 maggio 1932 (per. il 12).

Marinkovich col quale mi sono lungamente intrattenuto stamani si è fatto molto confidenzialmente eco delle preoccupazioni jugoslave per il risultato delle elezioni francesi. Egli ritiene che non tanto Herriot, quanto il gruppo dei cosiddetti «giovani turchi » che Io spingerà strenuamente, cercherà un accordo con la Germania a spese di qualsiasi altra combinazione, e che adotterà nei riguardi

jugoslavi un atteggiamento sfavorevole spinto a ciò da pregiudiziali teoriche di partito e da errate teorie democratiche che non possono applicarsi alla Jugoslavia. Le elezioni francesi, egli ritiene, portano verosimilmente un grande spostamento nel settore franco-germanico, che non potrà non avere conseguenze anche in Italia. Egli ne deduce una nuova ragione di solidarietà fra Italia ed Jugoslavia. Specialmente questa da un risorgimento germanico (anche se temporaneamente e provvisoriamente legato alla Francia) non può che vedere una nuova minaccia alla sua tranquillità interna ed estera.

Ho ascoltato quanto precede senza alcuna osservazione da mia parte, ma ho stimato che ciò volesse significare da parte di Marinkovich, insieme ad altre impazienti domande sul mio soggiorno romano (riferisco a parte quanto egli mi ha detto sulle trattative economico-commerciali e sulle mie risposte) un incitamento per conoscere se o no le iniziate trattative, delle quali come V. E. sa egli è adesso informato, avrebbero avuto prossimo seguito.

Su queste mi sono espresso conforme le istruzioni di S. E. il Capo del Governo (l).

(l) -Telestampa n. 1021 [Nota del documento]. (2) -Cfr. serie VII. vol. XI, nn. 32 e 121.
45

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1723/64 R. Praga, 10 maggio 1932 (per. il 12).

Mi faccio un dovere di rendere conto di due conversazioni avute in questi ultimi giorni col ministro di Cecoslovacchia a Roma signor Mastny e col ministro Krofta intorno ai rapporti italo-cecoslovacchi. e sopratutto intorno al così detto problema danubiano. Le riferisco insieme, per rendere evidente un certo mutamento di atmosfera che qui si va verificando e per dar maggiore luce ai progetti che sono nell'aria in questo paese rispetto all'assetto dell'Europa centrale.

Tanto il signor Mastny come il signor Krofta mi hanno detto essere loro impressione che l'Italia si sia discostata nella sua azione danubiana dalla linea tenuta dalla Cecoslovacchia e che per questo la distanza tra le politiche dei due paesi si sia aumentata notevolmente.

Ho subito risposto a tutti e due che l'Italia non si era né scostata né avvicinata, che essa aveva fatto la strada che le dettavano i suoi interessi e quelli della ricostruzione europea, e che semmai era la Cecoslovacchia a non accorgersi come nei seguire sempre ciecamente una grande potenza nel suo giuoco egemonico non si rendeva conto di ferire gli interessi di ogni possibile assestamento nella Europa centrale e, secondo me, anche gli stessi interessi cecoslovacchi.

I due interlocutori, con una insistenza che replicandosi a qualche giorno di distanza aveva maggior rilievo, mi hanno allora detto che nella questione danubiana molti errori erano stati commessi nella forma e nella procedura dal signor Tardieu e qualcuno anche dal dr. Benès, ma che rimaneva purtroppo

come solo risultato pratico degli ultimi avvenimenti un ravvicinamento italatedesco e l'impressione che l'Italia fosse ormai legata alla Germania nella sua politica europea.

Ho risposto che a Praga si ripete sempre il vecchio errore di vedere l'Italia legata alla politica di qualche altra Potenza, mentre invece la nostra politica è perfettamente indipendente e personalissima, che se noi ci troviamo d'accordo con la Germania nel non apprezzare il piano Tardieu, così come è stato formulato e presentato, seguiamo però nelle questioni dell'Europa Centrale, una linea assolutamente autonoma, che può o non può andare d'accordo con quella degli altri.

Krofta allora ha rinnovato le sue proteste che la Cecoslovacchia vorrebbe andare in ogni modo d'accordo coll'Italia, che, pure tenendo immutate le linee del piano Tardieu, vorrebbe fare coll'Italia accordi particolari in modo da vederla favorevole al piano stesso.

Ho risposto che anche il signor Benès aveva più volte detto la medesima cosa, ma che allo stringere dei conti la Cecoslovacchia scompariva dietro il paravento della Francia, la quale non mostrava le medesime intenzioni. Quindi non potevo dare molta importanza alle parole, per quanto graditissime, del signor Krofta, le quali non potevano spostare le rispettive posizioni nel problema della regione danubiana.

Ho riferito quanto sopra soltanto per marcare un senso di maggiore distanza che caratterizza la politica cecoslovacca nei nostri riguardi. La verità è che qui si crede al nostro accordo con la Germania, si teme che ormai non sia più possibile togliere l'Italia dal cerchio di interessi politici che comprende anche Berlino e che l'Italia debba considerarsi come perduta agli effetti dell'arginamento tedesco; gli articoli di Pertinax sull'Echo de Paris, che qui fanno testo per la stampa, i continui allarmi francesi per una creduta intesa positiva, definitiva dell'Italia colla Germania, hanno penetrato questi cervelli sospettosi che temono ogni rafforzamento tedesco come un grave pericolo. A confermare questo stato di animo si sono aggiunti la conferenza del disarmo e il discorso Bethlen, considerato a Praga come lo squillo della nuova alleanza centro-europea, sicché si va qui verificando quello che è storico e fatale; tanto più si precisano le posizioni dei vari paesi di Europa nelle questioni più importanti, tanto più Praga legata a Parigi si schiera dalla parte opposta alla nostra. Anche l'interesse del paese nelle questioni economiche, anche il disagio nel quale la Cecoslovacchia viene sovente a trovarsi per seguire senza deviazioni la linea francese (come ad esempio nel problema danubiano) passano in seconda linea di fronte alla assoluta fedeltà di Praga a Parigi, almeno fino a che Benès reggerà le sorti estere della Cecoslovacchia.

Ma il temuto accordo dell'Italia colla Germania spinge da qualche tempo a questa parte Praga a cercare un rafforzamento delle posizioni antitedesche attraverso una nuova organizzazione politica che allarghi e irrobustisca la Piccola Intesa: questo allargamento dovrebbe essere rappresentato dalla Polonia. Ho già avuto occasione di segnalare più volte i tentativi di mescolare la Polonia alla Piccola Intesa, tentativi che sono aumentati dopo il viaggio di Marinkovic a Varsavia e dopo le ultime discussioni di Ginevra. Nel groviglio delle idee e delle iniziative danubiane, una idea ritorna fissa in questi ambienti: mettersi d'accordo colla Polonia. Tanto è vivo questo desiderio che la stampa esagera annunziando falsamente che Zaleski parteciperebbe all'imminente convegno della Piccola Intesa a Belgrado. e éhe l'accordo colla Polonia sarebbe già fatto. In ogni modo da Praga si può notare come la legazione di Polonia si mostri molto meno ostile alla idea di un avvicinamento verso la Cecoslovacchia, mentre fino a qualche tempo fa quasi si offendeva a sentirne parlare. Ostacoli ad un riavvicinamento rimangono e sono ,le questioni di frontiera, la naturale antipatia dei polacchi contro i cechi, le grosse divergenze economiche e la personale avversione del ministro di Polonia a Praga contro questo paese, ma le ragioni politiche o le pressioni francesi potrebbero ben superare tali barriere. Non a me spetta dare da Praga giudizi su quanto si pensa o si fa a Varsavia, ma tuttavia debbo notare queste differenze nella rappresentanza polacca di qui, differenze che potrebbero anche avere il loro peso. Richiamo inoltre l'attenzione sopra le informazioni confidenziali che mando a parte col telespresso odierno n. 658/367 (1). Di queste informazioni alcune mi sembrano fantastiche, ma altre, e sopratutto quelle di indole militare, meritano di essere controllate.

La stampa ceca ha molto sottolineato il fatto della visita di Zaleski a Belgrado subito dopo la riunione della Piccola Intesa. A parte le voci della partecipazione del ministro polacco ai convegni dei tre alleati danubiani, notizie subito smentite, resta per gli ambienti cecoslovacchi il fatto che appena saranno terminate le riunioni della Piccola Intesa il ministro della Polonia andrà a far visita al Governo jugoslavo che viene considerato il tramite più gradito per un contatto tra Piccola Intesa e Polonia.

Per quanto riguarda i piani danubiani, si afferma qui che le riunioni di Belgrado riaffermeranno la stretta solidarietà degli alleati, ma non porteranno elementi nuovi, perché Benès dopo lo scacco avuto non intende avanzare altre proposte o partecipare ad ulteriori iniziative.

(l) Cfr. n. 34.

46

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. 671. Praga, 10 maggio 1932.

Col corriere di oggi ho mandato un telegramma (2) per rendere conto di un nuovo spostamento di atteggiamenti della Cecoslovacchia nei riguardi della politica italiana. Ti confesso che prima di mandarlo ho avuto qualche scrupolo, quello cioè di apparire troppo sensibile ai frequenti mutamenti di umore di questo Governo e quindi di accentuare soverchiamente cose che per la politica generale dell'Italia possono essere dei dettagli. D'altra parte essendo questo di Praga non soltanto un posto di osservazione ma anche un punto, più che nevralgico, nevrastenico della politica europea, ho reputato conveniente tenere

il Ministero minutamente al corrente di ogni sia pure piccolo spostamento di situazione immaginando che in simili casi sia preferible esagerare nella informazione piuttosto che trascurare gli elementi che si avvicendano. Io avrei dunque caro di sapere da te se il mio sistema sia gradito o se per avventura valga la pena che io lo cambi riferendo meno ampiamente e meno dettagliatamente.

Debbo in ogni modo dirti che in questa occasione il mutamento di umore cecoslovacco corrisponde perfettamente ad un nuovo sistema di convinzioni che a Praga hanno intorno all'avvenire dell'Europa Centrale. Da quando sono venuto qui la politica ceca rispetto a noi è passata attraverso tre stadi completamente distinti. Il primo era caratterizzato dalla più assoluta indifferenza. Il pericolo tedesco appariva attenuato e l'Italia quindi non contava.

A poco a poco, col rialzarsi della Germania, collo sviluppo del movimentc hitleriano, col tentativo di Anschluss, il pericolo tedesco è apparso alla Cecoslovacchia in tutta la sua importanza ed allora si è pensato ad un fronte antitedesco che rassicurasse per l'avvenire; quindi, si è pensato all'Italia. Datano da allora le continue espansioni di Benes e di tutto il governo a nostro riguardo, oerché si aveva QUI la assoluta speranza che l'Italia fosse portata dai suoi interessi a far blocco colla Piccola Intesa contro il pericolo tedesco e che questo pericolo le racesse passare ln seconda linea l'antagonismo alla egemonia franr.ese. Mentre s1 maturava il piano danubiano si era ancora convinti a Praga che Roma si sarenoe schierata contro la Germania.

Lo svolgersi rtelle trattative di Ginevra, il nostro atteggiamento nella questione del DanublO, la nostra presa di posizione sulle questioni delle riparazioni e del disarmo hanno invece rovesciato in questi ultimi tempi il convincimento cecoslovacco. Praga non crede ora più di poterei considerare elementi tU una eventuale azione antitedesca in Europa, ma ci considera invece elemento favorevole alla politica germanica, legati alla Germania da accordi segreti, e tta ciò viene determinandosi una nuova situazione che si potrebbe chiamare non più indifferenza e non più cordialità ma disillusione e malumore.

Tutto ciò ho voluto scriverti affinché tu non creda che io abbia calcate le tinte o che mi sia lasciato impressionare da questi continui mutamenti di clima politico. In ogni modo ti sarò molto grado se vorrai darmi qualche direttiva di metodo, nel caso tu ritenessi il mio in qualche cosa errato.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 45.
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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1737/1177/460 R. Tirana, 11 maggio 1932 (per. il 13).

Mio telespresso n. 1499/653 del 29 giugno 1931 (1).

Senza riassumere qui il lento lavorio con cui, coadiuvato da Libohova, vo oazrentemente cercando di scoraggiare gli albanesi sui pratici vantaggi che possono ricavare negoziando con noi un trattato di commercio basato sul solito prmcipio dell'indipendenza assoluta dei due territori economici, dirò che la

persuasione di poter godere di condizioni eccezionali, se l'Albania avesse il coraggio di connettere più strettamente la propria economia con quella dell'Italia, va diffondendosi e radicandosi.

Non mi cagionò quindi soverchia meraviglia quando, ier l'altro, il signor Abdurraman Mathi mi fece chiedere un'intervista a mezzo del colonnello Sereggi, (destinato a servire da interprete); e, dal colonnello stesso, ebbi la confidenza che il vecchio furbo avrebbe posto sul tappeto, per mandato del Re, la questione dei rapporti economici itala-albanesi. Fu poi richiesta, e naturalmente subito da me accordata, l'assistenza del generale Pariani al colloquio.

Del colloquio, faticosissimo per la inesperienza tecnica del principale interlocutore, e durato tre ore, riferisco quanto è strettamente necessario:

Abdurraman mi riferì essere il Re finalmente persuaso che soltanto aprendo al prodotti albanesi il mercato italiano sarà possibile correggere il deficit commerciale dell'Albania, e porre la bilancia dei pagamenti, almeno in parte, su una base più regolare. Voler il Re sapere se il Governo fascista era sempre mtenzlonato a prendere in benevola considerazione il problema.

Risposi che, come al Re stesso spiegai tempo fa e come lungamente avevo sviluppato al ministro dell'economia nazionale, il Governo fascista è animato, in questo senso, dalle migliori intenzioni. È però necessario che vi sia reciprocanza, e cioè, che l'Albania rispenda in Italia, acquistandovi il suo fabbisogno, la massima parte del danari che guadagnerà esportando liberamente in Italia i propri prodotti. Se ne potrebbero, naturalmente, eccettuare quelle materie prime o quei prodotti, che l'Italia non produce. La intesa dovrebbe valere specialmente per le manifatture ed articoli affini.

Mi si osservò che specie per la parte prodotti agricoli l'Albania dovrebbe mantenere la propria protezione anche verso l'Italia. Rispondo che, dal punto di vista mio personale, trovo giusta questa preoccupazione; ma tali argomenti sono già dettagli da riservarsi per le discussioni; limitiamoci alle linee generali.

Abdurraman mi dichiarò allora che il Re è d'accordo anche su questo principio di una reciprocanza nell'esenzione dei prodotti che interessano ciascun paese; e mi incitò a scrivere senz'altro a Roma per sentire se si vogliono intavolare trattative in tal senso.

Ribattei che, con sì buone disposizioni da ambo le parti, non sarebbe cosa troppo difficile conchiudere fra l'Italia e l'Albania un ottimo trattato di commercio, ed abbattere la maggior parte delle barriere doganali, se l'Italia e l'Albania non fossero legate verso terzi da sistemi di convenzioni che si basano sulla clausola della nazione più favorita: il che taglia ogni possibilità, all'uno e all'altro paese, di mutare radicalmente i criteri dei propri rapporti commerciali, facendo della protezione l'eccezione invece che la regola, senza aprirsi al terzi di cui sopra. Seguì il solito sviluppo della discussione, che ormai ho ripetuto diecine di volte, e conchiusi cercando convincere Abdurraman non esservi altra soluzione che l'unione doganale, formula sotto la quale ci sarebbe stato permesso di aggiustare a nostro piacimento le cose nostre.

Abdurraman mi dichiarò che la realtà dell'unione doganale, cioè la situazione di questi stretti legami economici, l'Albania è disposta ad accettarla. Ma che l'etichetta sarebbe troppo impopolare; non andava, bisogna trovarne un'altra. Perdei molto altro tempo per fargli comprendere che non si tratta di Inventare una formula: si tratta di dire al mondo che i territori economie' dell'Albania e dell'Italia sono non più due, ma uno e di lì non si scappa con variazioni di formule. Noi, italiani ed albanesi, avremmo badato per conte nostro, con opportune provvidenze a salvaguardare l'autonomia dei rispettivi territorii per quel tanto che ci convenisse; ma al mondo dovevamo dire che eravamo fusi, cioè inalberare il cartello dell'unione. Non si trattava, insomma, di fare l'unione, occultandola; ma di non farla, proclamandola. Entrai poi a spiegare che, qualche anno fa, un progetto del genere poteva essere tacciatc di utopistico e di imprudente; ma ora, non si fa che parlare di abbattimenti di barriere, di accordi tariffari, di collaborazione economica: non si è giunti 8 proporre, come una cosa naturale, un'unione doganale fra i paesi danubiani? La cosa sta insomma entrando nel novero della normalità.

Aggiunsi, col tono dovuto, che, del resto, il mio Governo non teneva affatto ad una unione doganale; ma che difficilmente avrebbe potuto, per evitare tale soluzione, entrare nell'ordine di idee di sotterfugi, come la restituzione segreta degli esborsi alle dogane, i finti premi di esportazione, ecc. ecc. Spiegai che i vantaggi pratici e politici che noi italiani potevamo riprometterci da un'intesa, del genere di quella sopra prospettata, coll'Albania erano: rinforzare ulteriormente l'economia e la produzione albanese, legare più intimamente a noi l'Albania coll'intensificazione della corrente di affari, allargare un pochino la quantità del nostro smercio nel paese. Altri vantaggi, altre finalità aperte o recondite io non sapevo vederne, (e neppure i miei interlocutori). Ora, per ottenere i tre sopradetti vantaggi, non avevamo d'uopo di un'unione doganale; se, quindi, finivo sempre per ricascarvi, gli è che, senza tale formula, non era possibile realizzare quei grandi vantaggi commerciali che l'Albania desidera avere.

Abdurraman rispose che anch'egli vedeva la difficoltà ma, non essendo del mestiere, non spettava a lui risolverla; mentre i tecnici commerciali italiani, profondi negli accorgimenti, avrebbero saputo trovare la formula adatta. V. E. sa come sia altrettanto difficile tirare ad una conclusione i dottissimi, quanto gli ignorantissimi. Alle mie obiezioni, che di formule adatte non credevo ce ne fossero e che non trattavasi di formule, continuò a rispondere che io scrivessi a Roma. Laonde, compresi che ormai il colloquio non avrebbe progredito oltre; e, considerando che di qualche interesse era pur stato, promisi intanto di scrivere a V. E., e di comunicare subito che l'avessi, la risposta a lui o al Re.

Prego V. E. di considerare quanto ho sopra riferito e di volermi favorire qualche Suo lume, per le mie ulteriori direttive. Ove infatti V. E. reputi sia da declinare a priori ogni possibilità di trattare di vantaggi commerciali importanti per l'Albania, salvo che col presupposto dell'unione doganale, allora conviene che io mi limiti a signifl.carlo, pur con tutto il rincrescimento, rimettendomi per ora ad attendere senza agire, fuorché per le vie indirette sin qui seguite.

Ove, viceversa, V. E. accogliesse l'idea di seguire qualche via più tortuosa, per giungere allo scopo, cercando creare prima un tale stato di fatto, negli scambi, che potesse poi più facilmente dar luogo ad un ulteriore sviluppo verso l'unione doganate, La prego di indicarmelo, insieme cogli elementi che possono essermi necessart per tradurre in atto le sue intenzioni.

(l) Cfr. serie VII, vol. X, p. 578, nota l.

48

IL CAPO GABINETTO, GHIGI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A PARIGI, MANZONI, E A WASHINGTON, DE MARTINO

T. PER CORRIERE R. 5U!l R. Roma, 12 maggio 1932, ore 18.

Per opportuna conoscenza della E. V., si riassume qui di seguito un rapporto con il quale il ministro Augusto Rosso, segretario generale della delegazione Italiana alla conferenza del disarmo, ha riferito circa i fatti avvenuti a Ginevra nell'ultima settimana di aprile in relazione ai lavori della conferenza e le conversazioni svoltesi a Bessinges fra i rappresentanti delle grandi Potenze.

È noto che il signor MacDonald, fin dal suo primo arrivo a Ginevra, aveva prospettato l'opportunità che, prima dell'inizio del lavoro tecnico, i capi delle principali delegazioni cercassero di raggiungere; attraverso conversazioni private, degli accordi sui principi fondamentali in trattazione.

Secondo il signor MacDonald, due erano le questioni fondamentali da essere previamente risolte: l0 ) il contrasto fra la tesi francese della sicurezza e quella tedesca della eguaglianza dei diritti; 2°) la mancata adesione della Francia e dell'Italia al trattato navale di Londra (1930).

Circa quest'ultima questione, risulta che tanto MacDonald quanto Stimson -persuasi che le difficoltà non provenivano dall'Italia -hanno ripetutamente insistito presso Tardieu per indurlo a riesaminare la questione. Si ha però ragione di ritenere che Tardieu abbia lasciato intendere di non voler rinunciare a quello che pensa essere un importante «atout » nel suo giuoco diplomatico, prima di conoscere quale sarà l'attitudine americana e inglese circa la tesi tedesca dell'" eguaglianza dei diritti". È quindi su questo punto che MacDonald e Stimson hanno concentrato la loro attenzione cercando di fare un'amichevole pressione sulle due parti principalmente interessate e di metterle poi di fronte per spingerle a trovare una soluzione di compromesso.

Data l'assenza di Tardieu, il lavoro di pressione si iniziò col Cancelliere Briining, il quale, nelle conversazioni svoltesi fra il 24 ed il 27 aprile, finì per dichiarare che la Germania si sarebbe accontentata di un riconoscimento del principio dell'eguaglianza dei diritti senza chiederne l'immediata applicazione.

Tale dichiarazione fu considerata da MacDonald e da Stimson «soddisfacente » ed essi stimarono quindi giunto il momento di insistere presso Tardieu perché facesse ritorno a Ginevra.

La notizia della malattia di Tardieu provocò penosa impressione negli ambienti della conferenza ed un senso di scetticismo e di scoraggiamento nel seno delle delegazioni britannica ed americana.

Si fece allora strada, specialmente negli ambienti inglesi, il sentimento della inutilità per la conferenza di proseguire nelle discussioni di carattere tecnico, ed incominciò a circolare la voce di una proroga dei lavori a metà

giugno quando cioè la sorte del Gabinetto Tardieu sarebbe stata decisa in seguito alle elezioni francesi.

Ma essendosi a tale proroga mostrate contrarie le delegazioni germanica ed americana, il signor MacDonald prese l'iniziativa di una riunione dei rappresentanti delle grandi Potenze a Bessinges, residenza di campagna del signor Stimson.

Tale riunione ebbe luogo il 29 aprile e per l'Italia fu personalmente invitatò il ministro Rosso.

All'inizio della riunione, il signor MacDonald espose la situazione poco incoraggiante in cui si trovava la conferenza a causa dell'interruzione delle conversazioni fra gli uomini di governo sulle questioni fondamentali, provocata dalla malattia di Tardieu.

Stimson dichiarò che bisognava trovare il modo di riprendere tali conversazioni, poiché, non comprendendosi in America le difficoltà che la conferenza incontrava per ragioni inerenti alla politica interna (elezioni) di certi paesi, una troppo lunga interruzione di questi lavori avrebbe portato negli Stati Uniti una reazione sfavorevole. Chiedeva quando i capi di Governo e i ministri degli affari esteri degli altri paesi sarebbero stati disposti a riprendere a Ginevra le conversazioni.

Il ministro Rosso rispose che S. E. Grandi -ave la sua presenza fosse apparsa utile o necessaria -non avrebbe certamente tardato a recarsi a Ginevra. Nadolny osservò che Briining sarebbe tornato a Ginevra quando gli altri capi delegazione avessero creduto di nuovamente riunlrvisi, e Boncour, di fronte alle ìnsistenze di MacDonald e di Stimson. disse di ritenere che Tardieu sarebbe stato in grado di venire a Ginevra qualche giorno dopo le votazioni di ballottaggio dell'B maggio.

MacDonald propose allora una riunione dei capi di Governo e ministri degli Esteri per venerdì 13 maggio. Stimson appoggiò la proposta.

Successivamente, in seguito alle istruzioni avute da Roma, il ministro Rosso poté confermare l'adesione di S. E. Grandi alla data suggerita e Tardieu fece sapere che aderiva «in principio>>. Ma il signor Brtining informava che non avrebbe potuto assentarsi da Berlino prima del 17 o 18 maggio.

Il signor MacDonald, in procinto di partire per Londra, si riservò di mettersi in comunicazione con Roma, Parigi e Berlino per accordarsi sulla data definitiva della riunione.

Il ministro Rosso aggiunge che negli ambienti delle delegazioni americana e britannica il risultato della riunione di Bessinges veniva giudicato con molto compiacimento e con un ottimismo, forse prematuro. In sua presenza, il signor MacDonald, rivolgendosi al signor Stimson esclamava enfaticamente: «We have dane a bit of really good work >>. Da parte loro i francesi ricordavano invece che Tardieu non si era mai sottratto a conversazioni private o riunioni pubbliche: il fatto di decidersi ad una nuova riunione non significava in realtà aver fatto un grande progresso.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI

L. 216091/36. Roma, 16 maggio 1932.

Ho ricevuto la tua lettera del 10 corrente n. 671 e letto il telegramma n. 64 della stessa data (1).

Non comprendo i tuoi scrupoli. Tu devi riferire e riferisci del resto sempre esattamente su quanto ti risulta per dovere d'ufficio, né certo potevi esimerti dal trasmettere al Ministero il contenuto delle tue conversazioni con Krofta e Mastny, i quali non sono i primi venuti. In realtà essi ti hanno detto delle cose che non avremmo fatto un grande sforzo di immaginazione nel supporre che essi pensassero, ma che è bene sempre registrare. E tu hai loro risposto ottimamente, e per giunta dicendo delle verità, a cui «gli astuti diplomatici » credono d'ordinario meno che alle menzogne.

La realtà è proprio questa: La politica estera italiana non ha -e cerca che anche l'opinione pubblica non abbia -insulse «filie » per l'uno o per l'altro Paese. Ciò non solo per una diversità ed una elevazione di tono acquistata da alcuni anni, ma perché purtroppo i ben grandi contendenti continentali fra i quali dovrebbero, a parere di molti stranieri e purtroppo ancora di alcuni italiani ondeggiare le nostre sentimentali simpatie hanno sostanzialmente con noi un insanabile contrasto di interessi, ed ambedue sono costretti ad esserci fondamentalmente nemici per potere sulle nostre spalle tagliare o la stoffa del mantello della riconciliazione o il pane della discordia. Immagini peregrine forse ma rispondenti ad effettive situazioni.

Nelle questioni dell'Europa Centrale il nostro giuoco politico (il quale si svolge per ora in senso negativo tendente ad evitare che si creino degli stati di fatto per noi perniciosi come il raggruppamento di Stati minori intorno alla Germania o alla Francia, fino al momento in cui non avremo la forza di determinare un qualche raggruppamento intorno all'Italia) ci porta fatalmente ad avvicinarci a Parigi o a Berlino secondo le necessità della battaglia. Ma questi avvicinamenti anche se fossero più duraturi di quello che in realtà sono stati finora (ed io non esito a confessarti che lo spererei molto nei riguardi di Parigi che temo per un lontano avvenire meno di Berlino) saranno pur sempre di carattere transitorio.

Il nostro destino è di manovrare continuamente e lo sarà ancora per molti e molti lustri, poiché per quanto possa crescere la nostra forza politica, vicino non è certo il giorno in cui questa potrà dirsi preponderante in Europa.

A Praga forse c'è qualcuno che comprende questa situazione, ma anche se c'è deve naturalmente far finta di non comprenderla per le stesse necessità della politica cecoslovacca. Questo qualcuno è forse Benes: Krofta non so perché non lo conosco; Mastny non certo perché in politica non è un asso.

O) Cfr. nn. 45 e 46.

Benes ha voluto sfruttare a suo beneficio il nostro avvicinamento alla Francia sulla questione dell'Anschluss, determinato dalla coincidenza dei nostri interessi, per far credere ad una identità di vedute italo-cecoslovacca-francese. gonfiarla e preparare così il terreno al progetto Tardieu-Benes. Sono i soliti mediocri giochetti giornalistici, bluffistici, ginevrini mediante i quali si fa oggi della politica estera, ma che poi sistematicamente si dimostrano impari alla realtà delle cose e sono spazzati via dalla forza incontenibile degli interessi effettivi dei vari Paesi. Così Benes mostra di esser disilluso ora per il nostro atteggiamento nei riguardi del piano Danubiano e per il nostro ]armate avvicinamento a Berlino determinato dalla necessità di combattere insieme e solo sul terreno della procedura questo secondo fantasma. Tutto ciò era prevedibile, ed io credo che lo stesso Bene!3 lo abbia previsto, ma deve far finta di esserne sorpreso. Forse però credeva, come credeva Tardieu, di girare le posizioni e prenderei alla sprovvista, con il compiacente aiuto del Segretariato della Società delle Nazioni, e dell'alquanto innocente Ministro Inglese Signor Simon, il quale aveva dimenticato in un primo momento nei suoi contatti coi francesi -favoriti dagli ambienti francofili del Foreign Office -l'esistenza del Board of Trade e della politica economica imperiale britannica.

Discendendo dal generale al particolare, cioè venendo a quello che deve essere il nostro atteggiamento nei riguardi della Cecoslovacchia, mi pare anzitutto che codesto sia l'unico paese col quale è difficile andar d'accordo, sia quando i venti spingono la nostra barca verso Parigi, sia quando l'accostano a Berlino. A parte ogni altra considerazione di politica generale, sta in fatto che nell'una o nell'altra ipotesi noi siamo e saremo sempre fatalmente costretti a rivolgere i nostri sforzi ad un lavoro improbo e difficile, come quello di un rafforzamento dei nostri legami economici e politici con l'Austria e con l'Ungheria. Lavoro anche, se vuoi di dubbio successo, ma impostoci da necessità imprescindibili geografiche e politiche. Siamo così naturalmente contro la Cecoslovacchia: nei momenti di prosperità per evitare che questa aumenti le proprie forze di fronte a quelle dei due detti Paesi, e nei momenti di crisi, come l'attuale, perché non possiamo assolutamente correre in soccorso di quello che, come la Cecoslovacchia, è il meno colpito dei tre.

Volendo anche lanciare uno sguardo al futuro lontano, mi sembra poi che una tale condizione di cose rimarrà sempre pur quando la Cecoslovacchia, nel corso degli avvenimenti generali europei si trovasse a dover maggiormente gravitare o verso la Germania o verso la Francia.

Se essa infatti rientrerà nel seno del mondo germanico, si troverà in un campo non dico forzatamente contrario, ma diverso dal nostro, un campo col quale potremo avere anche delle buone relazioni, ma da cui dovremo sempre tenere gli occhi bene aperti senza esser pronti a difenderci [sic].

L'unica difesa sarà anche allora di indebolire questo avversario tentando di allentare la sua compagine interna, tentativo che ci sarà sempre necessario di effettuare piuttosto sull'Austria e sull'Ungheria che sulla Cecoslovacchia.

Se quest'ultima invece continuerà ad esercitare una funzione anti-germanìca, potrà in determinati momenti e nel quadro di un eventuale accordo transitorio italo-francese, essere più vicina a noi, ma per noi non costituirà mai un elemento di questo quadro, abbastanza interessante perché valga la pena di utilizzarlo in modo speciale, o preferirlo nei giri di valzer che anche in questa eventualità dovremmo pur sempre continuare a far con l'Austria e con l'Ungheria.

Queste essendo, per il momento, le mie idee, comprenderai come io ritenga che poco ci possano sostanzialmente interessare le impressioni più o meno artificiali di Benes e compagni sulle nostre direttive politiche e sui nostri ondeggiamenti. Ma poiché sarebbe da una parte assai ingenuo oltre che dannoso, andare a spiegar loro la realtà della nostra situazione (che io credo del resto essi comprendano benissimo) e sarebbe d'altra parte inopportuno abbandonare i cosidetti «metodi diplomatici», occorre, come insieme abbiamo più volte convenuto, mantenere il più possibile buoni rapporti con codesto Paese, costruendo appunto una facciata decente che nasconda la mancanza dell'edificio.

È questa diplomazia pura, cioè quell'arte che oggi più che mai si condanna e si disprezza perché nulla di positivo, di efficace e di solido offre al mondo sofferente ed inquieto, ma che pure costituisce ancora un elemento indispensabile delle relazioni fra i popoli, fin quando essi non ne troveranno un altro, col trasformarsi e col migliorare della natura umana.

Intanto, ciò che mi sembra di un interesse più prossimo nel tuo telegramma, è il tentativo di un avvicinamento maggiore alla Polonia della Piccola Intesa in generale e della Cecoslovacchia in particolare. La nostra politica mira naturalmente allo scopo contrario, né sembra che i fondamentali interessi polacchi possano portare quello Stato a facilitare delle mosse in questo senso se non per casi particolari ed eminentemente transitori. D'altra parte la Polonia dal punto di vista economico non può vedere di buon occhio i progetti cari alla Cecoslovacchia di aggruppamenti danubiani, ed è stata piuttosto dalla parte nostra nelle recenti discussioni di tali progetti.

Ad ogni modo segnalerò all'Ambasciata a Varsavia quanto tu riferisci perché ne venga tenuto il debito conto nell'azione che spetta a quella nostra Rappresentanza. La Francia, per i suoi metodi, è attualmente al ribasso in Polonia. Se questa non fosse così impreparata e storicamente e costituzionalmente cosi poco adatta ad una politica di saggezza e di realtà, vedrebbe che la sua sicurezza e il suo avvenire potrebbero assai meglio che dalla Francia essere garantiti da un accordo colla Germania e colla Russia, per il quale però le occorrerebbe fare dei coraggiosi sacrifici.

Ma nell'intensa situazione generale europea, per cui occorre tenerci aperte tutte le vie, non credo nemmeno che convenga a noi di spingere la Polonia su di una simile via per quante poche probabilità essa avrebbe di condurre ad un risultato concreto.

Spero di non averti troppo annoiato con queste mie elucubrazioni, alle quali mi sono lasciato andare fra i modesti ludi cartacei che costituiscono da troppi anni il mio ingrato lavoro (l).

-Documenti cliplomatici -SPr!e VII -Vol. XTI

(l) Cfr. il seguente biglietto di Guariglia per Ghigi del 17 maggio: «Le trasmetto una lettera di Pedrazzi e la mia risposta. Tutto ciò in relazione al telegramma da Praga n. 64, qui pure unito, e per il caso che Ella credesse darne conoscenza a S. E. il Ministro ».

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 1811/1071. Vienna, 16 maggio 1932 (per. il 18).

Il capo dei nazionalsocialisti austriaci Frauenfeld ha detto a questo incaricato d'affari d'Ungheria, da cui mi è stato riferito, ch'egli si rende conto del fatto che gli Italiani non vogliano l'annessione perché preferiscono di avere alla loro frontiera una piccola Austria piuttosto che una più grande Germania; che tuttavia egli è convinto finiremo con il consentirvi, da popolo che fa una politica realista: l'annessione è inevitabile e anche non lontana.

Queste dichiarazioni meritano di essere messe a raffronto con quelle in parte meno esplicite e in parte reticenti fatte su tale argomento dallo stesso Frauenfeld a Morreale (mio telespresso n. 1054 del 12 maggio 1932 (1). Anche perciò credo doverle riferire, permettendomi richiamare su di esse l'attenzione di V. E. (2).

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 2976/1768. Parigi, 18 maggio 1932.

Ieri son venuti da me il deputato Patenòtre ed il suo amico Conte Enrico de Zogheb, col direttore della République, Signor Emilio Roche.

La République è un quotidiano parigino del mattino non di grande informazione: un giornale di partito, portavoce dei radicali, specialmente di quelli di sinistra come il Daladier, il Cot. Sente naturalmente le influenze massoniche, ma, per esempio, non al punto del confratello Ere Nouvelle.

Emilio Roche, suo giovane direttore, conosce bene Italia e Jugoslavia dal tempo della guerra. Fu in servizio dell'Addetto Militare aggiunto all'Ambasciata di Francia in Roma nel 1918.

La République è, finanziariamente, tra i giornali dell'On. Patenòtre.

L'On. Patenòtre si vede già Sotto Segretario di Stato agli Affari Esteri nel prossimo giugno col Signor Herriot quale Ministro degli Esteri e anche quale Presidente del Consiglio se non potrà riuscire a sbarcare la Presidenza su qualcun altro (ad esempio il Painlevé).

Il Patenòtre è già in piena attività per l'attuazione del suo programma di chiarimento delle relazioni !taio-Francesi. La riunione di jeri era combinata per dare al Signor Roche modo di conversare con me sulle divergenze !taioFrancesi, aver precisioni e chiarimenti sulle tesi Italiane. Io ero stato presen

tito in proposito ed avevo accettato. Ho esposto al Roche: -La nostra impostazione della questione navale nel novembre 1929 prima della Conferenza di Londra; -la situazione della questione dei confini libici e la sua fase dello scorso ottobre; -la questione delle Convenzioni e della nazionalità Italiana a Tunisi, nelle sue origini, essenza, stato di fatto dell'ottobre scorso; -le nostre posizioni in materia riparazioni, disarmo, revisioni Trattati, come precisate nel dscorso del Capo del Governo del 5 giugno 1928 e nelle deliberazioni del Gran Consiglio Fascista del 7 aprile u.s.; -la sensazione generale degli Italiani di esser stati trattati senza giustizia nel 1919; e di vedere nei Francesi un costante misconoscimento della posizione internazionale dell'Italia, del diritto dell'Italia di avere al sole il posto che le spetta e che le occorre; -l'ammassamento e l'ingorgo di questioni e divergenze tra i due Paesi causato dal fatto che (meno la faccenda Tangerina) nulla ha potuto trovar soluzione, colla conseguenza che, oggi come oggi, siamo di fronte essenzialmente a discussioni su grandi questioni di ordine internazionale, come disarmo, riparazioni, sistemazione danubiana, revisione Trattati, ed in situazione tale che la soluzione di una questione libica, di una questione tunisina possono limitarsi ad avere soltanto significato di indizio, anzi che di sostanziale chiarimento.

Il Roche, riconosce che l'Italia è stata trattata non equamente, che l'Italia ha ragione di lagnanza, riconosce che la Francia ha seguito coll'Italia una via non buona, ha avuto torto far questione di regime interno: ma egli mi è apparso soprattutto predominato dalla convenienza per la Francia di non più essere, oltre e più che non apparire, isolata nel prossimo giugno quando si riprenderanno le grandi riunioni internazionali e che questo cambiamento di situazione sia, oltre e più che appaja, un atto del Signor Herriot quale capo ed animatore del nuovo Governo. Una soluzione di qualche divergenza con noi, può, egli crede, dare quest'impressione, oltre che ad esser giovevole in se stessa e ad aprire la strada a larga intesa. Colla Germania la Francia deve prevedere il netto contrasto; sull'Inghilterra non può contare perché l'Inghilterra è dominata dai suoi problemi imperiali di Ottawa, non vede che per essi, pronta a regolare in conseguenza i suoi rapporti ed i suoi atteggiamenti con Stati Uniti e con Germania (Roche era sotto l'impressione di notizie da Londra nel senso che gli Inglesi si dispongono a pagare agli americani la quota di dicembre, e quindi a fare una politica di riparazioni americane in contrasto con quella di moratoria e non pagamento che la Francia farà se la Germania non pagherà); quindi è con l'Italia (e questa è la linea del Patenòtre) che la Francia deve accordarsi; è l'Italia che può togliere alla Francia a Losanna il suo isolamento. Il Signor Herriot, dice il Roche e conferma il Patenòtre, è molto bene disposto verso l'Italia; i deputati della sinistra, anche tra gli stessi socialisti, sono ora mutati e ben disposti.

La conclusione della conversazione di jeri, lunga e densa è stata che mercoledì 25 io incontrerò il Signor Herriot a colazione in privato dal Signor Patenòtre e che vi sarà un mio colloquio con lui. Prima di allora io manderò le traduzioni dei punti essenziali del discorso del 5 giugno 1928, delle decisioni del Gran Consiglio perché il Signor Herriot le abbia presenti. Io ho detto che provvederò a tutto ciò, ma che naturalmente il Signor Herriot dovrà esaminare i suoi dossiers, vigilare a che la burocrazia del Quai d'Orsay non lo circuisca con dettagli e deduzioni non imparziali, e predisporsi così a poter avere conversazioni rapide ed efficienti con V. E. a Ginevra, giacché è solo da tali incontri che può uscire qualcosa dì conclusivo. Fino allora e da parte mia, non vì può essere che fatti preparatorii, sinceramente e obbiettivamente diretti a chiarire il terreno per le eventuali possibili conclusioni.

Adesso cercherò di far sondare il Signor Caillaux per assicurarmi delle disposizioni della sinistra Senatoriale che ha in questo momento peso nelle faccende politiche Francesi (1).

(l) -Non pubblicato. (2) -Il documento reca il visto di Mussollni.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PER CORRIERE 604 R. Roma, 19 maggio 1932.

Suo telegramma per corriere n. 1177/460 (2). Il passo compiuto presso V. E. dal signor Abdurraman Mathi e dal colonnello Sereggi con l'assistenza del generale Pariani dimostra che negli ambienti del Re sia avvenuta non tanto una maturazione di una idea che lontanamente si avvicini a quella dell'Unione doganale quanto un orientamento verso la possibilità di fare un'altra puntata proficua sulla economia italiana per conseguire un ulteriore assestamento degli affari che interessano l'Albania e ciò naturalmente senza la minima disposizione anzi con la ferma convinzione di portare tutto all'attivo loro e nulla al nostro.

Il paravento della ignoranza del vecchio furbo che sa bene quello che deve chiedere e poi fa il verso dì non capire ciò che non gli conviene di dare, è la controprova di questo atteggiamento tipico degli albanesi e soprattutto tipico degli albanesi verso di noi. Né la presenza del generale Pariani -del cui obbiettivo nel partecipare al colloquio non è traccia nel rapporto di V. S. riesce purtroppo ad infondere un più confortante pensiero e cioè che la sua lealtà militare non sia stata ancora una volta carpita a servizio della parte meno in buona fede.

La S. V. ha ben fatto a mantenersi sulla linea di una impossibilità tecnico-giuridica a negoziare un trattato di commercio che apra le porte del mercato italiano alla produzione albanese. Che questa impossibilità debba poi condurre alla creazione di un rapporto sui generis, e che questo rapporto sui generis non possa essere altro che l'unione doganale, sarebbe facile ed opportuno dire e dimostrare se avessimo a che fare con altra gente che non gli albanesi. Data però la loro mentalità, a me sembra che l'orientamento verso questa soluzione debba risultare come conseguenza di un loro ragionamento logico piuttosto che da un nostro suggerimento e tanto meno dalla risoluzione dì un nostro interessamento qualsiasi.

Ciò che importa in questa situazione, è di non far luogo, per una ragione qualsiasi, ad alcun atto che possa dare sostanzialmente agli albanesi un allentamento del nostro regime doganale facendo loro sperare che le maglie di esso possano sfilarsi per successivi gradi, una volta iniziato il primo. Delle due solu

zloni prospettate da V. S. nella chiusa del suo rapporto, la seconda è dunque evidentemente da scartare ed apprezzo l'intenzione con cui V. S. me l'ha presentata quasi per assurdo.

Non rimane dunque che l'altra soluzione e cioè di dimostrare -meglio che declinare -ogni possibilità rsic] di trattare di vantaggi commerciali importanti per l'Albania, finché ci siano dei terzi che possano automaticamente invocarli: è ovvio che si tratta di terzi che dal volume minimo dei vantaggi che l'Albania vorrebbe oggi invocare da noi trarrebbero giuridico motivo per le applicazioni a volumi massimi, tali da travolgere la nostra economia.

Impostata la cosa in questi termini negativi, della cui rigidità ella si mostrerà dolente come di una forza maggiore a cui l'Italia deve adattarsi pur contro il suo reale desiderio di venire incontro alla economia albanese, la S. V. lascerà che i termini positivi, se debbono fermentare nel cervello di codesti signori, lo facciano quasi per processo spontaneo giacché la stessa pur semplice indicazione che noi facessimo della soluzione che noi ed essi intravediamo porterebbe codesto Governo a bloccare per sospetto qualunque via che vi conducesse. Tuttavia è evidente che, riafl'acciandosi costà le solite speranze doganali ecc., la S. V. le confuterà come quelle che tenderebbero ad evitare le soluzioni piane che il Governo fascista vuole; e le sarà facile dimostrare che quando S. E. il Capo del Governo invoca l'abbattimento delle barriere doganali non è per prestarsi poi ad illudere l'Italia ed il mondo con delle soluzioni di abilità e di groviglio, mentre d'altra parte è lecito chiedersi come mai possa invocarsi tra paesi concorrenti ed antitetici una trasformazione radicale dei rapporti economici che non si riesce ad attuare in piccolo e tra amici.

Nello sfondo delle manovre albanesi vi potrà essere anche, con evidente probabilità, l'idea di assicurarsi che i cespiti doganali che venissero a mancare abbiano ad essere integrati da noi: è bene che lei sappia che il Governo fascista non è alieno dal considerare questa integrazione sempreché si tratti della conseguenza di una soluzione chiara e precisa di unione doganale. Analogamente, si sarebbe disposti ad assicurare in questo caso gli opportuni divieti di esportazione verso l'Albania che possano distruggere interessi costituiti di determinate categorie albanesi. Ma anche questi sono dettagli per il futuro; oggi quello che importa è tener fermo sulle difficoltà doganali per far comprendere che la linea o si rompe del tutto o rimane rigida.

In linea di procedura, la S. V. senza rifiutare il contatto, che direi quasi di bassi intermediari, di Sereggi e Abdurraman Mathi, farà comprendere però che un negoziato serio non può avere luogo che tra lei ed il Re.

(l) -Il documento reca il visto di Mussollni. (2) -Cfr. n. 47.
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IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1922/209. Zagabria, 19 maggio 1932.

Dalle informazioni mandate a V. E. nella seconda metà di aprile e nei primi giorni di questo mese, pur non essendoci nessun dato preciso, si doveva ragionevolmente concludere che, dopo le dimissioni del Generale Zivkovié, e la nomina del Signor Marinkovié a capo del Governo, tutte le opposizioni al Regime aspettavano a breve scadenza un grave rivolgimento nello Stato. Ogni opposizione cercava e sperava naturalmente che il grosso rivolgimento si sarebbe rivolto in favore del suo programma, ma i programmi erano e sono ormai tanti e tanto differenti fra loro, che non è facile che forze così diverse, se non proprio opposte, riescano subito allo scopo.

Se sono vere, se proprio non esattissime, le notizie che ho mandato a V. E. sugli autori e sul movente dei fatti che hanno dato luogo ai primi arresti di ufficiali a Maribor, poi estesi ad altre guarnigioni e non ancora cessati, si deve pensare che anche il maggiore pilastro su cui ha finora poggiato e fidato il Sovrano e il Regime, voglio dire l'esercito, mostra anche esso parecchie crepe. Ma già da tempo questa opposizione croata mi aveva avvertito, e io l'avevo comunicato a V. E., che da qualche mese a questa parte l'esercito non era da considerarsi più come un solidissimo sostegno della Monarchia e dello Stato Jugoslavo. Solamente, mentre questa opposizione credeva forse che l'esercito sarebbe stato contro la dittatura, il complotto militare scoperto a Maribor avrebbe mostrato che invece l'esercito o almeno parte di esso, si agitava per una dittatura rafforzata anche sotto forma repubblicana, e quindi tutt'altro che favorevole alle aspirazioni delle varie opposizioni.

Comunque sia, questa opposizione croata mostra lo stesso di essere contenta, sperando che militari e «mano nera» contribuiscano a indebolire l'attuale Governo e la Monarchia. Questi croati, pur ritenendosi sicuri che il « grosso colpo>> allo Stato non è che rimandato, sono forse intimamente persuasi che non saranno loro a menare per primi tale «colpo». Ma, dato il temperamento e la serietà del loro capo, Macek, uomo di ben altra dirittura del volubile e immaginoso Radié, è ben difficile che Belgrado riesca a muovere in qualche modo il loro atteggiamento.

Il partito croato avrebbe fatto recentemente molti proseliti in Bosnia in Dalmazia e si sarebbe assicurata l'adesione. alla non collaborazione con Belgrado, anche da parte dei cattolici sloveni di Monsignor Korosec. Si tratterebbe insomma di circa cinque milioni, su tredici che compongono tutto lo Stato; e un tal numero di oppositori e non collaboratori anche se da solo non riesce a sconquassare lo Stato, serve per altro a impedire a qualunque Governo, per ben intenzionato e forte che sia, di stare tranquillo e di condurre in porto ogni riforma costituzionale diretta a consolidarlo.

E tattica di tali opposizioni delle ex regioni austro-ungariche sembra che sia appunto questa almeno ora, di negare qualunque adesione a Belgrado, di rinchiudersi in una resistenza passiva tale, da mostrare anche all'estero la incapacità dei serbi a governare regioni e popolazioni che si ritengono più civili di loro. E ciò fino a quando o avvenimenti interni -regicidio, ammutinamento militare, proclamazione della Repubblica ecc.; o avvenimenti esterni, -revisione dei trattati, guerre o minaccia di guerre nei paesi non lontani, nuove conferenze per mettere un po' a posto tanti paesi ridotti ora in malo stato, diano occasione alle regioni ex austro ungariche di sottrarsi in qualche maniera al giogo serbo che esse ritengono insopportabile più a lungo.

La grave crisi economica e finanziaria ha certamente contribuito e contribuisce ancora ad esasperare gli animi di gente non abituata alle privazioni; ma quello che più fa impressione nell'udire i discorsi di queste persone è la sicurezza, diffusa in tutta la Croazia, che esse hanno sull'aiuto diretto o indiretto del nostro paese a fare di loro uno Stato libero e indipendente da Belgrado.

Una frase che può dare una idea dello stato d'animo dei croati, frase che mi ha colpito perché l'ho ripetutamente sentita in questi ultimi tempi da persone dei ceti più diversi è questa: «basta con la Jugoslavia, se noi Croati non potremo essere indipendenti, andremo tutti anche sotto l'Italia, ma con Belgrado basta ».

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. 3257/294-295 P.R. Addis Abeba, 20 maggio 1932, ore 19 (per. ore 2 del 21).

Barone Franchetti mi prega inviarle seguente telegramma:

« Imperatore nel colloquio avvenuto 17 maggio, in risposta alle 4 richieste di concessione fattegli pervenire in anticipo per iscritto, ha risposto essere favorevole per concessione strada Setit-Gondar e che comunque, sia per questa sia per altre richieste, avrei avuto risposta dal ministro degli affari esteri.

Questi ieri 19 maggio mi ha comunicato che accedendo offerte Negus è favorevole dare concessione ma che sanzione verrà data da Senato che discuterà tali argomenti nel prossimo ottobre.

Ho manifestato chiaramente che questa risposta non mi soddisfaceva ma che desideravo un impegno scritto. Ministro degli affari esteri non ha consentito, affermando essere la sua parola sufficiente.

Ho soggiunto che opinione pubblica italiana ed enti finanziari da me rappresentati hanno bisogno documenti impegnativi, senza i quali opinione pubblica insorgerebbe per inconsistenza patto di amicizia che chiederebbe fosse annullato.

Situazione secondo mio parere:

Negus sembra lealmente favorevole anche in dipendenza sue preoccupazioni politica estera e interna ma, tuttavia, è vincolato al parere del suo entourage e ministri, in prevalenza contrari a qualsiasi nostra iniziativa. Ove, d'accordo con legazione. non riuscissimo ottenere documenti richiesti, mi permetterei ritenere consigliabile inizio campagna stampa intesa a diffondere malumore opinione pubblica italiana verso atteggiamento Etiopia dimostrando come, mentre Negus favorirebbe iniziativ~ italiane, i suoi ministri ed ambigui consiglieri europei non sono consenzientì.

Giorni or sono avvenuto decesso Balanos preposto, come è noto, per svolgere azione presso entourage onde concretare svolgimento impresa. Balanos aveva già ottenuto adesione Negus linea aerea posta Eritrea-Etiopia-Somalia.

Data sua morte sono costretto modificare piano ed incarico legazione, cul collaborazione sta diventando sempre più efficace, cercare l'uomo adatto sostituire Balanos.

Prima di partire avrò altro colloquio con Negus, al quale dirò chiaramente mia analisi situazione e conseguenze che prevedo tutte in suo sfavore, ave egli non imponesse subito e fermamente sua autorità. Per evitare sensazione che io possa tergiversare, ho affermato che partirò il mercoledì prossimo.

Resto in attesa di un cenno di consenso dalla S. V. Ho notato che Zamboni prosegue per proprio conto attività per ottenere esercizio radio ben coadiuvato in questo da contegno serio e attivo suoi uomini».

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

D. RR. 3149. Roma, 23 maggio 1932.

Mi è pervenuta la Sua lettera del 18 u.s. n. 2976/1768 (l) e mi auguro che le intenzioni manifestateLe dal signor Patenòtre ed il prossimo Suo incontro col signor Herriot possano essere indl.zio, da parte degli uomini che si acdngono ad assumere in Flrancia il potere, di più concreta buona volontà di quella più volte espressa, ma non mai realizzata, dal Signor Lavai e dal Signor Tardieu.

Non sarà comunque inutile che le varie questioni che interessano Italia e Francia, le varie posizioni assunte nei principali problemi, vengano esaminate in un'atmosfera quanto possibile serena.

Ma V. E. vorrà in modo particolare tener presente quella che è la vera essenza del problema franco-italiano, i cui termini io ebbi ad esporre al signor La val nel luglio scorso (2) ed a precisare a V. E. con i miei dispacci dello scorso anno in data 6 agosto n. 3097 (3), 9 agosto n. 3122 (4) e 6 ottobre

n. 4121 (5).

Il problema franco-italiano è un problema che non può essere risolto attraverso lo studio dei « dossiers » relativi: è una questione di vasto respiro, che può essere risolta soltanto in un'atmosfera di vasta e reciproca comprensione. Ove fosse possibile, in questa atmosfera, raggiungere un'intesa di carattere generale, non dovrebbe poi essere difficile di trovare equa e soddisfacente soluzione ai singoli problemi.

La sostanza dell'innegabile divergenza che esiste tra Italia e Francia -giova pur sempre ripeterlo -consiste nel fatto che mentre la Francia, per la sua situazione geografica ed economica, per l'immenso impero coloniale, per i cospicui acquisti realizzati con la guerra, può ritenere pienamente soddisfacente la sua situazione attuale ed ha quindi innanzi a sé un solo problema

(-3) Cfr. serie VII, vol. X, p. 655, nota 2. (-4) Cfr. serie VII, vol. X, n. 429.

di conservazione, il problema cioè della sua «sicurezza», il problema dominante della vita del popolo italiano, è invece quello di ottenere le risorse indispensabili per lo sbocco della popolazione esuberante e per il rifornimento delle materie prime. È questo un problema sul quale non è venuta mai meno la vigile preoccupazione del popolo italiano, che lo considera giustamente come essenziale alla sua vita ed al suo avvenire e come postulato per l'azione del Regime. Non sono del resto sfuggite a V. E. -ultima manifestazione in proposito -le discussioni che hanno avuto luogo di recente alla Camera dei Deputati, né in modo particolare, le dichiarazioni contenute nell'ultima parte del discorso da me pronunciato in quell'Assemblea il 4 maggio u.s.

Come già in altra circostanza ho avuto occasione di ricordare a V. E., credo che il Governo francese, mentre non può disconoscere la gravità che presenta per l'Italia tale situazione, dovrebbe altresì convincersi che è interesse della stessa Francia di trovare con noi una soluzione che dovrebbe fra l'altro specialmente esser ricercata nella revisione dei mandati africani. Una simile soluzione darebbe una giusta soddisfazione all'opinione pubblica italiana; attenuerebbe le inquietudini ed i risentimenti verso la Francia nati dalle amare delusioni patite per effetto dei Trattati di Pace dopo la vittoria comune e costituirebbe una solida base per un accordo sincero e duraturo; apportando così in definitiva al problema della sicurezza francese un vantaggio certo maggiore di quello che non sia costituito dalla costosa cintura di fortificazione attualmente in corso e dal sistema non meno costoso e forse anche pericoloso delle alleanze orientali.

Reputo superfluo dilungarmi ulteriormente su questi concetti generali che

V. E. ben conosce e che solo ad abundantiam ho voluto ripetere e resto in attesa di conoscere le impressioni che V. E. riporterà dalle Sue conversazioni con coloro che saranno con tutta probabilità chiamati tra brevi giorni a dirigere la politica estera della Repubblica Francese.

(l) -Cfr. n. 51. (2) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 413. (5) -Cfr. serie VII, vol. XI, n. 41.
56

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. (1). Parigi, 23 maggio 1932.

Mi riferisco alla mia lettera n. 2976/1768 del 18 corrente (2), per segnalarLe l'articolo dell'odierna République intitolato << La politique extérieure du parti radica!», e l'editoriale dell'odierna Ere nouvelle. Li accludo entrambi. Ella constaterà, Eccellenza, la concordanza tra quanto scrive Edouard Pfeiffer e quanto Le ho riferito in materia dopo il colloquio avuto col signor Roche. Ella constaterà pure la discordanza tra i due articoli della République e dell'Ere nouvelle, quantunque si tratti di due giornali radicali. Il primo rappresenta essenzialmente il partito: il secondo è essenzialmente organo massonico. Noi possiamo considerare che la direttiva del Partito è la prima.

Non so cosa potrà dare come risultato il mio colloquio col signor Herriot. Come telegrafai col T. per coriere n. 229 (l), non nutro illusioni: ma intendo fare quanto possibile per avvantaggiare la posizione nostra. Continuo a pensare che il punto di contatto che può giocare e che può essere fatto giocare tra noi e il nuovo Governo Francese sia quello ad entrambi comune che sia internazionalmente, come moralmente, inammissibile la trasgressione unilaterale dei trattati. Facendo pernio su questo comune principio si può raggiungere adattamenti pratici anche tra tesi che inizialmente possono sembrare non consentire probabilità di accordi (2).

(l) -La lettera venne inviata per corriere speciale. (2) -Cfr. n. 51.
57

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 1964/1148. Vienna, 24 maggio 1932.

Ho avuto stamane un colloquio con Starhemberg.

Mi ha detto che durante queste due settimane di crisi ministeriale ha preferito non vedermi per timore dei commenti che la cosa avrebbe potuto suscitare ove si fosse venuta a sapere. Aveva a lungo riflettuto se convenisse al suo partito di entrare nel gabinetto. Da un punto di vista teorico sarebbe stato meglio il contrario, e infatti molti dei suoi seguaci gli avevano manifestato la loro opposizione. Tuttavia vi si è deciso per due ordini di ragioni, l'una negativa e l'altra positiva. La prima è che se il suo partito non fosse entrato nel gabinetto questo sarebbe stato come il precedente un ministero di minoranza e probabilmente, nell'impossibilità di vivere, avrebbe finito con il decidersi, secondo i desideri di questa legazione di Germania. a una coalizione con i socialisti, ciò che, oltre tutto il resto, avrebbe significato la fine delle << Heimwehren >>. La seconda è che con la partecipazione di due partigiani delle << Heimwehren », il ministro della Pubblica Istruzione Rintelen e il ministro del Commercio Jaconcig, nonché con quella di tre altri ministri di idee affini. e cioè il ministro della Giustizia Schuschnig quello della Guerra Vaugoin e quello della Polizia Ach, v'è da sperare si potrà influire per una politica di destra del governo. Questa legazione di Germania ha cercato con continui interventi e pressioni di far eliminare le « Heimwehren » dal gabinetto e di farvi partecipare i socialisti, ma egli è stato in grado di sventare queste macchinazioni pur senza riuscire a ottenere, contro il volere germanico, l'attribuzione degli Esteri a Rintelen. Pfrimer, in seguito alla partecipazione al governo delle « Heimwehren » se ne è distaccato, ma i suoi principali seguaci sono gli studenti con in volto le cicatrici della « Mensur » germanica sui quali non si era potuto mai fare solido affidamento, e quanto agli altri non numerosi suoi partigiani sarà facile riprender!i tra qualche settimana.

Alla richiesta di Starhemberg s'io credessi avesse fatto bene a decidere la partecipazione del suo partito al governo ho risposto che secondo me ciò dipendeva dalle intenzioni dei seguaci e dei sostenitori delle « Heimwehren >> entrati

nel gabinetto. Se essi erano veramente risoluti ad andare fino in fondo, la loro

partecipazione mi pareva utile per il conseguimento dello scopo del movimento,

in caso contrario questo ne sarebbe stato indubbiamente danneggiato.

Starhemberg mi ha assicurato che prima di decidersi aveva chiesto a quelli quali fossero le loro intenzioni e Rintelen aveva in presenza sua e del cancelliere dichiarato restare inteso che s'egli entrava nel gabinetto non ne sarebbe poi uscito per il semplice volere del parlamento o del cancelliere o del presidente della repubblica. Jakoncik è persona energica, che si è battuta assai bene durante la guerra e si può fare affidamento su lui, così come su Schuschnig e Ach e fors'anche su Vaugoin. Lo stesso cancelliere che mesi fa, come ministro dell'Agricoltura, aveva mostrato velleità di intese con i socialisti, pareva ora andarsi volgendo verso destra. Ad ogni modo il gruppo dei ministri di destra è adesso relativamente numeroso e compatto e gli altri membri del gabinetto sono tutte figure scialbe e abuliche, ad eccezione del vice cancelliere Winkler, democratico opportunista, cui non manca intelligenza, abilità e voglia di farsi avanti ma che si potrà ridurre a miti consigli offrendogli qualche considerevole vantaggio pecuniario.

Le possibilità che si presentano per l'avvenire prossimo sono due. O il ministero avrà difficoltà a sostenersi e allora è probabile si vada verso la formazione di un gabinetto Rintelen, che per il momento il presidente della republica, timido e democratico, non ha voluto, ma cui questi sarebbe costretto a consentire dalla situazione parlamentare e extra parlamentare che potrebbe prodursi in seguito agli ulteriori avvenimenti; o invece il ministero sarà in grado di vivere sino a ottobre e allora le «Heimwehren >> avranno avuto tempo sufficiente per riorganizzarsi e armarsi. A tale scopo Pabst, di cui è stato deciso di riprendere la collaborazione, verrà a stabilirsi a Vienna: poiché ora che il ministro di Polizia, è un comandante della gendarmeria, e amico di Starhemberg che lo ha designato, non vi è più da temere che Pabst possa essere espulso e quindi non occorre né che questi si stabilisca a Monaco né che Starhemberg per mantenersi in rapporto con lui vada per qualche tempo a risiedere a Innsbruck. Sarà al più presto provveduto a togliere il divieto alle marce pubbliche delle « Heimwehren » in uniforme, provvedimento assolutamente necessario per risollevarne il morale e riprenderle in mano. Ma occorrerà poi anche rifornirle di armi, e una ventina di migliaia di fucili e un paio di centinaia di mitragliatrici saranno loro necessarie. L'invio in Austria dall'Italia, se il R. Governo vi consentisse, non dovrebbe più incontrare pericoli, visto che i ministeri competenti sono occupati da amici. Le armi dovrebbero essere in più spedizioni, e sotto falso nome ma vera dichiarazione, inviate all'industriale austriaco Mandi, noto al nostro ministero della Guerra per lavori che già compie e per altri che dovrebbe in seguito compiere per suo conto: esse figurerebbero spedite a lui per essere sottoposte a modificazioni nelle sue officine ove una volta giunte si troverebbero a disposizione delle « Heimwehren » di cui egli è sostenitore e finanziatore.

Starhemberg, che a causa della crisi ministeriale ha dovuto rimandare la sua gita a Roma, si proporrebbe recarvisi ai primi di giugno per esporre il suo programma e udire l'opinione e le decisioni di S. E. il Capo del Governo. Gli ho osservato sarebbe utile se prima di partire mi combinasse un colloquio con

Rintelen e qualcun altro dei ministri sostenitori affinché mi ripetessero in sua presenza i loro propositi, ciò che in qualche modo li vincolerebbe di più. Gli ho fatto notare che ove io potessi riferire a V. E. che il programma di Starhemberg è approvato da alcuni membri responsabili del gabinetto i quali prendono impegno di dare a esso il proprio concorso, quello che lo stesso Starhemberg esponesse poi a Roma non potrebbe non trarne maggiore valore. Ho però aggiunto che quali che fossero le nuove circostanze ch'egli potesse indicare costì come elementi di riuscita dei suoi piani io ero sempre, oggi come tre anni fa, convinto che senza la collaborazione, se non anche del ministro della Guerra, almeno dei generali e dell'esercito, egli non avrebbe conseguito lo scopo finalE:' del suo programma.

Secondo Starhemberg il nostro concorso, oltre a quanto riguarda gli aiuti diretti, dovrebbe anche servirgli a un altro intento. I nazionalsocialisti sono rimasti malcontenti della partecipazione delle «Heimwehren » al governo rendendosi conto che ciò le rafforza ed è di intralcio allo sviluppo del partito hitleriano in Austria. Egli si propone di aver in seguito un colloquio con Hitler per persuaderlo a non porre impedimenti all'attuazione del proprio programma e crede che la sua azione potrebbe avere più successo qualora facessimo sapere ai nazionalsocialisti che noi sosteniamo qui le << Heimwehren » e non possiamo dare il nostro appoggio a Hitler a causa dei suoi progetti di annessione.

Starhemberg avverte che di quanto precede poco ha riferito agli ungheresi e raccomanda la più grande discrezione; ma dei suoi propositi di recarsi costà non ha fatto loro mistero.

Non voglio porre termine a questo telespresso senza attirare l'attenzione di

V. E. su una coincidenza storica: il capo delle « Heimweheren », assicurandomi del consenso di una parte del gabinetto austriaco, è venuto a chiedere aiuti all'Italia nel giorno anniversario della dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria.

(l) -Non pubblicato. (2) -Annotazione a margine: «Vista da S. E. il Capo del Governo 27 maggio 32 X>>.
58

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3437/304-305 P. R. Addis Abeba, 25 maggio 1932, ore 19 (per. ore 23).

Ministro degli affari esteri, premettendo che mi parlava in via personale e confidenziale, mi ha detto che Imperatore lo aveva incaricato di fare a Franchetti dichiarazioni nel senso seguente:

l) progetto strada Gondar-Setit nel momento opportuno troverà favore imperiale;

2) l'approvazione definitiva a tutto dovrà essere sottoposta, a norma della costituzione dell'Impero, al consiglio ed al senato, la cui riunione avrà luogo nei prossimi mesi, con qualche ritardo a causa della stagione delle piogge che terrà lontani da Addis Abeba molti dignitari. Evidentemente ciò incontra consueti ostacoli da parte talune persone del suo «entourage». E egli dovrà vincere queste difficoltà che sono [connesse] alla situazione interna ed a quella personale.

Il Blatingheta ha fatto nuovamente allusione, in connessione al progetto della strada, alla viva attesa da parte dell'Imperatore di <<una proposta circa una questione confidata al marchese Paternò».

Ho lasciato naturalmente cadere questa allusione. Ad analoga allusione, Franchetti rispose escludendo assolutamente possibilità tale profferta. Ho ripetuto al Blatingheta che i progetti della società che Franchetti rappresenta, sono considerati con vivissimo interesse dal R. Governo, come ogni iniziativa che miri a realizzare anche nel campo pratico, e con reciproco vantaggio dei due paesi, il patto di amicizia che regola i rapporti fra l'Italia e Etiopia.

Ho insistito inoltre perché fosse data a Franchetti una dichiarazione scritta allo scopo di facilitargli in Italia il compito della organizzazione e del finanziamento della società. Su questo punto il Blatingheta si è mostrato assai restio, dichiarandomi che non si doveva dubitare della parola dell'Imperatore.

Insisterò ancora presso di lui, sia direttamente, sia a mezzo di intermediario di fiducia, ma non mi nascondo le difficoltà di farlo recedere da tale atteggiamento.

Ho avuto l'impressione che il Blatingheta nutra qualche dubbio sulla consistenza finanziaria della società di cui Franchetti si è dichiarato esponente. Questo dubbio fu esposto anche a Franchetti cui fu citato il precedente della strada Assab-Dessiè. Sarebbe utile pertanto che si addivenisse alla costituzione di questa società e che fossero preparati progetti e proposte concrete, sia nei riguardi finanziari come nei riguardi tecnici, per sottoporli all'Imperatore, possibilmente prima della riunione Consiglio e del Senato. Ciò anche serve come pietra di paragone delle reali intenzioni di questo Governo.

59

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. 3456/308 P.R. Addis Abeba, 25 maggio 1932, ore 19 (per. ore 2 del 26).

Barone Franchetti mi prega farle pervenire seguente telegramma: «Avuto oggi ultimo colloquio con Ras Cassa, il quale mi ha confermato le decisioni favorevoli del Negus. Gli ho comunicato che in agosto sarei ritornato per presentare i progetti relativi alla strada Setit e gli ho dato la sensazione che ritenevo la concessione virtualmente assegnata. Egli ha risposto mostrandosi consenziente ed ha soggiunto che mi consigliava tornare in ottobre. Comunicherò a voce ragioni per le quali Negus non può per ora conce·· dermi lettera richiesta. Sono stato a congedarmi dal Negus, che mi ha accolto in mezzo ai suoi famigliari e coi quali ho ritenuto opportuno di non trattare più noto argomento.

Parto con la sensazione che ove la tendenza ora formatasi fosse mantenuta favorevole, con opportuni accorgimenti. la concessione principale e eventualmente le altre potrebbero esserci attribuite, senza difficoltà.

Confido che R. ministro Paternò al prossimo arrivo, saprà condurre le cose con energia e avvedutezza. Ringrazio la S. V. per efficace ed oculata collaborazione datami dall'incaricato degli affari in Addis Abeba. Data circostanza particolare è opportuno che stampa non sia al corrente della questione per impedire dannose indiscrezioni ».

60

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI

L. 216119/1070. Roma, 25 maggio 1932.

Con telespresso odierno n. 216118/1069 (l) ho segnalato al tuo Ministero la grave restrizione del nostro commercio di esportazione in Albania. Con la presente desidero richiamare il tuo diretto interessamento alla situazione che per certi aspetti è molto delicata.

Tu sai quali progressi abbiamo fatto in Albania nel campo politico; sai pure che sacrifizi finanziari facciamo per accrescere e consolidare le nostre posizioni di quel Paese. L'iniziativa economica privata non ha mai preceduto, poco e di malavoglia accompagnato e scarsamente seguito l'azione del Governo Fascista, sull'altra sponda adriatica; ed il tuo Ministero si preoccupa costantemente di assicurare alla situazione di preponderanza politica che abbiamo conquistato un contenuto di solidi interessi economici, per cui soltanto quella diventa definitiva ed incontestabile.

Ora i casi del nostro commercio di esportazione in Albania sono veramente singolari.

Da una posizione di quasi monopolio da noi tenuta nel 1924, quando cioè non si era iniziata la ripresa di attività politica, ci siamo ritirati nel 1931 ad una posizione di lieve primato che si indebolisce sempre più, a misura che si intensifica la concorrenza degli altri Paesi. E fa pena sentire dal nostro Ministro a Tirana che le cause di questo regresso vanno ricercate nella scarsa comprensione dei nostri commercianti e produttori. i quali ancora considerano l'Albania come una cliente misera che non merita eccessive cure, mentre gli albanesi elevano il loro tenore di vita anche per merito dell'apporto del denaro italiano.

I nostri interessi politici ci impegnano dunque a fare quanto è nelle nostre possibilità per cercare di eliminare le cause che maggiormente determinano la restrizione delle nostre esportazioni in Albania.

(l) Non pubblicato.

61

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

R. R. 3153/1854. Parigi, 25 maggio 1932.

Stamane ho ricevuto il dispaccio di V. E. n. 3149 Gabinetto, in data 23 corrente (2), ed oggi, come previsto, ho incontrato il Presidente Herriot. Al colloquio che ne è seguito hanno assistito l'On. Patenòtre (nella cui casa avveniva ed il signor Emilio Roche, direttore della République.

Ringrazio l'E. V. delle direttive datemi. Desidero assicurarLe che io mi muovo esclusivamente sulle linee tracciate nel dispaccio n. 3149 del 23 corrente ed in quelli in essi ricordati. A seconda del mio interlocutore, a seconda dello scopo particolare della conversazione, tengo un appropriato metodo di condotta del colloquio, ossia peso più, o meno, sulla linea generale ovvero sulle linee particolari o sulla sola linea particolare, ma in ogni caso porto in gioco tanto le une quante le altre, per meglio giungere allo scopo, che è quello di avvantaggiare il mio Paese.

Oggi, sia per l'importanza dell'interlocutore, sia per il suo temperamento personale, non vi era da dubitare che dovevan entrare in gioco quasi esclusivamente le linee generali. E cosi ho fatto. Il dettaglio, i dossiers, non mi hanno servito che per l'entrata in materia. Se, gli ho detto, negli anni passati ho dovuto essenzialmente occuparmi di questioni isolate (i confini libici, la questione tunisina, la questione tangerina), non è credo per colpa italiana, che tutte queste questioni, meno quella tangerina, anziché giungere a soluzione e sbarazzare il terreno alle questioni maggiori, sono venute a ingombrarlo. Il risultato è che ci troviamo oggi dinanzi alle grandi questioni generali (Disarmo, Riparazioni, Revisione Trattati) in mezzo all'ingombro delle questioni dirette e minori. Se veramente voi intendete operare pel chiarimento delle relazioni itala-francesi, bisogna che partiate dal considerare il problema generale e con l'intenzione di giungere a intesa di carattere generale. Voi sapete che il profondo sentimento degli italiani è di essere stati ingiustamente trattati e non compensati nelle disposizioni della Pace: voi sapete che la popolazione italian::1 cresce annualmente con alto ritmo; voi sapete che da ormai oltre dieci anni il popolo italiano è rinnovato e desto ad una vitalità e ad un dinamismo che prima inesistevano; voi sapete che esso ha bisogno di terra su cui vivere e di materie prime per lavorare. Sentite voi queste situazioni? ve ne rendete conto? siete disposto a darvi soddisfazione? Se così è, un'intesa generale, larga, sarà tra di noi possibile, perché in Italia si comprende il vostro bisogno generico di sicurezza, di conservazione. Ed allora i problemi speciali che in questi anni sì sono accavallati tra noi potranno facilmente andare a soluzione. Se così non è, tengo a dirvi che il risolvere il confine libico o un'altra questione particolare, non soluzionerebbe il problema delle relazioni itala-francesi; e che esse resterebbero quello che sono, con grave pericolo comune.

Il Presidente ha detto che aveva la sensazione che l'Italia, entrata in guerra in un momento difficile, non era stata giustamente trattata nelle contrattazioni della Pace; ha detto che si rendeva conto della questione demografica e della questione dinamica del popolo italiano: ha detto che si rendeva conto, ed ammirava, l'opera compiuta dal Presidente Mussolini, e, in questo momento di crisi economica, la mirabile tenuta della finanza italiana.

Non una, ma due, tre volte io ho ribadito il concetto che il problema francoitaliano va, se si vuole risolver lo, trattato in un'atmosfera di larga e di reciproca comprensione. Ho visto che il concetto è stato compreso e trovato giusto non solo dal Presidente Herriot, ma anche dall'On. Patenòtre e dal signor Roche.

Il Presidente Herriot, che oggi, in mezzo a situazione internazionale, ed a situazioni finanziaria e parlamentare francese si dibatte in difficoltà molLo grandi e sente inevitabilmente cadere su di sé delle responsabilità ben grandi, non ha lasciato con me, nell'odierno colloquio, l'abitudine adottata di mostrarsi molto riservato nelle sue dichiarazioni. Ma le sue risposte qui sopra riportate sono assai significative; e l'impressione che ne hanno ricevuto il Roche ed il Patenòtre, che meglio di me lo conoscono, è che la conversazione d'oggi è stato <<un buon inizio».

Si è parlato ad un certo momento della questione riparazioni. In altro momento è stato lo stesso Presidente che è entrato a parlare della spinosa questione, egli ha detto, della revisione dei Trattati. Per le riparazioni egli prevede la negativa tedesca, non sente poter contare sull'Inghilterra, vorrebbe poter trovare un appoggio su noi. Gli ho ·detto che noi eravamo sul punto di vista che occorreva regolare definitivamente e riparazioni e debiti di guerra, tra cui esiste una innegabile relazione di interdipendenza, e regolarli in modo da dare fiducia e sollievo a tutti: c'era un punto di partenza che in questa come in tutte le questioni ci era comune, un punto etico-giuridico sul quale potevamo entrambi muoverei gomito a gomito, quello che i Trattati non possono essere stracciati unilateralmente. Egli ha subito annuito osservando che su questo principio egli sarà assolutamente intransigente. Nella questione della revisione dei Trattati egli si è espresso nel senso che la revisione brutale, la revisione in blocco significa «la guerra>>, e che egli farà di tutto per evitare la guerra; egli intende attenersi al Patto della Società delle Nazioni, all'art. 19, e se il principio dell'unanimità si dimostrerà un impedimento, egli provocherà un cambiamento di procedura nel senso di sostituire il voto di maggioranza a quello dell'unanimità.

Il Presidente Herriot non si è mostrato ottimista dell'avvenire. L'Europ::t, egli ha detto, è stata ridotta dal Trattato di Versaglia ad una situazione politica di Medio Evo. La probabilità di una guerra non è esclusa nelle sue apprensioni; ma, egli ha detto, io farò di tutto per evitarla.

Ecco, Signor Ministro, come è trascorso l'odierno colloquio.

Ora manterrò i contatti con chi sta vicino al Presidente Herriot per seguirue le manifestazioni nell'attesa che si costituisca il nuovo Gabinetto e possano avvenire contatti ufficiali.

(l) -Da Carte Grandi. (2) -Cfr. n. 55.
62

IL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1911/78 R. Atene, 28 maggio 1932, ore 21 (per. ore 22).

Oggi sua prima udienza al corpo diplomatico Papanastasiu mi ha fatto dichiarazioni che qui appresso riassumo.

Politica estera suo Governo sarà identica a quella di Venizelos. Nei confronti Italia egli desidera far sapere V. E. che apprezza sommo grado nostro amichevole atteggiamento Grecia e che confida esso verrà mantenuto. Rapporti italo-greci dovranno diventare sempre più cordiali; a questo suo vivo desiderio egli conformerà sua azione.

Ha dichiarato di condividere punto di vista italiano in merito disarmo e di ammirare nostra politica dinanzi maggiori problemi internazionali, ispirata dalla realtà e da un vero sentimento di collaborazione fra i popoli.

Mi ha pregato far sapere a S E. il Capo del Governo ed a V. E. che sua azione per federazione balcanica tende ad una sincera collaborazione dei piccoli Stati della penisola fra di loro e non a stabilire in questa zona la pericolosa egemonia di qualcuno di essi. Riconosce, anche in questo, nostro correttissimo atteggiamento e prove da noi date con una lealtà politica di accordo di mantenere la pace.

Si è infine molto compiaciuto della creazione in Atene dell'Istituto di alta cultura al quale attribuisce alto valore dichiarandosi lietissimo di poter ricevere in Atene S. E. Balbino Giuliano.

63

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 3236/1905. Parigi, 28 maggio 1932.

Per completare la relazione del oolloquio avuto col Presidente Herriot devo aggiungere seguenti particolari a quelli del mio rapporto n. 3153/1854 del 25 corrente (1):

Libia -Il Presidente rivolgendosi al signor Patenòtre e Roche fece i plù vivi elogi del come gli italiani avevano ideata ed attuata la riconquista del Fezzan e della Cirenaica.

Questione Navale -La questione navale fu toccata solo incidentalmente e indirettamente. Io vi accennai quando osservai che in una conversazione larga, tra membri di Governo, responsabili ed autorizzati, la Francia avrebbe potuto trovare quella contropartita Italiana che non poteva esservi nel ristretto

9 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

quadro di quelle questioni per le qu:•li vi è carenza di esecuzione da parte francese. In tal caso si giungerà a situa11ioni che dissiperanno. dissi io. la sensazione Francese in causa della quale in ogni unità navale Italiana si vede una minaccia per le comunicazioni Francesi tra coste mediterraneo africane francesi ed i porti francesi continentali sul Mediterraneo. Il Presidente disse; «Questa è effettivamente una sensazione che esiste». Non dipende da noi, replicai io, che essa scompaja, e che sia sostituita da una sensazione di sicurezza».

Jugoslavia -La questione jugoslava, osservò il Presidente Herriot, è una delle cause turbatrici: ma io credo di poter essere in grado di poter dare all'Italia, su questo punto, degli elementi di tranquillità.

Con questi particolari credo di aver completata la mia relazione.

Stamane mi è stato riferito che il Presidente Herriot si è incontrato avantieri col signor Caillaux e col signor Roche e, parlando della conversazione avuta con me il 25 corrente, avrebbe detto di averne riportata la migliore delle impressioni. Mi è stato riferito che egli si sarebbe così espresso: « je crois que l'on pourra bien bàtir sur ces bases ».

Per completare il quadro odierno della situazione devo, dopo riferita l'l. parte dolce, riferire quella amara. Questa è costituita dall'impressione prodotta dall'articolo « La paix sans justice » comparso il 26 corrente su Gioventù Fascista. Il Gentizon lo ha subito inviato in extenso ed in traduzione al Temps con un cappello in cui si rilevan gli attacchi alla Francia.

L'Havas non ha pubblicato nulla. Mi viene affermato che si sarebbe rinunciato alla pubblicazione su suggerimento del signor Roche.

La precedente corrispondenza da Roma [relativa] al Popolo d'Italia del 17 maggio, dal titolo « L'Italia domanda » era stata rilevata da questa stampa, ma senz'alcun commento. E difatti era una pubblicazione equilibrata, come redazione e come sostanza. Non cosi è l'articolo «La pace senza giustizia». Indipendentemente da alcune sue frasi che sono altrettanto eccessive quanto inutili e che danneggiano la sostanz<t dell'articolo, vi è da riflettere che questa eccessività è un grave errore psicologico. È facile infatti immaginarsi che qualunque uomo politico, anche il meglio intenzionato, sulla soglia dell'assumere il potere, è da articoli come quello in questione trattenuto dal metter in atto le sue intenzioni; ne rimane ostacolato fino a che l'impressione dell'articolo sussista e possa far credere che egli agisca sotto una pressione dall'estero.

Comunque sia, ed indipendentemente dall'articolo stesso e dall'impressione prodotta, mi premetto suggerire che pel momento, e dopo le due pubblicazioni avvenute, si sospenda ogni altra pubblicazione del genere, ed invece, in occasione della formazione del nuovo Gabinetto Herriot previsto pei primi giorni di giugno, il Popolo d'Italia si esprima in senso di benevola attesa pel nuovJ Gabinetto, aspettandolo all'opera ed alle disposizioni di cui potrà dare prova di essere animato verso l'Italia. Potrà aggiungere una parola simpatica pel Presidente Herriot (è molto sensibile a queste cose) grande umanista, da varii lustri Sindaco di Lione ove ha sempre trattato con simpatia quella emigrazione Italiana.

(l) Cfr. n. 61.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 3741/834. Belgrado, 28 maggio 1932.

Mio rapporto 12 corrente n. 340/730 (1).

L'evoluzione verso una nuova situazione politica procede fra il contrasto delle forze governative ed antigovernative in un'atmosfera sovraeccitata e pesante dove ogni domani può recare un imprevisto.

Marinkovic avuta ragione nel Gabinetto per la formazione del nuovo partito governativo, lavora per la attuazione del sùo programma. Al nuovo partito egli ha anche il maggiore interesse personale perché del suo democratico antico nulla più resta e i seguaci effettivi che egli ha alla camera sono debole minoranza (una trentina). Lo osteggiano ancora nascostamente i suoi colleghi di Gabinetto provenienti dal partito radicale (Maximovic etc.) ma più di tutto gli si oppongono le condizioni nelle quali il suo lavoro si svolge. Il Governo Dittatoriale che sentì già la difficoltà di crearsi un partito quando era all'apice del suo potere, nel settembre 1930, è dal settembre 1931 in costante declino e più ancora dopo le dimissioni di Zivkovic. L'opinione pubblica risponde sempre meno agli appelli dei Ministri e dei deputati malgrado ogni appoggio delle autorità. Dal comizio di Nisch agli ultimi di Cettigne e di Spalato le notizie marcano un singolare crescendo: sparuto accorrere di pubblico fra gli stessi prescelti dalle autorità, ostilità marcate, poi addirittura impedita parola ai senatori. e deputati ed imponenti ostili pubbliche manifestazioni.

Con tale partito di ben dubbia formazione Marinkovic vorrebbe andare alle elezioni politiche nell'autunno prossimo con voto segreto, con una relativa libertà, concedendosi per allora possibilità ai vecchi partiti esclusi dall'attuale Scupcina di formare un loro gruppo nazionale. E come prima tappa si preannunciano elezioni comunali e banali, venendo attribuite da imminente legg•) ai comuni e banati una larga significativa autonomia.

Il Re appoggia Marinkovic opponendosi per ora a quegli elementi del Gabinetto stesso che di fronte agli ultimi incidenti, al rafforzarzi delle opposizioni extraparlamentari, al crescere del sentimento repubblicano, al rinvigorirsi deHe tendenze autonomiste financo in Slovenia, al manifestarsi della prima crepa nell'edificio disciplinato dell'esercito, a qualche fremere di propaganda comunista vorrebbero un ritorno alla dittatura militare e un'aspra reazione. Ciò chiarisce il significato delle parole dettemi da Marinkovic il 20 Maggio 1932 (mio telecorriere n. 156/80) (2). «Se volessimo, potremmo in una settimana mettere fine ai mormorii, alle critiche, alle opposizioni che tentano minare il paese».

Per ora freni sono stati posti soltanto al comunismo con gli arresti del 16 corrente (vedi notiziario) (3). Ma vi è tutto il sospetto che questi siano stati sopratutto operati per meglio far credere che il complotto militare di Maribor

avesse colore comunista. f; pure stato arrestato con altri minori il professore Jovanovic, capo del partito agrario, che con Gavrilovic, il noto ex direttore della Politika ex comitagio, faceva aperta e violenta propaganda repubblicana.

Agli altri partiti è lasciata apparente libertà di azione, specialmente al radicale serbo, pur non permettendosene ancora l'ufficiale ricostituzione. Gli elementi dirigenti di essi riuniti in comitato esecutivo sono in costante contatto fra loro e fanno, con finalità comuni, una propaganda che incontra larghissime aderenze e pronto successo. Ed i vari comitati esecutivi (radicale, democratico, clericale, sloveno, mussulmano) cercano tra loro l'accordo. Lo cercano anche col croato, ma finora senza risultato concreto (l'ultimo inviato dei radicali a Zagabria fu l'ex pope Jonic).

Intanto gli incidenti si susseguono. V. E. troverà qui di seguito il notiziario di quelli verificatisi dopo l'ultimo mio rapporto del 12 e ne rileverà agevolmente il preciso significato. (Su quello di Maribor ho riferito a parte, ed a parte ho riferito anche su quanto è occorso il 4 corrente a Spalato dove gli animi appaiono più che altrove eccitati e esasperati contro Belgrado). L'elenco contien~ quanto di più sincero ho potuto accertare, mentre mi astengo dal riferire le varie voci che circolano quando non sono riuscito a controllarle.

Si prova la persistenza di uno stato di spirito e di una condizione generale di cose che può ad ogni momento sboccare in una situazione plù grave. Concludo quindi come già affermato nei miei rapporti precedenti: il problema sta nel vedere se vi sia possibilità per Marinkovic di arrivare tranquillamente allo svolgimento del suo programma data l'impazienza delle opposizioni extraparlamentari, quando le varie correnti antigovernative intensificano la propria azione, mentre le antidinastiche si rafforzano e la crisi economica tutte le alimenta anche la comunista.

Ma in ogni caso, oggi come oggi, non è immaginabile un solo istante che se le elezioni si svolgano in relativa libertà e con la partecipazione dei vecchi partiti, esse non diano un plebiscito contro il governo attuale che certo colpirebbe anche più in su del Presidente Marinkovic.

(l) -Non pubblicato. (2) -Del 20 maggio, non pubblicato: proteste di Marlnkovié per le notizie della stampa Italiana sulla situazione In Jugoslavia. (3) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 1977/1159. Vienna, 28 maggio 1932 (per. il 1° giugno).

Il capo dei nazionalsocialisti austriaci Frauenfeld mi ha fatto chiedere di conoscermi, ed è venuto stamane da me accompagnato da Morreale con cui era già in rapporto per mie istruzioni.

Mi ha domandato quale fosse il punto di vista del R. Governo nei riguardi del partito nazionalsocialista austriaco. Gli ho risposto che lo ignoravo; non avevo finora avuto istruzioni e ciò era spiegabile considerando che sino alle recenti elezioni provinciali. nelle quali gli hitleriani avevano qui conseguito così notevoli successi, essi non avevano avuto alcun peso nella vita politica austriaca così da non essere rappresentati da nessun loro deputato nell'attuale camera costituita meno di due anni fa. Come mia personale opinione io vedevo nel loro programma due parti ben distinte: la propaganda per l'annessione e la lotta contro i socialisti. Ero convinto che il R. Governo fosse contrario allJ. prima e favorevole alla seconda, circa la quale anzi avrei desiderato da lui maggiori particolari sui loro progetti di ricostruzione economica non potendo questi esaurirsi nell'azione negativa della guerra ai rossi.

Frauenfeld ha risposto che, quanto all'annessione, essa era non. attuale ma pure inevitabile: non comprendeva la nostra opposizione visto che la Germania hitleriana, a differenza di quella guglielmina, non aveva mire di egemonie politiche e di espansioni industriali al di là dell'Austria. Circa l'industria, Hitler la considerava troppo sviluppata in Germania e ne perseguiva la riduzione convinto della necessità per il suo paese del ritorno all'agricoltura; circa la politica, Hitler era convinto che la Germania, compiuta l'annessione austriaca, si dovesse volgere dalla parte orientale e riprendervi le tradizioni della sua storia. Quanto infine al testo del programma, esso comprendeva la revisione dei trattati e l'indipendenza economica dell'Austria conseguibile mediante l'annessione; ha commentato queste ultime affermazioni con pensieri vaghi e parole incerte.

Ho ribattuto che eravamo contrari all'annessione, perché i nostri interessi chiedevano non avessimo alle nostre frontiere uno stato politicamente e industrialmente assai forte che ci avrebbe indubbiamente fatto sentire in pratica questo doppio peso sui nostri confini, nei Balcani e forse anche in Adriatico, quali che fossero in teoria i suoi programmi di restrizione delle proprie industrie e di espansione verso la Prussia orientale. Circa poi la revisione dei trattati, era questione che giustamente interessava la Germania, ma di cui l'Austria non si preoccupava non avendo né territori da rivendicare né riparazioni da pagare né armamenti da aumentare. L'indipendenza economica austriaca non era menomata né da trattati di pace né da altro; le difficoltà di questo stato in tale materia derivavano, tra l'altro, oltre che dalla crisi generale, dal protezionismo doganale degli stati vicini; dato e non concesso che l'annessione potesse valere a far diminuire tale protezionismo, poiché il mio medesimo interlocutore riconosceva non essere per ora l'annessione stessa attuabile, non vedevo nel suo programma l'indicazione di alcun rimedio positivo per far superare all'Austria le sue presenti gravi difficoltà economiche. Frauenfeld non ha avuto nulla da ribattere.

Gli ho chiesto poi quale fosse il suo programma pratico per il prossimv avvenire. Mi ha risposto che il partito, dopo presosi un po' di riposo, avrebbe rinnovato con adunate dimostrazioni e tafferugli i suoi sforzi per lo scioglimento del parlamento che era convinto sarebbe avvenuto in autunno. Le nuove elezioni elimineranno completamente le «Heimwehren » che non sono ormai capaci di far nulla e cui l'estero continua a dare un valore che non hanno più, nonché gli altri partiti minori borghesi: la camera si ridurrà quindi ai cristiano-sociali, ai socialisti e ai nazionalsocialisti. I cristiano-sociali saranno costretti a allearsi o con quelli o con questi; nel primo caso si accelererà il passaggio agli hitleriani dei più validi elementi che ancora appartengono ai cristiano-sociali per disgusto della collaborazione di questi con i socialisti; nel secondo gli hitleriani finiranno egualmente con l'avere il sopravvento essendo essi un partito giovane e non logorato dall'uso del potere come i cristianosociali.

Ho risposto essere convinto che il partito nazionalsocialista avrebbe mandato parecchi rappresentanti nella futura camera, tuttavia non sapevo di quanto avrebbe ora potuto continuare ad accrescersi la sua forza, visto che il contegno del Vaticano a suo riguardo gli avrebbe impedito di avere i voti non solo di quei borghesi ai quali il dare loro la propria scheda sarebbe apparso una mancanza ai propri doveri religiosi, ma anche e più quelli dei contadini. Per quest'ultima ragione credevo che, pur riconoscendo che i nazionalsocialisti erano riusciti a trarre dalla propria parecchi partigiani delle << Heimwehren ~. non avrebbero potuto danneggiarle ancora di molto avendo esse appunto nelle campagne i più fedeli e solidi seguaci. Del resto da un punto di vista dell'interesse generale austriaco, superiore a quello dei singoli partiti, non mi rallegravo dei voti guadagnati dai nazionalsocialisti a danno delle «Heimwehren ~. Quali che fossero le divergenze di programma tra gli uni e gli altri, vi era un punto e il più importante, nel quale si trovavano d'accordo e per il quale Hitler non avrebbe dovuto combattere Starhemberg: la lotta contro i socialisti. A questi, e non alle « Heimwehren ~. dovevano i nazionalsocialisti togliere voti, giacché debellare la tirannide socialista voleva dire poter mutare la costituzione austriaca. Occorreva qui rafforzare il potere centrale, contro l'eccessiva indipendenza deUe province borghesi e anche più di quella socialista di Vienna, dandogli così modo di attuare quel programma economico che solo vincendo le resistenze degli interessi di tutte le gradazioni politiche dal nero al rosso può condurre l'Austria al suo risanamento.

Quando Frauenfeld si è alzato l'ho ringraziato della visita, gli ho detto che avremmo continuato a mantenere i contatti regolari per mezzo di Morreale, che per qualunque argomento speciale avesse voluto intrattenermi lo avrei sempre ricevuto con piacere, che ero disposto a trasmettere a Roma qualunque sua richiesta, che infine non potevo per il momento dire o fare di più.

Frauenfeld mi ha ringraziato di tutto e si è accomiatato. Dicono sia un ottimo oratore demagogico; ma per il resto mi pare non valga nulla (1).

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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, E AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2)

N. 80833 RR. Roma, 29 maggio 1932.

Due fatti relativi alla situazione politico-militare dell'Etiopia meritano, ìn questo momento, una particolare attenzione:

1°) La tendenza ad aumentare i reparti permanenti e ad inquadrarli con elementi che hanno frequentato tutti od in parte i corsi della scuola militare francese.

2°) L'attuazione metodica del noto programma di dislocazione di presidi nel territorio confinante con la Somalia e di costruzione di strade da Harrar verso Mustahil.

Mentre il primo fatto tende ad alterare, a nostro danno, l'equilibrio tra la nostra organizzazione militare e la prevalenza numerica abissina, il secondo rileva un piano prestabilito di apprestamenti verso la frontiera somala che costituisce, senza dubbio, elemento di facilitazione in eventuali operazioni militari contro quella nostra colonia.

L'attività politico-militare dell'Impero Etiopico è stata e viene seguita con particolare attenzione e ha determinato le seguenti importanti provvidenze di carattere militare:

A) Per ciascuna delle due colonie dell'Africa Orientale:

0 ) La istituzione dell'Ufficio Informazioni presso il Comando del Regio Corpo: già funziona egregiamente ed ha fornito numerose importanti notizie;

2°) La disposizione ministeriale che toglie ai Governatori delle due Colonie dell'Africa Orientale la facoltà di stornare fondi dai bilanci militari a quelli civili Cloro concessa dalla legge sul consolidamento), devolvendo tutte le economie a favore delle dotazioni di mobilitazione e del munizionamento fin quando non saranno al completo;

3°) Studio per lo sfruttamento di tutti gli elementi idonei ai fini della mobilitazione e della costituzione di grandi unità speciali di colore anche in vista della eventuale impossibilità di ricevere aiuti dalla Madre Patria (è in corso);

4°) Impianto di una aviazione di dieci apparecchi con un'organizzazione a terra tale da consentire il trasferimento della squadriglia da una colonia nell'altra colonia attraverso preordinate rotte extra territoriali e l'impiego della massa riunita di 20 apparecchi agli ordini di un comando unico permanente esistente in Eritrea.

L'attuazione del programma completo si effettuerà nei prossimi due esercizi finanziari nei quali sono previsti i seguenti aumenti di stanziamenti per l'aviazione rispetto all'esercizio in corso:

Eritrea . l.775.000,00

Somalia. 2.974.000,00

La Somalia dispone però di già dei suoi 10 apparecchi.

B) Per la Somalia:

1°) Costituzione di un organo per la mobilitazione, retto da un ufficiale superiore con attitudini specifiche, e di un organo periferico per ogni commissariato regionale, dotato di un nucleo di autocarri, per la esecuzione materiale delle operazioni relative. -Dipendenza diretta dei commissari regionali dal Comando del R. Corpo per le operazioni di reclutamento e di mobilitazione.

Gli ufficiali incaricati partiranno col piroscafo del 7 giugno (possibilmente);

2°) Costituzione di un reparto automobilistico militare. -Ha già 15 autocarri nuovi che il Governo ha ricevuto ordine di rinforzare con un'aliquota dell'autoparco civile;

3°) Costituzione di una compagnia del genio dotata di tanti plotoni quante sono le specialità esistenti in colonia. Dovrà effettuarsi entro il l o luglio;

4°) Costituzione di due batterie da 77/28. Dovrà effettuarsi entro il 1° luglio;

5°) Completamento degli organici dei battaglioni. Già effettuato;

6°) Assegnazione pel prossimo esercizio di tre milioni per le dotazioni di mobilitazione. È stato chiesto un programma di rifornimenti in ragione dell'urgenza.

Per l'acquisto degli autocarri di cui al n. l sono state stanziate nel bilancio del prossimo esercizio lire 700 mila e pei provvedimenti di cui ai nn. 2, 3, 4, 5, si sono aumentati di circa 3 milioni e mezzo gli stanziamenti di bilancio per il R. Corpo T[ruppeJ C[olonialiJ.

C) Per l'Eritrea:

1°) Assegnazione di un milione tolto dai contributi agricoli della Tripolitania per iniziare i lavori relativi all'aviazone (già a disposizione della colonia);

2°) Assegnazione nel prossimo esercizio di un milione e 200 mila lire per le dotazioni di mobilitazioni;

3°) Ottenuto dalla Finanza di riportare a 5 i battaglioni permanenti del

R. Corpo. -Nel prossimo esercizio il 5° battaglione sarà spesato dalla Cirenaica ove resterà temporaneamente distaccato; dal 1° luglio 1933 in poi sarà compreso negli stanziamenti di bilancio ordinario.

A tutte le suddette provvidenze si è potuto far fronte sacrificando alcune delle attività meno urgenti delle due colonie, e, soprattutto, dedicando alle spese militari buona parte dei 20 milioni messi a disposizione di questo Ministero nel prossimo esercizio per l'integrazione dei capitoli destinati ai bilanci coloniali.

Ma le necessità di controbilanciare questo accentuarsi dell'attività militare etiopica impone nuove e urgenti provvidenze alcune delle quali richiedono speciali stanziamenti, provvidenze che per la loro delicatezza non possono essere adottate a tanta distanza dalla Madre Patria sotto la pressione di una grave situazione che potrebbe determinarsi all'improvviso.

In particolare occorrerebbe:

Per l'Eritrea:

1°) Predisporre la formazione di tutti i battaglioni che possono essere formati dal Chitet, costituendo fin dal tempo di pace: -un Ufficio mobilitazione retto da un ufficiale superiore con competenza specifica; -un nucleo di quadri per ciascuno di questi battaglioni.

Il provvedimento è in istudio. -Occorrerà aumentare gli stanziamenti di bilancio per il mantenimento di questi nuclei di quadri, aumento che si presume possa ascendere a circa un milione.

2°) Attuare i lavori per mettere la ferrovia e la strada Massaua-Asmara

in condizione da rispondere alle esigenze della mobilitazione.

Il Governo dell'Eritrea ha proposto al riguardo un programma completo per portare la ferrovia Massaua-Asmara al numero di coppie giornaliere di treni occorrenti al trasporto di una Grande Unità Metropolitana, per rendere [idonea] al doppio transito di autoveicoli la rotabile Massaua-Asmara e per impiantare una teleferica da . . . . . (l) a Asmara allo scopo di alleggerire il traffico ferroviario e stradale.

L'attuazione integrale di tale programma richiederebbe una spesa aggirantesi sui 20 milioni. Ma sarebbe sufficiente in un primo tempo portare a otto il numero delle coppie giornaliere di treni sulla ferrovia Massaua-Asmara e sistemare la rotabile per il dopplo transito con una spesa complessiva di circa otto milioni da ripartirsi in due o tre esercizt.

Per la Somalia:

0 ) Accelerare la costituzione dei reparti in formazione;

2°) Trasformare l'autoparco civile in autoparco milltare in modo che possa anche rispondere alle esigenze di mobilitazione;

3°) Tenere alle armi qualche battaglione in più dei quattro almeno fin quando l'organizzazione della mobilitazione non sarà in grado di funzionare in modo sicuro.

La spesa per un battaglione si aggira sui 2 milioni. In complesso sono quindi 11 milioni che occorrono come assegnazione straordinaria e di essi 5 per il prossimo esercizio e 6 ripartiti negli esercizi 1933-34 e 1934-35.

Questo è il minimo indispensabile da farsi subito ma altre provvidenze verranno prese, qualora come è indispensabile si consoliderà il bilancio delle 4 Colonie nella cifra globale minima da me proposta di 450 milioni. Se si fosse costretti a prendere provvedimenti precipitati si spenderebbe assai di più con minore efficacia duratura.

(l) -Il documento reca 11 visto di Mussolinl. (2) -Il documento fu inviato per conoscenza al ministro della guerra.
67

IL MINISTRO PATERNò AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

RELAZIONE. . .. (2).

Sulla nota 80833 (3) del Ministero delle Colonie è d'uopo osservare quanto segue:

1°) La strada Harrar-Mustail sarà certamente fatta. La politica dell'Imperatore non è contraria in principio alle grande strade di comunicazione. L'Imperatore però intende fare quelle che verranno ad allacciarsi subito con

Addis Abeba. Infatti la Harrar-Mustail parte da Harrar, allacciata già con Dire Daua, collegata a sua volta con Addis Abeba a mezzo della ferrovia. L'allacciamento Harrar-Dire Daua è stato fatto da un Ingegnere italiano, lo scorso anno.

Non è esatto che l'aumento dei battaglioni permanenti « alteri l'equilibrio tra la nostra organizzazione militare e la prevalenza (sic) abissina». Le stesse parole escludono che vi sia stato fino a ieri «equilibrio ». Il fatto è che il graduale aumento dei battaglioni permanenti non rappresenterà per molto tempo ancora un serio rafforzamento militare abissino nei riguardi esteri, ma costituisce un sicuro rafforzamento del potere centrale nei confronti della situazione Imperiale all'interno di fronte ai capi e ad Addis Abeba. Il disequilibrio vero consiste invece nel rapporto numerico che presenta una tale disproporzione con 1 nostri irrisori armamenti coloniali da rendere il problema (considerato nella nota in esame) come urgente ed esistente in tutta la sua gravità anche se dovesse arrestarsi l'aumento dei reparti permanenti abissini.

È pertanto da accogliersi con compiacimento l'iniziativa cui mira la citata nota, e cioè di provvedere all'irrobustimento militare cosi della Somalia come dell'Eritrea ma si deve far presente che il parere del Ministro Paternò è che i provvedimenti escogitati sono assolutamente inadeguati anche se si considera il problema come sembra voglia fare il R. Ministero delle Colonie, sotto il solo aspetto difensivo.

Ciò per le seguenti considerazioni:

a) l'impossibilità di rimanere per noi sulla linea di frontiera in caso di attacco aggressivo da parte abissina. Correremmo non solo il rischio di ripetere l'errore di Adua, ma avremmo contro di noi una situazione aggressiva che potrebbe durare anni e risolversi in un logoramento, nostro di uomini e denari forse in ultima analisi superiore ad uno sforzo controffensivo che solo potrebbe eliminare per sempre la pressione nemica.

b) La posizione difensiva nuocerebbe altresì al nostro prestigio, anzitutto presso le stesse popolazioni soggette e potrebbe risolversi in una situazione di insicurezza e di sfiducia che facilmente si tradurrebbe in scarsa fedeltà dei nostri sudditi specie eritrei, sui cui sentimenti di lealismo, quando si trattasse di una lotta contro fratelli di razza è dover nostro pensare con qualche preoccupazione.

Ciò tanto più ove si consideri che tutta la nota delle Colonie si basa di un irrobustìmento e aumento di battaglioni di colore, ossia su un piano di difesa che deve quasi esclusivamente contare sulla fedeltà dei militi indigeni.

Su ciò il Ministro Paternò fa le più ampie riserve anche nel caso (che egli esclude) della possibilità e della convenienza di una campagna puramente difensiva.

c) L'impianto di soli 20 apparecchi aerei apparisce insufficiente anche nel caso di una semplice azione difensiva. È addirittura irrisorio se si trattasse sia pure di una semplice episodica azione controffensiva che dovrebbe avere come obiettivo non soltanto i centri di raggruppamento. in campagna, ma bensì la capitale e la ferrovia. Le distanze, le difficoltà di volo e i numerosi obiettivi da raggiungere rendono ovvia la dimostrazione di quanto precede.

Occorre pure tener presente che ormai le popolazioni sono abituate a vedere

volare sulle loro teste gli aeroplani: l'effetto panico che si riscontrò nell'azione

contro Ras Gugsa Olié non è quindi un elemento su cui potremmo ormai più

contare. A meno che non si trattasse di cospicui stormi. Il che non è certo il

caso quando si pensi alla esigua dotazione prevista nella più volte citata nota.

d) Nel campo politico, un nostro assetto militare improntato a soli criteri difensivi, ci toglierebbe ogni mezzo di agire con la necessaria autorità ad Addis Abeba dove la sicurezza della nostra impotenza « ad attaccare l'Imperatore '> avrebbe la diretta conseguenza di aumentare la tracotanza già così pronunziata del cosidetto nazionalismo etiopico e frustrerebbe alla periferia ogni nostra azione intesa ad attrarre nella nostra orbita quelle popolazioni che verrebbero a noi solo se convinte che la nostra forza possa prevalere su quella dell'Imperatore.

A questo proposito non bisogna dimenticare che l'esercito imperiale è stato valutato dal nostro Addetto Militare ad oltre 2 milioni di fucili. E questa cifra noi dobbiamo ritenere veritiera se saremo chiamati ad agire sullo scacchiere etiopico.

Da quanto precede discende la diretta conseguenza della inscindibilità dell'azione difensiva da quella offensiva.

Attenuante del fabbisogno reale nostro, a meno che non si voglia rinunziare per sempre al nostro avvenire in Etiopia, potrebbe essere l'attuazione del noto programma proposto in Gennaio dallo scrivente, ma alla cui attuazione si sarebbero finora opposte difficoltà di ordine più vasto e che rientrano nel quadro generale della nostra politica Europea (l).

(l) -Parola illeggibile. (2) -Privo di data, si inserisce subito dopo il documento a cui si riferisce. (3) -Cfr. n. 66.
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 3987/846. Belgrado, 30 maggio 1932.

La crisi jugoslava e la stampa italiana. Sono costretto a tornare su tale delicato argomento insistendo noiosamente sui punti già esposti a V. E.

Il Vreme di ieri ha riprodotto in facsimile i numeri del 18 corrente, del Popolo di Trieste e del Tevere che con titoli impressionanti riproducono le allarmanti ed infondate notizie giunte, ignoro da quale precisa fonte ma la suppongo, a quelle redazioni sulla situazione jugoslava. (Vi si riproduce anche una pagina di un giornale ungherese, per dimostrare la connessione della congiura propagandistica della «stampa nemica'>).

È evidentemente a tali numeri dei giornali italiani che non avevo prima veduti, che si riferiva Marinkovich nella conversazione dura e quasi minacciosa avuta con me il 20 corrente (2).

Se io fossi stato al corrente che a Roma correvano tali estreme notizie, e che la frontiera di Zara era stata chiusa il 16, sì da rendere possibile il sorgere in quella città sulla base di incidenti effettivamente occorsi, le catastrofiche notizie in questione (così sono tratto a supporre perché la United Presse avrebbe mandato da Roma analoghi telegrammi indicanti come prima fonte la città di Zara) avrei potuto più agevolmente e fermamente replicare a Marinkovic.

Ma in ogni caso stimo che anche V. E. deplorerà la facilità con la quale detti giornali hanno raccolto le notizie in questione, non tanto perché ciò va a diminuzione della loro serietà e renderà meno credibili quelle vere che potessero effettivamente verificarsi in avvenire, quanto perché esse fanno interamente il giuoco del governo di Marinkovic.

V. E. vedrà del resto che nello stesso numero del Vreme è apparso un bellicoso articolo del noto scrittore Krakov «Jugoslavia svegliati» (largamente riprodotto dalla Stefani e tradotto nella Rassegna stampa di ieri) che sviluppa le parole a me dette da Marinkovic e che deve quindi ritenersi di sicura ispirazione ufficiosa.

L'articolo è considerato anche di molta importanza, per il suo appello guerriero ammonitore di propositi e tendenze governative, ma finisce col non essere totalmente indifferente neanche alla opposizione serba extra parlamentare, poiché esso avverte del pericolo che può minacciare la integrità iue:oslava inducendo quindi i serbi a raggrupparsi per difendere l'edificio creato dal sacrificio delle guerre sostenute dal 1912 al 1918.

Io non ho qui da esaminare ed esporre se a noi convenga o meno la esistenza della Jugoslavia sotto qualunque forma essa si presenti, sia costituzionale che autocratica, sia unitaria che federalista, ma ho da far presente che la crisi che investe oggi gravemente il paese se ha qualche sentimentale tendenza republicana, se porta in sé germi separatisti, non tanto mette in pericolo la Jugoslavia come creazione statale sorta dalla guerra sulle rovine dell'impero austro-ungarico, quanto l'attuale regime.

Dire se questo si manterrà o no, è previsione oggi estremamente azzardata,

ma l'affermazione che per ora credo dovere fare è che dalla crisi attuale la

Jugoslavia come creazione di nuovo Stato non ne uscirà compromessa.

E le resterà pertanto un elemento direttivo con il quale noi dovremo pur

sempre trattare per quelle finalità concrete e precise che le circostanze consi

glieranno e la saggezza di V. E. deciderà.

Ma dare la generale impressione che la nostra stampa è animata da un

sentimento di fondamentale ostilità all'esistenza della Jugoslavia, e di astio

irreducibile contro i serbi, lungi dall'affrettare un processo di decomposizione

(se pur questo vi sia) genera per reazione la ripresa di quegli elementi che

possono ancora tenere insieme lo Stato (ed è stato vittorioso), mentre può

inasprire contro l'Italia anche quegli stessi gruppi a noi, per tradizione poli

tica pasiciana, sicuramente amici e che potrebbero essere quelli con i quali

dovremmo trattare domani. Ma ciò vale anche se per azzardata ipotesi resti

vittorioso il governo Marinkovic.

L'anti Italia fu del resto il motivo fondamentale addotto da croati e da sloveni fino dal 1919 per unirsi a Belgrado (non c'è che da rileggere le dichia

razioni pubblicate allora da Trumbic e Koroscez, da Wilfan fino a Mandic e Pribicevic) indicata come sola sicura difesa delle ambizioni imperialiste italiane, e serve anche oggi come spunto e strumento di propaganda nazionale.

Legga V. E. quanto il senatore Silovic avrebbe detto a Sussak ieri dopo che il senatore Spincic, affermato che colà era la porta dell'Adriatico e che secondo il comandamento del Sovrano, gli jugoslavi che ne sono proprietari fin dal VII secolo lo custodirebbero anche in futuro.

Così dunque si è espresso il Silovic (già bano a Zagabria): « Il deputato italiano Dudan .ha detto che i croati ed i serbi non si accorderanno mai, e che gli italiani avevano perduto l'occasione nei passati diverbi tra i croati ed i serbi di prendersi per sé ciò che loro apparteneva ma che non lo tralasceranno di fare quando i croati ed i serbi nuovamente sì metteranno a litigare. Queste parole del deputato italiano sono l'ammonimento di come gli jugoslavi debbano lavorare ed indicano che si tratta dell'esistenza dei croati e degli sloveni la quale può essere assicurata soltanto in una unita grande Jugoslavia~.

Ed è alla suindicata possibilità politica jugoslava, ed al permanere dello Stato jugoslavo che a mio sommesso giudizio dovrebbe la nostra stampa coordinare il suo atteggiamento nel giudicare ed esporre gli sviluppi della situazione interna di questo Stato, pur non omettendo la pubblicazione obiettiva di quelle effettive gravi notizie che ormai si succedono quasi quotidianamente. Ma io non so da qui vedere davvero quale interesse vi sia a facilitare la difesa del Governo di Marinkovic con le esagerazioni tendenziose delle lamentate pubblicazioni.

P. S. -Unisco ad ogni buon fine ed a sostegno di quanto espongo una traduzione del Near East del 19 Maggio 1932 (1).

(l) -Allegato a questo documento il seguente appunto di mano non identificata, redatto su carta intestata del Gabinetto: «Il promemoria qui unito venne inviato dal marchese Paternò al barone Aloisi unitamente ed altro promemoria riguardante Italia-Turchia-Russia. (Tit. 1-11/12Turchia». (2) -Cfr. n. 64, nota 2.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R.R. 1978/1160. Vienna, 30 maggio 1932.

Mio telespresso n. 1148 del 24 maggio (2).

In seguito a accordi tra Starhemberg e Geisser Celesia ho avuto giovedì

sera un colloquio con i ministri Rintelen e Jakoncic in presenza di Starhemberg

e Geisser Celesia.

Starhemberg ha ripetuto in loro presenza quanto mi aveva detto nel col

loquio precedente: che i ministri partigiani delle « Heimwehren :.> e quelli che

le sostengono pur non appartenendovi, come il Rintelen, si erano decisi a

entrare nel gabinetto perché convinti fosse questo l'unico modo di impedire

ch'esso andasse a sinistra ascoltando i consigli e subendo le pressioni di questa

legazione di Germania, e perché convinti del pari che se durante l'anno in corso

le « Heimwehren » non si fossero decise a trarsi fuori dal presente stato di cose

le loro ultime possibilità di successo sarebbero andate perdute per sempre.

Ha altresì ripetuto che i suddetti ministri erano risoluti a non uscire dal mimstero per volontà del parlamento o del cancelliere o del presidente della repubblica; che il loro programma parlamentare era quello di andare accentuando il carattere di destra del gabinetto, di rendergli impossibile qualunque eventuale futura intesa con i socialisti e di spingere questi ultimi ad agire contro di esso per poter giustificare la reazione. Ha infine ripetuto essere loro desiderio serbarsi l'appoggio dell'Italia e ottenerne inoltre l'invio delle armi necessarie, convinti che sia per essere i ministeri competenti in mano di amici sia per essere il progettato modo di spedizione tale da non dar luogo a sospetti, l'impresa si sarebbe presentata scevra da qualsiasi pericolo.

Il ministro dell'istruzione Rintelen ha confermato queste dichiarazioni di Starhemberg quantunque, per ciò che riguarda la risoluzione di restare a ogni costo nel ministero, mi sia apparso, nel tono delle sue affermazioni più che nelle affermazioni stesse, meno deciso del capo delle «Heimwehren ». Da notare inoltre tra le asserzioni da lui fattemi: la sua entrata nel ministero, e ~a progettata attribuzione a lui del portafoglio degli Esteri sono state in ogni modo osteggiate da questa legazione di Germania perché uomo di destra, e criticate dalla stampa ceca e jugoslava perché amico dell'Italia; egli non attribuisce alcuna importanza al distacco di Pfrimer che oramai era rimasto quasi isolato; non crede in molto grandi e duraturi successi del partito nazionalsocialista perché non si adatta al carattere austriaco, perché non ha nulla di positivo nel suo programma fuori dell'annessione, perché non possiede qui uomini capaci di guidarlo, perché i contadini sono nelle mani del clero, perché non ha avvenire un partito che vuoi fare una politica ostruzionistica contro i socialisti ma nega per principio la volontà di ricorrere a qualsiasi mezzo non legale, perché infine, per tutte queste ragioni. quei malcontenti i quali per ora sono andati a ingrossarne le fino a poco fa sparute file se ne ritrarranno quando vedranno che, non potendo gli hitleriani raggiungere qui legalmente la maggioranza, non riusciranno a imporre la loro volontà.

Il ministro dell'Industria e Comunicazioni Jakoncig ha approvato anche lui le dichiarazioni di Starhemberg; il Jakoncig, che è heimwehrista tiro lese e decorato di più medaglie d'oro al valore. è giovane, parco di parole e d'apparenza energico. Merita dl essere segnalato tra quello che mi ha detto, in aggiunta alle dichiarazioni di Starhemberg, quanto segue. Egli è partigiano di un'intima intesa con l'Italia per quanto riguarda non solo la politica per cosi dire di azione di forza dell'Austria bensì anche economica. Vorrebbe in quest'ultimo campo una stretta collaborazione con noi la quale, messlni debitamente in luce i vantaggi per l'Austria, rafforzasse in questa opinione pubblica sia la nostra situazione sia quella delle «Heimwehren ». Dovrebbe essere attuata in modo da apparire evidente che le nostre concessioni sono fatte grazie alla presenza di amici heimwehristi nel gabinetto; perciò egli, pur riservandosi l'indicazione in seguito di proposte concrete, manifesta fin da ora il proposito di trattare direttamente con il nostro governo, recandosi anche, se necessario, personalmente costi, e mettendo da parte Schuller che considera mosso da simpatie per i socialisti e per i cechi (credo vi sia esagerazione in questi apprezzamenti, e poi Schuller è una forza, per competenza e abilità, che bisogna sfruttare e non inimicarsi).

Quanto a me, riassumendo in poche parole le mie dichiarazioni, ho consentito nel pericolo non ::;olo per le << Heimwehren » ma anche per i cristianosociali, cui appartiene Rintelen, di ulteriori more, premuti come sono le une e gli altri dai socialisti e dai nazionalsocialisti. Ho ricordato aver detto a Stahremberg essere utile la partecipazione al presente governo solo se si è decisi a valersene per andare sino in fondo. Ho convenuto sull'opportunità di spingere quanto più possibile verso destra la politica del gabinetto. Ha suggerito che in caso di difficoltà si sciolga il parlamento, e mediante disordini da suscitarsi dalle «Heimwehren » si obblighi l'esercito a intervenire per mantenere l'ordine, rinviando «sine die » le nuove elezioni sotto pretesto di non poterle indire sino a quando la tranquillità non risulti ristabilita in modo tale da permetterne il libero svolgimento. Ho riaffermato come conseguenza l'assoluta necessità di intesa con l'esercito, senza l'aiuto del quale è stolto pensare a impadronirsi di Vienna e a attuare il programma di rinnovamento. Ho rammentato i consigli e gli aiuti morali (degli altri aiuti Starhemberg mi aveva detto in precedenza desiderare non parlassi) dati dall'Italia sia alla fine del '29, cancelliere Schober sia alla fine del '30, cancelliere Vaugoin, ricordando come per non essercisi dato ascolto si erano perdute due occasioni e situazioni particolarmente propizie. Ho manifestato qualche preoccupazione circa l'eventuale invio di armi, specie in relazione al nostro contegno nella conferenza per il disarmo. Ho riaffermato la nostra buona volontà per qualunque più stretta collaborazione economica, trovandone prova negli accordi Brocchi e nelle dichiarazioni di V. E. e mettendo in rilievo come i progetti per più intime intese incontrino però ostacoli nell'opposizione così della Germania come della Francia.

Ci siamo lasciati con la promessa di nuovi futuri colloqui. Starhemberg progetta di venire a Roma il 5 (l) e prima di partire mi riparlerà: si propone intrattenere costà S. E. il Capo del Governo e V. E. di tutti gli argomentt che sono stati toccati iersera.

Starhemberg ha parlato bene in quest'ultimo colloquio, con chiarezza, semplicità e decisione, e malgrado i miei frequenti rapporti con lui mi ha dato solo iersera per la prima volta l'impressione di una maggiore maturità in paragone allo Starhemberg di due anni sono. Jakoncic, semplice e anche lui, almeno in apparenza, deciso; non lo conoscevo ma questa mia impressione è confermata da qualche voce che mi è giunta su atti di autorità che ha cominciato a compiere appena preso possesso del ministero. Rintelen, uomo che quantunque non debole è più abile che energico, più volpe che leone, ha mostrato volersi lasciare aperta qualche ritirata; ma non possiamo dimenticare che da anni ci si dice amico e si comporta come tale verso di noi.

La situazione è oggi per molte considerazioni meno favorevole alle «Heimwehren » che non nel '29 e nel '30; vi è tuttavia il vantaggio del generale malcontento, delle future conseguenti incognite e della presenza nel gabinetto di vari uomini di destra. Non si vede nelle loro parole un programma chiaro e preciso, ma, oltre alla generica volontà di andare verso destra, appare il desiderio di attendere gli avvenimenti imprevedibili di cui valersi per attuare il proprio programma. Indipendentemente da quello che d'accordo con noi potrà

da essi farsi nel campo dell'azione immediata v'è in loro la volontà di più strette intese con l'Italia oltre che generali anche e più specialmente economiche. Senonché la possibilità di una nostra maggiore collaborazione con l'Austria dipenderà, oltre che dal contegno degli altri stati, dalla posizione che riuscirà ad acquistarsi il nuovo gabinetto finora parlamentarmente debole e dall'influsso che sapranno prendervi i nostri amici.

Fin da ora però, quale che sia la conferma che l'avvenire potrà dare al valore delle dichiarazioni dei due ministri, mi sembra non potersi non considerare con soddisfazione il fatto che due membri del gabinetto abbiano acconsentito al colloquio. Per quanto sia stato da parte nostra fatto tutto il possibile per attenuare il rischio che la partecipazione al colloquio stesso, in casa di uno dei nostri funzionari, dei due membri del gabinetto poteva presentare per essi vista la sorveglianza dei socialisti e i loro attacchi nell'Arbeiter Zeitung e in parlamento (miei telespressi odierni nn. 1149-1152) (1), tuttavia è indubbio che il loro intervento, anche in considerazione di quanto precede, rappresenta un positivo atto di deferenza per il R. Governo e il suo Capo e un segno della loro persuasione che solo in questi possano l'Austria e i loro due partiti trovare l'aiuto emcace a una ricostruzione indipendente dalla Francia e dalla Germania.

(l) -Gli allegati non si pubblicano. (2) -Cfr. n. 57.

(l) Starhemberg si recò a Roma Il 7 giugno.

70

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONSOLE GENERALE AD ISTAMBUL, SALERNO MELE

T. 636/36 R. Roma, 31 maggio 1932, ore 24.

Prego recarsi arrivo Istambul Ismet pascià et consegnargli personalmente seguente telegramma di S. E. il Capo del Governo:

«Vi confermo Italia disposta concedere alla Turchia prestito trecento milioni lire italiane ripartite secondo intese verbali. Modalità operazione finanziaria saranno regolate da delegati due paesi. Cordialmente. Mussolini ».

Avvertola ad ogni buon fine che il telegramma è stato comunicato anche alla R. legazione Atene con istruzioni fare analoga comunicazione se in tempo (2).

71

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI

T. PER CORRIERE 637 R. Roma, 1° giugno 1932, ore 11.

Suo telegramma 78 (1). Prego trovare appena possibile opportuna occasione per ringraziare Papanastasiu delle dichiarazioni fattele ed assicurarlo che anche

da parte nostra direttive politiche nonché sincera amicizia verso Grecia rimangono immutate. Anche noi desideriamo che rapporti divengano sempre più cordiali e sempre più intensi scambi economici in un'atmosfera di perfetta comprensione reciproci interessi. Quanto a dichiarazioni circa federazione balcanica, V. S. può dire a Papanastasiu che anche Governo italiano desidera unicamente evitare affermazioni egemoniche di singoli Stati. Occorre però ben ponderare le azioni politiche che si svolgono in un campo così delicato, ed a questo scopo riescono evidentemente utili gli amichevoli rapporti esistenti fra l'Italia e la Grecia nonché il mantenimento e lo sviluppo dei loro contatti politici.

V. S. vorrà tuttavia tener presente, per sua personale norma, che ogni forma di federazione balcanica, per quanto cordiali ed amichevoli possano essere i nostri rapporti con alcuni degli eventuali suoi partecipanti, sarebbe naturalmente in contrasto con i nostri interessi politici. Bisogna quindi cercare di ostacolare con tutte le possibili cautele siffatti tentativi particolarmente cari al signor Papanastasiu.

(l) -Non pubblicati. (2) -Cfr. n. 72. (3) -Cfr. n. 62.
72

IL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. U. 1938/84 R. Atene, 1° giugno 1932, ore 14,10 (per. ore 15).

Telegramma di V. E. 84.

Ho consegnato a Ismet pascià il telegramma di S. E. il capo del Governo (1).

Egli mi ha dato incarico di esprimere a S. E. Mussolini la più viva simpatia e la sua gratitudine per questa nuova prova di amicizia: uguali sentimenti esprime Tewfik Russdi bey.

Papanastasiu, al quale Tewfik Russdi bey ha portato i saluti di V. E., ringrazia e, contracambiando, mi incarica di assicurare nuovamente V. E. e S. E. Mussolini che la sua politica sarà di rendere sempre più stretti e cordiali rapporti con l'Italia e la Turchia e prega che l'Italia non gli faccia mancare quell'appoggio prezioso che dette al suo predecessore, assicurando che, proseguendo suo sogno collaborazione interbalcanica, non consentirebbe mai che questa dovesse svolgersi in alcun modo ai danni dell'Italia ed aggiungendo che, qualora essa non potesse realizzarsi per intero, rimarrebbe in ogni caso quella greco-turca alla quale teneva sopratutto.

Papanastasiu offre stamane agli ospiti colazione con intervento capi-partito ellenici.

Tanto Ismet pascià quanto Tewfik Russdi bey mi hanno detto che nel corso delle conversazioni che avranno oggi non mancheranno di esprimere le loro vedute e le loro impressioni sotto ogni riguardo eccellenti dopo la visita a Roma destinata, essi mi hanno detto, a produrre buoni efì'etti.

10 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

(l) Cfr. n. 70.

73

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. 4542/178 P.R. Roma, 1° giugno 1932, ore 23,30.

Suoi telegrammi da 302 a 305 e 308 (1).

Viaggio Franchetti ha avuto per risultato delle condizionate promesse sulla realizzazione delle quali esperienza consiglia fare ogni riserva. Tuttavia azione Franchetti è stata di qualche utilità, e ci conviene dare costà sensazione che riteniamo acquisite ormai a noi concessioni strada Setit Gondar ed altre imprese proposte da Franchetti.

A tale scopo V. S. potrà, alla prima favorevole occasione, far conoscere all'Imperatore e al Blatingheta, richiamandosi a conversazione di V. S. con quest'ultimo riferita nei suoi telegrammi 304 e 305, che abbiamo preso atto delle dichiarazioni fatte al Franchetti e ci attendiamo che promesse del Governo etiopico siano presto seguite da concrete realizzazioni.

È insieme opportuno che V. E. controbatta impressione di codesto Governo circa nostra carenza nella questione della strada Assab-Dessié. A V. S. è ben noto come non sia comunque da imputarsi a noi se l'Assab-Dessié non è già un fatto compiuto; ma invece soltanto alla cattiva volontà e ai soliti temporeggiamenti e ritardi del Governo etiopico.

A dimostrazione della nostra volontà di fare, basta ricordare la missione tecnica che, subito dopo la firma del patto del 1928, fu inviata sui luoghi ma che dové limitarsi, non per nostra colpa, a studiare dettagliatamente tracciato fino ad Eia; missione di S. E. Gasparini all'Asmara per abboccarsi con plenipotenziari del Governo etiopico il quale inviò invece persone non autorizzate a concludere, nostra partecipazione alle riunioni degli esperti ad Addis Abeba etc. Da parte etiopica degli anni sono trascorsi per gli studi dei tecnici, né vi è accenno dare inizio costruzione strada.

È opportuno V. S. faccia conoscere che la Società di studi per l'applicazione del patto itala-etiopico è sempre in vita, per quanto inattiva, dato che codesto Governo non mostra alcuna fretta di sfruttare lo sbocco di Assab.

Questo Ministero si propone patrocinare costituzione di un ente come suggerito da Franchetti onde preparare progetti tecnici e finanziari. Fregasi frattanto V. S. telegrafare parere circa opportunità conglobare con imprese progettate da Franchetti anche questione esercizio radio e circa convenienza dare incarico provvisorio Zambon seguire trattative col Governo etiopico per conto dell'Ente costituendo.

(l) Cfr. nn. 58 e 59; il T. 3436/302-303 P. R. del 24 maggio non è pubblicato.

74

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R.R. 2059/1217. Vienna, 2 giugno 1932.

Morreale, che è in relazione con Pabst, mi h aconsegnato l'accluso rapporto su due suoi colloqui con lui.

Credo doverlo accompagnare con qualche osservazione.

Convegno con Morreale, come risulta dai miei precedenti telespressi, che il rafforzarsi del nazionalsocialismo in Austria è andato a detrimento delle «Heimwehren ». Ma come dai suddetti telespressi risulta anche, non credo che il passaggio da queste a quelli possa sempre più progredire. Ripeto al riguardo che, secondo sono in grado di giudicare dal presente stato di cose, tale passaggio si fermerà dinanzi al borghesi stretti credenti, ai proprietari terrieri che sono legittimisti, e ai contadini i quali si trovano tutti sotto l'influsso del clero. L'indebolimento attuale delle «Heimwehren » dipende solo in parte dalla propaganda nazionalsocialista: tra le altre principali ragioni vi è quella che, come osservavo l'altro giorno a Starhemberg e come egli stesso confermava, non si può per più di tre anni tenere, secondo si suol dire, « in efficienza » un partito che vuol essere di azione e di cui si preannuncia continuamente l'azione, senza poi fargli fare altro che lo stolto tentativo di Pfrimer del settembre scorso. È vero che le « Heimwehren » non sono oggi in grado con un atto violento di trascinare dietro di sé l'esercito, ma è altrettanto vero che neanche negli anni scorsi ne erano capaci; il che non è l'ultima causa della loro astensione da qualsiasi efficace iniziativa anche nel passato.

Che su Vaugoin sia prudente non fare molto affidamento lo sa lo stesso Starhemberg, il quale sulla fine del '30 non riuscì a indurlo ad agire malgrado ogni sforzo anche del generale Geng, di Rintelen, della nostra legazione e di quella d'Ungheria. Tanto è vero che Starhemberg mi diceva giorni sono credere che, qualora i generali volessero far sostenere con l'esercito le «Heimwehren », l'unico mezzo di evitare un rifiuto che Vaugoin opporrebbe per non assumersi responsabilità sarebbe quello di farlo partire in vacanze e passare così all'azione durante la sua assenza. Con ciò non intendo dire che i generali siano pronti a correre qualunque rischio. Ma non può escludersi « a priori» qualsiasi possibilità qualora imprevedibili nuovi avvenimenti, nell'incertezza dell'attuale situazione politica e economica, avessero a prodursi: Starhemberg per esempio crede che i generali marcerebbero se vi fosse serio pericolo di vedere un socialista ottenere il loro dicastero. Anche altre ipotesi potrebbero prodursi. Non deve dimenticarsi che il generale Geng, il quale è tra i migliori ed ha con noi e con gli ungheresi rapporti fiduciosi, voleva far marciare l'esercito nel '30 e mi ha procurato l'anno scorso un colloquio segreto con Vaugoin -sul quale riferii a voce quando venni a Roma in novembre -per sondarlo e persuaderlo.

Quanto alle tre condizioni che Pabst suggerisce siano poste a Starhemberg costì osservo:

1° Circa la garanzia che Starhemberg dovrebbe chiedere al nuovo gabinetto e conseguire da esso per un mantenimento e rafforzamento dell'orientamento a destra, mi sembra egli abbia finora fatto il possibile; giungendo fino a ottenere la dichiarazione dei ministri suoi amici al cancelliere che essi non solo avrebbero spinto sempre più a destra il gabinetto ma che qualora, in seguito a divergenze tra tale programma e quello del resto del ministero, il parlamento o il cancelliere o il presidente della repubblica li avessero obbligati a dimettersi, vi si sarebbero rifiutati. So bene che queste sono soltanto parole e che rimarrà da vedere i fatti. Ma per ora non mi sembra che Starhemberg potesse fare di più, e d'altra parte la campagna dei socialisti contro Jakoncic e anche Rintelen si accanisce sempre maggiormente.

2° Circa l'accordo che Starhemberg dovrebbe concludere con i nazionalsocialisti, mi pare esso potrebbe essere pericoloso per lui e anche per noi. Nulla avrei da obiettare a un accordo per cosi dire negativo, perché sia evitato il combattersi reciproco in vista del comune scopo antisocialista, e perché ciascuno dei due partiti svolga nel proprio campo e con i propri mezzi il proprio particolare programma: in tale senso del resto Starhemberg ha già parlato tempo fa con Hitler (l). Ma dubito che questi se ne contenti, e temo chieda, in cambio di una sua rinuncia alla lotta contro le «Heimwehren », la collaborazione con queste. Le « Heimwehren » hanno un programma di extralegalità; gli hitleriani invece di legalità. Dato e non concesso che le «Heimwehren » finissero con il marciare, esse sopporterebbero il danno in caso di insuccesso mentre in caso di successo i nazionalsocialisti trarrebbero i benefici, con danno di quelle e nostro, visto il programma annessionista dei «nazi ». Hitler non potrebbe accettare una collaborazione se non ove questa ne avvantaggiasse il movimento in Austria; ma i vantaggi hitleriani in Austria non sono anche vantaggi italiani. Questa seconda condizione conferma come Pabst sia ora uomo di fiducia dei partiti di destra in Germania e come quindi, diversamente da tre anni fa, il programma ch'egli si propone svolgere qui miri ad avvantaggiare da ultimo non l'Austria e le « Heimwehren » bensì la Germania e gli hitleriani. Del resto s'egli riprenderà la collaborazione con Starhemberg non potrà avere che un migliaio di scellini al mese. Ma noi sappiamo per esperienza che è di forte stomaco; e delle 70 mila lire che egli stesso confessava rimaste in sue mani sulla somma maggiore versata a Steidle, di cui del resto già una parte era certo finita nelle sue tasche, non ha dato più notizia dopo una vaga promessa di restituzione. Ond'è da credere che se Starhemberg gli paghe,rà solo mille scellini al mese, altri e di più gli saranno dati dagli hitleriani, e non per nulla. Pabst è pelle che si vende. Mi confidò tre anni fa che prima di venire in Austria voleva andare a riordinare l'esercito del Venezuela! È uomo di molte qualità e difetti; si possono sfruttare le prime ma bisogna evitare d'essere danneggiati dai secondi.

3° Circa infine la restituzione delle armi da attenersi dal governo, è certo che accrescerebbe i furori dei socialisti e nessuno può escludere li spingerebbe ad agire offrendo alla loro azione una base di legalità. Mi domando se questo sarebbe il momento più adatto per andare a fondo, quando il governo che dispone di un solo voto di maggioranza sta sostenendo battaglie in parlamento per non essere rovesciato e vede la sua vita dipendere dal beneplacito dei paugermanisti che sono ancora fuori del gabinetto, e quando le «Heimwehren » non appaiono ancora riordinate e difettano di armi: non sono le poche migliaia di fucili e decine di mitragliatrici sequestrate loro ai tempi di Schober che, ove fossero restituite, farebbero pendere la bilancia in loro favore. Meglio sarebbe, anche perché legalmente inoppugnabile, ottenere che, quando il gabinetto si fosse rafforzato e le « Heimwehren » riordinate, si procedesse al sequestro delle numerose armi qui nascoste daJi socialisti nei loro depositi; la scoperta di uno di questi avvenuta qualche mese fa ne ha indicato l'importanza per quantità e qualità. Tale vantaggio dei socialisti e la difficoltà per il governo di sequestrarle concorrono a spiegare la richiesta di armi che Starhemberg si propone fare costi d'intesa con i ministri amici del gabinetto (mio telespresso

n. 1160 del 30 maggio) (l); qualunque azione contro i socialisti ove fosse iniziata dalle « Heimwehren >>, pur avendo bisogno in seguito della collaborazione delle forze armate dello stato, richiederebbe che al suo inizio non potesse essere repressa dalla prevalenza di armamento delle organizzazioni militarizzate di sinistra.

Morreale conosce solo nelle linee generali i miei rapporti con Starhemberg e ignora quelli recentissimi con alcuni ministri. Tale mancanza di tutti gli elementi di giudizio spiega come vi siano in lui alcune divergenze di apprezzamenti sulla situazione (2).

ALLEGATO

MORREALE A AURITI

R. r.

Durante le trattative per la composizione del gabinetto Dollfuss il principe Starhemberg si era preoccupato di ottenere la garanzia che il maggiore Pabst, ex capo di S. M. delle «Heimwehren », avrebbe potuto soggiornare nuovamente in Austria e riprendere quivi la sua attività in seno al movimento. Subito dopo la composizione della crisi, il maggiore Pabst, in seguito ad invito di Starhemberg, è venuto a Vienna per discutere le modalità e le condizioni del suo reingresso nella direzione delle « Heimwehren ». Iniziando tali trattative, il Pabst ha chiesto la mia impressione sulle condizioni attuali delle « Heim wehren » e un giudizio sulle loro possibilità. Gli ho risposto che non vi è da farsi troppe illusioni sulla consistenza della organizzazione dalla quale gli elementi giovani si staccano in numero sempre maggiore per passare al nazionalsocialismo. Mentre prima poteva pensarsi che un'azione violenta delle « Heimwehren » avrebbe finito col determinare l'esercito ad appoggiarla, oggi le «Heimwehren », data la scarsezza della loro efficienza, possono essere considerate soltanto come pedina avanzata dell'esercito qualora un certo numero di generali si decidesse a rompere gli indugi. Ho quindi consigliato al maggiore Pabst di fare principalmente tra i militari dei sondaggi, poiché è in primo luogo dall'atteggiamento di questi che dipende ogni azione heimwehrista.

(l} Cfr. n. 69.

In un successivo incontro, avvenuto sabato 28 maggio, il Pabst mi ha detto di condividere, dopo due giorni di indagini, le opinioni espressegli da me, di essere molto scettico sull'efficienza delle « Heimwehren », ma di essere venuto anche nella persuasione che dai militari e soprattutto dall'attuale ministro dell'esercito Vaugoin non vi è molto da attendere. « Se un mio parere -ha soggiunto il Pabst -ha a Roma qualche valore, si potrebbe colà consigliare di porre a Starhemberg, in occasione del viaggio che questi farà in Italia nei prossimi giorni, le seguenti condizioni: l. Ottenere e dare garanzia che l'attuale governo Dollfuss mantenga e rafforzi il suo orientamento a destra; 2. che le « Heimwehren » facciano di tutto per giungere ad un accordo coi nazionalsocialisti austriaci e eventualmente aiutarle in tal senso presso Hitler; 3. subordinare ogni eventuale concessione di aiuti in armi e in denaro alla preventiva liberazione e messa a disposizione delle « Heimwehren » delle armi che queste già posseggono in Austria e che attualmente le autorità provinciali di polizia tengono sotto sequestro».

Il Pabst sarebbe dovuto partire sabato scorso 28 maggio alla volta di Berlino dopo aver dichiarato a Starhemberg la sua disposizione a riprendere il posto di consigliere militare delle «Heimwehren » a condizione che le «Heimwehren » fossero andate d'accordo con i nazionalsocialisti ed avessero conservato l'orientamento politico Italia-AustriaGermania. Egli è stato però trattenuto ulteriormente per nuove trattative. Ma dell'esito di queste non si è ancora a conoscenza.

(l) Forse nel colloquio cui accenna il n. 57.

(2) Il documento reca il visto di Mussolini.

75

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

ltELAZIONE. Roma, 3 giugno 1932.

Il R. Ministero delle Colonie ha recentemente proposto di fare nuove proteste e riserve al Governo francese per la progressiva occupazione della zona settentrionale del Tibesti. Tale zona è -com'è noto -in contestazione fra l'Italia e la Francia, sostenendo noi che l'accordo franco-britannico del 1899, da noi accettato con gli accordi itala-francesi del 1900 e 1902, fissa una determinata linea-limite dell'espansione francese a sud della Libia, linea-limite che è stata poi spostata più a nord dall'accordo anglo-francese del 1919, accordo fatto al di fuori di noi e che non possiamo quindi riconoscere, né nelle sue nuove determinazioni territoriali né nel suo contenuto giuridico, in quanto detto accordo ha trasformato delle linee limiti di sfere di influenza in linee di frontiera.

La questione, trattata attraverso una lunga ed elaborata corrispondenza fra i due Governi che dura da dieci anni, era rimasta ferma dopo un'ultima nota francese del 25 giugno 1930, sia perché di fronte ad una nuova argomentazione, esposta dai francesi, era opportuno precedentemente chiarire con ricerche non facili taluni dati di fatto, quali l'esistenza o meno di una carta geografica annessa alla dichiarazione anglo-francese del 1899, sia perché non sembrava in quel momento conveniente di insistere in una discussione che non poteva portare alcun contributo alla soluzione della questione, dato il reciso atteggiamento assunto dal Governo di Parigi.

In seguito alla richiesta del Ministero delle Colonie, la Direzione Generale scrivente ha considerato la convenienza di riprendere la questione, replicando all'ultima nota francese; interpellato il R. Ambasciatore a Parigi (1), questi ha espresso l'avviso che «in considerazione del prossimo cambiamento di gabinetto in Francia, sia opportuno rinfrescare la questione dei confini fra la Libia e i possessi francesi dell'Africa equatoriale, mediante l'invio di una nuova comunicazione al Quai d'Orsay ».

Il testo di tale progetto di nota è stato già concordato fra S. E. Manzoni e il sottoscritto. Si sottopone quindi a V. E. l'unito telespresso (2), perché V. E. voglia degnarsi -ove l'approvi -di firmarlo.

76

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO

T. P. 4615/19 P.R. Roma, 4 giugno 1932, ore 14.

In rela;;:ione recenti notizie Etiopia abbiamo avuto in questi giorni lunghi scambi di idee con Gasparini. Egli che viene costì direttamente potrà portarti chiama impressione nostra linea di condotta e nostri propositi.

77

L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 3756/336-337 P. R. Addis Abeba, 4 giugno 1932, ore 17 (per. ore 2 del 5).

Barone Franchetti, in data 3 giugno mi ha spedito a mezzo S. E. Astuto, seguente telegramma per Zamboni:

<<Pregati inviare subito Taghegne presso la nota persona comunicandogli che penso molto alle conversazioni con lui avute. Mi riferisci inoltre le comunicazioni che detta persona avesse da farmi. Telegrafami se necessaria mia presenza».

Zamboni ha risposto, per mio tramite, come segue:

«Telegramma di V. S. 3126. Zamboni, prega comunicare barone Franchetti seguente teleg,ramma, nel mentre invia alla E. V. suoi ossequi:

« Grazie per tuo. Considerando invito agire presso persone lndicate e azioni conseguenti, debbo rammentarti che non posso intraprendere iniziativa alcuna senza nota autorizzazione da parte mio Ministero, data opera quale direttore temporaneo società costituita da esso. Ciò in accordo a quanto tu telegrafasti ieri a Ministero Colonie d'accordo con Scammacca. D'accordo con legazione Addis Abeba [ritengo] pregiudizievole tuo ritorno, data anche strana casuale coincidenza tua presenza con avvenimenti attuali. Taghegne doveva essere arrestato e attualmente travasi costretto non uscire da Albergo. -Cordiali saluti -».

Debbo far presente che ora si parla molto sia in città che fuori, ma sopratutto negli ambienti del Ghebi e nell'entourage dell'Imperatore, di pretesa parte che Franchetti avrebbe avuto negli avvenimenti attuali.

E aggiungo che tali voci fanno anche insinuazioni nei riguardi R. legazione. Voci derivano sia da casuale coincidenza viaggio Franchetti sia da sua notoria amicizia con Ras Ailù.

Il Taghegne cui Franchetti allude è lo stesso nipote del Ras, già studente in Italia, e «nota persona» è Cagnasmacc Imer, amministratore di Ras Ailù, che è stato in un primo tempo arrestato e ora è guardato a vista.

Ciò stante, sia nell'interesse del R. servizio, sia per gli scopi dello stesso Franchetti, non mi pare che questo momento sia particolarmente indicato per un ritorno di Franchetti in Etiopia, e mi sembrerebbe anche opportuno che egli sospendesse qualsiasi contatto con ambiente Ras Ailù.

(l) -Con telespr. 211393;'197 clel 13 aprile, non pubblicato. (2) -Non si pubblica.
78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO

T. s. 656/20 R. Roma, 4 giugno 1932, ore 24.

Avvenimenti che vanno svolgendosi in Etiopia (1), interrompendo periodo di stasi e di consolidamento potere imperiale che caratterizzava situazione interna etiopica in questi ultimi anni, potrebbero costituire principio del riaccendersi della lotta fra Imperatore e capi con gravi complicazioni nell'Impero e con possibilità di conseguenze anche nei nostri riguardi.

Come V. E. riconosce. è necessario seguirli dettagliatamente e con vigile cura, onde evitare che essi abbiano comunque a compromettere non solo situazione ed interessi nostri in Etiopia ma funzione che nostre colonie deU'Africa orientale sono destinate per loro situazione a svolgere verso l'Abissinia.

A tale scopo non dubito che V. E. sia già in possesso mezzi necessari per mantenere quei contatti con elementi etiopici periferici, indispensabili a tenere

R. Governo dettagliatamente al corrente, e per svolgere l'azione che si riterrà più conveniente, a seconda degli avvenimenti.

Mi sarà tuttavia gradito che V. E. telegrafi circa limiti sua possibilità a tale riguardo e mi esprima sue vedute su modo migliore di agire in modo che avvenimenti abbiano a svolgersi in senso a noi favorevole.

(l) Allude alla fuga di Ligg Jasu.

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. 658/254 R. Roma, 4 giugno 1932, ore 24.

Prego V. E. ringraziare codesto Governo comunicazione di cui al suo telegramma n. 312 (1).

V. E. potrà aggiungere, senza tuttavia dare alle sue parole il carattere di una vera e propria risposta al promemoria, che sono lieto di constatare da tale comunicazione che il punto di vista di codesto Governo è in via di massima in armonia con quello del Governo fascista.

Come ebbi però a telegrafare al R. ambasciatore a Tokio (mio telegramma

n. -237) (2) per quanto sono favorevole ad un più attivo scambio di idee fra i Governi maggiormente interessati al Pacifico, per altrettanto parmi necessario che, prima di addivenire alla convocazione di una conferenza si siano congruamente elaborate le questioni da discutersi per evitare di giungere a punti morti nel corso della conferenza ovvero di accrescere invece che comporre le divergenze. V. -E. potrebbe anche far rilevare come la comunicazione da noi fatta a Tokio fu appunto determinata dal desiderio di stabilire una maggiore speditezza negli scambi di vedute, senza irrigidirli in proposte e risposte concordate, e come sono lieto di poter dedurre che codesto Governo, nel dare carattere confidenziale alla comunicazione di cui al suo telegramma n. 313, sia proprio nell'ordine di idee sopraesposto.

A prescindere poi da tali considerazioni, se l'accettare oggi la proposta giapponese di una conferenza solo per regolare la questione di Shangai, indipendentemente e quasi ignorando quella mancese, sarebbe un prestarsi al giuoco del Governo di Tokio, il proporre d'altra parte senza preventivi approcci, una conferenza per regolare la vertenza cino-nipponica nella sua integrità, potrebbe provocare nel Giappone un atteggiamento che tutti abbiamo interesse ad evitare.

D'altra parte non si può prescindere dalle difficoltà che presenta la situazione interna giapponese, la quale esige da parte delle altre Potenze interessate nel Pacifico, nello stesso loro interesse, un atteggiamento che, sopratutto nella forma, non valga a provocare reazioni da parte degli elementi nazionalisti e m ilitaristi.

(l) -T. 1884/312-313 del 26 maggio, per. il 27, non pubblicato. (2) -T. 612/237 del 23 maggio, non pubblicato.
80

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 4066/868. Belgrado, 4 giugno 1932.

V. E. con telespresso n. 207133/162 dell'8 marzo u.s. E.L.A. III0 (l) mi autorizzò a comunicare che l'E. V. era disposta a vietare a Fiume la vendita ed eventualmente anche la pubblicazione, qualora ciò risultasse esatto per l'Ustasa, dei fogli di propaganda croata, subordinatamente a che altrettanto si facesse dal Governo jugoslavo per giornali di carattere antifascista e per la tolleranza di centri di agitazione antifascista ed irredentista specie nelle regioni prossime alla frontiera.

In fatto oggi, secondo le comunicazioni dei vari consoli, la Libertà viene venduta soltanto a Spalato. A Sussak secondo comunicazione di quel R. Vice Console, il 22 aprile u.s. la direzione di Polizia ha fatto sequestrare tutte le copie dell'Avanti e di altre pubblicazioni antifasciste trovantisi nella libreria Banic, e non risulta che la vendita sia poi stata ripresa.

Richiamo poi, ad memoriam, il fatto denunciatoci di lancio da Fiume in territorio jugoslavo, dei manifesti antidinastici, e che sarebbe avvenuto il 3 maggio u.s.

Con lettera particolare odierna S. E. Fotig richiamandosi alle assicurazioni date a suo tempo mi afferma che la vendita di fogli ostili alla Jugoslavia ed al suo governo continua liberamente nei chioschi di Fiume.

Sarò grato a V. E. se vorrà indicarmi quale risposta io possa dare a S. E. Fotig.

Evidentemente non ci mancherebbero motivi per giustificare la continuazione della vendita di tali fogli a Fiume. Basterebbero le manifestazioni irredentiste degli stessi Ministri in carica e delle quali è oggetto il mio telegramma per corriere n. 182/94 del l o giugno 1932 (2). Non posso però nascondere a V. E. che ove noi per giustificare la continuazione della vendita ci richiamassimo a questi od altri motivi (per es. la continuata permanenza a Sussak di Adam, cui per altro può corrispondere la permanenza a Fiume di Servazzi ed altri croati antiserbi, oppure gli aiuti che vengono dati all'antifascismo ed agli antifascisti dal Commissario Uicich etc. etc.), ciò produrrebbe qui la netta impressione che ci vogliamo appigliare a cavilli per non adempiere ad impegni precisi presi, e che, almeno formalmente e sia pure con ritardo, sono stati adempiuti dalle autorità jugoslave, ed andremmo rapidamente ad una nuova difficile situazione che tornerebbe poi a vantaggio del governo Marinkovich che potrebbe ancora più liberamente valersi a suo profitto dell'argomento « anti Italia» cosi provvido per tentare di trattenere intorno a Belgrado tutti i sentimeni delle varie schiatte jugoslave, anche se nel momento presente faccia certo minor presa che in passato.

A Fotig non do per ora alcuna risposta, neanche preliminare (3).

(l) -Cfr. serie VII. vol. XI. n. 276. (2) -Non pubblicato. (3) -Annotazione di Fani: «S. E. il Capo dice che Galli deve "cavillare" ».
81

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 44951. Roma, 5 giugno 1932 (per. il 6).

Non è necessario che io richiami l'attenzione della E. V. sull'importanza delle notizie riferite dal Governatore dell'Eritrea nel suo telegramma n. 3098, diretto anche a codesto R. Ministero (1).

La situazione etiopica presenta, direi quasi, due aspetti: oltre quello, ormai facilmente rilevabile, in cui si raffigura il processo di accentramento e consolidamento dei poteri statali. ve n'è un altro, in certo modo nascosto e poco evidente, che denunzia il lavorio assiduo e insidioso delle correnti di resistenza e di opposizione, centrifughe e tradizionaliste. L'esito della lotta fra l'uno e l'altro sistema di forze potrà segnare, a non lunga scadenza, la sorte e l'avvenire dell'Etiopia: la quale indubbiamente attraversa, come dissi altra volta, uno dei momenti più critici, e forse decisivi, della sua storia.

Il nostro interesse a seguire gli avvenimenti è dunque massimo. Ho cercato di sintetizzarlo nel telegramma che ho diretto a S. E. Astuto, e che qui accludo in copia (2). È prematura, per ora, ogni considerazione sul nostro atteggiamento e sulla nostra condotta, se le informazioni non vengano controllate e confermate.

Per un siffatto controllo, io prego anche l'E. V. affinché, ove nulla abbia in contrario, voglia impartire le necessarie istruzioni al R. Incaricato di Affari in Addis Abeba.

82

IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. S. 2044/3195 R. Asmara, 6 giugno 1932, ore 14 (per. ore 24).

Mi riferisco al telegramma 4 giugno (3) barone Scammacca inviatomi per conoscenza.

Trasmisi 3 corrente a codesto ufficio telegramma Franchetti a Zamboni anzi tutto perché trasmissione aveva luogo tramite R. legazione e poi perché Franchetti mi aveva mostrato che detta legazione aveva trasmesso suoi telegrammi a ministero degli aHari esteri. Franchetti ha anche un cifrario R. aeronautica ed io non mi sono opposto egli lo usasse, pur non avendo avuto in proposito istruzioni da mio Ministero.

Naturalmente ho preso sempre conoscenza testo telegrammi spediti.

Per quanto non spetti a me esprimere giudizio su considerazioni fatte da

R. incaricato d'affari nel citato telegramma e per quanto tale giudizio sia ovvio, permettomi dire che approvo in tutto dette considerazioni.

Nulla, mi sembra, è stato mutato a programma concordato da due anni e consistente in un giusto equilibrio fra politica centrale e politica periferica. Se diamo Addis Abeba impressione di brigare od anche soltanto di parteggiare negli attuali avvenimenti, turbiamo questo equilibrio, mentre non sappiamo ancora dove questi avvenimenti sfogheranno.

Dirò anzi che, pur tenendoci pronti a tutto, è uopo per ora almeno essere scettici.

Rivolta Ras Gugsa Oliè, che pure si presentò con aspetti di assai maggior gravità, fu schiacciata con relativa facilità e rappresentò punto iniziale di un rapido e evidente rafforzamento potere centrale. Che cosa sarebbe avvenuto se noi fossimo allora indirettamente e prudentemente intervenuti (come credo che dovremmo fare adesso se movimento prendesse consistenza) non possiamo dirlo: la storia dei fatti che avrebbero potuto verificarsi va bene per gli articoli dei giornali.

Inoltre sono del parere e subordinatamente penso che nostra linea di condotta di fronte possibili se non probabili sviluppi attuali avvenimenti Etiopia dovrebbe essere in funzione esigenze generali situazione politica che soltanto

R. ministero Esteri può valutare.

(l) -Non pubblicato, ma cfr. n. 78. (2) -L'allegato non si pubblica. (3) -Cfr. n. 77.
83

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1165/442. Angora, 6 giugno 1932.

Col telegramma N. 276 del 2 c.m. (l) ebbi l'onore di comunicare all'E. V. le impressioni che questo Presidente del Consiglio volle rendermi note, appena di ritorno, sulla sua visita a Roma.

In treno, durante il viaggio della missione turca da Stambul ad Angora,

S. E. Ismet pascià ha voluto ritornare più lungamente sulla questione, trattenendomi a pranzo con lui insieme col Ministro degli Affari Esteri. Posso affermare che in questi quattro anni in cui ho avuto varie volte occasione d'intrattenermi col Presidente del Consiglio non l'ho mai veduto così soddisfatto e felice come durante questa conversazione in cui mi ha parlato dei suoi colloqui romani.

Alla vigilia della sua partenza egli non mi era sembrato, malgrado tutto, troppo sicuro di riportare un esito completo nella imminente visita. Pur manifestandomi una grande fiducia sulle intese che sarebbero intercorse a Roma, egli mi dette allora l'impressione di una certa preoccupazione sulle conversazioni coi dirigenti la nostra politica che, se non del tutto conformi ai risultati desiderati, non avrebbero forse compensato la ripercussione che esse avrebbero potuto avere sulle relazioni della Turchia con altri paesi, sopratutto con la Francia ed avrebbero potuto creargli all'interno qualche difficoltà. Non va d'altra parte dimenticato che il prestigio politico di cui gode nel mondo il nostro Capo

di Governo inculcava in questo Presidente del Consiglio un certo senso di timidità, che gli dava la sensazione che avrebbe incontrato qualche imbarazzo nello scambio di vedute, che nell'interesse della sua politica, egli si proponeva di avere con S. E. Mussolini. È con vera gioia che Ismet pascià ha constatato di aver trovato tanta semplicità di tratto nello statista italiano, ciò che lo ha messo immediatamente «à son aise;, e gli ha permesso di parlare con lui con quella cordiale franchezza e sincerità che, sebbene costituiscono una caratteristica della sua natura, egli -come ho detto -temeva di non ritrovare al cospetto di S. E. Mussolini. Mi ha raccontato di aver tanto gradito di essersi trovato accanto al Duce, solo con lui, quando questi da Ostia lo ha accompagnato al Grand Hotel, conducendo egli stesso la vettura.

Lascio da parte tutti gli episodi che tanto Ismet pascià quanto i suoi collaboratori hanno raccontato sulla loro visita a Roma, episodi che hanno tutti servito a formare nelle loro menti una grande impressione, certo un duraturo ricordo. Ismet pascià è rimasto particolarmente colpito dalla colazione offertagli nella palazzina della Galleria Borghese, dicendomi che essa ha avuto luogo in uno scenario feerico, unico al mondo, « come unica al mondo è del resto -ha egli aggiunto -la immortale città di Roma 1>. Venendo alla parte sostanziale dei colloqui romani, mi limiterò a riferire che Ismet pascià ne ha soprattutto riportato la ferma convinzione che è precipuo interesse di questa Repubblica che la politica internazionale della Turchia debba rimanere strettamente legata a Roma oltre che a Mosca. Egli ha potuto constatare a quale grado di organizzazione e di forza è giunta l'Italia fascista (lo ha particolarmente colpito l'organizzazione della gioventù che considera l'opera forse più grandiosa del regime) e ciò gli ha permesso di valutare la grande impo.rtanza che nello scacchiere internazionale può avere per la Turchia l'amicizia del grande paese che gode ormai in tutti i consessi mondiali di un così alto prestigio. La fede nella franchezza e lealtà della politica fascista si è profondamente radicata nell'anima di Ismet pascià. Egli ha sentito che ormai in Europa vi sono due sistemi di politica, quello della chiarezza e sincerità e quello degli intrighi. I regimi fascista, kemalista e sovietico costituiscono il primo sistema, il secondo fa capo a Parigi. Il suo Governo, in piena concordanza con il Gazi, rimarrà strettamente legato a Roma e a Mosca, stanco, quasi nauseato di tutta quella politica di intrighi e perfino di riscatto che si vuoi fare alla Turchia in certi paesi che troppo abusarono del distrutto regime capitolare e non vogliono decidersi a dimenticarlo.

Ismet pascià mi diceva tutto questo dando la sensazione di sentirsi felice per essersi potuto liberare dall'incubo della pressione che gli viene esercitata da certi centri finanziari europei, al servizio della politica di Governi che credevano essere venuto ormai il momento di aggiogare, col denaro, il carro della Repubblica kemalista alla loro politica, oggi qui non molto gradita. Ismet pascià se ne era preoccupato sia perché la situazione finanziaria del paese andava diventando effettivamente assai delicata, sia perché in questi stessi circoli parlamentari vi è una corrente non molto favorevole ad Ismet pascià, che ne trae argomento per fare opera critica contro il suo programma politico. Ora egli sente il suo programma di politica estera rafforzato; anche in questo campo egli riporta una vittoria sui suoi oppositori, ha fatto avanti a me vivi elogi al Ministro degli Esteri per averlo incoraggiato a sostenere questo orientamento politico e a non deflettere davanti a nessuna difficoltà e contrarietà; ha sentito in una parola che la svolta in cui la politica estera della Turchia si era messa da qualche anno, era divenuta ormai una via diretta e sicura in cui la giovane repubblica avanza verso i suoi più sicuri destini. È inutile aggiunga che ciò che ha dato maggiore soddisfazione al Primo Ministro, agli effetti sopratutto della sua politica interna, è stata l'operazione di credito accordata dall'Italia al Governo di Angora. Prima della sua partenza per Roma, egli mi aveva parlato, come telegrafai, della vasta portata politica che avrebbe avuto questo prestito e della grande importanza che pertanto egli vi annetteva. Ha aggiunto che non conosceva ancora le condizioni del prestito stesso; aspettava al riguardo l'arrivo da Milano del Direttore della Banca Commerciale di Stambul e sperava vivamente che l'intesa sarebbe stata facile; si sarebbe eventualmente rivolto all'Ambasciata per suggerimenti ed appoggi se difficoltà fossero sorte.

Il prestito che l'Italia ha fatto dei 300 milioni ha formato oggetto di particolari commenti in questi circoli diplomatici stranieri. Essa è giunta inaspettata. È stata accolta da alcuni con molta simpatia, così particolarmente dal generale Sherill, Ambasciatore degli Stati Uniti, che ha espresso davanti a me calorose felicitazioni a Ismet pascià per tutti i brillanti successi riportati a Roma e ne ha preso occasione per dirgli quanta grande stima e devozione egli abbia per il Capo del Governo fascista. Il Ministro di Grecia e di Bulgaria si sono affrettati a far visita a questo Ministro degli Esteri, appena di ritorno da Roma, per avere da lui notizie sui risultati del viaggio ed esprimergli il loro compiacimento per i successi ottenuti nel campo politico e finanziario, successi che vengono a consolidare e sviluppare la politica di amicizia con Roma dei tre Stati Balcanici. Tutti i Capi Missione stranieri si sono del resto recati in questi giorni a far visita a Tefìk Ruscdi bey o a Ismet pascià. A tutti, i due uomini di Stato hanno sinceramente manifestato la loro viva soddisfazione per i contatti avuti, in modo naturalmente più o meno ostensivo. Per quanto concerne la ripercussione in Francia, Ismet pascià, appena vistomi a Stambul, si è affrettato a domandarmi in un orecchio, sorridendo, che cosa mi risultasse degli «umori del Conte Chambrun ». Gli ho risposto che non lo vedevo da qualche tempo. Lo avevo incontrato veramente in un Restaurant poche sere prima, quando la missione turca salpava per Brindisi. Volle brindare con me << aux heureux résultats du voyage à Rome». Non credo che egli desse una troppo grande importanza a quell'incontro. ~~ rimasto quindi molto colpito dei suoi risultati, specialmente della conclusione del prestito, vedendo per il momento fallita la sua convinzione e annullati i suoi sforzi per quanto si riferisce alla necessità per il Governo di Angora di recarsi a Canossa a fin di salvarsi dalle critiche difficoltà finanziarie in cui si dibatte il paese. L'Ambasciatore di Francia è rimasto dunque alquanto disilluso al riguardo, pur ritenendo che trattasi di semplice « partie remise ». Voglio qui ricordare che il Conte Chambrun sembra convinto della impossibilità per la Francia, che va sempre più perdendo qui terreno, di fare una utile politica ad Angora se non viene chiarificata la sua situazione nei riguardi dell'Italia, chiarificazione di cui egli si è spesso dichiarato assertore, non so se per sincera convinzione o per meglio preparare la sua candidatura all'Ambasciata di Roma cui vivamente aspira.

Egli è stanco in ogni modo di rappresentare qui una politica senza successi. È facile comprendere quali considerazioni esporrà nei commenti che farà al Quai d'Orsay della visita d'Ismet a Roma; egli cercherà anche trovarvi nuovi argomenti per tentare di ottenere altra destinazione. Ma il Quai d'Orsay da qualche giorno ha cambiato titolare; la partenza di Tardieu, suo amico personale, deve avere contribuito al malumore dell'Ambasciatore di Francia.

Ismet pascià mi ha anche accennato alle conversazioni che egli ha avuto a Atene nelle due fermate durante il viaggio per e dall'Italia. Mi ha detto di aver ascoltato da quegli uomini politici parole di viva soddisfazione per la loro politica di amicizia con l'Italia e di sincera gratitudine per quanto i dirigenti fascisti fanno per la Grecia; ha aggiunto di essere convinto che qualunque Governo si formi ad Atene esso seguirà sempre una politica estera basata sull'amicizia con Roma ed Angora e si adopererà per definire le pendenze con la Bulgaria a fin di completare e rafforzare quel sistema di amicizia; mi ha anche informato che però tanto Venizelos, nel viaggio di andata, quanto Papanastassiu, nel viaggio di ritorno, non gli hanno nascosto la loro preoccupazione e il loro imbarazzo per la critica situazione interna del paese.

Riferirò, concludendo, che Ismet pascià si è compiaciuto meco, nel viaggio verso Angora, della soddisfazione che certamente gli avrebbe espressa con tutta sincerità il Gazi.

Il Presidente della Repubblica si è recato per la prima volta alla stazione della capitale, insieme ad una grande folla di diplomatici e di notabilità nonché di popolo, ad attendere il primo Ministro ed abbracciatolo lo ha messo nella propria vettura e lo ha condotto immediatamente nella sua residenza (1).

(l) Non pubblicato.

84

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 4104/876. Belgrado, 6 giugno 1932.

V. E. avrà già rilevando dalla « Stefani » di ieri e dalla Rassegna stampa, che il Vreme ha dato notizia di altri manifesti antijugoslavi che sarebbero stati trovati a Sussak in un vagone ferroviario proveniente da Fiume.

Per comodità trascrivo qui di seguito integralmente quanto il Vreme ha pubblicato: «La parte misteriosa del posto di frontiera italiano "Casa Rossa". Come dall'Italia si fanno passare i fogli di propaganda nel nostro Regno.

Sotto tale titolo dice che il Vreme come pure gli altri giornali di Belgrado, Zagabria e Lubiana hanno pubblicato il 20 dello scorso mese la notizia che l'autorità di polizia ha trovato a Sussak un pacchetto di fogli volanti su cui si leggeva l'intestazione: «Il Re ed il popolo contadino», e nei quali si attacca

l'esistente forma di Governo in Jugoslavia. Detto pacchetto, come fu stabilito, fu gettato da uno sconosciuto attraverso il canale da una casa a due piani di Fiume.

Lo stesso giorno i giornali recavano un'altra notizia da Banja Luka in cui era detto che il dottor Gutic fu arrestato per la diffusione di certi fogli volanti. Venne constatato che essi erano dello stesso contenuto di quelli fatti passare da Fiume a Sussak.

Ieri il Vreme ha ricevuto da Sussak la seguente informazione: «Ieri in un vagone aperto sulla banchina Karadjordje fu trovato un pacchetto che conteneva dei fogli volanti contro il sistema esistente in Jugoslavia, proclami degli emigranti croati, alcuni esemplari del Gric e dell'Ustas, come pure delle caricature delle personalità più importanti della Jugoslavia.

Il vagone in cui fu trovato il pacchetto giaceva la scorsa notte insieme ad altri vagoni sulla banchina Karadjordjevic un metro e mezzo lontano dal recinto di frontiera.

È della più grande importanza il fatto che nell'immediata prossimità del recinto si trova una casa di Fiume, nota sotto il nome di «Casa Rossa». Siccome il vagone jugoslavo giaceva aperto sul posto sopra indicato, è del tutto giustificata l'affermazione che il pacchetto rinvenuto fu gettato durante la notte attraverso la frontiera dalla parte di Fiume ed indubbiamente dall'edificio «Casa Rossa » che è il più vicino e sarebbe tanto più difficile respingere questa ipotesi in quanto questo è il secondo caso che dallo stesso posto si gettano simili fogli volanti su territorio jugoslavo.

Come si vede la «Casa Rossa» di Fiume viene ad acquistare speciale significato se si osserva come il centro da cui si fanno passare fogli volanti ed altre pubblicazioni destinate alla propaganda contro la Jugoslavia. Perciò ora si parla molto di essa e si afferma anche che nella « Casa Rossa » si trova tra gli altri un ufficiale del servizio informativo italiano. Inoltre si fa risaltare che nella immediata vicinanza dell'edificio si trovano anche i carabinieri cosicché la loro presenza getta speciale luce su questa sistematica introduzione di fogli volanti in Jugoslavia».

Nell'articolo del « Vreme » le insinuazioni per il Colonnello Cosmacini dimorante nella « Casa Rossa» sono quelle che Karovic fece a me, e che respinsi.

Denuncia della pubblicazione dell'Ustasa a Fiume, impegno da me preso in seguito a precisa autorizzazione di V. E. che la eventuale pubblicazione e la vendita di fogli antijugoslavi sarebbe proibita a Fiume, assicurazione che un'inchiesta verrebbe fatta a Fiume per il lancio dalla «Casa Rossa» dei manifesti antidinastici avvenuta il 3 maggio, ed ora nuovo fatto (se realmente verificatosi) sono un seguito che pone una questione delicatissima ed imbarazzantissima.

Vedrà V. E. se e quali istruzioni darmi per il caso che qui mi si parli di questo nuovo incidente.

Mi sia però consentito ripetere fino alla sazietà il sommesso parere che il continuare di tale propaganda antijugoslava attraverso il nostro territorio mentre aiuta debolissimamente od insignificativamente l'agitazione effettiva esistente in Jugoslavia, giova in ultima analisi al Governo Marinkovic la cui tesi è che la situazione interna è idilliaca, che le congiure e gli attacchi vengono solo dall'emigrazione rinnegata e venduta allo straniero che la alimenta e la sovvenziona e la consiglia attraverso gli avventurieri internazionali come lo Zingarelli etc. etc. Ed a siffatti argomenti molti finiscono con l'abboccare, annullando perciò il valore ed il significato di quanto effettivamente si svolge all'interno e la cui responsabilità è rigettata su Austria, Ungheria, Bulgaria ed Italia, che di tutte queste potenze sovvertitrici ed avide di territorio altrui sarebbe secondo l'opinione jugoslava il massimo sostegno.

Ciò a parte ripeto la delicatissima posizione diplomatica nella quale possiamo eventualmente venirci a trovare.

(l) Il documento reca il visto di Mussollni.

85

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. PER CORRIERE R. 2076/405 R. Berlino, 7 giugno 1932 (per. il 9).

Da parte di persona che ha fiduciosi contatti con la Willhelmstrasse vengo informato che la grande maggioranza dei membri del Gabinetto è convinta di dare alla politica estera tedesca una direttiva che l'avvicini sempre più all'Italia, come pure della necessità all'interno di valersi dell'esperienza di Governo e di amministrazione fatta nel Regno dal Fascismo. Questa tendenza sarebbe già così progredita, che nella mente di alcuno dei ministri si culla l'idea di invitare

S. E. il Capo del Governo a restituire a Berlino, nell'estate o nell'autunno prossimo, la visita fattagli l'altro anno dal cancelliere Briining. Gli occhi sono rivolti a Roma! mi diceva il mio informatore, ma non solo verso palazzo Venezia, anche verso il Vaticano.

Non essendo riuscito al generale von Schleicher il colpo tentato con la scelta di von Papen di causare una scissione nel «Centro», si starebbe tentando un'altra strada per neutralizzare presso la Curia romana l'autorità e la simpatia del prelato Kaas e del dott. Brtining, passati ormai all'opposizione la più decisa. Von Papen rappresenta nelle schiere cattoliche tedesche il gruppo di quegli aristocratici contrari ai sindacati e all'indirizzo culturale religioso del Centro, che ha trovato modo di essere alleato finora con la massoneria e il marxismo (chiamato Kulturbolscevismus). È per mezzo di quei nobili renani e della Slesia e dei loro parenti austriaci che von Papen spera arrivare all'orecchio del Sant. Padre, « né gli sarà difficile», osservava il mio informatore, perché il Vaticano in ultima ratio finisce sempre e dovunque per ricongiungersi con chi detiene il potere. Per arrivare a ciò von Papen sa bene esser necessario togliere di mezzo a Roma un focolare di simpatie e di intrighi del Centro. Questo focolare è nell'ambasciata di Germania presso la Santa Sede. Forse non sarà necessario perciò cambiare S. E. von Bergen, ma basterà che questi si liberi di qualche prete intrigante che è nella sua ambasciata.

Riferisco quanto precede a titolo di informazione.

11.3

11 -Dorumenti cliplomatici -Serle VII -Vol. XII

86

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO (l)

T. R. S. 674/24 R. Roma, 9 giugno 1932, ore 23.

Suoi telegrammi 3195 (2) e 3210 (3).

Concordo con V. E. che avvenimenti svolgentisi in Etiopia debbano essere attentamente seguiti, e che nostro atteggiamento debba continuare ad inspirarsi direttive politiche da tempo fissate e ben note a V. E. Istruzioni in tal senso sono già state telegrafate R. legazione Addis Abeba.

Questione progettato ritorno Franchetti in Etiopia verrà esaminata, tenendo conto degli avvenimenti, quando egli giungerà a Roma giusta quanto ha già annunciato.

87

IL MAGGIORE RENZETTI ALLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO (4)

APPUNTO. Roma, 12 giugno 1932.

Il nove corrente. il sottoscritto ha avuto l'onore di prospettare a S. E. il Capo del Governo il vivissimo desiderio manifestatogli personalmente da Hitler di venire a Roma a rendergli visita. Hitler vuol rendere omaggio al Duce del Fascismo e al Capo della Nazione con cui egli intende la Germania stringa vincoli duraturi di amicizia: vuole iniziare le sue visite ai Capi di stati esteri a cominciare dall'Italia fascista verso cui si rivolgono le sue maggiori simpatie: ritiene infine che la visita al Duce. presso le masse tedesche sia decisamente favorevole al suo movimento.

Hitler, ho detto, desidererebbe compiere la visita nel periodo che va dal l o a 15 luglio. In tale giorno desidererebbe essere nuovamente in Germania per condurvi la lotta per la elezione del nuovo Reichstag. Ho aggiunto che a mio parere, con il fare la visita, Hitler avrebbe assunto un impegno d'onore verso l'Italia: che con essa si sarebbe definitivamente compromesso. Che d'altra parte la influenza della visita non avrebbe mancato di avere le sue ripercussioni sul Capo delle Camicie brune, che è in fondo un sentimentale, perché avvenuta prima della sua forse prossima andata al potere. Che infine sulla condotta politica futura di Hitler avrebbe esercitato enorme influenza quanto il Duce gli avrebbe detto.

S. E. il Capo del Governo ha dato di massima parere favorevole alla visita (5). Hitler verrebbe in civile in Italia per due o tre giorni: renderebbe visita a S. E. il Capo del Governo e a S. E. il segretario del Partito. Sarebbe ospite di

quest'ultimo. Gli potrebbero venire mostrate la Milizia, e quanto si riterrà opportuno. La visita non sarebbe tenuta nascosta per evitare congetture fuori luogo da parte dei nostri avversari.

Ho detto infine che l'annuncio della visita avrebbe potuto avvenire solo all'atto della partenza di Hitler che certo avrebbe avuto luogo dopo la chiusura della conferenza di Losanna.

S. E. il Capo del Governo mi ha poi ordinato di prendere gli accordi relativi alla visita con il Gr. Uff. Chiavolini suo Segreta.rio particolare. È in omaggio a tali ordini che ho riepilogato quanto sopra.

Io n~turalmente non ho comunicato nulla a Hitler o ad altri tedeschi, in attesa appunto delle istruzioni del Gr. Uff. Chiavolini delle quali resto in attesa e che io naturalmente seguirò alla lettera. Tali istruzioni riguarderebbero:

a) l'epoca prescelta per la visita;

b) il giorno in cui lo scrivente dovrebbe comunicarla ad Hitler;

c) le modalità della visita (manifestazioni, programma, servizio di sicurezza per tenere sopratutto distanti gli importuni ed i curiosi ecc.).

Lo scrivente non ha fatto assolutamente alcuna promessa ad Hitler: non nasconde però che questi tiene in modo particolare alla visita stessa. Si rende conto, -io gliel'ho spiegato in passato -, delle ripercussioni internazionali cui essa potrebbe dare luogo, ma nello stesso tempo ritiene che queste attualmente non sarebbero gravi dato che ormai il suo partito si può considerare come fosse al Governo e rimarrebbe impressionato qualora la visita non avesse luogo. Egli mi ha dichiarato che naturalmente, anche senza la visita, la sua politica rimarrebbe quella che ha annunciato, ma è certo che probabilmente si verrebbe a perdere forse una parte di quella influenza che su di esso può venire esercitata e che potrebbe esserci utile qualora la nostra politica volesse servirsi di Hitler (1).

*Lo scrivente parte questa sera per recarsi a visitare i suoi genitori che non vede da un anno e mezzo circa, a Sanbenedetto del Tronto: vi rimarrà sino a martedì, giorno in cui ripartirebbe per Berlino. Naturalmente tornerebbe a Roma qualora gli venisse ordinato. (Indirizzo Piazza Battisti l)* (2).

(l) -Il telegramma fu inviato, per conoscenza, al Ministero delle Colonie. (2) -Cfr. n. 82. (3) -T. s. 3814/3210 P. R. del 6 giugno, non pubblicato. (4) -Da A C S, Segreteria del Duce, fase. Hitler 442/R; ed. in CoLLIER, pp. 465-466. (5) -Appunto di Renzetti in data 9 giugno 1932: Mussolini gli ha detto che riceverà Hitler fra il lo e il 15 luglio (ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Hitler 442/R).
88

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI (3)

T. PER CORRIERE 284. Parigi, 12 giugno 1932.

Invitati dal Presidente Herriot sono qui giunti jeri da Londra il Primo Ministro Macdonald ed il Ministro degli Affari Esteri Simon per un colloquio col Governo Francese prima di andare alla Conferenza di Losanna.

La dichiarazione programmatica del Gabinetto Herriot è stata ben accolta in Inghilterra. Questa notizia ripercosse favorevolmente sull'opinione pubblica Francese. Quella successiva della visita a Parigi dei Signori Macdonald e Simon ha riaperto qui larghe speranze alla distensione, anche malgrado discordanza

o divergenza di tesi fondamentali, delle relazioni Anglo-Francesi, sino a poter stabilire una azione concordata, un metodo comune di procedura, alla Conferenza di Losanna, e far fare un passo alla soluzione delle questioni riparazioni, debiti di guerra, disarmo, e riassetto economico finanziario mondiale.

Questa sera, i colloqui parigini saranno terminati e si avrà il comunicato che potrà fornire qualche indicazione sui loro risultati.

Rilevo intanto nel Petit Parisien di stamane la seguente informazione del redattore speciale Albert Jullien in materia di possibile soluzione per la questione riparazioni. Il solo risultato possibile delle conversazioni di Parigi su questo punto, egli scrive, è forse quello di una specie di moratoria di procedura di cui si profitterebbe per far ricercare da una speciale Commissione di studio, il mezzo o di prolungare per una durata indeterminata la moratoria dei pagamenti che spira il 30 giugno, o di arrivare ad un sistema di compenso che annullerebbe allo stesso tempo debiti e riparazioni. Questa combinazione lascerebbe effettivamente agio di poter più tardi avviare un'efficace conversazione con gli Stati Uniti.

Queste parole possono trovar chiarimento, credo, nel discorso che mi teneva jeri un membro del Gabinetto il quale mi diceva esser vano pensare che gli Stati Uniti rinunzino senza compenso ai loro crediti, in tal modo riportandoli sul contribuente americano: potersi invece sperare che qualora con decisioni internazionali appropriate (vedi Conferenza economica) si possa giungere a rialzare prezzi delle materie prime e quindi a rialzare titoli di borsa e loro rendimento, a riattivare traffici e trasporti, si possa conteggiare questo vantaggio effettivo con gli Stati Uniti come loro compenso per la cancellazione dei debiti e quindi anche delle riparazioni.

(l) -Annotazione marginale: «S. E. consente che si organizzi il viaggio. Per 1 particolari visto che H. sarà ospite del partito, Renzett! prenda accordi con Starace >>. (2) -Il brano fra asterischi non è edito in COLLIER. (3) -Da Carte Grandi.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

R. R. 3552/2079. Parigi, 12 giugno 1932.

Jeri due conversazioni hanno avuto luogo: una tra il Generale Piccio e l'ex Ministro Laurent Eynac ora membro alla Delegazione Francese alla Conferenza del Disarmo; l'altra tra me e Emile Roche et Pierre Dominique, direttore e redattore della Republique, con successivo intervento dell'On. Patenòtre Sotto Segretario alla Economia Nazionale. Entrambe d'iniziativa non Italiana; entrambe private e libere.

Ne riferisco qui appresso.

Laurent Eynac si è espresso nel senso che la situazione Italia Francia è peggiorata quanto alla probabilità di un chiarimento, dopo i nostri atteggiamenti a Ginevra, dopo il discorso di V. E. al Senato, dopo gli ultimi salti d'umore della stampa Italiana contro la Francia; non v'è più nulla da fare: la situazione è giunta ad un punto cieco. Il Generale Piccio ha risposto rilevando che fosse o non fosse tale la situazione, lo stato attuale di cose è la conseguenza di atteggiamenti francesi sia nel campo di questioni internazionali sia nel campo delle vertenze dirette Italo Francesi. La conclusione è stata che il Signor Laurent Eynac conta poter conversare a Ginevra con V. E. Egli è capo del gruppo della sinistra radicale che appoggia l'attuale Gabinetto Herriot.

Il colloquio con Emile Roche e con Pierre Dominique ha avuto interesse come chiarimento di situazione. A me premeva controllare la ripercussione e la reazione del discorso di V. E. degli ultimi articoli della nostra stampa, del silenzio dei nostri giornali di fronte all'avvento del Gabinetto Herriot.

La ripercussione è assai sensibile: direi anzi forte. La reazione non arriva, invece, al punto di intaccare l'intenzione ed il programma di cercare il chiarimento con l'Italia. Anzi il fatto che il Roche, direttore, ha questa volta portato seco anche il Pierre Dominique perché fosse non solo presente al colloquio generale ma potesse oltre ad incontrarmi, avere conversazione diretta con me, è un segnale che non solo non si rinunzia, ma si vuol intensificare l'azione iniziata.

Ecco i principali particolari del colloquio.

Ho preso l'offensiva io per quel che concerne gli articoli della stampa Italiana. Mi consenta però V. E. di rilevare l'errore e l'inopportunità, specialmente dopo quanto V. E. ha indicato nel discorso al Senato circa alcuni articoli del Popolo d'Italia, di varie frasi della corrispondenza <<Indici» da Roma al Popolo d'Italia del 7 corrente. L'atteggiamento Italiano e la sostanza degli articoli della stampa italiana ho detto io, dopo il mancato attentato Sbardellotto, sono pienamente giustificati dalla tolleranza che si è avuta in Francia per gli antifascisti. Oggi, dopo la morte del Chiesa, del Turati, del Donati, dopo la fine del Nitti, con la nullità di influenza del Treves del Modigliani, con l'azione isolata del Salvemini, dello Sforza; oggi, dopo l'accertamento della correità del Cianca, del Rosselli del Triaca con Berneri nella preparazione di atti terroristici in Italia; dopo i voli del Bassanesi e del de Bosis, dopo la predominanza presa nella Concentrazione Antifascista dello scorso autunno da elementi che mirano esclusivamente ad agire terroristicamente contro il Fascismo, non si può più oll:estamente parlare di asilo politico: non si è più di fronte ad emigrati politici, ad azione politica: si è di fronte a dei delinquenti comuni, a gente che ha perso l'ultimo barlume della linea politica e che agisce terroristicamente. Leggete nei giornali Italiani i particolari dei processi in corso per gli atti terroristici avvenuti in Italia e vi troverete particolari precisi in proposito. A nulla ha valso, ho continuato, che io denunciassi per iscritto al Governo Francese le violazioni dell'ospitalità politica da parte della Concentrazione. Il Quai d'Orsay non ha nemmeno risposto: forse perché, non poteva rispondere; se un giorno venisse la resa di conti io ho in mano mia una documentazione schiacciante contro il Quai d'Orsay. Il Governo Francese ha ben saputo contenere il fuoruscitismo Spagnolo repubblicano, lo ha perfino confinato al nord della Loira: nulla ha fatto invece per quell'Italiano. Nessun Italiano vi chiede misure contrarie al giusto diritto d'asilo: tutti gli Italiani sono invece sdegnati e offesi della parzialità francese a favore degli antifascisti.

II Dominique col quale ho più a fondo discusso di questo punto, ha ammesso che effettivamente si è usato 2 pesi e 2 misure tra profughi politici Italiani e altri profughi politici, ma ha rilevato la maggiore avversione sostanziale e formale che in Francia si ha contro il Fascismo specie da parte di alcuni elementi della sinistra, e la difficoltà quindi di prendere provvedimenti contro gli antifascisti. Ho replicato che non chiedevamo misure straordinarie, speciali: no, chiedevamo la applicazione regolare e corretta delle norme internazionali e delle disposizioni vigenti. Egli ha finito per consentire che in questa forma, con atti isolati, giustificati caso per caso, atti presi senza rumore, «mais qui n'échapperont pas à l'Ambassadeur qui pourra ainsi les denoncer à son Gouvernement », potrà esser fatto qualcosa su questo punto.

Tanto il Roche che il Dominique han detto che di fronte ai partiti interni francesi la situazione circa la questione Italiana ed il Fascismo Italiano è la seguente: l'Italia dev'ormai esser persuasa che essa non può sperare in chiarimenti da parte della destra francese: non si può, per quel che concerne i socialisti ottenere di più di quanto è già ottenuto, ossia di un loro atteggiamento non contrario a un chiarimento coll'Italia fascista; il socialismo francese non 1'2.pprova, consente a non fare opposizione; l'Italia può invece pensare che può giungere ad un chiarimento colla sinistra Francese. Ed infatti essi hanno detto, la maggior parte della sinistra è già guadagnata alla causa del chiarimento; resta contraria la « Lega dei diritti dell'uomo »; anche essa è già scossa ed un'azione ulteriore sarà fatta per vincere anche gli attuali irreduttibili (il Basch, il Guernut etc. etc.). Diremo loro, tra l'altro, hanno detto essi, che veramente non si potrebbe spiegare che si voglia migliorare la situazione con l'U.R.S.S. bolcevica e si sia invece intransigenti e contrarli con l'Italia Fascista.

Si è parlato molto, e anche in particolari, delle varie divergenze Italo Francesi. In materia di espansione territoriale a favore Italiano il Dominique ha accennato all'Etiopia precisando ad un disinteressamento economico francese a favore dell'Italia. Mi ha chiesto cosa ne pensavo; ho risposto che non vedevo chiaro e non poteva pronunziarmi.

Quando è intervenuto l'On. Paten6tre, la conversazione ha preso un carattere più generico e più largo. II Paten6tre che si interessa essenzialmente ai problemi economici ha accennato alla costituzione tra Italia e Francia di un Comitato di studi economici come quello istituito dal Lavai tra Francia e Germania, in modo da creare correnti ed interessi economici tra i due paesi che pesino favorevolmente a pro' del chiarimento politico. Ho detto che l'idea meritava studio simpatico, tanto più che siccome egli Paten6tre sembra dover esser incaricato del Gabinetto alla questione dei contingentamenti commerciali egli potrà influire a togliere questi impedimenti allo sviluppo dei traffici tra i due paesi. Noi Italiani non domandavamo di meglio di veder aboliti i contingenti e di vedere i traffici Italo Francesi liberati da inutili difficoltà doganali.

Questo è il resoconto delle più importanti parti della conversazione.

II Dominique ha già scritto sulla Republique del 5, 6, e 9 corrente, 3 arti

coli « l'heure de l'Italie » che marcano la sua conversione a favore del chiari

mento con l'Italia e la cessazione della sua opposizione settaria al Fascismo.

Li accludo perché V. E. possa leggerli. Preciserò poi che nel parlare della situazione della Francia di fronte a certe riforme del Fascismo e di fronte ad alcuni problemi francesi interni che minacciano complicazioni anche serie, il Roche osservò che la Francia è oggi indietro di fronte all'Italia in punto di legislazione sociale come era prima del 1914 di fronte alla Germania.

Il Signor Roche verrà a Losanna ed a Ginevra. Egli farà parte della missione Francese per Losanna. Si farà accompagnare dal Signor Dominique. Questi si chiama Lucchini Pietro è corso. Mi hanno espresso il desiderio di esser ricevuti da V. E. Prego V. E. voler conceder loro udienza, se la domanderanno: sarà utile sotto ogni rapporto; non fosse che quello della possibilità per me di mantenere questi contatti per trame il possibile vantaggio pel mio paese.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Ginevra, 13 giugno 1932.

Viaggiando da Roma a Ginevra mi è capitato sotto mano, tra altri giornali inglesi, questo numero (è l'ultimo) del Punch, colla pagina che Ti segnalo e che è molto interessante, dato quello che il Punch significa nella vita inglese.

Sembra che da dieci anni si discuta a Londra sull'opportunità o meno di conservare un ponte al posto in cui si trova, oppure di costruirne un altro!

P. S. -A proposito di quanto ebbi a dirTi circa l'atteggiamento della stampa italiana nei riguardi dell'America sul problema debiti-riparazioni, prima che io partissi sabato (1) è venuto l'Ambasciatore Garrett per segnalarmi l'articolo della Tribuna. Tutto ciò in tono molto cortese ed amichevole, e coll'aria non di un uomo che intendeva protestare, ma solo di essere illuminato su queste manifestazioni anti-americane sulle quali la stampa italiana sta insistendo specie da qualche po' di giorni in qua, e che hanno disorientato (dice Garrett) i numerosi corrispondenti americani da Roma e anche l'Ambasciata americana.

Ho detto a Garrett che anche Tu avevi notato la cosa e che l'avevi opportunamente segnalato al Tuo Capo Ufficio Stampa, non rientrando affatto questo indirizzo nelle Tue direttive.

Ne ho infatti accennato a Polverelli, prima di partire, nel senso da Te autorizzatomi. Mi sembra (salvo ordini contrari che Tu credessi di dare in seguito alla stampa italiana) che non ci convenga (almeno per ora) che i nostri giornali, con titoli od articoli, creino il «miracolismo » attorno alla Conferenza delle Riparazioni, la quale non concluderà nulla; e non convenga parimenti che i giornali assumano atteggiamenti estremi che, proporzionati ai modesti probabili risultati finirebbe col determinare delusioni nella coscienza

pubblica italiana, ossia proprio di quel paese il quale è, fra tutti, l'unico che può assistere senza eccessive preoccupazioni al fallimento della Conferenza di Losanna, non avendo in questo campo né i gravi problemi della Germania, né quelli che ha la Francia né quelli che ha la Gran Bretagna.

Mi pare da quello che Tu mi dicesti che anche Tu sei dello stesso parere. Ai giornalisti italiani di qui io faccio raccomandare di attenersi a servizi di cronaca, e nient'altro. Poi vedremo in seguito.

(l) 11 giugno.

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COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ED IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DEL DISARMO, HENDERSON

APPUNTO. Ginevra, 13 giugno 1932.

Faccio una visita di dovere al Presidente della Conferenza. Trovo Henderson in cattiva salute. Egli mi fa grandi accoglienze. È malcontento del come procedono i lavori della Conferenza e adirato contro Macdonald per averlo questi lasciato all'oscuro delle conversazioni fra i rappresentanti delle Grandi Potenze sul disarmo. Henderson è convinto che nei prossimi quindici giorni si deciderà delle sorti della Conferenza. O si fa qualcosa, o si chiude. Mi domanda con grande interessamento e simpatia di Musso lini esclamando: « Dacché vengo a Ginevra, ossia da tre anni, ho visto cambiare due volte il Governo britannico, tre volte il Governo tedesco, non so quante volte il Governo francese. L'unico Governo stabile, che fa sul serio, che sa quello che vuole è il Governo italiano ».

Cosi parla Henderson, l'ex-Segretario della Il" Internazionale!

92

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

N. 13476 R. S. Roma, 13 giugno 1932.

Ho esaminato nuovamente e a fondo lo schema di proposte che -secondo l'intestazione appostavi -avrebbe dovuto essere presentato nella seduta del «Bureau» del 14 corrente.

Posso con tutta persuasione confermarti, ed in ciò so di essere d'accordo con te, che una tale iniziativa, specialmente in questo momento, non ci conviene. Difatti, senza alcuna ragione, almeno per quanto io ne so, noi abbandoneremmo quella posizione limpida e logica sinora tenuta, e che tanto successo ha conseguito, per ritirarci, senza la pressione del nemico, su una posizione intermedia, svalutando così la bontà della tesi finora sostenuta e che nessuno

ha osato combattere di fronte. Ciò tanto più che queste proposte non allontanano i due pericoli che si potrebbero temere: quello della riduzione degli effettivi e quello della riduzione dei bilanci.

Sono d'accordo perciò con te, che la questione qualitativa non sia affatto tramontata. Altre potenze possono avere interesse a farlo credere e a fingere di dimenticarla: ma io ritengo che sia conveniente e possibile resistere, sia pure senza attaccare, sulle linee di essa, per sfruttarla fino alla fine. Ci sarà così dato anche modo di conoscere bene le proposte di tutti gli altri Stati e di manovrare tra di esse, in maniera da tenerci sempre indirizzati verso la nostra mèta: parità a livello qualunque, ma parità. E ad ogni modo non possiamo, negli armamenti terrestri, interrompere quel modesto piano di armamenti iniziato nel '30 e che avrà termine nel '36.

Dal punto di vista tecnico, allo schema di proposte in esame non ho nulla da osservare per quanto riguarda la guerra chimica e batteriologica.

Per quel che concerne i materiali terrestri, certo, noi potremmo, in una tregua di tal natura, continuare la costruzione, ora in corso, della maggior parte di essi; dovremmo però rinunciare a qualcuno dei più potenti recentemente studiati. La tregua stessa però consentirebbe agli altri (Francia e suoi satelliti) di continuare negli armamenti accelerati. Può anche darsi che, ove questa tregua lasci ì consueti limiti del trattato di Versailles alla Germania, questa non la accetti; ed allora si avrebbe un siluro della Conferenza da parte sua. A noi converrebbe invece che la Germania potesse armarsi.

Per quanto si riferisce agli effettivi, devo dare parere completamente contrario ad accettare una tregua basata sugli effettivi attuali «reali». A malincuore l'accetterei sugli effettivi << legali»; dico a malincuore, perché l'equità vorrebbe che prima gli effettivi si rendessero paragonabili tra loro. Non è difatti possibile calcolare allo stesso modo gli uomini di leva (Italia) ed i raffermati (Germania, totalmente; Francia, per la metà dell'esercito). E questo problema è ancora da svolgere e da sfruttare. Anche in fatto di effettivi non dobbiamo comunque renderei più difficile ancora la possibilità di far fronte a talune eventualità (Etiopia).

Soggiungo che il progetto americano può forse essere per noi di qualche interesse, quando siano introdotte modificazioni aderenti alla realtà delle cose nostre. Ma devo ancora studiare la questione, sulla quale non potrei, ora come ora, esprimere alcun parere.

Circa i bilanci: al riguardo dell'omogeneità -argomento di cui abbiamo parlato -ho sottoposto a profondo esame se vi sia la convenienza da parte nostra di sventolare simile principio. Orbene,, se dovesse per caso prevalere la tesi inglese di una riduzione percentuale uniforme dei bilanci per tutti gli Stati, a noi conviene che i bilanci non siano omogenei, perché la riduzione si otterrebbe da noi automaticamente, rendendo semplicemente il nostro bilancio omogeneo ai bilanci degli altri Stati.

E, per tornare sull'argomento che ho toccato in principio di questa lettera, tu conosci assai meglio di me la linea di intransigenza sulle nostre proposte originarie stabilita dal Gran Consiglio.

(l) Da Carte Grandi.

93

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Ginevra, 14 giugno 1932.

Prima di partire per Losanna desidero ragguagliarTi, per sommi capi, del lavoro di questi due giorni, oltremodo interessanti.

Ho consacrato la giornata di lunedì al problema austriaco, dirigendo l'azione della nostra Delegazione al Comitato Misto. Credo che abbiamo preso su questo campo una posizione ottima. II tentativo da parte francese di mettemi in imbarazzo nella supposizione di potere contare su un nostro apporto finanziario meschino che avrebbe fatto risaltare ancora più di fronte all'Austria la nostra povertà e di fronte all'Europa danubiana in genere le nostre modeste possibilità in paragone di quelle francesi, è fallito. Valendomi della Tua autorizzazione, ho fatto annunciare la partecipazione italiana al servizio austriaco per trenta milioni di scellini. Allora la Francia è stata costretta a circondare subito la sua annunciata partecipazione (di cento milioni) di tali riserve da darci buon giuoco ancora una volta. Io spero, tutto sommato, di risparmiare anche buona parte dei trenta milioni di scellini (che sono destinati del resto al salvamento dei nostri crediti), dato che l'operazione è oggi praticamente in aria di nuovo. Ad ogni modo, dal punto di vista politico noi abbiamo guadagnato, collocandoci ancora una volta in prima linea, confermando le nostre posizioni precedenti prese alla Conferenza di Londra, e lasciando parimenti aperte davanti a noi tutte le possibilità. Vedremo nei prossimi giorni come si svilupperà la situazione.

La giornata di oggi, martedì, è stata molto laboriosa. L'arrivo di Macdonald ed Herriot, dopo l'incontro di Parigi, aveva fatto nascere nell'ambiente della Conferenza molte speranze. La fine della giornata marca invece un accentuato pessimismo, e nessuno nasconde, stasera, che la situazione è peggiorata invece di migliorare. Per conto nostro, credo che possiamo porre la giornata di oggi al nostro attivo, sotto parecchi punti di vista.

Come Tu ricordi, i rappresentanti delle grandi Potenze (auspici MacDonald

e Stimson), si erano separati due mesi fa coll'intesa di aggiornare la discussione

delle due grosse questioni francese e tedesca e intanto procedere ad un attivo

scambio di idee per trovare una formula di conciliazione. Ricordi con quanta

prudenza e con quanto superficiale ottimismo il Capo della Delegazione tedesca

Nadolny mi aveva parlato della probabilità di un'intesa con Tardieu sul terreno

delle aspirazioni tedesche.

Lunedì sera ho ricevuto la visita inaspettata di Nadolny (1), il quale mi ha

mostrato confidenzialmente un progetto di dichiarazione che egli intendeva

fare oggi, martedì, alla seduta del Comitato di Presidenza. Con questa dichia

razione la Germania, riprendendo il tema svolto durante la discussione gene

rale, intende uscire dal riserbo cui si era impegnata due mesi fa con Stimson,

Tardieu e MacDonald e iscrive senz'altro alla prima seduta della Conferenza

la questione tedesca, sia pure adombrata in un progetto di disarmo qualitativo sulla base dei Trattati di Pace, calcando cioè in pieno le orme percorse da noi e indicate sin dal primo momento da noi. Nadolny, prima di decidersi alla presentazione della sua dichiarazione, voleva assicurarsi il nostro appoggio per la seduta di oggi. Ho mostrato di stupirmi di questo cambiamento della condotta tedesca, ricordando a Nadolny che sinora egli aveva sempre pregato la Delegazione italiana di non mostrarsi troppo diligente nell'appoggiare il punto di vista tedesco temendo che ciò urtasse troppo la suscettibilità francese. «La situazione è oggi cambiata» mi ha detto Nadolny, ed ha insistito nel domandare il mio appoggio. Ho fatto un po' il prezioso, eppoi ho promesso di appoggiarlo. Si tratta di appoggiare la Germania in una questione che ci interessa, e non il signor Nadolny. Nella mattinata di stamane Nadolny deve essersi tuttavia pentito (paura di avere coraggio), cosicché ho creduto bene di andare da lui per fargli un'iniezione di coraggio, dimostrandogli il vantaggio di una linea di condotta chiara e senza equivoci, prima che la posizione tedesca possa essere compromessa da nuove proposte anglo-sassoni che tengano troppo conto del punto di vista francese. Ed infatti Nadolny ha marciato, io l'ho sostenuto, e la giornata si è chiusa nel più grande imbarazzo degli inglesi, dei francesi, e degli americani, i quali si illudevano di essere ormai sulla strada di avere trovato un punto di partenza per un accordo franco-tedesco, di cui anche noi. in ultima analisi, avremmo rischiato di fare le spese.

Infatti MacDonald e Simon sono arrivati freschi freschi con un progetto di disarmo qualitativo, e così pure l'americano Gibson con un altro progetto di disarmo quantitativo (riduzione degli effettivi), che nelle loro previsioni avrebbe dovuto costituire il nuovo punto di partenza per i negoziati dei prossimi giorni. Herriot sembra che avesse dato qualche affidamento a Parigi nel senso proposto dagli inglesi e dagli americani, il che mi è stato confermato indirettamente dallo stesso Herriot ieri sera. La mossa tedesca ha buttato tutto all'aria. Ieri mattina MacDonald e Simon erano abbastanza allegri; li ho trovati nel pomeriggio senza fiato; MacDonald ha definito la situazione « disastrous ». Ho trovato Herriot, dopo la seduta, di umore nerissimo contro i tedeschi, e pentito di non avere accettato il voto di Tardieu, che egli dice di <<non avere accettato appunto per venire a Ginevra colle mani libere e ben disposto nei confronti della Germania». Gli inglesi, magnifici incassatori, mi hanno detto or ora che, tutto sommato, essi sono d'accordo con me nel ritenere che i tedeschi abbiano fatto bene nel porre la loro questione all'ordine del giorno della discussione.

Così si parte per Losanna, domani, nell'incertezza più completa. Per quanto riguarda le nostre posizioni, la giornata di ieri è tutta a nostro vantaggio, e forse noi siamo i soli che ci guadagniamo. L'atmosfera dell'incontro anglo-francese di Parigi (non si trattava altro che d'atmosfera, perché tanto MacDonald come Simon mi hanno confermato che nulla era stato concluso di serio) sfumata, sfumate le fornicazioni franco-tedesche, la questione germanica della uguaglianza di diritti al primo posto ed implicitamente di nuovo al primo posto il progetto italiano (che pure partendo da punti diversi coincide nella sostanza) di disarmo, progetto che attraverso un mese di discussioni i tecnici francesi ed anglosassoni, per ragioni diverse ma convergenti, avevano egualmente combattuto e, da ultimo, rientrati i nuov,i progetti britannico ed americano, che, pur contenendo molti elementi a noi favorevoli, non avrebbero certo potuto essere da noi accettati senza modificazioni sostanziali. Ad ogni modo bisognava evitare ed occorre evitare un qualsiasi progetto che abbia l'assenso inglese, americano, francese e tedesco, prima del nostro. Sotto questo aspetto non è improbabile (dato che dei tedeschi non c'è assolutamente da fidarsi) che la seconda fase della Conferenza ci costringa a qualche azione decisa (eventualità cui mi sto preparando) sul tipo di quella che mandò per aria il famoso progetto di patto a quattro durante la Conferenza Navale di Londra. Durante i primi quattro mesi della Conferenza siamo stati noi gli attaccanti, e bisogna dire che il successo politico ottenuto dall'Italia fascista nella prima fase della Conferenza è andato anche oltre le previsioni. Adesso è la volta degli altri. Ma io non mi lascerò cogliere, e tirerò dritto.

Dopo la giornata di ieri, che ha scombussolato i piani preparati, avremo forse un po' di giorni di sosta, che saranno dedicati alla Conferenza di Losanna. La giornata di ieri non è certo di buon augurio per i lavori della Conferenza delle Riparazioni. Si parla che nell'impossibilità di raggiungere qualcosa di tangibile su questo punto, si tornerà a discutere intorno ai problemi danubiani. Vedremo.

Io farò la spola tra Losanna e Ginevra e Ti terrò informato.

P. S. -Come sarai già stato informato siamo riusciti a sistemare la questione delle divise tedesche, cosi importante per la nostra agricoltura. I Ministeri tecnici ed anche la Banca d'Italia pretendevano che era inutile battersi perché tanto non avremmo ottenuto nulla, e non bisogna rischiare una guerra doganale colla Germania. A furia di avere paura di «rischiare» si finisce col prendere botte da tutti. Non appena abbiamo dato a von Schubert l'impressione che saremmo andati tranquilli anche alla guerra doganale, hanno mollato.

Ieri sera i giornali svizzeri portavano la notizia che l'Italia come rappresaglia alle nuove tariffe doganali britanniche ha deciso di cessare da ogni acquisto di carbone in Inghilterra e sta trattando coll'America. Da parte inglese mi è stato subito domandato se la notizia corrisponda a verità. Io ho detto di sì, pur ignorando se la notizia è vera, come mi auguro che lo sia. Se vogHamo ottenere dagli inglesi qualcosa sulla questione dell'oro bisogna ricattarli sul carbone. Questo è almeno il mio parere.

(l) Cfr. n. 94.

94

COLLOQUI TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 13-14 giugno 1932. Lunedì, 13 giugno.

Nadolny. -Mi informa essere sua intenzione domandare nella seduta di domani dell'Ufficio di Presidenza la discussione di un testo di risoluzione in cui sono riprodotte le note proposte tedesche sul disarmo qualitativo. Mi sottopone il progetto, domanda l'appoggio della Delegazione italiana.

Grandi. -Non nascondo la mla meraviglia, ricordando come nell'ultimo nostro colloquio egli mi aveva informato avere il Governo tedesco deciso di soprassedere alla richiesta di discussione del progetto tedesco in vista di possibili intese col Governo francese. Fu in quell'occasione che egli, Nadolny, ebbe a farmi presente l'opportunità che la Delegazione Italiana non si mostrasse troppo premurosa a sostenere la tesi germanica.

Nadolny. -È piuttosto imbarazzato. Mi dichiara che oggi la situazione è cambiata, e che egli domanda il nostro appoggio e ritiene dovere il Governo tedesco rompere gli indugi.

Grandi. -Prometto di sostenerlo.

Nadolny. -Mi sottopone un secondo progetto tedesco riguardante gli effettivi con preghiera di studiarlo onde concordare in seguito una possibile linea comune di azione.

Grandi. -Dichiaro a Nadolny che su questo punto è assai difficile un'intesa e la situazione di fatto differente esistente tra l'esercito italiano e quello tedesco orientati, a parte le clausole dei trattati, su criteri informatori differenti. Ad ogni modo avremo tempo a parlarne.

Martedì, 14 giugno.

(Sono informato nella mattinata che Nadolny sta cambiando di parere e sembra voglia ritirare il suo progetto. Vado a trovare Nadolny).

Grandi. -Vi confermo il mio appoggio per la seduta di oggi. Sono informato che gli anglo-sassoni hanno un piano nuovo e che hanno fiducia possa essere accettato dai francesi. Se non fate presto a porre sul tavolo la questione tedesca, temo che perderete la priorità nella discussione e dovremo tutti accettare come base di discussione un piano che non può certo soddisfare né voi né noi.

Nadolny. -Mi assicura che si recherà subito da Henderson, da P. Boncour e da Simon per informarli della sua intenzione. Resta inteso che egli presenterà la proposta, accontentandosi che venga iscritta come primo argomento dell'ordine del giorno della Commissione Generale.

95

COLLOQUI TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

APPUNTO. Ginevra, 14 giugno 1932.

(Primo incontro nella mattinata).

MacDonald. -Mi ringrazia per essere venuto a Ginevra. Mi domanda di Mussolini. Parla dell'incontro con Herriot e prega Simon di mettermi al corrente di quanto è stato detto a Parigi «A Parigi -egli dice -non abbiamo avuto che discussioni generiche "candid talkings" e null'altro. Però molte speranze che qui e a Losanna si possa fare qualcosa di concreto mi sono rinate ». Herriot sembra ben disposto.

Simon. -Sul disarmo informa che egli non è disposto a lasciar cadere le proposte di disarmo qualitativo pur rendendosi conto dell'impossibilità di accettare quelle radicali. Alla Camera dei Comuni egli ha combattuto il progetto francese e dichiarato la sua simpatia alla tesi tedesca. Però deve essere inteso che sono le altre Potenze che debbono disarmare per avvicinarsi al livello germanico, e non la Germania essere autorizzata ad alzare il livello dei suoi armamenti. Altrimenti la Conferenza finirebbe con un aumento anziché con una riduzione. Il Governo britannico ha studiato un nuovo progetto di disarmo qualitativo che partendo da quello italiano non arriva tuttavia sino alle misure radicali proposte dall'Italia. Forse questo potrebbe costituire una base di conciliazione fra Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania. La Francia dovrebbe rinunciare al suo progetto. Herriot si è in principio dichiarato d'accordo cogli inglesi.

Grandi. -Rifletterò sul vostro nuovo progetto. A prima vista posso dirvi subito che vedo in esso delle proposte che sono per noi accettabili, altre sulle quali dovremo portare delle modificazioni.

Simon. -!'-Jon è che una base di discussione.

MacDonald. -Circa la Conferenza di Losanna, mi domanda se il Governo italiano si presenta con qualche proposta nuova.

Grandi. -No. La tesi italiana è conosciuta. Occorre favorire le misure più radicali possibili.

MacDonald. -È perfettamente d'accordo colla tesi del <<colpo di spugna». Avremo molte difficoltà da vincere, ma bisogna assolutamente andare avanti. Mi domanda cosa penso del caso speciale di alcuni Stati per cui gli incassi riparazioni-tedesche costituiscono delle vere entrate di bilancio.

Grandi. -Non c'è che la Jugoslavia. J.2 vero. Ma queste entrate sono destinate all'armamento. Che la Jugoslavia disarmi e non avrà più bisogno del capitolo «Riparazioni» sul suo bilancio statale.

MacDonald. -È perfettamente d'accordo.

(La conversazione prosegue nel pomeriggio. Trovo MacDonald d'umore cambiato, abbattuto e scoraggiato).

MacDonald. -Caro Grandi, molte delle mie speranze sono sfumate. In questo momento P. Boncour informa che la Delegazione francese non intende abbandonare il progetto di sicurezza francese e non può quindi prendere come base di discussione le nostre nuove proposte di disarmo qualitativo.

(È chiaro che P. Boncour dopo essere informato delle intenzioni di Nadolny diventa da parte sua intransigente).

Grandi. -Domando se la Delegazione Britannica è informata della intenzione della Delegazione tedesca di depositare all'Ufficio di Presidenza il progetto tedesco ossia di aprire la discussione sull'uguaglianza dei diritti.

MacDonald e Simon. -Mi dicono di non saperne nulla (è evidente che Nadolny ci ha pensato e preferisce far trovare gli inglesi davanti al fatto compiuto.

MacDonald. -Ma allora la situazione è proprio «disastrosa».

Grandi. -Dico a MacDonald che io appoggerò la proposta tedesca, ed aggiungo che secondo me i tedeschi fanno bene a porre la questione del disarmo qualitativo nella sua integrità. Ne guadagnerà la sincerità della discussione e soprattutto, dopo l'inutile lavoro delle Commissioni tecniche che hanno dato l'impressione della cattiva volontà di quasi tutte le Potenze, riportare la tesi del disarmo qualitativo nella sua interezza, se da una parte aiuta la Germania a porre la questione dell'eguaglianza dei diritti, aiuta anche tutte quelle Potenze che intendono di procedere ad un disarmo effettivo.

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MacDonald. -Data la situazione non vedo che si possa nulla fare per ora se non accetare la discussione della proposta tedesca.

Simon. -Se la proposta tedesca sarà come voi dite non potremo fare a meno di appoggiarla anche noi inglesi.

96

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, HERRIOT

APPUNTO. Ginevra, 14 giugno 1932.

Conversazione generica. Herriot è di pessimo umore. La mossa tedesca lo ha scoraggiato e disorientato.

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~--·· Herriot. -«Come è cambiata l'atmosfera di Ginevra dal 1924 ad oggi! Non ci volevo credere, ma è proprio vero. E pensare che io ho rifiutato qualche giorno fa il voto favorevole di Tardieu, solo perché egli pretendeva di legarmi al suo progetto di sicurezza, mentre io volevo venire a Ginevra colle mani libere per trattare con tutti, prima di tutti coi tedeschi. Evidentemente mi sono sbagliato ».

Parliamo dell'Austria. Egli mi domanda se ho ricevuto il resoconto della sua conversazione coll'Ambasciatore d'Italia a Parigi (1), e se posso dargli una risposta.

Grandi. -«Sul primo quesito, cioè se l'Italia è d'accordo ad accordare il nuovo prestito all'Austria colle stesse garanzie del Protocollo del 1922, io vi rispondo " si ". Sul secondo quesito, se l'Italia è disposta ad una organizzazione economica dell'Europa danubiana, io vi rispondo: voi siete sulla strada battuta da Tardieu, l'Italia vi combatterà. Se invece siete disposto a trattare su un piano che tenga conto degli interessi economici e politici dell'Italia nell'Europa danubiana, l'Italia discuterà volentieri».

Herriot. -Mi dichiara che il famoso << progetto Tardieu » non esiste più, e che egli è disposto a trattare su nuove basi più larghe.

Si viene a parlare dei rapporti franco-italiani. Herriot non esce dalle consuete frasi generiche. Però ha l'aria di essere più sincero di quello che non fosse

Briand e certamente più di quello che non lo sia stato Tardieu. Mi parla con entusiasmo del nostro Paese. «Io sono un uomo di fede democratica, ma riconosco che il Fascismo è il vostro secondo Risorgimento ed ha fatto delle cose meravigliose. Non sono un settario, e vorrei trovare un terreno di sostanziale intesa con il Vostro Paese. L'Italia è stata trattata male nei Trattati, sono io il primo a riconoscerlo. Le sono stati fatti dei torti, molti torti».

Grandi. -Dico ad Herriot che non bisogna ripetere gli errori che hanno fatto credere spesso in Francia potersi raggiungere un chiarimento dei rapporti italo-francesi attraverso creazione di «stati d'animo», ispirati a vecchi motivi di affinità di razza. Ciò non serve più. Vi sono dei profondi interessi concreti che da una parte dividono, da una parte uniscono i due Paesi. Si tratta di vedere se è possibile creare un piano di interessi comuni. L'Italia desidera sapere se insieme colla Francia può risolvere quei fondamentali problemi della sua vita nazionale ed internazionale che l'ingiustizia dei Trattati di Pace non le ha permesso di risolvere. L'Italia non può avere attualmente interesse al mantenimento dei Trattati. Tardieu ha una grande responsabilità nel problema dei rapporti italo-francesi. È Tardieu che per un giuoco di politica interna, cioè per dimostrare alle destre francesi che Briand aveva mal difeso gli interessi della Francia alla Conferenza Navale di Washington, si è opposto a Londra a quella parità navale che la Francia aveva già concesso all'Italia dieci anni fa. Chi ha fatto le spese di questo giuoco elettorale di Tardieu sono precisamente le relazioni fra Italia e Francia.

Oggi il problema si presenta con proporzioni molto più larghe di quello che non si presentasse alla Conferenza Navale di Londra. Non mi parlate della questione tunisina o libica. Sono piccole questioni, sono sintomi di una situazione molto più importante e generale. f: questo che occorre risolvere. Il Governo fascista è oggi, come lo è stato sempre, animato da una sincera volontà di intesa. Esso attende che parimenti lo sia quello francese. Non sono, almeno per l'Italia, gli articoli di giornali che contano, e che lasciano il tempo che trovano. Si tratta di discutere seriamente di cose concrete, e di fare ciascuno i propri conti, fuori dal vago e dall'approssimativo.

Herriot. -Mi dichiara che anche egli è animato dagli stessi sentimenti, ed è dello stesso parere. Condivide, naturalmente, al 100/100 quello che gli ho detto su Tardieu. Mi conferma la sua volontà di fare qualcosa di serio.

Cosi ci lasciamo d'accordo di ritrovarci ancora. Herriot mi prega di fargli avere il testo esatto dell'ultimo discorso al Senato che egli ha letto nei resoconti dell'Havas, ma di cui vuole prendere conoscenza nel testo originale. «Non posso dire di essere d'accordo con tutto quello che avete detto, naturalmente. Ma avete trattato i problemi con tale chiarezza e con tale forza di persuasione e di sintesi da impressionare veramente tutti coloro che come me vorrebbero trovare la chiave di risoluzione dei rapporti italo-francesi. Vi sarò grato se porterete al vostro Capo i miei saluti e le mie cordialità».

Prima di lasciare Herriot segnalo alla sua attenzione una dichiarazione fatta dal Delegato tedesco alla Commissione navale, essere cioè disposta la Germania ad esaminare la sospensione della costruzione del << Deutschland ». <<Se

così fosse, poiché la marina francese ha sempre dichiarato di dover costruire una corazzata solo perché la Germania costruisce una corazzata, e poiché la Marina italiana imposterà naturalmente una corazzata solo perché la Marina francese imposta una corazzata, mi domando perché non si potrebbe evitare di spendere tutto questo denaro mettendoci d'accordo tedeschi, francesi ed italiani di non costruire corazzate».

Herriot. -«Ci penserò seriamente».

Grandi. -«Pensateci prima di parlarne coi vostri marinai. È un consiglio d'amico che vi do».

Herriot è un grosso pachiderma gelatinoso. Troppo grasso per essere uomo di decisioni e di volontà (l). È un letterato per giunta. Ha l'aria di essere sincero nelle sue intenzioni, ma debole, e, come tutti i demagoghi sonori, fra quindici giorni sarà prigioniero della burocrazia silenziosa del Quai d'Orsay e dello Stato Maggiore francese, che lo faranno muovere come un burattino ai loro ordini.

Stamane, dietro di lui, al tavolo degli esperti, il Generale francese Requin sussurrava con certo sorriso sprezzante ad uno dei nostri esperti: « ...questo è il quarto Ministro francese cui debbo fare da precettore... ».

(l) Cfr. n. 61.

97

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

TELESPR. R. 218291/512. Roma, 14 giugno 1932.

Telegramma-posta di codesta Ambasciata n. 3379/1982 del 4 giugno (2).

Questo Ministero ringrazia per la comunicazione della conversazione avuta dal Consigliere di cotesta R. Ambasciata col Conte di Saint Quentin, a proposito del viaggio a Parigi dei due emissari etiopici (3).

Il Conte di Saint-Quentin ha tenuto a farci sapere risultargli che n viaggio in Francia di detti signori è dovuto a ragioni di salute, ed ha fornito a prova della di lui asserzione il fatto della loro partenza per Vichy.

È facile farsi ragione del perché n signor De Saint-Quentin spieghi in tal modo il viaggio degli emissari imperiali.

Ma, il Vice Direttore degli Affari d'Africa al Quai d'Orsay è inesatto e fa infondate insinuazioni quando aggiunge che le malevoli voci circolate in Etiopia su accordi itala-francesi ai danni dell'Abissinia devono essere attribuite ad elementi italiani, e quando cita il nome del Barone Franchetti. Le voci di accordi itala-francesi circa l'Etiopia sono apparse -com'è ben noto a cotesta Ambasciata -nei giornali francesi e svizzeri del primi di marzo. (Petit Marseillais del 4 e 5 marzo, la Gazette di Cannes del 3 marzo, Journal de Genève del 5 marzo).

(!) Noi In Romagna lo chiameremmo «na piva in te sac ... ». [Nota del documento].

(-3) Cfr. n. l.

12 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Tali pubblicazioni sono state subito conosciute ad Addis Abeba.

Gli emissari etiopici sono partiti da Addis Abeba fine marzo e giunti a

Marsiglia il 15 aprile.

Le date sono sintomatiche.

D'altra parte il Barone Franchetti è giunto in Etiopia, dove si è recato per

sue ragioni private, il 6 aprile e ne è ripartito il 25 maggio.

Quanto precede ad ogni buon fine, e per l'eventualità che si dia occasione

di ritornare a parlare col Conte di Saint-Quentin sull'argomento.

(2) -Non pubblicato.
98

IL CAPO GABINETTO, GHIGI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI (l)

TELESPR. RR. 3719. Roma, 15 giugno 1932.

Per opportuna conoscenza della S. V., si trascrive quanto è stato testé segnalato da fonte fiduciaria in Germania:

«Il Maggiore Pabst, Fiduciario del Principe Starhemberg in Germania, è venuto a trovarmi nella scorsa settimana. Dopo avermi prospettato la situazione austriaca e il desiderio dei capi delle Heinwehren di fare un colpo di mano per impadronirsi del potere, mi ha pregato di chiedere ad Hitler l'appoggio dei nazional socialisti austriaci i quali intendono seguire la via legale anche in Austria.

Ho promesso al Pabst di interessarml della questione gli ho però dichiarato che gli austriaci avrebbero dovuto rispettare la volontà italiana dei riguardi dell'Anschluss. Pabst mi ha risposto che ciò sarebbe stato fatto e che era in preparazione un progetto di unione doganale Austria-Italia al quale poi avrebbe potuto seguire quella Austro-Tedesca.

II Principe Starhemberg è stato più volte a Berlino nelle scorse settimane. In una conferenza al Nazional Club, alla quale ho potuto assistere, egli si è dichiarato fautore della «Grande Germania», ostile al legittimismo di alcuni circoli austriaci.

In Germania si ripone limitatissima fiducia nelle Heimwehren e nel suo capo, il quale, ritengo, non è riuscito ad ottenere dai circoli nazionalisti quei mezzi finanziari che un tempo gli venivano concessi. Da parte nazional socialista si ritiene lo Stahremberg un debole e un chiacchierone: il Maggiore Pabst l'eterno Putchista.

Io ritengo che gli avvenimenti austriaci verranno in seguito influenzati fortemente da Berlino: che bisognerà controllare l'operato così dei Nazi, come delle Heimweheren che, oggi in contrasto, domani potrebbero porsi sulla medesima linea per proclamare l'Anschluss.

Il Principe Stahremberg, con cui ho parlato alcune settimane or sono, mi ha dichiarato di essere fautore di uno stretto accordo nazi-Heimwehren. Il Maggiore Pabst mi ha dichiarato sembrargli queste ultime disposte attualmente a compiere il colpo di mano ».

(l) Inviato per conoscenza alla direzione generale Europa, Levante ed Africa.

99

IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DELLA LEGAZIONE A VIENNA, VILLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 4089 P. R. Vienna, 16 giugno 1932, ore 11,05 (per. ore 14).

Per informazione comunico che dal 29 giugno al 1° luglio si terrà a Vienna il congresso delle minoranze nazionali (1).

100

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

APPUNTO. Roma, 16 giugno 1932.

L'Incaricato d'Affari di Romania mi ha chiesto quali siano le intenzioni del Governo italiano nei riguardi del trattato di amicizia itala-romeno, che scade prossimamente, e cioè il 18 luglio p. v.

Gli ho risposto che avrei preso gli ordini di V. E. in proposito. Ho aggiunto -a titolo personale -che, data l'imminenza della scadenza del trattato, ed essendo la situazione generale politica europea pressocché immutata, mi sembrava opportuno procedere per ora semplicemente ad una proroga di 6 mesi del patto senza alcun cambiamento.

Il Signor Zanesco ha risposto che conveniva in tale ordine di idee anche perché nel frattempo avranno luogo le elezioni in Romania, e quindi le trattative riguardanti il patto d'amicizia potrebbero svolgersi dal Governo romeno in situazione più chiara dopo le eleziom.

Resto in attesa delle istruzioni di V. E. al riguardo (2).

101

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 2268/1335. Vienna, 16 giugno 1932. Ringrazio V. E. dell'autorizzazione concessami con il Suo telegramma n. 110 (3).

Ho avuto stamane un colloquio con Starhemberg il quale mi ha riferito sull'udienza concessagli da S. E. il Capo del Governo (4). Siamo rimasti intesi che mi fornirà in questi giorni tutti gli elementi che mi sono necessari per gli accordi da prendere costi in esecuzione ai suoi progetti approvati da S. E. Mussolinl. Appena ne sarò in possesso partirò per Roma ciò che prevedibllmente avverrà al principio della prossima settimana.

(l) -Annotazione a margine di Mussolini: « Seguirlo attentamente e riferire». (2) -Annotazione a margine di Grandi: «Desidero farlo scadere "pari pari", nessuna proroga». Altro appunto di Ghigi: «S. E. il Ministro ha detto altri 6 mesi>>. (3) -Con t. 4956/110 P. R. del 14 giugno Auriti era stato autorizzato a recarsi a Roma per conferire quando lo avesse ritenuto opportuno. (4) -Non si è trovata documentazione sui colloqui romani di Stahremberg e Auriti, il cui principale argomento pare fosse la questione delle armi da fornire alle Helmwehren. Ne scrisse lo stesso Auriti In un telespresso del 21 luglio (cfr. n. 169).
102

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Ginevra, 18 giugno 1932.

Le prime quarantott'ore della Conferenze di Losanna hanno superato le aspettative. MacDonald ha forzato la mano ad Herriot (Simon mi diceva: «Se Herriot torna a Parigi non firmerà più... ») ed Herriot ha ceduto. Ne è venuta fuori una dichiarazione (che Simon mi ha personalmente sottoposto prima di portarla ai francesi) che non risolve nulla di sostanziale, ma di cui non bisogna sottovalutare l'importanza, specie se si considera che è stata fatta all'inizio dei lavori. MacDonald stesso qualche giorno fa riteneva che questa tappa iniziale avrebbe potuto essere raggiunta solo dopo una quindicina di giorni e forse costituire da se sola tutta la Conferenza. Sarà interessante vedere adesso la ripercussione in America.

Ieri, in seduta plenaria, vi sono state le dichiarazioni delle varie delegazioni. Von Papen ha sostanzialmente detto questo: <<La Germania non può pagare adesso, e non potrà pagare più». -Herriot ha detto: «Riconosco che la Germania non può pagare adesso, ma dovrà pagare domani».

Il Cancelliere dello Scacchiere ha coraggiosamente detto: «Occorrono soluzioni definitive. Bisogna dare il colpo di spugna su tutte le obbligazioni di guerra».

Mosconi ha detto: «Voi sapete come la pensiamo. Occorre marciare in questa direzione. Però... Tuttavia... ».

Poiché è mio dovere di fotografarTi con fedeltà la situazione, bisogna Ti dica che noi siamo stati i meno precisi di tutti. Il discorso di Mosconi (come tutti i discorsi dovuti soltanto al cervello ed alla penna dei funzionari) è stato debole, e complicato di troppo prudenti riserve. Esso ha entusiasmato i francesi Cio ho voltato bruscamente le spalle ad Herriot che si muoveva incontro a stringermi la mano) sorpreso gli inglesi e gelato i tedeschi. Tutti hanno rimarcato una differenza di tono dal discorso di Napoli, dalle mie dichiarazioni fatte a settembre a Ginevra, a novembre in America e pochi giorni fa al Senato, cosicché si sono domandati: «c'è qualcosa di nuovo nella politica italiana?». Ecco perché essendomi arrivato il Tuo telegramma (1), ne ho profittato per farlo subito circolare tra le Delegazioni; e quando MacDonald mi ha chiàmato al telefono pregandomi di trasmetterTti telegraficamente i suoi più sentiti ringraziamenti e mi ha domandato se poteva comunicarlo alla stampa, ho creduto bene di rispondere subito di sì. Così il Tuo telegramma ha preso il sopravvento sulle dichiarazioni di Mosconi, è andato a ruba costituendo l'episodio sensazionale della fine di queste due giornate. Ho fatto del mio meglio onde i nostri corrispondenti non dessero alcuna sensazione di questo momento di perplessità, durante il quale i criteri della contabilità di cassa hanno un poco prevalso sulle leggi inelutabili della politica. Del resto un po' di colpa

ce l'ho anch'io perché avrei dovuto farmi meno riguardi, ed anziché lasciare parlare l'ottimo mosconi (questo brav'uomo ha quattro anni più di mio Padre, ci teneva tanto, ed io non faccio ormai che delle Conferenze!) saltargli in testa, e fare quello che ho fatto sempre, seguendo la Tua scuola, e che consiste poi in una regola molto semplice: «Se si vuole essere una Grande Potenza bisogna giocare al grosso gioco e al grosso rischio come fanno le Grandi Potenze, e non rannicchiarsi in margine ai grossi problemi, e non osare, nella illusione di proteggersi dietro una rete di riserve che contano quello che contano nella tempesta le tele dei ragni».

Stamane prima di ripartire per Ginevra dove pur si troveranno fino a lunedì MacDonald e Simon, e dove saranno iniziate le discussioni su questa i_dea americana degli effettivi che non mi garba affatto, ho avuto un incontro con von Papen, col quale non avevo scambiato nei primi due giorni se non i soliti convenevoli d'uso. Al colloquio durato un'ora e mezzo assisteva anche von Neurath (l). Il nuovo Cancelliere è un uomo abbastanza giovane e simpatico. Non pratico di conferenze internazionali, ha un'aria un po' imbarazzata che egli cerca di dissimulare attraverso una forse eccessiva gentilezza di maniere. Un ufficiale prussiano gentile non è cosa che persuada interamente.

Von Papen aveva letto allora il Tuo telegramma e mi ha detto subito: «Ieri il discorso del Vostro Ministro delle Finanze mi aveva lasciato perplesso. La parola di Mussolini mi toglie ogni dubbio. R.ingraziatelo ancora una volta da parte mia». Mi ha quindi parlato della politica interna della Germania, dell'atto di forza fatto da Hindenburg nei riguardi di Bruening, dichiarando che egli, von Papen, rappresenta e vuole rappresentare all'interno e all'estero -la nuova Germania di destra: «Il periodo della social democrazia è finito per il popolo tedesco». Circa la Conferenza di Losanna, von Papen mi dichiara che l'inizio è stato abbastanza soddisfacente, ma le Potenze farebbero un grosso errore ritenendo che ci si possa fermare alla dichiarazione di moratoria tedesca. Von Papen è d'accordo con me nel ritenere che occorre profittare delle prime settimane di vita del Gabinetto Herriot, prima che quest'ultimo diventi prigioniero della burocrazia del Qual d'Orsay. Gli esperti francesi già non gli perdonano del resto il gesto di ieri. Von Papen mi conferma quanto Simon mi disse ieri: «I Francesi domandano che la Germania sottoscriva una tregua di dieci anni impegnandosi a nulla fare in questo periodo di tempo che possa essere interpretato come un tentativo di revisione dei trattati. A questa richiesta che è la stessa fatta esattamente un anno fa nel convegno di Parigi e di Londra da Lavai e Bruening, von Papen risponde (come Bruening rispose allora) che nessun Governo tedesco potrebbe mai sottoscrivere un impegno simile, il quale suonerebbe come una seconda accettazione, per di più volontaria, delle clausole dei Trattati di Pace imposti alla vinta Germania. Von Papen propone invece un Patto consultivo, mediante il quale la Germania si impegnerebbe a nulla fare in questi dieci anni senza prima darne avviso ai Governi delle Grandi Potenze, ed esige naturalmente analogo impegno. (Identica posizione tedesca di un anno fa).

Circa la prosecuzione dei lavori della Conferenza di Losanna, von Papen non ha idee precise. Si rende conto della difficoltà di affrontare subito la discussione formale, e non vedrebbe malvolentieri che si iniziasse l'esame del problema economico dell'Europa Centro-Orientale. Su questo punto ho risposto che non vedo difficoltà, ma è certo che non si può stralciare l'esame di questo problema isolandolo interamente dal quadro della situazione economica generale. Von Neurath mi ha espresso di nuovo il desiderio del Governo tedesco che i nostri esperti riprendano il lavoro interrotto, essendo suo vivo desiderio che la collaborazione italo-tedesca alla Conferenza di Londra delle quattro Potenze continui anche a Losanna.

Ha avuto parole amare per l'Austria, esprimendo la speranza che il prestito vada a monte. È chiaro che su questo punto il Governo tedesco si prepara a riprendere la trama interrotta, agendo contemporaneamente su tre fronti: l) riparazioni; 2) disarmo; 3) espansione sul Danubio.

Se si continua di questo passo le prossime settimane non mancheranno dunque di interesse. E occorrerà stare cogli occhi aperti contemporaneamente da diverse parti. Cosa questa cui siamo del resto abituati, e sinora, bisogna dirlo, con discreto successo.

Ti terrò diligentemente informato.

(l) Il telegramma era diretto a MacDonald per congratularsi del discorso da lui tenuto Il giorno 16.

(l) Allegato a questa lettera il verbale del colloquio con von Papen che non si pubblica perché rlpeté sostanzialmente quanto detto nel testo.

103

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

APPUNTO. Ginevra, 20 giugno 1932.

(Assistono anche Sir Herbert Samuel e Lord Londonderry. Colazione Hotel Beau Rivage).

Simon. -Desidero mettervi al corrente delle nostre conversazioni di ieri e di stamane coi Francesi. È nostro desiderio che voi seguiate passo passo questo nostro lavoro al quale voi come noi siamo egualmente interessati. Occorre trovare assolutamente qualche piano di accordo onde finire nelle prossime settimane la Conferenza del disarmo. Se noi vogliamo che la pubblica opinione americana si prepari ad accogliere il fatto compiuto della cancellazione dei debiti, occorre dimostrare che abbiamo raggiunto qualche risultato tangibile nel problema del disarmo. Altrimenti sarà molto più difficile. La nostra conversazione di ieri e stamane coi francesi ha dato assai scarsi risultati. Il nostro metodo per ora è quello di fissare i punti di accordo e procedere man mano a discutere i punti di disaccordo. Per ora non si tratta se non di «exploring the ground ». Noi sappiamo di essere quasi dappertutto d'accordo con voi.

Grandi. -Almeno bisogna sperarlo.

Simon. -Il primo punto delle nostre conversazioni coi francesi, si è riferito al rapporto relativo alla guerra chimica e batteriologica, sul quale tutte le Delegazioni si sono dimostrate d'accordo. P. Boncour ha fatto l'obiezione che il Governo francese è disposto a sottoscrivere una convenzione sulla guerra chimica e batteriologica alla condizione che.sia istituita una Commissione internazionale di controllo e siano stabilite delle sanzioni precise contro i trasgressori della convenzione. Circa le sanzioni abbiamo risposto che è assai meglio di non parlarne per ora, viste le difficoltà che esistono da molte parti, noi compresi. Circa la Commissione di controllo noi crediamo che si possa accettare il principio di uno « inspecting commission ». Spero che anche voi sarete d'accordo. Che ne dite?

Grandi. -Mi dispiace. Ma il Governo italiano non può accettare questo punto di vista. Noi non siamo per principio contrari ad un controllo internazionale nel campo degli armamenti. Qualsiasi regime di controllo può apparire un sacrificio accettabile soltanto nel caso in cui si addivenga ad una convenzione di disarmo integrale ed effettivo, nella quale tutti gli Stati abbiano dei pratici vantaggi ed un interesse a garantirsi sull'applicazione di tale convenzione. La questione dei controlli va quindi trattata per ultima, non in via preliminare. È chiaro che ove si giungesse soltanto ad un accordo generico ed incompleto, la creazione di una Commissione Internazionale di controllo apparirebbe sproporzionata ai fini da raggiungere (nel caso particolare una convenzione sulla guerra chimica e batteriologica), e sarebbe null'altro che un impegno di carattere politico contrario all'interpretazione che noi e con noi molti altri Stati, abbiamo sempre dato sinora alla clausola del Patto della Società delle Nazioni.

Simon. -Non prevedevo questa difficoltà.

Grandi. -Sono dolente, ma credo che non saranno le sole.

Simon. -Abbiamo quindi coi Francesi affrontato il problema dell'aviazione militare e civile. I Francesi sono d'accordo nell'abolizione dei grossissimi apparecchi e nella regolamentazione della guerra aerea. Insistono sull'internazionalizzazione dell'aviazione civile.

Grandi. -Mi riferisco al nostro «memorandum». Nulla vieta che si trovi un Codice della guerra aerea, così come esiste un codice della guerra marittima. Ma questo non è disarmo, beninteso. È regolamentazione di guerra, e null'altro. Cosa pensate dell'internazionalizzazione dell'aviazione civile?

Simon. -Non crediamo che ciò sia possibile.

Samuel. -È certo tuttavia che in materia di aviazione militare non c'è che un metodo empirico di riduzione, e cioè quello che si riferisce al numero di apparecchi. La Gran Bretagna è disposta ad accettare qualsiasi livello che sia accettato dagli altri. E l'Italia?

Grandi. -Concordo perfettamente con gli Inglesi su questo punto.

Simon. -Cioè a dire?

Grandi. -Che l'Italia non ha cifre da proporre, ma è disposta ad accettare quelle qualsiasi cifre, le più basse, che saranno accettate dalla Potenza continentale europea più armata, nel caso attuale, le cifre della Francia.

Simon. -Non parliamone più. La difficoltà è troppo grande perché essa possa essere superata, almeno per ora. La nostra conversazione coi Francesi non ha toccato altri argomenti. Essa proseguirà oggi nel pomeriggio. Vi terrò informato di quanto sarà discusso. Bisogna assolutamente giungere ad un accordo, il quale non può certo consistere semplicemente nella riduzione ad es. a 220 mm del calibro dei cannoni o del peso dei «carri armati».

Grandi. -Anche su questo punto, come su altri due punti importanti, riduzione degli effettivi e limitazione nelle spese, desidero chiarire il mio pensiero, a scanso di malintesi. Voi avete parlato di calibro di 220 mm. -Ebbene Vi dico subito che noi non potremmo in alcun modo accettare una limitazione su tali basi. L'Italia ha un buon armamento nelle grosse artiglierie. La Francia ha un buon armamento nelle medie artiglierie e particolarmente nel tipo 155 mm. -Quando noi abbiamo proposto il limite di 100 mm. nelle artiglierie terrestri mobili, abbiamo considerato che tanto l'Italia come la Francia dovessero fare ambedue un sacrificio nelle armi delle quali sono meglio dotate. Se voi lasciate alla Francia il 155 mm. (come risulterebbe dalla vostra ultima proposta) togliendo invece all'Italia i grossi calibri, ne deriverebbe una stridente ingiustizia per noi inaccettabile. Ecco perché il limite 100 mm. è l'unico equo per tutti. L'Italia non potrebbe accettarne uno diverso.

Simon. -Anche questa diiDcoltà non me l'aspettavo.

Grandi. -Circa i «carri armati» esiste in Italia una dottrina militare (l) da Annibale in poi, secondo la quale l'Italia come la Russia ha sempre battuto il suo nemico attirandolo nel proprio territorio, e cioè al di qua delle Alpi nella Valle Padana. È chiaro che per una guerra offensiva, attraverso le regioni alpine, i carri armati potrebbero rappresentare un armamento non assolutamente necessario. Ma se voi considerate l'eventualità di una guerra difensiva nella Valle Padana, i carri armati non hanno meno valore per noi di quello che non abbiano per l'Esercito francese e tedesco sul Reno. Ecco perché anche su questo punto dovremo intenderei perché lo Stato Maggiore Italiano considera la questione dei carri armati molto seriamente.

Simon. -E circa gli « effettivi »?

Grandi. -Vengo ad uno dei punti più delicati. Ho avuto a tal riguardo una franca spiegazione col Capo della Delegazione americana, il nostro amico Gibson, cui ho esposto le ragioni per cui la Delegazione Italiana non può assolutamente considerare accettabile la sostanza del suo progetto, che pur mostrando la preoccupazione di risolvere il diiDcile problema delle proporzioni tra le forze terrestri dell'Italia e della Francia, viene a creare nella sostanza una sproporzione fra le forze dei due Paesi, cosi notevole da non potere essere oggetto di seria discussione.

(Espongo a Simon le numerose ragioni, già esposte a Gibson sul nostro punto di vista).

Quando nel novembre scorso a Washington il Presidente Hoover mi parlò di questa idea, e mi domandò che cosa ne pensavo, io gli risposi che la trovavo molto interessante, e che forse l'Italia avrebbe potuto accettarla in via di massima. È chiaro che i termini concreti della proposta Gibson non rispondono all'idea espostami dal Presidente Hoover. Noi non possiamo considerare le colonie francesi del nord Africa come territori coloniali, quando soltanto si pensi alla posizione geografica dell'Italia nel Mediterraneo per cui un Corpo d'Armata impiega minor tempo a spostarsi dalla Tunisia in Sicilia, di quello che non impiega un corpo d'armata a spostarsi dal sud al nord dell'Italia medesima. D'altra parte non è sugli effettivi, bensì sui materiali che si deve discutere se si vuol raggiungere un piano concreto, non fittizio, di disarmo. Quando un Paese possiede un forte potenziale bellico e forti scorte di màteriale, la questione degli effettivi ha importanza secondaria, agli effetti della preparazione militare. Gli Stati Uniti d'America costituirono di ciò la prova più evidente durante la guerra. In pochi mesi essi hanno messo a punto un esercito. La questione ha piuttosto carattere politico. Ora voi non potete fare accettare dall'Italia una riduzione sulla « materia prima » di cui essa è meglio fornita, l'uomo, quando non corrisponde a ciò nessuna riduzione da parte degli altri nel campo delle armi e dei materiali bellici.

Samuel. -Vi sarebbe un'altra strada diversa dal progetto Gibson, per affrontare il problema degli effettivi. La riduzione della «ferma». È certo che la Francia si trova in una posizione morale di vantaggio avendo ridotto la ferma ad un anno, mentre l'Italia mantiene la ferma di diciotto mesi. Non potrebbe l'Italia seguire l'esempio della Francia?

Grandi. -La questione è meno semplice di quanto possa apparire. Anzitutto ove io fossi costretto ad una pubblica discussione, io potrei dimostrare molto facilmente che la ferma di diciotto mesi è in pratica, nella media totale, molto ridotta, in certi casi a meno ancora di un anno, e cioè a meno della Francia. Ma tenendosi per ora ad un esame più generale, tre sono i « tipi» per così dire di organizzazione militare oggi esistenti in Europa. Il tipo prevalentemente tedesco che chiamerò: Esercito di mestiere. Il tipo prevalentemente italiano che chiamerò: Esercito di coscrizione. Il tipo prevalentemente francese che somma i due tipi, anzi somma i due eserciti perché è costituito di un esercito di coscrizione e di un esercito dt mestiere. La Francia ha potuto ridurre la ferma ad un anno perché ha contemporaneamente creato un secondo esercito sul tipo di quello tedesco, di specialisti di mestiere. Noi non abbiamo questo secondo esercito, che costa troppo, e attraverso una ferma più lunga addiveniamo a quella formazione del numero occorrente di specialisti che altrimenti dovremmo formare aumentando le spese di bilancio.

Simon. -Ma non ritenete almeno possibile un accordo sulla limitazione delle spese attraverso una percentuale di riduzione dei bilanci militari?

Grandi. -In massima lo credo e lo spero. Ma anche qui bisogna intendersi. La Francia ha «gonfiato>> ne'n'imminenza della Conferenza del disarmo i propri bilanci (cosi come nell'imminenza della Conferenza Navale di Londra, gonfiò il tonnellaggio della propria flotta), ed oggi dichiara che intende fare economie per tre miliardi di franchi. La sua preparazione militare è pressoché terminata. È chiaro che essa oggi non ha che un interesse: arrestare la preparazione degli altri. Si aggiunga che i controlli costituzionali e parlamentari, in materia di bilanci, sono molto più rigidi in Italia che non siano l:n Francia. Basta ricordare ultimamente la questione dei «fondi Cheron ». -Il che significa che una convenzione in materia di limitazione di spese avrebbe sempre una portata inferiore per la Francia che per gli altri Paesi. Non credo che con tali premesse un accordo basato esclusivamente sul concetto empirico di riduzione mediante una stessa percentuale sarebbe accettabile ed equo.

Simon. -Voi mi scoraggiate. Ad ogni modo vi ringrazio perché quanto mi avete detto mi dà ancora maggiormente il senso delle reali difficoltà che stanno avanti a noi. Vedo che è difficile, che è molto difficile.

Grandi. -Per me non è una novità. Io ho l'esperienza della Conferenza Navale, che voi, caro Simon, fortunatamente per voi, non avete avuto. Ad ogni modo io non credo che si possa affrontare la discussione col metodo che voi state seguendo. Io sono d'accordo con voi che il metodo francese della logica assoluta al 100/100 è contro la realtà delle cose comuni della vita. Ma non ricadete nell'errore opposto. Anche l'empirismo semplicista del «punto per punto» è spesso fuori della vita. Ogni Paese deve avere avanti a sé un complesso di negoziato, nel quale possa bilanciare la somma dei vantaggi colla somma degli svantaggi. Se il conto torna in modo ragionevole allora... la speranza di un accordo esiste. Ma se voi seguite nel negoziato il metodo degli Orazi e Curiazi, un punto dopo l'altro, il problema rischia di diventare insolubile. Il problema del disarmo è un problema politico, non un problema tecnico.

Simon. -Non avete torto. Vi posso vedere domani? (Si rimane d'accordo di rivedere! domani dopo che egli avrà riveduto francesi).

(l) Non so se esiste. Ad ogni modo la faccio esistere io, almeno per la durata della discussione sulle tanks. [Nota del documento].

104

COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ED IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 20 giugno 1932.

Nadolny è nervoso. Mi ha telefonato due volte nella mattinata. Lo ricevo nel pomeriggio, al ritorno della colazione con Simon. Lo metto al corrente, in via generale, della conversazione cogli Inglesi, e ripeto a lui quali sono le difficoltà per l'Italia ad accettare di discutere sul terreno proposto dagli Inglesi e dagli Americani. Con mia meraviglia Nadolny anziché mostrare di comprendere queste difficoltà, come ha fatto sempre sin'ora la Delegazione tedesca, se ne mostra preoccupato.

Nadolny. -No, non dite che un accordo è difficile. Bisogna assolutamente trovare la via d'un accordo qualsiasi. Non capisco perché l'Italia abbia tanta difficoltà ad accettare la proposta americana sugli effettivi. Anche sul terreno del disarmo qualitativo qualcosa si può fare, si deve fare. Naturalmente non può e non potrà essere quello che noi tedeschi e che voi italiani avete proposto, ma anche una piccola cosa sarebbe in fondo accettabile.

Grandi. -Ma volete spiegarmi il perché siete tanto preoccupato oggi che non si raggiunga un accordo, quanto una settimana fa eravate così preoccupato del contrario? Cosa c'è di nuovo nella condotta tedesca?

Nadolny. -Vi dirò. Il mio Governo ritiene che ove la Conferenza del Disarmo terminasse senza un accordo una sola via conseguente e logica resterebbe alla Germania: quella cioè di dichiararsi svincolata dalle clausole della Parte V dei Trattati, visto che gli Stati firmatari dei Trattati non hanno adempiuto agli obblighi del disarmo. Ora noi sentiamo che un tale atteggiamento da parte nostra forse provocherebbe in questo momento delle gravi ripercussioni europee che noi vogliamo assolutamente evitare. Noi ci contenteremmo di un accordo nel quale le stesse clausole della Parte V figurassero in una convenzione a base contrattuale, anziché continuare a costituire un'obbligazione imposta alla Germania come Potenza vinta. Ci contentiamo, come vedete, di poco.

Grandi. -Cosicché voi accettereste anche un patto sulla sicurezza, del tipo di quello proposto dalla Francia?

Nadolny. -Qualcosa del genere. Un pezzo di carta da aggiungersi agli altri.

Ecco perché io insisto perché voi riflettiate attentamente sulla possibilità di raggiungere un accordo fra voi, i Francesi, gli Inglesi, e gli Americani. L'Italia è una grande Potenza, non può tenersi «à l'écart '>. Voi dovete collaborare alla conciliazione. L'idea americana degli effettivi non è così dannosa per voi come può sembrare a prima vista.

Grandi. -Sentite, caro Nadolny. Parliamoci chiaro. L'Italia ha sostenuto con una lealtà e con una forza, forse eccessiva, la tesi tedesca dell'eguaglianza dei diritti. Non ne siamo pentiti, sebbene quanto mi dite oggi mi fa pensare che forse non ne valeva la pena. Ad ogni modo una cosa dovete ben mettervi in testa: non crediate di poter pensare ad un accordo in materia di armamenti, fatto in certo senso, a spese degli interessi militari dell'Italia. Non mettetevi su questa strada. Piuttosto, poiché ci tenete tanto a questo accordo perché non dichiarate di sospendere la costruzione del « Deutschland » domandando ai Francesi di sospendere la corazzata «Dunquerque » che sta per essere impostata, e parimenti a noi italiani la sospensione della corazzata «Vittorio Veneto» (nome di battesimo creato per l'occasione) che imposteremo? Ecco un atto di buona volontà di cui i Tedeschi, Francesi ed Italiani potrebbero dare l'esempio.

Nadolny. --(Non risponde su questo punto).

Questa conversazione con Nadolny è assai interessante come indice dello stato d'animo, degli obiettivi che la Delegazione tedesca si propone di raggiungere e sopratutto del nulla su cui noi possiamo contare in materia di collaborazione effettiva coi tedeschi non appena usciamo dal terreno delle esercitazioni tattiche.

105

IL MINISTRO PATERNÒ AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

RELAZIONE. Roma, 20 giugno 1932 (1).

La fuga di Ligg Jasu aveva lasciato sperare in un mutamento della situazione in Etiopia. La cattura seguita a brevissima distanza, sembra senza lotta, e cioè senza che la presenza dell'ex Imperatore avesse provocato alcuna reazione, non ha soltanto riportato la situazione allo statu quo ante ma ha foggiato nuovi elementi favorevoli ad Hailé Sellassié. Questi infatti esce dalla breve crisi con Ligg Jasu nelle sue mani e i Ras più che mai sotto il suo diretto e vigile controllo -Ras Hailù moralmente e fisicamente esaurito, si è inconsciamente prestato al giuoco dello Imperatore, fornendogli la propizia occasione di liquidare in un sol colpo la situazione feudale nel Goggiam e la vecchia questione di Ligg Jasu, spada di Damocle per il Trono Imperiale e ragione prima della potenza stragrande del Ras Cassa.

Se la fuga dell'ex Imperatore sia avvenuta in seguito ad un segreto accordo fra il Cassa ed il Sovrano ovvero se il Ras lo abbia liberato per creare nel Paese una situazione contraria al Potere Imperiale, è ancora difficile dire. Sembra però che si possa senz'altro affermare:

1°) che Ligg Jasu non avrebbe potuto prendere la fuga senza il consenso di Ras Gassa;

2°) che conoscendo il Ras Cassa lo stato di deficienza fisica e morale del suo prigioniero, appare inspiegabile stranezza la circostanza che Ligg Jasu non sia stato assistito nella sua fuga da persone capaci di farlo rapidamente fuggire verso il Goggiam sì da servirsene presso le popolazioni dell'Eritrea quale una bandiera per la rivolta e certamente non come di un generale che tale rivolta avrebbe dovuto comandare e dirigere;

3°) che indipendentemente da quel che fu l'elemento intenzionale oggi Ras Cassa si trova ad aver perduto il maggior pegno che garantiva suoi rapporti con l'Imperatore;

4°) che il Ras Hailù incoraggiato da circostanze, ancora non ben determinate, abbia divulgato per Addis Abeba voci su prossimi rivolgimenti nell'interno mentre sembra ormai credibile che nessun serio preparativo sia stato fatto da supposti suoi seguaci, i quali appariscono piuttosto come agenti provocatori che avrebbero dovuto permettere all'Imperatore di procedere per alto tradimento contro l'incosciente Ras del Goggiam. Se, come ne è corsa voce, un simulacro di pace fra Gassa e Hailù precedette veramente la fuga di Ligg Jasu, vi è pure da domandarsi se anche il Cassa non abbia agito, egli pure, da Agente provocatore e compare dell'infido Imperatore. Tutta la politica degli ultimi anni di Ras Cassa dovrebbe logicamente portare ad ammettere questa seconda ipotesi perché, giova ripeterlo, non sarebbero ammissibili altrimenti gli errori commessi con la fuga di Ligg Jasu, lasciato così grossolanamente in balia di se stesso.

La diagnosi della situazione odierna dà come accertato il rafforzamento del prestigio dell'Imperatore e permette di pronosticare che il ritmo della sua attività centralizzatrice riceverà da tale stato di cose un nuovo impulso acceleratore.

È questo il punto essenziale per noi. L'esame fatto nello scorso gennaio (l) che portò a giudic·are come la nostra azione dovesse esser definita con ogni possibile urgenza, dato il ritmo accelerato dell'opera dell'Imperatore, oggi, dopo gli avvenimenti più sopra accennati, non può che confermare l'estrema urgenza che a noi si impone non tanto per ciò che potrebbe essere un pericolo di aggressione alle nostre Colonie, ma soprattutto per la salvaguardia della nostra azione futura a meno che non si giudichi preferibile la deprecata ipotesi di rinunziarvi per sempre.

Ad affrontare il problema l'opera nostra assume necessariamente un duplice aspetto. Uno interno e l'altro, non meno importante, esterno.

L'aspetto interno comporta:

a) una politica morfinizzatrice al centro: niente colpi di spillo: fermezza, dignità ma mai smargiassate che ad altro non servirebbero se non ad acuire le diffidenze Imperiali ed a spingere Hailé Sellassié a premunirsi contro il pericolo italiano. Ciò equivarrebbe a dire che saremmo noi i complici incoscienti del ritmo accentratore sempre più celere dell'Imperatore che non può che avere un solo sbocco: l'acuirsi del nazionalismo la cui parola di ralliement non può che essere la lotta per rivendicare il territorio nazionale (Eritrea) avulso dall'Impero.

b) una accorta politica periferica per attirare nei limiti del possibile le popolazioni limitrofe all'Eritrea. Quindi mezzi ed emissari sicuri: compito del Governo di Asmara.

c) una adeguata preparazione militare. Cosi per la lettera B come per la C sono da prevedere gli aspetti finanziari che comportano gravi decisioni da parte del Governo Fascista. Tanto più ove si consideri lo scarso affidamento che darebbero le truppe eritree se dovessero venire impiegate in Abissinia: Il ricordo del passato che sovente viene invocato non avrebbe oggi lo stesso valore, ove si pensi all'evoluzione del sentimento nazionale che viene a sovrapporsi e quindi a rafforzare lo spirito religioso fortemente sentito da quelle primitive genti.

Dal punto di vista esterno:

Fornicare coi francesi: tener presente che ad Addis Abeba la stretta unione tra italiani e francesi indebolisce la posizione di questi ultimi e costringe l'Imperatore a valorizzare le posizioni italiane. Di ciò si è già fatta l'esperienza. Ma vi ha di più: occorre fornicare a Parigi per dare ad Addis Abeba, ai francesi maggior coraggio ad unirsi a noi ed agli abissini la sensazione che non possono più contare su un locale dissidio itala-francese che in passato giovò tanto alla politica dell'Imperatore. Fornicare a Parigi significa pure preparare il terreno ad altre eventuali future intese senza venire a preventive ossia premature compromissioni come certamente avverrebbe se si agisse in via ufficiale.

(l) Annotazione a margine: «Consegnalo al Gabinetto del Ministro il 24 giugno».

(l) Cfr. serie VII, vol. XI, n. 177.

106

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 2303/1351. Vienna, 20 giugno 1932.

Telespresso ministeriale n. 3719 del 15 giugno (Gab. Min.) (1).

Starhemberg sembra ora meno proclive a chiedere l'aiuto dei nazi per i suoi progetti; dice che se questi si attueranno quelli lo seguiranno e che intanto non vi saranno interferenze, come vi sarebbero invece nel caso di una campagna elettorale, perché Hitler è per l'uso dei mezzi legali ed egli invece per gli extra legali.

Mi si dice che l'idea di Pabst sia di un'intesa itala-austro-ungarica dalla quale in seguito dovrebbe ln qualche modo non restare esclusa la Germania. Pabst è già arrivato o sta per arrivare, e prima di partire per Roma lo vedrò

o saprò da Starhemberg qualche cosa di più concreto sui suoi propositi. Circa la conferenza di quest'ultimo a Berlino, egli assicura aver solo detto voler che l'Austria diventasse un « grosses deutsche Volk ».

Quanto alla questione di un'eventuale restaurazione Starhemberg ne vede le difficoltà, ma pur non dichiarandovisi apertamente favorevole non solleva precise pregiudiziali.

È comprensibile che i nazi cerchino screditare Starhemberg e il suo movimento perché sperano di mettere da parte quello e assorbire questo. Starhemberg non è un chiacchierone e se qualche critica può farglisi non è di debolezza bensì forse di non sempre sufficiente decisione.

Quanto a Pabst mi si assicura che non parteggia decisamente né per Hitler né per Hugenberg pur avendo buoni rapporti con entrambi. Pabst è barca che alza le vele secondo il vento, e mi si asserisce che in questo momento tiene dalla parte del ministro della guerra germanico che considera come il più forte fra i tre.

Circa infine le preoccupazioni sull'annessione ho già avuto occasione di riferire più volte e mi richiamo in special modo al mio colloquio con il capo dei nazi austriaci (mio telespresso n. 1159 del 28 maggio) (2). Se i nazi non prenderanno qui il sopravvento sulle « Heimwehren » il pericolo mi sembrerebbe << rebus sic stantibus » da escludere.

Mi riserbo maggiori ragguagli quando verrò costì (3).

107

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 21 giugno 1932.

L'ottimismo delle prime 48 ore ha dato luogo ad un ragionevole pessimismo, che nulla fa prevedere di buono nei prossimi giorni. Qui a Losanna le cose

stagnano. Herriot è tornato da Parigi intrattabile, e sinora gli sforzi di Macdonald per ricondurlo ~uJla via delle concessioni sono stati infruttuosi. Rileverai daglì uniti appunti (l) alcuni aspetti particolari della situazione come si presenta oggi. Si profila un comune interesse franco-tedesco ad esaminare subito le questioni dell'Europa centro-orientale. Occorrerà tenere gli occhi aperti in questa materia, dove noi abbiamo tanti interessi.

Anche sul problema del disarmo, il Governo britannico ha preso la direzione, per cosi dire, del movimento. MacDonald sta a Losanna e si occupa delle riparazioni. Simon e Samuel stanno prevalentemente a Ginevra e si occupano del disarmo. Il Cancelliere von Papen ed il Ministro von Neurath fingono di mostrare un certo disinteresse per la questione del disarmo, e dichiarano che per ora non andranno a Ginevra, dove rimane Nadolny. Così Herriot lascia al nuovo Ministro della Guerra Boncour il compito di resistere ai tentativi di Simon e dell'americano Gibson tendenti a portare i francesi lontano dal progetto della sicurezza (che gli anglo-sassoni non intendono di accettare) e ad un punto di incontro che permetta un accordo generale, sia pure modesto, in modo da coprire il fallimento della Conferenza, e capace di dare all'Europa quel credito morale necessario, secondo gli inglesi, per presentarsi tutti insieme a Washington e domandare l'annullamento dei debiti.

La pressione anglo-americana si sta esercitando, e abbastanza forte, anche nei nostri riguardi, come era da prevedersi. L'incontro di ieri fra me, Simon e Samuel non rappresenta che la prima fase di questo tentativo. Occorre attendersi che esso venga fatto in maggiore profondità, nei prossimi giorni. Ecco perché ho creduto utile di essere intransigente e negativo su tutta la linea, anche per dare ai nostri amici inglesi la sensazione esatta che noi non siamo meno comodi di quello che lo siano i francesi, e che bisognerà avere dei riguardi sensibili anche a noi, se si vuole trovare quel tale punto di accordo da permettere una fine la meno disonorevole possibile alla Conferenza. Credo che abbiamo in serbo della zavorra che potremo gettare senza danno. Ma lo faremo in seguito, se necessario. Per ora è utile essere intrattatibili. Poi vedremo.

Stamane sono tornato a Losanna e stasera ripartirò di nuovo per Ginevra dove oggi ha avuto luogo un incontro franco-inglese, e domani avrà luogo il secondo incontro itala-britannico.

Se vanno avanti le cose col ritmo attuale ne avremmo sino alla fine di luglio.

ALLEGATO

COLLOQUIO VON PAPEN -GRANDI

Il Cancelliere è venuto stamane a restituirmi la visita. Mi dice di voler mettermi al corrente delle conversazioni avute ieri con MacDonald. Macdonald ha domandato a von Papen se in definitiva la Germr;nia non sarebbe disposta ad accettare l'idea di un " final settlment" basato sull'emissione, una volta tanto, di Obbligazioni sulle ferrovie tedesche, o altrimenti di pubblica utilità, operazione che dovrebbe considerarsi come a saldo di tutte le partite di debito della Germania verso i suoi creditori di riparazioni. Von Papen mi ha detto di aver risposto a MacDonald essere impossibile da parte della Germania di entrare in questo ordine di idee. Mai il popolo tedesco potrebbe accettare la sopravviven

za anche di una parte minima del debito riparazioni, sia pure sotto una forma indiretta, e a carattere di saldo. A parte ciò un regolamento del genere non contribuirebbe certo a facilitare l'accordo fra i debitori europei e l'America. Von Papen conferma che Herriot è tornato da Parigi più intransigente e deciso a non cedere sulla questione della cancellazione del debito tedesco. Von Papen mi dice d'aver dichiarato tanto a Macdonald quanto ad Herriot che, pur rifiutando qualsiasi regolamento mediante il quale la Germania possa essere chiamata a pagare una somma una volta tanto, essa non è maldisposta ad accettare la discussione sul terreno di una collaborazione economica generale, nella quale la Francia potrebbe trovare, come altri Paesi, determinati vantaggi.

Grandi -Domando a Von Papen se egli si riferisce ai problemi economici dell'Europa centro-orientale.

von Papen -Mi dice si.

Grandi -Chiarisco a von Papen ancora una volta l'atteggiamento italiano su questo problema. Herriot si presenta come colui che ha messo da parte il piano Tardieu. Ma in realtà egli ne ha messo da parte solo le apparenze formali, mantenendo la sostanza, la quale consiste nel domandare all'Italia. la Gran Bretagna e la Germania l'accettazione di un fondo comune di garanzia, cioè, in altri termini, domandare che le altre Potenze garantiscano con sacrifici nel campo economico e forse anche finanziario i crediti francesi nell'Europa orientale. È assurdo pensare che l'Italia possa accettare di mettersi su questa strada. Il problema economico dell'Europa centro-orientale deve essere considerato nell'insieme della situazione economica europea e non come a sé stante.

von Papen ed io ci dilunghiamo a parlare su questo problema. È evidente che la Germania, viste le difficoltà di mettersi d'accordo con l'Italia su un programma positivo di comune azione, nel campo economico nell'Europa centro-orientale, cerca di farsi pagare dalla Francia sul conto riparazioni un'attitudine di minore intransigenza nel campo degli interessi finanziari francesi esistenti o da crearsi nell'Europa centro-orientale.

von Papen mi conferma avere egli ripetuto al cancelliere austriaco le sue insistenza perché non accetti il prestito che Francia, Gran Bretagna ed Italia si preparano a concedere. Mi domanda perché l'Italia vi partecipa.

Grandi -Perché noi vogliamo evitare la moratoria in Austria, e perché vogliamo aiutare l'Austria, secondo i desideri espressi dal Cancelliere Austriaco. La moratoria in Austria porterebbe con sé conseguenze forse irrimediabili nella situazione monetariofinanziaria degli altri Stati orientali...

Von Papen mi dice che perdurando cosi le cose egli rientrerà a Berlino fra due o tre giorni. Gli doll).ando se è esatto quanto mi ha detto ieri Nadolny a proposito di quello che la Germania si accontenterebbe di ottenere in materia di armamenti. Von Papen non si è mostrato molto al corrente dei dettagli, ma mi ha confermato che la Germania si accontenta di fissare per ora, attraverso un'obbligazione contrattuale e non più imposta, i limiti dei suoi armamenti attuali.

È chiaro che il Governo tedesco punta oggi sul problema delle riparazioni e rimanda ad età migliore il problema degli armamenti tedeschi.

(l) -Cfr. n. 98. (2) -Cfr. n. 65. (3) -Il documento reca l'annotazione: «Visto da S. E. il Capo del Governo».

(l) Erano allegati a questa lettera, oltre all'appunto sul colloquio con von Papen, gli appunti di Grandi sui colloqui con Nadolny e Simon del 20 giugno (cfr. nn. 103 e 104).

108

IL MAGGIORE RENZETTI ALLA SEGRETERIA PARTICOLARE DEL CAPO DEL GOVERNO (l)

Berlino, 21 giugno 1932.

Ho comunicato oggi ad Hitler i punti fissatimi da S. E. il Capo del Governo. Egli ha ascoltato le mie comunicazioni con malcelata gioia e con vivissima

attenzione, lieto ed orgoglioso insieme dell'interessamento e della simpatia che il Duce nutre per la sua opera. Hitler, come ho detto altre volte, venera Musso lini.

Il Capo delle camicie brune, ha letto degli attentati organizzati contro il Duce in Francia: mi ha ricordato quanto mi disse nello scorso anno allorchè qui corse voce della venuta di S. E. il Capo del Governo: Mussolini, mi ha detto ancora, potrà venire in Germania solo quando comanderemo noi. Allora non vi saranno attentati ed il popolo avrà modo di dimostrargli la sua ammirazione. Io l'ho pregato di stare in guardia poiché si tenterà certamente di sopprimerlo. Mi ha ringraziato ed assicurato di aver preso le misure di sicurezza necessarie.

Parlando dell'Austria, Hitler mi ha detto che su quella Nazione non si può fare alcun assegnamento: gli uomini politici austriaci minacciato l'Anschluss solo per avere del denaro. La Francia paga e le cose continuano cosi.

Non si preoccupa delle minaccie bavaresi né dell'attività del principe Rupprecht-(Hitler odia gli Asburgo e i Wittelsbach)-il quale è da tempo in giro nelle regioni cattoliche (pochi giorni fa gli è stato offerto un banchetto dagli industriali renani cattolici di Diisseldorf). Per mettere a posto i gruppi separatisti basteranno gli S.A., ha soggiunto.

Hitler mi ha chiesto poi notizie del suo desiderato viaggio in Italia. (l) Gli ho risposto che il Duce sarebbe lieto di riceverlo ma che esso doveva riflettere se era il caso di recarsi in Italia prima del 31 luglio. La situazione interna tedesca, gli ho osservato, non mi pare consenta il suo allontamento dalla Germania: nè d'altra parte conviene disturbare le trattative che si svolgono a Losanna.

Hitler sebbene molto a malincuore, (egli aveva già progettato i particolari del viaggio: un giorno a Firenze, due a Roma, uno o due a Napoli: da Monaco a Verona o a Milano in aeroplano e poi in auto), ha dovuto arrendersi alle osservazioni che io ho fatto a titolo personalissimo (Hitler muore dal desiderio di incontrare il Duce) e mi ha detto che mi avrebbe comunicato in seguito i suoi desideri al riguardo.

* Ho ritenuto opportuno rispondere così per evitare la ripetizione di quanto avvenne lo scorso anno e per fare imputare sopratutto alla situazione interna tedesca, la mancata realizzazione del viaggio.* (2). Non so se ho agito bene così facendo e se ~a mia prudenza è stata eccessiva. Ma io non ho pregiudicato nulla ed ho lasciato Hitler che è permaloso, nella persuasione che non dipende da noi se il viaggio non può avere luogo.

Hitler si distanzia sempre di più dal Gabinetto attuale: come si constaterà facilmente, ha seguito i consigli che gli ho dato in passato. Egli ha definito gli attuali dirigenti dei «deboli» con i quali farà quanto vuole: più presto di quanto non si creda, mi ha detto appena mi ha visto, raggiungerò la meta.

13 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

109.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI, E AL MINISTERO DEGLI ESTERI

T. PER CORRIERE 2213/22 R. Losanna, 22 giugno 1932 (per. il 23).

(Solo per Roma). Ho telegrafato Vienna quanto segue:

(Per entrambi). Cancelliere Dollfuss giunto martedì (l) Losanna è venuto subito a vedermi mio albergo, accompagnato da signor Hornbostel che ha funzionato da interprete insieme con Rocco.

Egli ha tenuto ad esprimermi calorosi ringraziamenti per efficace appoggio italiano all'Austria nella questione del prestito, questione che egli considera non solo sotto aspetto di operazione finanziaria ma soprattutto sotto aspetto più vasto di larga azione per ristabilimento vitalità commerciale, credito e fiducia nel paese.

L'ho messo al corrente fasi della situazione a Losanna in confronto problema austriaco segnalandogli favorevole fatto costituito da accettazione italiana e britannica nonché difficoltà tuttora risorgenti da parte francese nonostante abile risposta data da Governo austriaco con richiamo al protocollo del 1922 circa condizioni economiche del prestito. Tale atteggiamento austriaco (ho aggiunto) ha facilitato e facilita mia azione di persuasione presso i circoli finanziari francesi.

Cancelliere mi ha detto che impiego prestito non ancora ben definito consisterebbe dapprima in ristabilimento morale della fiducia nella finanza e nell'amministrazione statale; quindi nel risanamento del Creditanstalt per avviare così ad una ripresa economica che sarebbe agevolata da buoni trattati di commercio secondo precedenti di buone disposizioni verso l'Austria come quelle mostrate dall'Italia. Si giungerebbe cosi alle condizioni per un prestito interno. Se prestito non viene tutto questo programma crolla a cominciare dalla divisa. Altrettanto dicasi in caso di un piccolo aiuto provvisorio.

Gli ho detto che sono pienamente d'accordo nel ritenere necessario il prestito di 300 milioni e non una piccola operazione di anticipo e che l'Italia per questo insiste nella sua linea adoperandosi attivamente a mezzo dei suoi rappresentanti qui a Losanna e nel comitato misto per mettere d'accordo inglesi e francesi.

Cancelliere mi ha nuovamente ringraziato pregandomi di far pervenire ringraziamenti anche al Capo del Governo.

(l) Da A C s. Segreteria Duce, fase. Hitler 442/R; ed. in CoLLIER, pp. 466-467.

(l) -Cfr. n. 87. (2) -Il brano fra asterischi non è edito in CoLLIER.
110

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Ginevra, 22 giugno 1932.

Ieri sera Gibson ha domandato di parlarmi per cosa urgente. Trovandomi io a Losanna l'ho pregato di rimandare l'incontro a stamane. Stamane a mez

zogiorno ci siamo veduti. Gibson mi ha dato confidenziale lettura di un telegramma pervenutogli da Washington nel quale Hoover dopo aver stigmatizzato il procedere dei lavori di Ginevra e soprattutto la cattiva volontà francese dichiara essere venuto nella convinzione di rompere gli indugi a mettere la Conferenza davanti al fatto compiuto di una iniziativa americana diretta all'opinione pubblica del mondo, prima ancora che alle Delegazioni dei Governi a Ginevra. Segue testo dichiarazione che Hoover dà istruzioni al Delegato americano di deporre oggi stesso alla Commissione Generale da convocarsi d'urgenza. Gibson aggiunge che egli ha l'ordine di comunicare in anticipo il contenuto di tale dichiarazione ad Herriot, a MacDonald, a me, ai tedeschi. Gli inglesi ed i francesi hanno in primo tempo cercato di persuadere Henderson a non convocare, e Gibson a rinunciare alla riunione della Commissione Generale per oggi. In secondo tempo ad ottenere che dopo l'esposizione Gibson nessuna Delegazione prendesse la parola. Henderson (che è seccatissimo per essere stato escluso da queste malaugurate conversazioni riservate) ha risposto che egli fa il Presidente imparziale, e questo contrasto fra Henderson e la Delegazione britannica è finito poi stasera in un battibecco salace e non edificante in piena seduta pubblica, tra Henderson e Simon, tutto ciò a riprova della elettricità e della nervosità di questa giornata istruttiva.

Mentre Gibson mi faceva le sue comunicazioni, Simon insisteva al telefono per vedermi subito. Io l'ho fatto aspettare sino a dopo colazione.

Allegato troverai il resoconto della mia conversazione con Simon. Alle 15 si è annunciato von Neurath per farmi un'altra comunicazione CV. allegato). Mi sono raccolto quindi qualche minuto per dettare la dichiarazione che avrei dovuto fare alla seduta convocata per le 16. Mi pare che la linea presa sia la sola che l'Italia potesse e dovesse prendere di fronte al gesto americano. Se avessi fatto diversamente, calcolando sul millimetro i vantaggi e gli svantaggi tecnici del progetto americano, ne sarebbe venuto fuori una dichiarazione che avrebbe abbassato sino a terra il livello della Tua politica * che Tu hai giustamente definito qualche mese fa «rivoluzionaria». E così è* Cl). **Il gesto di Hoover (dettato anche è vero da ragioni elettorali, ecc. ecc.) è uno di quelli che entusiasma per una settimana la pubblica opinione mondiale, e raffreddarlo al suo nascere con riserve, difficoltà ecc. ecc. (come hanno fatto ieri la Francia ed anche l'Inghilterra) è una pessima politica da parte di un'Europa che si prepara a domandare all'America la cancellazione dei debiti, e particolarmente nei riguardi di Hoover che fa un gesto anche perché l'Europa lo aiuti a rendergli meno difficile questa cancellazione cui egli è già favorevole** (2). Situazione eguale a quella di un anno fa in occasione della moratoria finanziaria, alla quale come hai veduto. io mi sono espressamente riferito nella mia dichiarazione.

**Gli Inglesi, lenti a capire, non hanno afferrato l'importanza della cosa e soltanto stasera alla fine della seduta, di fronte al successo fascista e al «gelo » unanime con cui tutte le Delegazioni e la stampa hanno accolto le oscure parole di Simon, hanno finalmente capito, e Simon ha ricevuto allora la

stampa americana «to explain », cercando di rimediare al pessimo effetto delle riserve britanniche**. La giornata di ieri toglie ogni importanza alle «conversazioni» inaugurate dagli Inglesi, e che, come avrai veduto dalle mie lettere, non si presentavano senza preoccupazioni per noi. Aggiungasi da ultimo che il piano Hoover rientra in pieno nel nostro piano del febbraio u.s. *e quindi copre gli interessi della nostra difesa militare, * aggiungendovi un nuovo elemento politico: la ripresa di quell'Accordo Navale del 1° marzo italo-francobritannico (l) che formò oggetto del comunicato del mio incontro di Washington dello scorso novembre e che i Francesi considerano morto e sepolto.

Circa la riduzione degli effettivi l'ultimo testo Hoover è già diverso da quello Gibson di qualche giorno fa, e ad ogni modo, data la sua formulazione generica, ci permette un'applicazione così larga da coprire tutte le eventuali obiezioni.

Brutta giornata oggi per i nostri amici Herriot e Boncour.

* Occorre Ti dica che la dimostrazione fatta stasera all'Italia, è stata fatta all'Italia fascista? Solo qualche anno fa, quando il Delegato italiano si alzava a parlare, la sala si svuotava. Non ho mai visto le facce di quei quattro fuorusciti, che stanno sempre ai primi posti negli scanni dei giornalisti davanti a me, tanto livide come stasera * (2).

Cosa uscirà dalla seduta di oggi? Vedremo domani. Per ora fare induzioni è cosa difficile. Simon è partito per Londra a consultare il Gabinetto britannico. Domattina sarò a Losanna e Ti informerò di là.

N. B. -Ricevo ora, prima di chiudere la lettera la Tua telefonata di approvazione. Ciò mi rende tranquillo. Domani sera spero di poterTi inviare qualche maggiore notizia.

ALLEGATO I

COLLOQUIO GRANDI-SIMON

Ginevra, 22 giugno 1932.

Simon -È letteralmente « furioso » contro gli Americani. « Questo modo di procedere» -egli esclama -«è inammissibile. Non ci si fa trovare avanti un fatto compiuto, e di tale importanza. -Tanto Macdonald come Samuel, Londonderry ed io non possiamo esprimerci, fino a che non avremo consultato l'intero Gabinetto. Ho cercato di evitare la convocazione della Commissione per oggi, ma non è stato possibile. Io dovrò fare delle forti riserve a nome del Governo britannico. Il piano Hoover è inaccettabile per la Gran Bretagna. -Io spero che voi seguirete la stessa linea di condotta. L'Italia e la Gran Bretagna hanno proceduto sin'ora strettamente d'accordo tanto a Ginevra come a Losanna » .

Grandi -Vi parlerò francamente. Io credo che sarebbe un grosso errore politico non accettare il piano americano. Il Governo italiano lo accetta, ed io lo dichiarerò oggi.

Simon -Si tratta di un'accettazione generica, o specifica?

Grandi -Specifica. Altrimenti non servirebbe a nulla. Ma non mi avete detto proprio voi, tre giorni fa, per convincermi ad accettare il risultato delle Vostre conversazioni coi francesi che bisogna dare agli Americani la prova della nostra buona volontà, onde metterei nella migliore condizione morale e politica per andare a domandare loro

la cancellazione dei debiti? Ecco che gli Americani ci offrono essi stessi il modo di farlo. L'Europa commetterebbe un errore ancora più grande di quello commesso un anno fa, quando fece difficoltà e riserve all'accettazione della moratoria Hoover, se oggi rifiutasse con dei « se » e con dei « ma » di accogliere le proposte di disarmo americano, che sono effettivamente proposte serie. Non abbiamo rimproverato sino ad oggi all'America il fatto che le sue proposte fatte sin'ora non toccavano gli armamenti navali? Ecco che l'America oggi propone dei tagli molto considerevoli nelle flotte. Eppoi a parte ogni altra considerazione il piano americano rientra nelle grandi linee nel piano italiano presentato del Febbraio.

Simon -Ma non eravate sino a ieri contrario all'idea americana della riduzione degli effettivi?

Grandi -Si. E lo rimarrò ove mi si proponesse domani, come mi è stato proposto ieri, un progetto di riduzione degli effettivi fuori del quadro delle riduzioni generali nelle diverse categorie di armamenti. Inoltre il progetto Hoover di oggi relativamente agli effettivi non è più quello presentatomi da Gibson qualche giorno fa, ma piuttosto sulla linea di quello di cui Hoover ebbe personalmente a parlarmi a Washington. Gli Americani hanno mostrato di tener conto di alcune delle nostre difficoltà.

Simon -Allora voi siete deciso ad accettare la proposta americana?

Grandi -Si, e vi consiglio nell'interesse vostro, dell'Europa e della Conferenza del Disarmo, di fare altrettanto. Non commettete un errore di cui avrete a pentirvi, solo perché gli americani non hanno seguito i metodi della diplomazia tradizionale. Forse che i metodi di Ginevra appartengono alla buona diplomazia? Parlare ai Governi non conta più nulla. Bisogna ormai parlare alla opinione pubblica mondiale, se si vuole andare avanti e fare qualcosa di serio, senza attardarsi in troppi dettagli che il mondo non capisce, ed ha ragione di non capire.

Simon -Ma l'Ammiraglio britannico non accetterà le riduzioni nel campo navale. Noi proponiamo la riduzione di dislocamento delle corazzate da 35.000 tonnellate a 25.000. Voi siete d'accordo non è vero?

Grandi --:-È un destino che da qualche giorno in qua non possiamo essere d'accordo in nulla, caro Simon. Noi siamo per l'abolizione pura e semplice delle corazzate, ma non accettiamo la riduzione del dislocamento.

Simon -Ma l'avete accettata coll'accordo del lo marzo.

Grandi -Si, ma come contropartita di altri vantaggi nel naviglio leggero. Se i francesi vogliono ridurre il tonnellaggio delle corazzate, firmino l'accordo del 1° Marzo. Altrimenti la Marina Italiana conserverà le sue libertà.

ALLEGATO II

COLLOQUIO GRANDI-NEURATH

Ginevra, 22 giugno 1932.

Von Neurath, venuto a Losanna a prendere finalmente le redini della Delegazione tedesca alla Conferenza del Disarmo, è venuto oggi a farmi una visita per rimettermi l'unito memorandum (l) che il Cancelliere von Papen ha ieri consegnato a Macdonald.

In tale Memorandum il Governo tedesco espone l'attività tedesca nei negoziati di Losanna e Ginevra (Riparazioni, disarmo, questioni economiche, piano politico). Allegato al memorandum vi è il progetto del Patto Consultivo a quattro che il Governo tedesco prepara. Von Neurath mi dichiara essere nelle sue intenzioni di mantenere stretti contatti con me. Egli mi dice che forse von Papen potrà essere sostituito dopo le prossime elezioni, mentre egli von Neurath, è già inteso, rimarrà come Ministro degli Esteri nel futuro Governo di destra.

Mi domanda se l'Italia accetterebbe l'idea di un Patto consultivo a quattro.

Gli rispondo che sottoporrò il progetto al Capo del Governo, e che gli darò una risposta. Personalmente ritengo che il Governo Italiano sarà favorevole ad accettare la proposta tedesca.

Von Neurath mi prega di presentare i suoi omaggi cordiali al Duce (1).

(l) 21 giugno.

(l) -Questo e i successivi passi fra asterischi furono soppressi nella copia inviata al Re. (2) -Questo e i successivi passi fra doppi asterischi sono editi nel Borghese del 28 aprile 1966, n. 17. (l) -Cfr. serle VII, vol. X, n. 99. (2) -Questo passo è stato soppresso nella copia per il Re ed è edito nel Borghese, clt.

(l) Non si pubblica.

111

IL CAPO GABINETTO, GRIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A LOSANNA

L. P. Roma, 22 giugno 1932.

Giornalmente Ti ho segnalato, quando non lo ha fatto direttamente S. E. Fani, le principali novità giornaliere. Non ti ho invece ancora scritto le impressioni sulla Tua attività di Ginevra e di Losanna perché in verità queste impressioni non sarebbero andate oltre quelle mie personali e quindi di molto scarso interesse.

L'impressione generale dei primi giorni, almeno fino alle difficoltà di cui abbiamo avuto notizia dalla stampa ieri sera (martedì 21 giugno) è piuttosto ottimista sia pure senza esagerazioni. Si ha insomma la sensazione che qualche cosa si muova, come quando, assistendo al varo di una nave, si sentono i primi l'Cricchiolii dei puntelli che cominciano a cedere. Non è detto che la nave scenderà in mare felicemente, né che i puntelli cedano del tutto, ma si ha l'impressione del movimento. (Il paragone è certamente molto efficace, ma debbo onestamente chiarire che non ho mai assistito al varo di una n a ve).

Per quanto concerne in special modo l'attività della Delegazione Italiana, mi pare essa proceda bene e che la stampa sia bene intonata. Di particolare abilità, fino a costituire un vero e proprio successo, mi è apparsa la pubblicazione del telegramma di S. E. il Capo del Governo al Primo Ministro britannico e della cordiale e molto simpatica risposta del signor Mac Donald. La stampa ha dato in Italia molto rilievo a questi due documenti, come avrai osservato.

Mi permetto infine di giudicare molto opportuni i Tuoi rapporti a S. E. il Capo del Governo.

Ieri sera ho pranzato con gli ambasciatori di Inghilterra, America e Polonia i quali tutti naturalmente mi domandavano con molto interesse notizie di Ginevra e di Losanna. L'Ambasciatore di Polonia in modo particolare insisteva «et pour cause " sull'opportunità di quella tregua politica decennale di cui i giornali hanno parlato.

Come Ti ho detto non ho elementi circa quello che possa essere il penr;lero di S. E. il Capo del Governo sulle particolari questioni in corso costà, salvo naturalmente la sua direttiva generale che ha confermato anche di recente col suo telegramma per Mac Donald.

S. E. Fani in questi giorni è andato solo due volte da S. E. il Capo del Governo e non ne ha riportato disposizioni o istruzioni di carattere generale.

Ho intervistato altresì l'On. Polverelli soffermandomi lungamente a parlare con lui della duplice battaglia manovrata che stai attualmente conducendo a Losanna e a Ginevra.

Dalle mie conversazioni dovrei trarre le seguenti illazioni: che S. E. il Capo clel Governo ritiene difficile che possa attenersi una soluzione integrale come sarebbe desiderabile; che egli non vedrebbe con favore l'idea di una lunga tregua politica.

Se questa idea si affacciasse effettivamente sulla ribalta di Ginevra e di Losanna credo pertanto che sarebbe necessario sottoporla opportunamente a

S. E. il Capo del Governo.

Venendo ad un altro meno vasto, ma pure importante argomento, e cioè alla questione dell'Austria, mi pare che le cose si siano messe per il momento bene per noi. In particolare mi ha fatto molto riflettere il Tuo colloquio con Herriot del 14 giugno scorso (l). Queste riflessioni mi portano ad alcune considerazioni che col Tuo permesso brevissimamente Ti espongo:

lo -Qualunque combinazione economica nel Danubio in cui noi non entrassimo è svantaggiosa per noi. Ma altrettanto svantaggiosa è qualunque combinazione economica in cui entri anche la Germania.

2° -Tutto questo è già noto tanto è vero che noi abbiamo accarezzato il progetto della nota unione doganale a quattro. Credo però che questa unione doganale, a parte le difficoltà internazionali, si presenterebbe molto pesante per la nostra economia e soprattutto per la nostra finanza.

3° -La combinazione ideale sarebbe dunque quella in cui la Francia desse i denari e l'Italia il suo mercato, accordando un accordo preferenziale sia pure non reciproco all'Austria e all'Ungheria e magari ad una unione doganale austro-ungarica, che potrebbe anche in un secondo tempo addivenire ad accordi preferenziali pure con la Cecoslovacchia. Credo però che sarebbe molto difficile, dai i nostri attuali rapporti con la Germania, impedire al Reich di fare all'Austria quelle stesse concessioni che noi volessimo fare. E un accordo preferenziale austro-tedesco, sarebbe destinato certamente a successivi ampliamenti e costituirebbe un nuovo passo in avanti della Germania verso l'Anschluss molto probabilmente senza ritorno.

4° -Sarei quindi portato a concludere che ove non sia possibile lasciar fuori la Germania da qualsiasi sistema di accordi preferenziali a cui noi prendessimo parte, ogni combinazione economica danubiana sia nell'attuale momento contraria ai nostri interessi. A me sembra che per l'Italia ed anche per h Francia la soluzione migliore del problema austriaco sia (almeno per il momento) che l'Austria continui a vivere di pubblica elemosina.

Io non credo che si tratti di somme enormi, credo che meno di 300 milioni di lire all'anno basterebbero a colmare l'attuale deficit della bilancia commerciale austriaca, deficit che potrà certamente diminuire col migliorare della situazione generale, con più vantaggiosi trattati di commercio e possibili estensioni di quello del Semmering nonché con la diminuzione delle spese del troppo lussuoso Comune di Vienna. Mi sembra dunque conveniente insistere sul lato

finanziario anziché su quello economico, come pure mi sembra che ogni forma più accentuata di controllo internazionale sull'Austria per la parte finanziaria dovrebbe convenirci, tanto più che non ci dovrebbe essere difficile ottenere in una Commissione che avesse questo incarico, la presidenza, come già abbiamo quella del Comitato di Controllo attualmente esistente. I nostri interessi così importanti in Austria e la nostra posizione politica fra Francia e Germania non dovrebbero, ripeto, rendere troppo difficile questa eventualità.

Una simile politica ci costa dei sacrifici finanziari, è vero. Ma credo che se non il lucro emergente, per lo meno il danno cessante potrebbe giustificare a mio avviso molto ampiamente -un contributo di una cinquantina o anche di un centinaio di milioni annui per mantenere un'Austria internazionalizzata.

Non ho nessuna notizia circa il viaggio di Hitler. Tutto tace su questo punto.

A quest'ora sei informato sull'increscioso incidente avvenuto a Parigi. Mi astengo da ogni considerazione sull'attività svolta dall'impiegato dell'addetto navale perché non dovrei che ripetere amare considerazioni che abbiamo già molte volte fatte sulla nessuna utilità rappresentata dall'attivo di fronte ai grandi svantaggi che stanno al passivo, in simile attività svolta da impiegati di nostri uffici.

Circa il diritto da parte nostra di ottenere che venga consegnato quell'impiegato, esso è in verità controverso ed anzi molto discutibile per quanto non manchino appigli a noi favorevoli. Ho fatto preparare un appunto di carattere giuridico da quel giovane e bravo Prof. Baldoni cui ti ho altre volte parlato e che sta adesso sostenendo gli esami per divenire professore stabile di diritto internazionale, e l'ho inviato ad ogni buon fine al Conte Manzoni. Si tratta però di questioni, come quasi tutte quelle di diritto internazionale, dove il giure è incerto ed Influenzato e dominato dalla politica.

S. E. Fani ha fatto preparare alcuni articoli per un numero sull'Africa della Rivista «Gerarchia» che dovrà uscire prossimamente. Mi ha detto di avere in ciò la Tua approvazione. Gli articoli tratteranno del bacino del Congo, della Liberia, del Sud-Africa: ho ritenuto invece di soprassedere ad un nuovo articolo sui mandati dato che «Gerarchia» pubblicherà nello stesso numero il dotto discorso del Sen. Calisse sul medesimo argomento ed anche perché est modus in rebus.

(l) Questo verbale, in una versione profondamente moclificata, è edito in D. GRANDI, La politica estera, p. 971. Un'altra versione ancora è stata utilizzata da G. GIORDANO, Il patto a quattro nella politica estera di Mussolini, Forni, Sala Bolognese. 197G, pp. 200-201.

(l) Cfr. n. 96.

112

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. PER CORRIERE 2222 R. (1). Ginevra, 23 giugno 1932.

Stamane, durante una visita fattami da Litvinoff ho casualmente appreso dal commissario sovietico che Governo turco ha già preso accordi definitivi con

segretariato Società delle Nazioni perché in occasione prossima riunione assemblea che avrà luogo martedì p.v. per continuare esame avvenimenti Estremo Oriente abbia luogo manifestazione da parte delegazioni in favore entrata Turchia nella Società Nazioni. Turchia si sarebbe già impegnata da parte sua entrare prossimo settembre nella Lega.

Poiché né Ismet pachà né Roussdy bey fecero cenno di quanto sopra in occasione recente incontro a Roma, e poiché nessuna comunicazione mi è stata fatta da parte delegazione turca presente a Ginevra non ho mancato esprimere Litvinoff mia meraviglia per strano modo procedere Governo turco il quale manca informarci sopra decisione così importante indomani avere preso impegno consultazione reciproca. Anche Litvinoff appariva meravigliato e dispiaciuto modo procedere Angora.

È utile che V. E. faccia sapere codesto Governo nel modo che giudicherà più opportuno quanto sopra. Io non intendo prendere parte lavori assemblea martedì p. v.

(l) Questo telegramma venne inviato per conoscenza, per corriere al Ministero degli Esteri e all'Ambasciata a Mosca. Il numero 2222 è quello con cui è stata registrata la copia giunta a Roma.

113

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DEL DISARMO, HENDERSON (l)

APPUNTO. Ginevra, 23 giugno 1932.

Vado da Henderson per insistere sull'opportunità di convocare al più presto l"Ufficio di presidenza e la Commissione Generale, onde procedere alla continuazione della discussione sul Piano Hoover. Henderson m'informa che i francesi e gli inglesi sono contrari, ma che anche egli è convinto di questa necessità. Rimaniamo d'accordo che giovedì p. v. si riunirà l'Ufficio di presidenza.

Faccio presente a Henderson il cattivo umore di tutte le Delegazioni per le conversazioni anglo-franco-americane e la necessità di tagliare corto con questa procedura, onde evitare qualche spiacevole sorpresa, che metterebbe in pericolo forse il buon andamento dei lavori della Conferenza.

Henderson è d'accordo.

114

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD

APPUNTO. Ginevra, 23 giugno 1932.

(Mrs. Barton mi telefona dicendo che stasera avrà a pranzo, proveniente da Losanna, MacDonald, e che MacDonald le ha espresso il desiderio di incontrarsi con me. Mi domanda se posso andare anch'io. Accetto l'invito. Siamo

in cinque, Mrs. Barton, Miss Isabel MacDonald, il Primo Ministro, io, e Lord Londonderry. Dopo il pranzo arriva Sir Herbert Samuel, che dopo la partenza di Simon per Londra funziona da Capo della Delegazione britannica a Ginevra).

MacDonald mi parla con amarezza degli americani e mi spiega lungamente, senza convincermi, le ragioni per cui l'Ammiragliato britannico non può accettare la proposta Hoover. Gli rispondo dicendo che l'Europa ha commessò ieri il più grave errore politico e psicologico nei riguardi dell'America, e che ne sconteremo tutti le conseguenze. In certi momenti decisivi bisogna avere il coraggio di dare ai propri interessi una valutazione più larga e comprensiva (1).

Domando a MacDonald cosa pensa della Conferenza di Losanna.

MacDonald: «Ho fatto del mio meglio per convincere Herriot e Von Papen l'uno a rinunciare alle riparazioni, l'altro ad accettare un «final settlement » di poca entità. Non vi sono riuscito, e così ho pregato francesi e tedeschi di scontrarsi direttamente. Non credo che vi è molto più da fare per ora».

Arriva Samuel. Egli mette al corrente MacDonald delle conversazioni di oggi fra lui, Boncour, Gibson e Henderson. Desidera informare anche me della situazione attuale. ì-: sua opinione che occorra discutere il piano Hoover, prendendo punto per punto ed esaminandolo in dettaglio, in relazione allo stato dei lavori degli esperti ed allo stato delle conversazioni fra Delegazioni. Mi domanda il mio parere.

Grandi: Gli rispondo che sono contrario. Il piano Hoover costituisce un tutto inscindibile. Occorre discuterlo nel suo complesso. L'Italia così lo ha accettato; non potrebbe però accettarne le parti distinte fra loro.

MacDonald: Mi domanda se l'Italia accetterebbe la commissione di controllo domandata dai francesi.

Grandi: gli rispondo di no e gli spiego le ragioni: Prima disarmiamo. Poi parleremo di controllo.

MacDonald: Mi domanda la mia opinione sull'impressione di queste conversazioni anglo-franco -americane.

Grandi: Per quanto mi riguarda personalmente, nulla da osservare, perché voi mi avete tenuto al corrente giorno per giorno, cosa di cui vi ringrazio. Ma bisogna riconoscere che tali conversazioni a tre hanno destato i sospetti e determinato uno stato d'animo sfavorevole presso tutte le Delegazioni. Non credo che tale procedura sarà destinata a favorire l'ulteriore sviluppo dei lavori della Conferenza. I tedeschi scontenti, i russi furiosi, le piccole Potenze anche. So perfettamente che queste conversazioni non hanno altro scopo che facilitare una pressione anglo-americana sui francesi, che sarebbe resa più difficile dalla presenza nostra, dei tedeschi e dei russi. Ma bisogna non creare condizioni difficili di lavoro anche alle altre Delegazioni. Io sto resistendo alla

tendenza di procedere ad analoghe conversazioni a tre fra italiani, russi e tedeschi. Ma se si continua su questa strada, ci arriveremo. E in questo caso la Conferenza è finita.

MacDonald: Voi siete in stretto contatto coi tedeschi?

Grandi: Molto stretto, e collaboriamo con perfetta soddisfazione reciproca

MacDonald: Potreste essere lunedì a Losanna per riprendere questa conversazione?

Grandi: Non so ancora. Farò del mio meglio. Ve lo farò sapere (1).

(l) Trasmesso a Mussolini allegato al n. 121.

(l) Cfr. n. 110

115

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL CAPO DELLA DELEGAZIONE TEDESCA ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, NADOLNY

APPUNTO. Ginevra, 23 giugno 1932.

Conversazione di due ore, dalle 23 all'una di notte (2). Nadolny è nervoso. Vuole convincermi della necessità per noi, tedeschi e russi di fare trovare la Conferenza davanti al fatto compiuto di una procedura di conversazioni a tre fra italiani, tedeschi e russi, così da dare la risposta adeguata alle conversazioni anglo-franco-americane. Mi dice che si trova da lui in quel momento l'Ambasciatore sovietico Suritz e che si potrebbe avere intanto uno scambio di idee subito.

Gli rispondo, prima di tutto ricordandogli che proprio qualche giorno fa era lui, Nadolny, che si rammaricava delle difficoltà fatte dall'Italia per un accordo con la Francia e l'Inghilterra (3), mentre ora vedo con piacere che ha mutato attitudine al 100/100.

Nadolny mi interrompe dicendomi che ho ragione, ma che la situazione è cambiata. Riprendo dicendogli che la situazione non è cambiata, ma la sua opinione è cambiata, ciò di cui mi rallegro.

Circa l'opportunità di costituire un blocco fra italiani, tedeschi, russi, sono contrario, almeno in questo momento. Non bisogna sopravalutare l'importanza delle conversazioni tripartite, soprattutto oggi. dopo la presentazione del piano Hoover. Rilevo a questo riguardo che anche la Delegazione tedesca ha mancato ieri una buona occasione per fare una dichiarazione senza riserve. Nadolny confessa che ho ragione, che tutti, meno l'Italia, hanno fatto ieri delle mosse sbagliate, e che egli se n'è reso conto dopo che io ho finito di parlare.

Circa le conversazioni tripartite anglo-franco-americane, è chiaro che oggi la Delegazione americana è legata dalle nuove istruzioni di Hoover e che non appena gli inglesi si sentiranno soli con i francesi le conversazioni sfume

ranno. Non è quindi tempestivo oggi procedere ad una intesa itala-russo-tedesca, che indirettamente favorirebbe l'interpretazione di un accordo anglo-franco-americano, che non esiste. Io capisco che i russi insistano su ciò, ma questo non è nell'interesse né dell'Italia, né, almeno mi sembra, della Germania. Non bisogna fare un giuoco di cui soltanto i russi avrebbero a guadagnare.

Convinco Nadolny ad essere calmo e ad aspettare lunedi per riesaminare insieme la situazione.

(l) -Lunedì 27 giugno ebbe luogo una nuova conversazione Grandi -MacDonald di cui non si è trovato il verbale italiano. Grandi consegnò a MacDonald una lettera (cfr. n. 125) che è il memorandum cui egli accenna nel n. 121. (2) -Il colloquio avvenne dopo il pranzo con MacDonald. (3) -Cfr. n. 104.
116

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL MINISTRO DELLE FINANZE, MOSCONI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 24 giugno 1932.

Abbiamo avuto oggi nel pomeriggio insieme al Prof. Beneduce e Dr. Pirelli una riunione di delegazione durante la quale è stata esaminata e riassunta la situazione della Conferenza di Losanna e la nostra in relazione a quelle delle altre delegazioni. È stato redatto l'unito appunto che inviamo col corriere di stasera.

ALLEGATO

APPUNTO

Losanna, 24 giugno 1932.

Al momento attuale la situazione del negoziato e l'attitudine delle varie Potenze si possono riassumere come segue:

I Tedeschi insistono sull'impossibilità di poter pagare alcunché anche in un avvenire più lontano. Cercano d'altra parte di portare le discussioni sul terreno della collaborazione economica, specie tra Francia e Germania -e, sul terreno politico, offrono un « patto di consultazione».

Gli Inglesi sono per il colpo di spugna completo e immediato. Oltre che da considerazioni di indole generale, appaiono in ciò guidati dalla preoccupazione di salvare i propri crediti privati in Germania e dalla speranza di una ripercussione favorevole che un settlement delle riparazioni avrebbe anche sul ricupero dei loro crediti in altri Paesi e sulla ripresa della loro attività bancaria e commerciale all'estero.

l Francesi sembrano decisi ad ottenere che la Germania faccia ancora dei pagamenti dopo un periodo di moratoria ed accennano ad assimilare la parte incondizionata delle riparazioni ai debiti privati della Germania verso l'estero, perché detta parte incondizionata era mobilizzabile e cioè commercializzabile. Tuttavia alcuni chiari accenni da parte francese fanno ritenere che se la Francia vuoi tener vivo qualche credito verso la Germania ciò fa soprattutto per avere un margine di negoziazione verso l'America. Forse la stessa Francia sarebbe disposta al colpo di spugna o quasi se fosse sicura che l'America cancellerà i debiti di guerra. Tuttavia altra condizione cui la Francia subordina una sua attitudine liberale in materia di riparazioni è di inquadrare i relativi accordi in un programma generale di ricostruzione economica, soit-disant europea, con mire evidenti da parte francese a tornare al progetto di una azione franco-cecoslovacca nelle regioni danubiane, sia nel campo finanziario che in quello economico. Sostengono i francesi che questo allargamento di programma è necessario per far digerire al loro Parlamento i sacrifici nel campo delle riparazioni.

Il Belgio è d'accordo con la Francia e si preoccupa di salvare i suoi crediti di riparazione.

Le minori Potenze e specialmente la Jugoslavia avanzano lo spettro del fallimento se mancasse loro l'introito delle riparazioni (per la Jugoslavia circa 250 milioni di lire annue) e la Francia si fa nettamente paladina di queste necessità degli Stati minori.

Circa i debiti verso l'America l'attitudine inglese non è chiara. Da certe manifestazioni si potrebbe credere che gli Inglesi siano perfino disposti a cancellare tutte le riparazioni senza subordinare tale rinuncia in modo formale ed assoluto alla cancellazione dei debiti americani, mentre non mancano di far sentire tanto alla Francia quanto a noi che il nostro debito di guerra verso di loro non è ipso facto annullato per il fatto della cessazione delle riparazioni, pur essendo l'Inghilterra disposta a tale annullamento se tutto andrà a posto secondo i desiderata inglesi.

I Francesi sono dominati dal timore che la loro prosperità finanziaria attuale renda loro difficile di ottenere la cancellazione del debito da parte degli Stati Uniti. Risulterebbe che essi hanno chiesto agli Inglesi se sarebbero disposti ad impegnarsi in modo preciso ad un'azione comune verso l'America nei riguardi dei debiti e ne hanno avuto affidamenti imprecisi, onde arrivano perfino a sospettare che Londra abbia già preso accordi con Washington. (Se il settlement inglese fosse ridotto al 50% e con et/etto retroattivo, gli Inglesi, tenuto anche conto degli interessi composti sulle somme già pagate, ricupererebbero ciò che dovrebbero pagare all'America per altro 15 o 20 anni e tale sistemazione potrebbe permettere all'America, d'accordo con l'Inghilterra, di non ritoccare il settlement francese, la base del quale è appunto una riduzione al 50%. I Francesi insinuano questo anche per cercare di spaventare noi, che essendo già stati trattati molto bene correremmo il rischio, dicono essi, di vederci concesse delle moratorte, ma non condonato il debito).

La politica dell'America in materia di debiti di guerra, politica certo influenzata dalla situazione elettorale, ma forse anche dall'idea di tenere in pugno la questione dei debiti come arma di negoziazione e di imposizione verso i singoli Stati europei in materia di disarmo o per altre negoziazioni, resta uno dei fattori dominanti del negoziato.

Taluni ritengono che, se l'Europa desse senz'altro il buon esempio, l'America sarebbe trascinata a seguirla; altri ritengono invece che non si possa correre questo rischio, anche perché il Congresso americano è una bestia pericolosa, e che sia anche necessaria la solidarietà di una Germania non liberata dalle riparazioni quando si faranno le démarches con l'America. Si dice da taluno che la stessa dichiarazione di Mac Donald, accettata da von Papen, che « i Trattati non possono essere annullati unilateralmente, ma debbono essere riveduti d'accordo quando si dimostrano di esecuzione impossibile» rimetta in modo pericoloso al beneplacito americano ogni decisione e si dice che, d'altronde, l'america ha fatto sapere che una cancellazione completa delle riparazioni nel momento attuale sarebbe dannosa per ottenere la cancellazione dei debiti sia perché siamo in periodo elettorale e sia perché darebbe l'impressione all'opinione pubblica americana che l'Europa ha scaricato sul contribuente americano tutto il sacrificio.

La Delegazione italiana ha sostenuto e sostiene la seguente tesi:

l) insufficienza di una moratoria anche prolungata;

2) necessità di una decisione immediata e radicale (colpo di spugna) nei riguardi delle riparazioni con sacrificio completo delle stesse da parte di tutti i creditori, ivi comprese le Potenze minori;

3) il colpo di spugna per le riparazioni diventi operante in quanto avvenga anche La cancellazione dei debiti di guerra da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Avendo sostenuto la tesi massima, la Delegazione italiana non ha per ora formulato riserve circa la conservazione dei suoi diritti proporzionalmente agli altri qualora la

Germania avesse ancora a pagare qualche cosa; ma la Delegazione si regola in modo che tale riserva sia implicita e conta naturalmente di difendere questa tesi in modo formale se un accordo franco-tedesco si stabilisse sulla base di un qualche pagamento tedesco.

Per quanto riguarda la questione dell'oro depositato a Londra, ne è stato parlato coi funzionari della Tesoreria, i quali hanno risposto negando qualsiasi nostro diritto a riavere l'oro, se l'Italia non se lo ripaghi a mezzo di riparazioni germaniche o altrimenti.

La Delegazione italiana si riserva di riproporre energicamente la questione al momento opportuno, pur non nascondendosi la difficoltà di ottenere concessioni dal Governo inglese, col quale non è maturata finora in questa Conferenza materia per negoziazioni.

La Delegazione tedesca è al corrente che esiste la questione dell'oro italiano.

Con le altre Delegazioni non se ne è tenuto finora parola per ragioni tattiche.

Le possibili soluzioni si possono prospettare come segue:

l) se un accordo definitivo non risultasse possibile, si arriverebbe probabilmente alla concessione di una lunga moratoria, ma questa è la peggiore delle soluzioni sia dal punto di vista generale che dal punto di vista italiano.

2) Se trionfasse la tesi del colpo di spugna, è certo che i Francesi lo subordinerebbero all'annullamento dei debiti da parte dell'America, sul che noi dovremmo essere d'accordo, salvo trovare la forma, ma i Francesi subordinerebbero anche il colpo di spugna sulle riparazioni a qualche accordo economico e politico europeo più o meno vasto.

3) Se i Tedeschi accedono alla proposta francese di ulteriori pagamenti, sia pure su scala ridottissima e dopo un periodo di moratoria, è probabile che gli Inglesi si adattino a questa soluzione, nel qual caso la Delegazione italiana farebbe altrettanto, cercando naturalmente di far rientrare la questione dell'oro nella ripartizione dei modesti ammontari che la Germania sarebbe ancora chiamata a fare, sia che tali ammontari vengano pagati a titolo di riparazioni, sia che vengano camouflés sotto altri titoli.

A complemento delle conversazioni avute dalla Delegazione italiana con le Delegazioni degli altri Paesi, la Delegazione italiana si propone di precisare o sotto forma di lettera o sotto forma di memorandum analogamente a quanto hanno fatto o stanno facendo altre Delegazioni, i seguenti punti:

l) riaffermazione della necessità del colpo di spugna per la ripresa economica generale, ecc.

2) collegamento riparazioni-debiti e dipendenza della soluzione dell'una questione dalla soluzione dell'altra, pur ammettendo la necessità di agire con la dovuta cautela verso l'America;

3) essendosi detto da più parti che l'Italia era per il colpo di spugna perché non aveva niente da sacrificare, breve ma precisa indicazione dei sacrifici italiani fatti in passato e di quelli che importerebbe il colpo di spugna (in questo modo la Delegazione si propone di prendere posizione contro la richiesta, specialmente jugoslava, di un trattamento speciale nella trattazione delle riparazioni e di aprirsi la strada a richiedere essa pure dei pagamenti, se a pagamenti tedeschi si farà luogo e ciò soprattutto in vista di avere di che ripagarci l'oro);

4) enunciazione del punto di vista italiano in merito ai provvedimenti economici e finanziari per la riorganizzazione del commercio internazionale, ecc.

117

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL DELEGATO DEGLI STATI UNITI ALLA CONFERENZA SUL DISARMO, GIBSON

APPUNTO. Losanna, 24 giugno 1932.

Domando a Gibson quale è il punto di vista della Delegazione americana sul seguito della proposta Hoover, informandolo di quanto ieri sera Sir Herbert Samuel ha riferito, non essere gli americani contrari ad esaminare « point by point » il progetto Hoover, non facendolo uscire dal cerchio delle conversazioni a tre (1).

Gibson reagisce a ciò, dicendo che è inesatto. Il Presidente Hoover ha fatto delle proposte che debbono essere esaminate nel loro complesso e pubblicamente. Fra qualche giorno la discussione dovrà continuare. Tutti dovranno assumersi le loro responsabilità. Espongo a Gibson lo stato d'animo della Conferenza sulle conversazioni a tre.

Gibson m'informa che le conversazioni a tre possono considerarsi ormai finite, e che si attende il ritorno di Simon da Londra (oggi ha luogo a Londra una riunione di Gabinetto sotto la presidenza di Baldwin) per decidere tutti insieme una nuova procedura. Ad ogni modo l'America ha ormai una linea precisa, e da questa non si può muovere, né intende muoversi più. Restiamo d'accordo per mantenere uno stretto contatto fra Delegazione americana e italiana, e procedere ad un'azione su basi comuni, non solo nella sostanza ma a,nche nella procedura. Queste del resto sono le istruzioni di Stimson.

Prima di !asciarci, ricordo a Gibson la questione delle corazzate ( « Deutschland », « Dunquerque » e Vittorio Veneto»), e l'utilità per la Delegazione americana di prendere iniziativa per un accordo fra Germania, Francia e Italia di sospensione per un numero x di anni nella costruzione di corazzate.

«Voi soli americani siete in grado ormai di prendere questa iniziativa. I tedeschi non possono dirvi di no, e sono i tedeschi che debbono incominciare a dichiararsi d'accordo>>. Gli ricordo le dichiarazioni fatte dal Delegato tedesco alla Commissione navale, un articolo (favorevole) del Temps su questo argomento, e un discorso di Herriot (pure favorevole) prima che egli fosse nominato Presidente del Consiglio. «Gli inglesi sono contrari a quest'accordo franco-tedesco-italiano sulle corazzate perché hanno tutto l'interesse che le Potenze continentali si impegnino ad accettare invece una riduzione nel dislocamento (da 34.000 a 25.000) delle corazzate, cioè un tonnellaggio inferiore alle grandi corazzate inglesi attuali ed anche hanno interesse ad indirizzare le Potenze continentali a costruzioni di piccole corazzate anziché di incrociatori di 10.000. Ma voi, Americani, avete l'interesse contrario, e cioè a non diminuire il dislocamento, ma invece a diminuire il numero delle corazzate, come risulta dalla proposta Hoover. Ecco un altro importante punto di incontro fra gli interessi navali americani e italiani».

Gibson mi dice che lavorerà in questo senso e che lo stesso Hoover è stato sul punto di comprendere questa questione nel suo piano. È peccato che non l'abbia fatto. Ad ogni modo occorre lavorare su questa linea. Lunedì ci vedremo ancora.

A mezzogiorno incontro William Martin del Journal de Genève il quale mi domanda se ho qualcosa di interessante da dirgli. «Parlate del "Deutschland" ~ gli ho risposto. Infatti nell'articolo di stasera egli pone la questione. (Se potessimo almeno evitare di costruire delle corazzate, evitando che gli altri ne costruiscano!).

(l) Cfr. n. 114.

118

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

TELESPR. RR. 4072. Roma, 24 giugno 1932.

Telegramma ministeriale n. 157 in data 24 corrente (1).

Facendo seguito al sopraindicato telegramma, prego l'E. V., dietro analoga comunicazione della Segreteria Particolare di S. E. il Capo del Governo (2), di voler precisare al Maggiore Renzetti, in relazione alla sua lettera diretta in data 14 corrente a S. E. Starace (3), che «comunque il noto viaggio non può aver luogo se non dopo le Conferenze di Losanna e di Ginevra».

Ella vorrà quindi pregare il Maggiore Renzettl di soprassedere per ora a comunicazioni in proposito, data la lunga durata che si prevede avranno le Conferenze in questione.

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEGLI AFFARI DI CULTO, ROCCO (4)

L. Roma,... (5)

In risposta alla Tua lettera del 18 corrente, n. 8493, Ti comunico che, per quanto mi concerne, non vedrei difficoltà all'attuazione dell'iniziativa del « Comité France-Italie » di offrire alla città di Roma, a mezzo di sottoscrizioni, il busto di Chateaubriand di David d'Angers.

Sarebbe bene, in ogni caso, prima di dare una risposta al signor Pierre de Nolhac, che Tu sottoponessi la cosa alle alte decisioni di S. E. il Capo del Governo.

(l) -T.r. 5479/157 P. R. delle ore 14, non pubblicato. (2) -Del 22 giugno (ACS, Segreteria del Duce, fase. Hitler 442/R). (3) -Non pubblicata. (4) -Rocco era presidente della Commissione nazionale Italiana per la cooperazione intellettuale. (5) -La lettera non fu spedita. Si Inserisce qui tenendo conto del seguente appunto di Fan! del 24 giugno. «Ho telefonato a Rocco Il quale mi ha assicurato che senza dir di no tirerà In lungo la cosa».
120

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 4800/1030. Belgrado, 24 giugno 1932.

Trasmetto qui unito a V. E. un rapporto (l) direttomi dal Cav. Pietrabissa a seguito di un di lui colloquio col Dott. Pilja il quale si è mostrato assai preoccupato per le rinnovate polemiche di stampa che risollevano inquietudini e diffidenze fra i due paesi che sembravano allontanate, fanno credere a peggiorati rapporti politici, ed in ogni caso paiono in aperto contrasto con i fini generali di riavvicinamento economico che dovrebbero essere uno degli obiettivi del Comitato deciso in occasione dell'accordo addizionale entrato in vigore il 1° corrente (2).

Circa l'indirizzo attuale della nostra stampa, l'effetto a rovescio che essa produce su questa opinione pubblica, la contraddizione fra simpatia alla causa croata e propaganda per la Dalmazia, fra gli attacchi ai serbi incivili ed il ricordo del loro disinteresse, nel primissimo periodo della guerra, verso la Dalmazia etc. etc. è ozioso io mi esprima ulteriormente (3).

È pure ben lungi da me, e tengo a precisarlo sempre, il proposito di difendere o giustificare comechessia l'atteggiamento odierno della stampa jugoslava che da Lubiana a Bitolj segue ora una unica condotta antitaliana. Né oblio davvero che invece di «due emigrazioni» essa dovrebbe parlare di tre, comprendendovi quella degli allogeni che hanno trovato qui aiuti e consensi di ogni genere per facilitare il compimento di reati nella Venezia Giulia, che ai facsimili delle dichiarazioni che si fanno nei nostri Comizi pro Dalmazia se ne possono contrapporre a decine di autorità jugoslave e di Ministri in carica dal Sernec al Puceli, etc. etc.

Ma da questa polemica ne deriva in ogni caso l'annullamento di un beneficio che certamente si era raggiunto nei mesi precedenti. E mentre non vi ha

«L'E. v. ha. certamente seguito nei telegrammi Stefa.ni e nella. rassegna. stampa. la. campagna. aperta. dal Vreme il l o luglio, a.d opera. dello scrittore Krakov, per ridestare gli spiriti jugoslavi con l'argomento che la. Jugoslavia è in pericolo, che è minacciata da. nemici esterni, che occorre fare appello allo spirito guerriero per difenderla, e che essa. può essere vicina. a. morte se non si provvede presta.mente etc. etc. Agli articoli del Kra.kov hanno fatto seguitourgenti riunioni di comitagi, discorsi del generale Kriptovic, parole focose del noto comita.gio Kosta. Pecia.na.z etc. E poi è venuta. la. costituzione di gruppi giovanili, anche nell'università di Belgrado.

:11: giuoco di governo far credere che non esso e Marinkovic sono in pericolo, ma la. Jugoslavia. stessa: il che non è. Per questo giuoco si profitta dell'attitudine della. stampa bulgara, unghe

14 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

dubbio della anche nostra convenienza economica di aumentare i nostri rapporti con la Jugoslavia, è del pari certo che la cattiva atmosfera politica ha su di essi, sia pure per una percentuale, una non dubbia influenza negativa.

Mi limito a segnalare la situazione di fatto.

rese, austriaca e prevalentemente dalla nostra che, forse, inconsciamente, si adopera nel senso che più è desiderato da Marinkovic. Ma a parte che attraverso gli attacchi ai nemici stranieri si può forse soprattutto mirare alla Bulgaria come quello più debole e che potrebbe fornire più agevole diversivo, è la nostra stampa quella che più preoccupa ed ai cui attacchi si è qui più sensibili, poiché, quanto possono scrivere giornali francesi come il Temps che è letto solo dai ristrettissimi circoli diplomatici, o giornali inglesi come il Times Manchester Guardian etc. che nessuno o quasi conosce, è assolutamente indifferente.

E ciò perché se molte ingiurie vanno al nostro paese, nel fondo dell'animo di ogni jugoslavo è sicura ed immutabile la convinzione che solo ed unicamente l'accordo con l'Italia può dare la stabilità, la sicurezza * ed il tranquillo svolgersi della vita jugoslava. Quindi nelle denigrazioni e negli attacchi all'Italia noi dobbiamo vedere in primo luogo un fondamentale dispetto ed una profonda disillusione che l'Italia non sia la migliore amica e la massima sostenitrice della Jugoslavia.*

v. E. non ignora quali più ampi progetti economici siano stati accennati dalla delegazione jugoslava venuta costà in occasione dell'accordo addizionale. Ho poi riferito man mano se ne è presentata l'occasione dichiarazioni di personalità importanti («voi avrete in Jugoslavia dal punto di vista economico e come sbocco industriale una colonia ben più utile che non quelle di Africa») fino all'ultimo articolo del PriVredni Pregled che terminava atrermando che non l'accordo danubiano interessava ma l'Adriatico interessava. E la costituzione del comitato economico permanente solleva la speranza che allorquando esso siederà da qualche tempo ed avrà risolto con comune soddisfazione qualche problema economico commerciale, non potrà non porsi il problema dei rapporti politici, e. visto il buon risultato degli economici, non trattare e condurre a felice soluzione anche questi.

Sono su questa linea tutte le dichiarazioni private che i Ministri oggi in carica fanno ad ogni possibile occasione. Ma dirò di più. Mai forse vi fu come in questo momento un sentimento pubblico cosi universalmente favorevole all'Italia in ogni diversa parte del Regno per ditrerenti motivi ma convergentl in una concorde aspirazione. Financo in Sloveniall! L'arresto del sacerdoti ed ex deputati segnalato, viene dalla voce pubblica spiegato con atti di propaganda a favore dell'Italia!!!

E persona della più assoluta fiducia che ha assistito al recentissimo Congresso Eucaristico di Serajevo (ivi è il noto vescovo Sarlc dichiarato pubblico ammiratore di s. E. il Capo del Governo e del Fascismo e che col vescovo di Banja Luka rifiutò di associarsi alla circolare di Bauer per il nostro clero allogeno) mi diceva di avere avuto queste dichiarazioni da molti fedeli:*" noi non vogliamo né Serbia né Croazia, vogliamo una Bosnia in 'Corpus Separatum' sotto la protezione dell'Italia ". Ciò che assomiglia alle antiche dichiarazioni fatte da Koroscez in un momento di difficoltà con Belgrado, dichiarazioni da lui non mal smentite: " Noi vogliamo una Slovenia indipendente sotto la protezione dell'Italia e con la garanzia del Papa" •

Intendiamoci bene: Io non attribuisco a queste dichiarazioni nessun preciso valore, e sono ben !ungi dal credere alla loro etrettiva importanza, tanto più che sorgono dal sentimento più corrente nella determinazione delle simpatie politiche (il nemico del mio nemico è mio amico) e la nostra stampa infatti, ci fa apparire come i più accaniti nemici dei serbi che pur

furono, bene o male, nostri alleati durante la guerra, mentre croati sloveni e bosniaci (chi ha

dimenticati i reggimenti bosniaci di stanza a Trieste?) costituirono le unità nemiche -con le ungheresi -più feroci contro di noi. Ma qualunque sia 11 movente di simili dichiarazioni esse finiscono col determinare una disposizione sempre più generalizzata di favore verso l'Italia, e quando si guardi soprattutto alla Slovenia ed alle recenti grida di " viva Mussolini" in Dalmazia fanno per lo meno pensare che tutta l'agitazione irredentlsta giuliana non è tutta genuina e spontanea, ma dovuta principalmente al sostegno di Belgrado, che pur desiderando l'accordo con noi, si vale fin che può e fin quando lo possa, anche di questa molla per cementare le unità serbe. E fanno domandare se l'irredentismo giuliano dovrà davvero costituire un ostacolo !nsuperablle ed !nsopprimibile per un ipotetico riavvicinamento verso l'Italia.

Ho così indicato a V. E. quelli che, sulla scorta dei fatti contenuti nel notiziario, mi sembrano gli aspetti più caratteristici del momento presente: finalità che il governo Marinkovic sembra volere raggiungere, sintomi d'incertezza e di contrasti nel governo stesso, attività tattica dell'opposizione extra parlamentare, aspirazione di questa a riprendere il potere, comune convergenza verso un federalismo, permanere di una situazione interna gravida di torbido malessere alla mercè di ogni imprevisto incidente che l'aggravarsi della situazione economico-finanziaria può rendere più facile e possibile, accresciuto sentimento d! simpatia verso il nostro Paese e speranze che vi si riporrebbero se si arrivasse ad uno speratissimo accordo e che ognuna delle parti politiche vorrebbe naturalmente per sé ed a suo merito ma che certo se. per assurda ipotesi, arrivasse domani, rafforzerebbe contro l'unanime sentimento pubblico la situazione politica presente. Come reciproca, 11 sentimento antifrancese è in progresso. ed è alla Francia, alla politica finanziaria e militare che essa impone alla Jugoslavia, che si fanno risalire tutti i mali che oggi affliggono questo Stato.

Debbo poi, ad ultimissima conclusione, ripetere che è mia ferma odierna convinzione che non si tratta di crisi che comprometti la formazione statale jugoslava.

Si è ancora lontani da ciò, ma se cl si avvicinasse a questo mortale pericolo, le resistenze sarebbero ancora forti e le possibilità del Re e del serblsmo di salvarsi, non innumerevoli, ma sicuramente certe. E dire oggi di Mano Nera e Bianca, di richiamo al trono del Principe Giorgio, ricordare l'eccidio di Serajevo, il processo di Salon!cco, il colonnello Apis, 11 fato che Incombe sulle oscure camarllle di corte etc. etc. come vedo in molta stampa inglese e tedesa, è vaneggiare, non e•porre serenamente ed obiettivamente nei suoi elementi essenziali questa complessa. e delicata situazione anche se essa otrra punti oscuri e contradlttori ».

I brani fra asterischi sono stati sottolineati con ogni probabilità da Mussolini.

(l) -Non si pubblica. (2) -:11: l'accordo commerciale stipulato nell'aprile 1932. Vedi Trattati e Convenzioni tra il Regno d'Italia e gli altri Stati, vol. XLIV, pp. 271-278. (3) -Cfr. nn. 80 e 84. Cfr. anche quanto trasmetteva Galli il 16 giugno con t.posta. 4643/965:
121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 25 giugno 1932.

Troverai allegati una lettera di Gibson, contenente un telegramma molto cordiale di Stimson, e la mia risposta (1).

Allego inoltre alcuni resoconti relativi alla giornata di ier l'altro e di ieri (2). Dalla lettura avrai indicazioni sulla situazione.

Credo che l'attitudine da noi presa di fronte al progetto Hoover non poteva essere migliore, sia in relazione agli sviluppi della nostra politica nel problema del disarmo, sia in quello -che si presenterà delicato per l'Europa nella prossima estate -dei nostri debiti di guerra verso l'America.

Stiamo lavorando alla compilazione del «memorandum» italiano sul problema ripaTazioni ecc. ecc., che vorrei poter presentare stasera stessa a MacDonald, e cioè prima della fine della settimana (3).

Ieri sera ho spedito una lettera a firma anche di Mosconi con un appunto riassuntivo della situazione della Conferenza di Losanna (4).

Ieri sera Von Neurath, prima di recarsi all'incontro franco-tedesco, è venuto a trovarmi ed a mezzogiorno di oggi ci rivedremo di nuovo (5). Neurath, sinora, ha un'attitudine molto leale verso di noi.

122

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, NEURATH

APPUNTO. Losanna, 25 giugno 1932.

(Von Neurath ieri sera ha domandato di vedermi prima di recarsi all'incontro coi francesi. Trovandomi a Ginevra in quel momento, egli è venuto egualmente alla Delegazione Italiana e ha dichiarato al Segretario Generale Buti che nell'incontro coi francesi non si sarebbe discusso nulla di conclusivo ma che, ad ogni modo, egli desiderava tenerci al corrente di tutti i particolari. Stamane sono andato a trovarlo all'Hotel Savoy).

Grandi. -Vi ringrazio per le comunicazioni di ieri sera. Sono venuto per comunicarvi, per somme linee, H contenuto del memorandum italiano che sarà consegnato lunedì.

Von Neurath. -Mi ringrazia e mi mette al corrente della lunga discussione di ieri sera fra le Delegazioni francese e tedesca. Le posizioni rimangono sempre le stesse.

(-4) Cfr. n. 116.

Da ultimo von Neurath mi informa confidenzialmente che egli ritiene che il Governo germanico, ove a Losanna si decidesse effettivamente la liberazione tedesca dalle riparazioni, potrebbe accettare un pagamento a saldo, a «forfait '>, e cioè per una volta tanto. Si tratta di discutere l'ammontare. Questa non è ancora l'idea di tutto il Gabinetto di Berlino, e von Papen si è recato oggi a Berlino appunto per persuadere i suoi colleghi dell'opportunità di mettersi su questa strada.

Si parla da ultimo delle questioni economiche, specialmente dell'Europa Orientale. Rimaniamo d'accordo di mettere nuovamente in contatto i nostri tecnici economici e precisamente il Prof. Beneduce per l'Italia ed il Ministro del Commercio, signor Warmbold, per la Germania.

(l) -Questi allegati mancano. Vedine una versione in D. GRANDI, La politica estera, cit., pp. 973-974. (2) -Cfr. nn. 113, 114, 115, 117. (3) -Cfr. n. 125. (5) -Cfr. n. 122.
123

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'UFFICIO STAMPA (l)

APPUNTO. Roma, 25 giugno 1932.

L'Incaricato d'Affari di Francia, con tono vivamente emozionato, è venuto a protestare ufficialmente contro l'articolo del Popolo di Roma riproducente i brani salienti di un articolo che sarà pubblicato il 30 corrente da Gioventù Fascista.

L'incaricato d'Affari ha fatto appello all'opportunità di non turbare le relazioni itala-francesi permettendo la pubblicazione di un tale articolo, il quale non può essere considerato che come una grave offesa alla Francia, data la forma violentissima in cui è scritto, e dato anche il fatto che il direttore di Gioventù Fascista è il segretario del Partito, e la sede del giornale trovasi al Palazzo del Littorio.

I corrispondenti francesi a Roma hanno manifestato spontaneamente (ha aggiunto il Conte Dampierre) all'Ambasciata di Francia l'intenzione di non intervenire al pranzo che verrà offerto stasera dall'On. Polverelli ai giornalisti esteri, per significare così la loro protesta.

124

IL CAPO GABINETTO, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

L. P. Roma, 25 giugno 1932.

La Tua telefonata di or ora mi dispensa dallo scriverTi più a lungo. Mi limito ad accluderti il Popolo di Roma che ha suscitato la protesta dell'Incari

cato d'Affari francese (1). Finora mediante l'Ufficio Stampa ci siamo adoperati per evitare che altri giornali quotidiani riprendano l'~rticolo ed attendiamo domattina per conoscere le intenzioni di S. E. il Capo del Governo circa la pubblicazione integrale o meno su Gioventù Fascista. Intanto pare in seguito a quanto noi abbiamo detto all'Incaricato d'Affari di Francia che i giornalisti francesi interverranno al pranzo di stasera.

Circa l'atteggiamento generale della stampa Ti ho informato dei miei

accordi con l'On. Polverelli.

Credimi Eccellenza che è assai difficile lavorare.

Non ho altre novità di particolare interesse oltre a quelle che affido alla mia consueta lettera a Nonis. Sembra confermata la partenza di S. E. il Capo del Governo il quale sarebbe partito oggi pare per una settimana. Circa l'incidente Vingiano attenderò la prima comunicazione che giungerà da Parigi per cercare di riprendere la linea che Tu hai approvato.

P. S. -Come ti ho detto il concorso procede bene. Fra i presenti non c'è il giovane Felletti, per quanto regolarmente ammesso.

(l) Annotazione a margine: <<Consegnato all'Ufficio Stampa alle ore 13 (Cavalletti)».

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD (2)

L. Losanna, 27 giugno 1932.

Durante la nostra conversazione di ieri voi mi avete espresso il desiderio C'he vi precisassi il pensiero della delegazione italiana sull'attuale fase dei nostri lavori e vi indicassi quei punti che, a mio avviso, possono essere considerati di particolare interesse e rappresentare un pratico contributo al successo della Conferenza.

l) Gli avvenimenti di ogni specie e di tutti i giorni rafforzano il Governo e la delegazione italiana nella convinzione che sia più che mai necessario d1 giungere a delle decisioni definitive, e che queste decisioni definitive per raggiungere lo scopo voluto non possano essere ormai se non c il colpo di spugna ~ sulle obbligazioni di guerra. La maggiore necessità del momento attuale è palesemente quella di ritorna·re alla normalità dei rapporti economici e finanziari: ciò non può avvenire se non con un atto che liberi il mondo da uno dei più grossi ostacoli alla ripresa dei traffici, degli scambi e alla rinascita della fiducia. È indubbio che il vantaggio di futuri e incerti pagamenti per la riscossione delle obbligazioni finanziarie della guerra sarebbe annullato dal permanere di correnti di traffico artificiose e instabili quali sono quelle che le riparazioni e i debiti di guerra necessariamente determinano.

2) L'Italia, nel dichiararsi pronta a partecipare insieme con gli altri Stati alla cancellazione delle riparazioni, è naturalmente conscia dei sacrifici che le

deriveranno da tale atto. La storia delle riparazioni segna una serie di sacrifici accettati dall'Italia. L'Italia ha ricevuto dalla Germania assai meno delle altre nazioni proporzionalmente ai suoi danni di guerra ed ha consentito che le riparazioni orientali -nelle quali doveva trovare un compenso alla minore assegnazione delle riparazioni germaniche -andassero invece a beneficio della ricostruzione finanziaria ed economica dell'Austria e dell'Ungheria. È questo uno degli atti con i quali l'Italia ha da tempo dimostrato di anteporre le necessità generali della vita economica e finanziaria ai suoi particolari benefici.

La cancellazione delle riparazioni tedesche toglierà all'Italia un margine netto di non poca entità, sul quale il bilancio dello Stato aveva contato come parziale compenso alle non eque ripartizioni del passato. Questo saldo non rappresenta tuttavia la misura del sacrificio che imporrà all'Italia la cancellazione delle riparazioni germaniche. L'opinione pubblica italiana ha la profonda convinzione del trattamento sfavorevole fatto in tutti i campi all'Italia nella ripartizione delle riparazioni di guerra. Ove si consideri poi che i crediti privati italiani verso privati tedeschi sono di ben scarsa importanza rispetto a quelli di altre nazioni -le quali in questo campo possono quindi trovare largo beneficio dalla cancellazione delle riparazioni -si avrà una nuova prova delle ragioni di solidarietà internazionali che guidano la politica italiana.

3) La cancellazione va naturalmente intesa nel senso più generale ed applicata indistintamente nei confronti di tutti. Non si può pensare che nell'opera di ricostruzione europea alcuni creditori di riparazioni siano sacrificati ad altri. Non si potrebbe domandare ad un paese di partecipare alla cancellazione, se tutti gli altri paesi non vi partecipino egualmente.

4) Il regolamento definitivo dellé riparazioni importa come conseguenza naturale quello dei debiti di guerra. Evidentemente in occasione del regolamento delle riparazioni vi saranno pure taluni rapporti da liquidare fra Stati creditori della Germania per il fatto delle stipulazioni esistenti fra di essi. Il Governo italiano ha sempre ritenuto che l'interdipendenza tra la questione dei debiti di guerra e quella delle riparazioni è un aspetto essenziale del problema. Le riparazioni infatti costituiscono per molti paesi un'indispensabile contropartita finanziaria per i pagamenti dovuti a rimborso dei debiti di guerra. Inoltre dando luogo anche questi ultimi a rapporti finanziari internazionali senza contropartite economiche, essi costituiscono, alla pari delle riparazioni, un evidente impedimento alla ripresa economica del mondo. Occorre pertanto che tutte le nazioni europee creditrici e debitrici riunite a Losanna prendano ciascuna per una parte che la riguarda, decisioni in tal senso in modo da chiarire i rispettivi rapporti creditori e debitori e non lasciare pel futuro adito a dubbi o malintesi. Per quanto riguarda più direttamente il mio Paese mi riferisco al debito di guerra fra l'Italia e la Gran Bretagna.

5) La cancellazione delle obbligazioni finanziarie di guerra non è né deve essere fine a se stessa, ma premessa e condizione per la rinascita della fiducia e per la ripresa delle relazioni economiche e finanziarie normali fra i vari paesi. È anzi mio convincimento che questo sia il fine ultimo della Conferenza. A tal uopo la delegazione italiana è d'avviso che la riorganizzazione monetaria su basi stabill della valuta dei vari paesi sia la condizione pregiudiziale e più efficace per la ripresa dei traffici europei; mentre ogni assistenza finanziaria, che prescindesse dal problema monetario e dalla realizzazione di una stabile capacità di pagamento nei confronti dell'estero, non farebbe che prolungare e in definitiva peggiorare la situazione. Ritengo questo aspetto del problema di importanza fondamentale se noi intendiamo effettivamente di compiere un'opera benefica e duratura.

Nel fare questa affermazione, ho naturalmente presente l'esistenza di situazioni monetarie specialmente gravi in taluni paesi minori. L'azione di assistenza monetaria dovrebbe effettuarsi con il concorso delle maggiori banche di emissione ed eventualmente con l'intervento di garanzia degli Stati, e l'opera della Banca pei regolamenti internazionali (centro di collaborazione monetaria che offre le maggiori garanzie) potrebbe essere a tal fine opportunamente richiesta.

6) Nel campo economico la delegazione italiana ritiene che la graduale riduzione delle barriere doganali e di tutti gli altri ostacoli, che si sono venuti moltiplicando in questi ultimi tempi 2.lla libera circolazione delle merci, sia elemento essenziale di qualsivoglia opera di ricostruzione. È questo del resto un punto su cui si può ritenere che esista il consenso generale. Si tratta di avere la volontà di passare alle determinazioni pratiche. Le misure e i provvedimenti varie volte all'uopo proposti sono caduti finora nel vuoto. La cancellazione delle obbligazioni di guerra sarebbe d'altro lato insufficiente se non si accompagnasse a misure atte ad assicurare una ripresa degli scambi e una collaborazione economica fondate sul principio di una più razionale ed utile ripartizione territor,iale delle produzioni.

Penso che occorre fare uno sforzo risoluto per uscire dalla fase delle economie chiuse. Queste ultime ove dovessero perdurare e svilupparsi vieppiù finirebbero col costituire un pericolo sociale sempre maggiore e una minaccia sempre più grave alla stabilità dei rapporti internazionali.

Su queste linee desidero confermarvi l'attiva cooperazione mia e dei miei colleghi della delegazione italiana nell'esame delle questioni che la Conferenza deve ancora risolvere.

(l) -Cfr. n. 123. (2) -Ed. in D. GRANDI, La politica estera, cit. pp. 711-714 e, con varianti e sotto la. data 25 giugno, in Bollettino del Ministero degli Affari Esteri, 1932, pp. 485-487.
126

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, HERRIOT

APPUNTO. Losanna, 27 giugno 1932.

Grandi. -«Sono venuto a portarvi il testo della lettera che ho consegnato or ora al Presidente della Conferenza, signor Macdonald » (l).

Herriot. -(legge attentamente il documento. Silenzio imbarazzante).

Grandi. -«Sono dolente che in molti punti il punto di vista italiano non possa coincidere col punto di vista francese. Poco fa il signor Macdonald mi ha domandato il mio giudizio sulla situazione della Conferenza. Gli ho risposto

che la Delegazione italiana si augurava sinceramente un esito rapido e soddisfacente delle conversazioni dirette franco-tedesche. Un accordo di massima franco-tedesco costituisce il punto centrale della situazione. Esso faciliterebbe un ulteriore accordo fra tutti gli Stati rappresentati a Losanna ».

Herriot. -(che non si attendeva evidentemente queste mie parole, rompe il ghiaccio e si mette a parlare diffusamente di queste conversazioni). «Per ora i punti di vista sono ancora molto lontani. La Francia non può rinunciare, non rinuncerà mai, a vedere annullato il titolo giuridico che le dà diritto alle riparazioni. La Germania oggi non può pagare, ma lo potrà certamente domani. D'altra parte è un errore credere che l'America, una volta annullate le riparazioni, annullerà i debiti. L'America non annullerà i debiti, ed i debitori europei rimarranno allo scoperto. La questione non si riferisce soltanto alle riparazioni, bensì riguarda direttamente la ricostruzione economica e politica dell'Europa. Non è dunque solo un problema franco-tedesco, bensì un problema europeo che deve essere attentamente esaminato».

Grandi. -« Sono d'accordo. Si tratta di un problema europeo i cui aspetti finanziari ed economici non sono che aspetti di un problema politico delicato ed importante, che va risolto nella sua unità. Per quanto riguarda i debiti di guerra, a differenza della Gran Bretagna che è favorevole al «colpo di spugna» solo per le riparazioni e non per ,i suoi crediti verso la Francia e l'Italia, e a differenza della Francia che dichiara non accettare alcuna soluzione senza l'impegno americano alla cancellazione dei debiti, l'Italia propone che creditori e debitori europei provvedano intanto alla liquidazione delle loro padite rispettive, con una formula che potrebbe essere per esempio la seguente: "We are prepared to do" colla quale presentarsi insieme all'America».

Herriot. -«Voi proponete insomma il fronte unico europeo contro l'America. Ma ciò susciterebbe un'opposizione generale nell'opinione pubblica americana».

Grandi. -«No. Nessun fronte unico. Al contrario, io propongo una formula che significhi che l'Europa è pronta a fare degli effettivi sacrifici, e ciò per facilitare all'America di mettersi sul terreno di analoghe concessioni. Ma poi, io mi domando, a parte queste considerazioni d'ordine generale, non vale la pena di accettare quello che il Governo tedesco propone o mostra di voler proporre oggi come transazione definitiva nel campo delle riparazioni (somma a saldo netto) del disarmo (accettazione dello stato di fatto, ma per obbligazione volontaria non imposta) e nel campo politico (patto consultivo ecc. ecc.)? Siete voi sicuro che la Germania di domani sarebbe disposta a fare queste concessioni? Io non lo credo. Bisogna mettersi su un piano realistico, mercantile se volete, ma è n solo che allo stato dei fatti deve essere considerato».

Herriot. -« La Francia non può, non potrà mai rassegnarsi ad accettare queste proposte. Io sono pronto a discutere, a trovare delle formule nuove. Ma esse non debbono significare che la Francia accetta il fatto compiuto della assoluta liberazione tedesca».

Grandi. -«Passiamo ad altro. Nell'ultimo nostro incontro a Ginevra (l) siamo rimasti d'accordo di proseguire nelle nostre conversazioni sull'insieme dei rapporti tra i nostri due Paesi. Io sono sempre a vostra disposizione».

Herriot. -« Ebbene, bisogna purtroppo riconoscere che i nostri rapporti vanno male, molto male. Torno da Parigi dove mi hanno testé informato dell'incidente a carico di quel tale Vingiano, impiegato dell'Ambasciata d'Italia, sorpreso in flagrante delitto di spionaggio. È un caso grave e assai spiacevole. Poi c'è l'articolo di Gioventù Fascista (2), giornale diretto personalmente dal Segretario del Partito fascista, che è un personaggio nominato con Decreto Reale, e fa parte del Consiglio dei Ministri, cioè è un'autorità responsabile. Io sono informato da Roma che voi avete fatto personalmente il possibile perché questo articolo non comparisse, ma è fuori dubbio che da qualche giorno in qua il linguaggio della stampa italiana contro la Francia è divenuto intollerabile».

Grandi. -<< Deploro l'articolo di Gioventù Fascista, ma debbo richiamare la vostra attenzione su una circostanza che ha il suo valore. È vero che la stampa italiana è stata irrequieta in questi giorni, ma è altrettanto vero che ciò è avvenuto in risposta ad attacchi violenti che la stampa francese ha fatto all'Italia in occasione dell'accettazione italiana del Piano Hoover. Ognuno ha la sua colpa. È compito nostro, vostro e mio, di adoperarci per attutire dalle due parti questa nervosità ».

Herriot. -«Sta bene. Ma per l'incidente di spionaggio? Ho ricevuto una nota dell'Ambasciatore d'Italia il quale invoca per il sottufficiale della R. Marina sorpreso in flagrante delitto di spionaggio l'immunità diplomatica. Ebbene, io vi dichiaro che se il Governo italiano insiste, accetteremo la tesi dell'Ambasciatore d'Italia. Ma non potremo fare a meno, in questo caso, di considerare l'incidente non più sotto l'aspetto di uno dei soliti incidenti di spionaggio che si verificano in tutti i paesi, bensì sotto l'aspetto di un caso politico. Se l'Ambasciatore d'Italia vuole che il Vingiano, sorpreso in flagrante delitto contro lo Stato francese, sia considerato membro della rappresentanza italiana a Parigi, noi siamo costretti ad accontentare l'Ambasciatore. Ma allora la questione si allarga... ».

Grandi. -«Non conosco i particolari dell'incidente, che è trattato direttamente da Roma. Però posso dirvi, per confidenze avute dal R. Ministero della Marina, che qualche mese fa l'Addetto Navale francese a Roma riuscì, con mezzi di spionaggio, a carpire un cifrario della R. Marina. Se ci mettiamo sulla strada dei "casi politici", ce n'è per tutti, come vedete! » (3).

Herriot. -<<Volete che trattiamo questo affare qui a Losanna, fra me e voi direttamente?».

Grandi. -«Certamente. Mi farò mandare da Roma e da Parigi l'incartamento'>. (Rimaniamo d'accordo di ritrovare! ancora per riprendere la conversazione) (1).

(l) Cfr. n. 125.

(l) -Cfr. n. 96. (2) -Cfr. nn. 123 e 124. (3) -È vero? Non è vero? Sono stato informato di ciò da un Ufficiale della R. Marina (Comandante Maronl). Ma il Ministero della Marina, interpellato, dice e non dice, e appare reticente. Se si potesse essere almeno sicuri di questa circostanza! [Nota del documento].
127

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. S. 2410/1420. Vienna, 27 giugno 1932.

Stamane di primissima ora è venuto a cercarmi il segretario di questa Legazione di Ungheria per comunicarmi quanto segue previo impegno da parte mia di ignorare la notizia nei confronti di chiunque non fosse il mio governo. Il conte Semsey mi ha detto aver appreso dall'industriale Mandi che in questi ultimi due giorni in varie riunioni alle quali hanno preso parte i ministri Jakoncik, Rintelen e Ach, il principe Starhemberg, il generale Geng, il maggiore Pabst e l'industriale Mandi si sarebbe deciso di effettuare un colpo di stato nelle prossime settimane qualora il cancelliere Dollfuss tornasse da Ginevra senza aver ottenuto il prestito. Ciò perché loro risultava che il cancelliere d'intesa con il Vice cancelliere Winkler era deciso a liberarsi dei ministri di destra e a chiamare al potere un governo rosso nero di socialisti e cristiano sociali nella speranza di poter più facilmente far passare in parlamento i necessari aggravi fiscali. In tal caso il ministro Jakoncik provocherebbe la crisi del gabinetto insistendo per la richiesta al parlamento di pieni poteri finanziari per un anno che il cancelliere certo rifiuterebbe ed allora Starhemberg con alcuni uomini armati arresterebbe Dollfuss il Vice cancelliere Winkler il ministro della Guerra Vaugoin e quello delle Finanze Weidenhoffer. In pari tempo il generale Geng proclamerebbe lo stato d'assedio e occuperebbe il parlamento e la città di Vienna ove egli si impegna a portare nel frattempo l'artiglieria necessaria a contrastare l'opposizione dello « Schutzbund ». Il ministro della Sicurezza Ach garantirebbe l'occupazione e l'esercizio da parte delle forze di polizia delle Poste Telegrafi e Ferrovie. Verrebbe creato un governo dittatoriale con la partecipazione delle personalità sunnominate più l'attuale ministro della Previdenza Sociale Resch il quale non è a parte del progetto ma viene annoverato fra i fautori delle «Heimwehren ».

Jakoncik nel suo viaggio di venerdì prossimo a Budapest (mio rapporto

n. 1394) (2) dovrebbe intrattenersi della cosa con Walko, Gombos e Bethlen ai quali questo ministro d'Ungheria ha dato stamane le notizie surriportate.

Qualora invece il cancelliere ricevesse il prestito Pabst d'intesa coi ministri delle «Heimwehren » e il generale Geng provvederebbe a mettere in efficenza per il 1° settembre le « Heimwehren » valendosi degli armamenti che si attendono «dall'estero» e che il generale Geng e il ministro Ach si sono impegnati di distribuire assieme ad altri di provenienza governativa nelle caserme della città e nei posti di gendarmeria delle campagne secondo un piano re

datto tenendo conto della odierna situazione d'armamento dei vari reparti locali delle «Heimwehren ». Ciò fatto, con un pretesto che verrà fornito da disordini pubblici o da difficoltà dei socialisti in parlamento si procederà alla proclamazione dello stato d'assedio, alla occupazione del Parlamento e alla nomina di un governo dittatoriale.

In entrambi i casi il generale Geng garantirebbe di mettere a disposizione, oltre ai 15 mila fucili che un governo estero rifiuterebbe alla consegna da parte dell'industriale Mandi e che cosi acquisterebbe il ministero della Guerra federale, anche altri fucili già di proprietà governativa, uniformi e 80 mila bombe a mano.

Queste le notizie ungheresi.

Senza mostrare di saper nulla ho chiesto ancor stamane a Starhemberg con cui avevo da vari giorni fissato un colloquio, di dirmi quello ch'egli pensava di poter fare qualora vi fosse il timore dell'avvento di un governo rosso nero prima che la preparazione delle « Heimwehren » fosse ultimata e ciò per mettermi in grado di rispondere a un quesito postogli dal Ministro Auriti prima della sua partenza e la cui risposta egli aveva subordinata ad un colloquio con Rintelen Jakoncik e Pabst che avrebbe dovuto aver luogo ieri. Starhemberg mi disse non aver potuto ancora dibattere la questione ma che però sperava non dover trovarsi in quel frangente perché egli considerava prefe.ribile giungere allo scopo con una preparazione metodica per tutta l'estate e non essere costretto ora a improvvise non desiderate soluzioni estreme tanto più che come risultava dai documenti fornitimi (mio rapporto n. ... (l) egli era convinto che, senza il concorso dell'esercito, lo «Schutzbund » si trovava in posizione di favore in confronto delle « Heimwehren » e che il generale Geng non gli aveva ancora dato assicurazioni precise sul concorso militare che però sperava ottenere prossimamente. Inoltre da varie domande parziali rivolte a Starhemberg. che mi disse non aver incontrato Rintelen dopo il viaggio da questi compiuto a Berlino, ebbi l'impressione che il gran convegno partecipatomi dal collega ungherese non avesse avuto luogo e che comunque Starhemberg non avesse messo particolareggiatamente al corrente dei suoi piani e delle sue «occorrenze», neppur lo stesso ministro Jakoncik. Ma siccome gli ungheresi parlano spesso delle indecisioni di Starhemberg e dell'efficienza di Pabst e poiché mi fornirono le notizie solo dopo aver avuto l'assicurazione del mio silenzio a Vienna, mi domando se sotto la pressione di Pabst Mandl e Jakoncik non sia in corso qualche progetto che tenga un po' da parte l'attuale capo delle « Heimwehren ». Mi riesce difficile formarmi in proposito un concetto chiaro perché, legato alla mia promessa, non ho la possibilità di controllare direttamente le notizie fornitemi dalla legazione d'Ungheria né d'altra parte ho ragione di dubitare del contegno chiaro e leale tenuto finora da Starhemberg nei nostri riguardi. Mi riservo di tornare sull'argomento che intanto ho ritenuto dover esporre all'E. V. per l'eventualità che, venendo a mancare dall'estero l'atteso soccorso finanziario, dovesse verificarsi qui uno stato di cose diverso da quello che Starhemberg ha esposto costì che è di premessa alla seconta delle ipotesi ventilate nel convegno riferito mi dagli ungheresi (2).

(l) -Grandi e Herriot si incontrarono il 2 luglio (cfr. l'accenno nel n. 139, allegato II). (2) -Non pubblicato. (l) -La lacuna è nel testo. (2) -Il documento reca il visto di Mussolini.
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COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, E IL MINISTRO DI SVIZZERA A ROMA, WAGNIÈRE

APPUNTO. Roma, 28 giugno 1932.

Finalmente stamane ho potuto vedere Wagnière tornato da una escursione, ed ho avuto con lui un vivace scambio di vedute sui fatti di Locarno in particolare e sui rapporti itala-svizzeri in generale.

Fani: Prima di tutto gli ho detto che sin da venerdì scorso Marchi era stato da me incaricato di protestare presso Motta per l'aggressione di Locarno. Oggi vedevo lui -Wagnière --per segnalargli per espresso incarico di

S. E. il Capo del Governo, gli incresciosi avvenimenti del 18 giugno, che hanno suscitato la spiegabile ed inevitabile reazione avutasi con l'adunata di Cannobio.

Ho aggiunto come la acquiescenza della polizia svizzera era palesemente dimostrata dal fatto che per aggredire ben 500 gitanti, il gruppo degli antifascisti convenuti in prossimità dello sbarcadero doveva essere assai numeroso e di conseguenza non poteva non aver dato nell'occhio della polizia, che, se fosse intervenuta, sarebbe certo riuscita ad impedire l'aggressione.

A Locarno ha risposto Cannobio, e questi fatti non possono non impressionare seriamente il Governo svizzero perché essi determinano tra i due paesi una situazione delicata e pericolosa come la determina tutta l'attività antifascista che si svolge assolutamente indisturbata in Svizzera.

Wagnière: Il Ministro Wagnière ha risposto che era perfettamente al corrente della cosa, che deplorava profondamente l'assenteismo della polizia di Locarno nei fatti del 18 giugno, assenteismo che ha reso possibile la vile aggressione, e -ha aggiunto -che mette me nuovamente negli imbarazzi, mentre io da tanti anni mi adopero per rendere sempre più cordiali le relazioni tra l'Italia e la Svizzera.

Ha poi aggiunto che è a sua conoscenza come a Cannobio si sia inveito contro la Svizzera e contro le autorità cantonali.

Fani: L'ho interrotto di colpo dicendogli che di fronte ad una provocazione come l'aggressione di Locarno a base di insulti e di minacce (tra gli aggrediti c'era anche il Vice Console) non potevano sollevarsi obiezioni sulla reazione avvenuta.

Ho intrattenuto poi il mio interlocutore sull'acquiescenza della Confederazione a tutta l'attività dell'antifascismo e del fuoruscitismo ricordandogli che su numerosi episodi del genere sono stato obbligato a richiamare in altre occasioni la sua attenzione; gli ho ricordato come -per esempio -a Biasca il 6 giugno il cittadino italiano Virgilio La Prova sia stato aggredito da antifascisti perché portava il distintivo dell'Associazione Nazionale Ufficiali in Congedo e sia stato costretto a togliersi il distintivo sotto la minaccia di una tenaglia brandita da uno degli assalitori; che il giornale Libera Stampa il 10 corrente aveva fatto l'apologia dell'episodio con parole di vera e propria esaltazione per questo atto di teppismo antifascista, chiamando « poco onorevole ) il distintivo che il La Prova portava; che il fatto era stato denunciato alla gendarmeria di Bellinzona dallo stesso aggredito, ma che si ignoravano a tutt'oggi i risultati di tale denuncia. (Il Wagnière che nulla sapeva di quanto era accaduto al La Prova, ne ha preso nota).

Wagnière: Il Ministro di Svizzera ha osservato a questo punto che, in fin dei conti, di fronte a tutte le manifestazioni di italianità che si svolgono continuamente in Svizzera -e qui ha tolto dalla tasca il numero di Squilla Italica che riportava manifestazioni svoltesi recentemente a Berna, a Neuchatel, a Briga, e in molte altre città della Confederazione -egli rilevava come rarissimi fossero gl'incidenti.

Tutte le manifestazioni di cui Squilla Italica parlava si erano infatti svolte assolutamente indisturbate.

Fani: Gli ho risposto che questo stava appunto a dimostrare che quando la polizia prendeva misure preventive, gli antifascisti non si azzardavano a compiere atti teppistici e che di conseguenza è molto facile impedire che tali atti avvengano.

Wagnière: A questo punto Wagnière ha cominciato con le solite querimonie contro L'Adula e contro la rivista di Solmi Raetia affermando che questi giornali sono sovvenzionati dagli ambienti ufficiali (l) e che lo stesso Capo del Governo (mi ha pregato di non riferire questo particolare) (2) non lo ha smentito nel colloquio accordatogli il 16 maggio scorso a Palazzo Venezia. Per esempio -ha aggiunto -è universalmente risaputo come la «Dante Alighieri » sovvenzioni L'Adula.

Fani: Gli ho fatto osservare che per quanto riguardava queste sovvenzioni, era ben plausibile che una associazione come la « Dante » che ha tra i suoi scopi la difesa della lingua italiana appoggi L'Adula nella sua attività in materia culturale; ma che in ogni modo quantunque la «Dante» sia una istituzione che svolge la sua attività sotto la vigilanza dello Stato, non è lo Stato. Ho continuato pregando Wagnière di non divagare riportando in ballo questioni ben differenti da quelle per le quali lo avevo chiamato, e sulle quali si è a lungo discusso in altre occasioni.

A proposito di ciò, egli stesso aveva altra volta riconosciuto come si fosse verificato un miglioramento nel linguaggio di tutta la stampa italiana in Svizzera, mentre tale miglioramento non si era verificato in certa stampa svizzera e soprattutto in quella pure di lingua italiana, ma antitaliana come ad esempio il giornale Libera Stampa cui poco prima avevo accennato.

Wagnière: Wagnière ha detto: «Su questo giornalaccio socialista noi non possiamo nulla » e mi ha lasciato, ancora deplorando vivamente i fatti di Locarno e assicurandomi che avrebbe comunicato al Presidente Motta i seri rilievi di S. E. il Capo del Governo insieme all'invito di intervenire più energicamente in altre occasioni.

(l) -Annotazione a margine di Mussolini: «falso!». (2) -Annotazione a margine di Mussollni: «si capisce!».
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COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

APPUNTO. Losanna, 29 giugno 1932.

Simon: Che è tornato ieri sera da Londra, mi dice voler riprendere i contatti con me, e, prima di procedere nel lavoro interrotto a Ginevra, domandare il mio « advice » onde mettersi d'accordo ecc. ecc. a scanso di malintesi ecc. ecc. Egli non ha altro desiderio che procedere d'accordo con tutti, ma specie colla Delegazione Italiana; egli si reca a Ginevra a far colazione con Henderson, ma prima vuole sapere cosa penso ecc. ecc. Mi domanda infine se fossi disposto ad accettare di partecipare ad una riunione a quattro domani a Ginevra, e cioè fra le Delegazioni inglese, americana, francese ed italiana.

Grandi: Gli rispondo di si. E gli domando a mia volta il suo avviso sul seguito da darsi al progetto Hoover.

Simon: Dice che l'Ammiragliato britannico trova più interessante la ridu.:. zione a 25 mila del dislocamento delle navi di linea, anziché la riduzione del numero proposta da Hoover. Aggiunge che non sa spiegarsi perché l'Italia non sia disposta ad accettare questa riduzione.

Grandi: Gli ripeto il ragionamento fattogli mercoledì scorso (1). La riduzione a 25 mila tonnellate è la contropartita italiana nell'accordo navale del l o marzo. Se quest'accordo sarà applicato, noi rispetteremo questo impegno. Se no, l'Italia ritiene essere nell'interesse della sua difesa di mantenere la propria libertà, ed essere pronta, ove in seguito si mostrasse necessario, a costruire navi di linea di tonnellaggio più elevato.

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COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, NEURATH

APPUNTO. Losanna, 29 giugno 1932.

Von Neurath: Domanda di vedermi per mettermi al corrente delle conversazioni franco-tedesche di ieri. Egli stesso mi consegna confidenzialmente copia delle dichiarazioni finali fatte ad Herriot (V. allegato). Mi informa che Herriot ha risposto dichiarando che egli non può trattare su queste basi. Von Papen ha dichiarato che, in queste condizioni non rimane che chiudere i lavori della Conferenza. Herriot ha, allora, esclamato: <<Mais nous nous pouvons continuer à traiter... ». Il che ha fatto pensare ai tedeschi che Herriot non ha detto l'ultima parola.

Grandi: Domando a von Neurath alcuni chiarimenti su quello che sarebbe secondo il Governo tedesco questo « payement de liquidation », e se è vero quanto si afferma essere il Governo tedesco disposto ad accettare l'idea francese del «fondo comune».

Von Neurath: Anzitutto deve essere ben chiaro che il « payement de liquidation » deve essere fuori assolutamente del quadro riparazioni. Stabilito questo il Governo tedesco è disposto in massima ad accettare l'idea francese del «fondo comune».

Grandi: « Debbo dirvi subito che il Governo italiano non può accettare l'idea del fondo comune. Eccone le ragioni: noi siamo per il colpo di spugna. Però, se si viene al concetto di un settlement finale, l'Italia deve avere proporzionalmente la sua parte. È evidente. Ora il « fondo comune di assistenza » altro non è se non il modo per fare rientrare indirettamente nelle mani della Francia tutto il denaro che la Germania potesse corrispondere a scopi di assistenza comune (e più precisamente agli Stati dell'Europa orientale dove sono investiti i capitali francesi). :t chiaro che con tale sistema solo la Francia avrebbe un vantaggio. Noi non potremmo accettare che il «Piano Tardieu », ostacolato dalla Germania e dall'Italia a Londra, finisse per essere accolto qui a Losanna, in sede di regolamento finale della questione riparazioni».

Von Neurath: «Non avevo pensato a questo lato del problema. Riconosco che avete ragione. Sarebbe l'Italia disposta ad accettare una "tranche" del "payement de liquidation? "».

Grandi: Volete dare una somma « à forfait?>>.

Von Neurath: Qualcosa di questo genere.

Grandi: Noi non ci rifiutiamo di discutere nulla.

ALLEGATO.

In der gestrigen Vormittagsitzung der Ftihrer der Deutschen, Englischen und Franzosischen Delegation hatte uns MacDonald nach Betonung der Notwendigkeit, dass auch Deutschland seinerseits ein Opfer bringen mtisse, um eine endgtiltige Regelung der Reparationsfrage herbeizufiihren, gebeten, ihm am Nachmittag folgende Frage zu beantworten:

Wiirde es moglich sein, dass Deutschland eine Abschlusszahlung (forfait) macht und unter welchen Bedingungen. Ausserdem hat er den Wunsch ausgesprochen, wir mochten den Plan einer politischen, wirtschaftlichen und moralischen zusammenarbeit naher prazisieren.

zu punkt l) haben wir bei Beginn der Nachmittagsitzung folgendes geantwortet: Wir wi.irden bereit sein, den Gedanken einer Anerkennungsgebiihr (payment de liquidation) in Erwiigung zu ziehen, und zwar folgenden Voraussetzung bezw. Bedingungen:

A. en proportion à nos possibilités.

B. indépendemement de tout système de répartion.

I. à condition d'annulation intégrale des réparations,

II. d'un règlement général des monnaies nationales dans un plain constructif,

III. règlement de la question de désarmement sur la base d'une égalité de droit

(nous nous tiendrons dans le cadre de la Convention de Genève). Lausanne, den 29 Juni 32

(l) Cfr. n. 110, allegato I.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 2469/1454. Vienna, 30 giugno 1932.

Mio telespresso n. 1420 del 27 giugno (1).

Per chiarire in modo preciso quali fossero le idee delle «Heimwehren » in relazione alla situazione prospettata nel mio telespresso sopra citato, ho ritenuto opportuno pregare Jakoncig Starhemberg e Pabst di venire ieri sera a casa mia.

Starhemberg ha riconfermato ritenere che il solo programma che possa dare affidamento di riuscita è quello da lui esposto a S. E. il Capo del Governo, e cioè preparazione metodica delle «Heimwehren » da oggi sino a metà settembre e contemporanea agitazione politica nel paese contro il parlamento in modo da poter allora creare un'occasione che consenta alle «Heimwehren » e all'esercito di entrare in campo per il ristabilimento dell'ordine e prendere di conseguenza misure dittatoriali per governare senza parlamento abolire lo «Schutzbund » repubblicano e così la predominanza dei comuni e << Ui.nder » rossi. Che però tale programma presuppone la disposizione entro poche settimane dei noti 15 mila fucili e 250 mitragliatrici, senza i quali non si sente materialmente e moralmente sicuro del successo tanto più ove si considerino le condizioni attuali dell'esercito federale, quelle delle « Heimwehren » più deboli che non nel 1929, e quello dello « Schutzbund » che gli risulta in possesso di fortissimi quantitativi di esplosivi e che continua a ricevere rifornimenti di materiali. Inoltre l'esecuzione di tale programma dovrebbe essergli facilit!l!ta dal permanere al potere dell'attuale governo di cui i ministri Jakoncig, Ach e Rintelen sono sicuri, e Schussnig e Resch simpatizzanti. Tuttavia lo preoccupa il contegno del cancelliere Dollfuss dei cui sentimenti non è certo e che pensa ritornerà da Ginevra con l'idea di modificare il governo sbarcando gli elementi di destra (verso i quali per i recenti provvedimenti presi contro la polizia socialista di Donawitz si è appuntata l'opposizione dei social democratici mediante ostruzionismo ai lavori parlamentari, attacchi di stampa, ecc.) e rimpastandolo con elementi cristiano sociali dell'ala sinistra i quali gli consentano una maggior condiscendenza verso le opposizioni. Questo programma sarebbe favorito dal Presidente Miklas e dal Vice cancelliere Winkler, ma permane l'incognita se Dollfuss si deciderà a seguirlo rischiando di spianare con le sue proprie mani il terreno ad un successivo governo totalmente di sinistra, oppure se, temendo per il proprio avvenire che sarebbe in tal caso minato anche da varie combinazioni e scissioni parlamentari dei cristiano sociali di Stiria (11 rappresentanti) con a capo Rintelen non si adatterà invece a una lotta aperta con la social democrazia.

Tanto Starhemberg e Pabst che Jakoncig, specie quest'ultimo, propendono però a credere più probabile che il Dollfuss sia più favorevole alla costituzione di un gabinetto tendente a sinistra. Per accertare quali siano le idee intime del

Cancelliere, Jakoncig gli ha diretto la lettera aperta di cui al mio telespresso odierno n. 1440 (l) nel quale espone un largo programma di riforme economiche e la necessità di una legge eccezionale di pieni poteri in materia economica la cui accettazione o meno da parte del cancelliere dovrebbe fornirgli l'occasione di chiarire in modo indubbio quale linea politica questi si proponga di seguire in avvenire.

In ogni modo tanto Starhemberg Jakoncig che Pabst ritengono che occorra fare ogni sforzo nel gabinetto e fuori per evitare una crisi e guadagnar tempo perché tutti e tre sono concordemente convinti che le «Heimwehren » da sole oggi non possono far nulla, che il generale Geng e il ministro Ach (funzionario) sono pronti in teoria ad accordare l'aiuto dell'esercito e delle forze di polizia ma che, impegni che implichino responsabilità questi non ne prenderanno mai pel caso che una iniziativa partisse dalle « Heimwehren » indipendentemente o contro il governo mentre si può fare affidamento sicuro sul concorso dell'esercito e delle forze di polizia soltanto quando i rossi prendano essi stessi l'iniziativa di una rivolta contro il governo. Da vari indizi a conoscenza loro e del ministro Ach ·tale eventualità non è da escludersi e potrebbe verificarsi, salvo circostanze impreviste come nel moto del 1927, quando il cancelliere Dollfuss si decidesse per una politica di destra più forte di quella seguita ora la quale in sei settimane di governo ha sortito pochi risultati effettivi: nessuna soluzione del problema Credit Anstalt, dubbia e comunque poco soddisfacente soluzione del prestito, poche riforme vitali e acutizzazione dell'ostruzionismo parlamentare. Concludendo Starhemberg e Pabst hanno insistito perché il

R. Governo non indugi oltre a concedere gli aiuti finanziari e di materiale promessi il cui inoltro qui essi considerano non pericoloso anche pel caso di un rimpasto ministeriale in quanto col sistema escogitato il nome del R. Governo non apparirebbe e tutt'al più nella peggiore ipotesi verrebbe a mancare la possibilità di distribuzione dalla fabbrica nelle campagne attraverso i depositi della gendarmeria e dell'esercito poiché con un nuovo governo le autorità militari non acquisterebbero le armi «rifiutate » dai committenti che si dovrebbero pertanto rinviare al luogo di origine.

Nel corso della conversazione è risultato .inoltre che quanto ha detto Mandi agli ungheresi doveva intendersi non come progetto preciso bensì come esame di possibilità in dipendenza di assicurazioni che H generale Geng avrebbe dato al Mandl stesso. A Starhemberg e Pabst per contro manca tuttora ogni preciso affidamento di collaborazione dell'esercito e di tale affidamento sono così poco sicuri da non sentirsi di assumere in un prossimo futuro la responsabilità di alcuna azione ad iniziativa delle «Heimwehren ». Il ministro Jakoncig nel suo viaggio di venerdì 8 luglio a Budapest si ripromette di esporre quanto riferitomi a Walko e Gombos e di fare partecipare con ogni segretezza ai colloqui anche Starhemberg. Credo che ciò risponda a un suggerimento dato da questa legazione d'Ungheria d'intesa col direttore degli Affari politici Apor affinché oltre che con Gombos i rappresentanti delle << Heimwehren » esponessero i loro progetti anche ai responsabili della politica estera ungherese ai quali dovrebbero esser fornite anche alcune garanzie sulla linea di condotta che le «Heim

15 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

wehren » si proporrebbero di seguire in caso detenessero completamente il potere. Mi risulta tuttavia che tanto Jakoncig che Starhemberg non sembrano disposti a precisi impegni al di là del loro intimo convincimento che all'Austria sia utile una politica di stretta intesu con l'Italia e l'Ungheria, perché essi considerano che il primo e più attuale problema sia quello di debellare i rossi sì da consentire poi ud un governo di agire senza intoppi e compromessi di politica interna.

Nell'accomiatarsi da me il ministro Jakoncig mi preavvisò di una sua visita che mi fece da solo stamane.

Jakoncig nel riconfermarmi le sue vedute sulla possibilità di una crisi al ritorno di Dollfuss mi ha esposto con tutta franchezza un suo punto di vista personale con preghiera di farlo noto soltanto a Roma. Egli è grato delle decisioni di aiuto da parte del R. Governo per le « Heimwehren >> ma non vede come queste, anche se rifornite di armi, potranno a settembre trovare l'occasione che sperano Starhemberg e Pabst e che non fu sfruttata in condizioni migliori in quanto la situazione morale delle «Heimvvehren » è oggi peggiore che in passato, e il 90 % di esse non ha fiducia nella « Bundesfiihrung » e ogni giorno tende a avvicinarsi di più ai nazional socialisti. Sulla base della sua conoscenza dell'animo del popolo austriaco e della situazione quale gli risulta come vecchio gregario delle << Heimwehren », come ministro e come ammiratore della lealtà e onestà di Starhemberg vi sono a suo giudizio due sole possibilità di soluzione:

2°) oppure, come nel 1927, i rossi passeranno all'azione generale contro il governo e questi con l'aiuto alle « Heimwehren » potrà rendersi padrone della situazione e prendere provvedimenti eccezionali contro di essi.

In entrambi i casi però l'iniziativa non partirebbe mai dallo « Heimwehren ». In ogni modo sino al ritorno di Dollfuss sarà difficile sapere quali ne siano i propositi. In queste condizioni di incertezza Jakoncig ritiene un aiuto di armi pericoloso per l'Italia e le « Heimwehren », nessun segreto può essere tenuto in Austria più di una settimana e nessun affidamento si può avere sulla durata dei buoni propositi di Geng e Ach per facilitare la distribuzione delle armi perché sono funzionari che si espongono solo se sono certi del buon esito di ogni cosa. Ritiene un aiuto finanziario per le « Heimwehren » utile e necessario, specie se controllato in modo da evitare gli sperperi del passato. Con esso le Heimwehren si potranno procurare le armi ma teme invece che un aiuto di materiale diretto possa, se reso pubblico, riuscire di grave pregiudizio alle «Heimweheren >> e all'Italia. Egli nel consiglio dei ministri farà ogni sforzo per sfruttare ogni possibilità che rafforzi Dollfuss verso destra o qualora questi non se ne senta il coraggio per portare avanti un cancellierato Rintelen, anche agitando l'antico spauracchio d'una dichiarazione d'indipendenza dal governo centrale del Tirolo e della Stiria ma non si cela come ciò non possa esser sufficiente a prevenire la formazione di un governo di compromesso con le sinistre l'avvento del quale renderebbe di dubbia esecuzione e ancor più pericoloso il programma di armamento concretato da Starhemberg, Mandl e Pabst (1).

(l) Cfr. n. 127.

(l) Non publlcato.

l 0 ) O Dollfuss è deciso a governare con un governo di destra e la soluzione verrà da sé perché alle prime provocazioni o reazioni locali dei rossi, quando le forze armate abbiano istruzioni di agire con energia e le « Heimwehren » vengano chiamate a collaborare come forL:e sussidiarie dello stato, lo « Schutzbund » che se pure bene armato è sempre meno omogeneo di una forza regolare verrà messo in condizioni di non prevalere fino al suo possibile scioglimento;

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IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. CONFIDENZIALE 4918/715. Budapest, 30 giugno 1932.

In relazione a quanto avrà in questi giorni riferito verbalmente Auriti all'E. V. circa recenti contatti Stahremberg-Gombos, mi faccio premura portare a Sua conoscenza, a titolo di doverosa informazione, che l'altroieri quest'ultimo, chiamatomi espressamente in disparte, dopo un pranzo in casa sua al quale ho partecipato, mi confermò di essere stato posto particolareggiatamente al corrente, dallo stesso Stahremberg, circa i contatti e le conversazioni da questi avuti recentemente a Roma, ed aggiunse di approvare pienamente il programma che lo Stahremberg avrebbe in animo di effettuare.

Mi disse poi testualmente (ed io non credetti rispondergli esprimendo avviso determinato in proposito, non conoscendo io sufficientemente la situazione austriaca, come è naturale, per poter fare previsioni al riguardo): «Sapete, Arlotta, ho detto a Stahremberg che tutto sta bene e che, al momento opportuno, può contare su tutto il nostro appoggio; ma gli ho anche dichiarato che se non si decidono a fare qualcosa ora che hanno tre ministri (sic) favorevoli al Ministero austriaco, ed aspettano invece che tra due mesi il Governo di Vienna sia definitivamente caduto in mano ai socialisti, abbandono per sempre ogni fiducia nelle eventuali possibilità delle Heimwehren, e rompo le relazioni con lui stesso Stahremberg... ». Ciò mi ha detto Gombos, con tono perfettamente determinato e deciso, ed ho la ferma impressione che egli continui a mantenere contatti incitanti all'azione coi suoi amici austriaci.

Il Ministro GombOs mi ha poi ancora testualmente detto, in tono di stretta confidenza, ed io mi affretto a riferirne a V. E. senza però assumere nessuna responsabilità sulla fondatezza della informazione che non ho potuto sapere dal mio interlocutore come e se gli risultasse praticamente documentata: « Arlotta dite confidenzialmente ad Auriti (sic) che gli Austriaci hanno il suo cifrario (sic) ».

Non mi ha detto altro, e l'unica deduzione che posso forse fare per associazione d'idee, è che forse gliene abbia parlato Starhemberg visto che il discorso era a riguardo di quest'ultimo.

Che si tratti, forse, di un vecchio « Mengarini » al quale mi accennava, se non erro, proprio Auri ti, nel mio ultimo brevissimo soggiorno a Vienna? Non ho comunicato copia della presente direttamente a Vienna unicamente perché so che Auriti si trova attualmente a Roma.

P. S. Ho battuto io stesso questa Nota, e prego pertanto V. E. scusare gli errori.

(l} Allegato un appunto di Guariglia per Ghlgl del 5 luglio: «Mi pare che i dubbi di Jakoncig non siano del tutto Infondati. Bisogna ponderare meglio la cosa. Le sarò grato d! farmi sapere che cosa pensa S. E. Il ministro ».

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IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI (1), AL CAPO GABINETTO GHIGI

L. P. Ginevra, 30 giugno 1932.

Sono andato ieri a Losanna per potere avere qualche cosa da raccontarti anche su quello che succede colà ma non ho molto da aggiungere a quello che S. E. scrive nei suoi resoconti dei colloqui con Herriot Macdonald e Neurath (2). Le Delegazioni francese e tedesca sono venute, può dirsi, di ora in ora mutando il loro atteggiamento che qualche volta sembrava nettamente intransigente, qualche volta del tutto conciliante: schermaglia tattica interessantissima. L'atteggiamento americano che non sembra fare prevedere la completa adesione degli Stati Uniti al colpo di spugna o clean siate ha probabilmente incoraggiato i francesi a irrigidire la loro tesi. I tedeschi hanno risposto con una ferma dichiarazione di non poter prevedere alcun pagamento a titolo riparazioni pur dichiarandosi favorevoli ai concetti di tariffe preferenziali nei riguardi dei Paesi Danubiani e di contribuzioni a un fondo comune a scopi monetari.

Poi preso questo atteggiamento, che ritroverai anche nel memoriale diretto dalla Delegazione tedesca alla Delegazione francese e che S. E. annette al suo colloquio con Neurath (3), tutte e due le Delegazioni hanno avuto paura e hanno mollifìcato il loro contegno, la Francia forse ancor più che la Germania. La riunione delle sei Potenze invitanti che ha avuto luogo ieri nel pomeriggio veniva, prima del suo inizio, considerata come la messa funebre della conferenza. Ieri sera e stamani le previsioni sono invece molto mutate. Pare che i tedeschi siano disposti ad emettere e i francesi ad accettare dei buoni la cui natura non so precisarti ma che sembrano di ben scarso valore e che dovrebbero non già essere attribuiti ad un fondo comune ma divisi fra gli aventi diritto a riparazioni. I tedeschi sarebbero disposti ad emettere questi buoni per la cifra di 3 miliardi di marchi; i francesi pretenderebbero che la cifra salisse a 6 miliardi. Giunta la discussione a questo punto è da prevedere che l'accordo potrà essere raggiunto. La contropartita politica non è più, a questo momento, il patto di consultazione a quattro, ma un semplice patto di «politica! tranquillity ». È naturalmente da vedere quale sarà la redazione del testo di un tale patto. La parola tranquillità potrebbe forse far pensare ad uno stato di immobilità, ma non è questa accezione che qui si dà alla parola: si crede che il patto sarà piuttosto vuoto di contenuto reale.

I francesi e tedeschi sono poi d'accordo e spingono le altre Delegazioni ad accettare l'idea di accordi preferenziali granari unilaterali coi Paesi danubiani. Mosconi il cui Ministero ha fatto sempre tanta dimcoltà ai nostri accordi

Brocchi, si è lasciato andare ieri sera ad espressioni non sfavorevoli al riguardo, ma S. E. Grandi intende per ora tener duro e non cedere così facilmente.

La questione delle riparazioni risolta a mezzo dei buoni di cui ho sopra accennato può presentare per noi l'inconveniente di non favorire una soluzione a noi favorevole del problema dell'oro, che sta diventando, data la concezione generale da noi seguita del colpo di spugna, l'unico problema serio per noi e sul quale si concentrano gli sforzi della Delegazione. La soluzione dei buoni non sarebbe probabilmente favorevole al riguardo perché se la loro consistenza è considerata così scarsa come sembra, l'Inghilterra non vorrebbe probabilmente farne oggetto di contrattazione nei riguardi dell'oro. Se non sarà possibile fare risolvere questa controversia itala-britannica nel negoziato generale, non rimarrà che da esaminare se convenga riportare in seguito la questione alla Corte dell'Aja.

S. E. il Ministro che è venuto ieri sera a Ginevra per assistere ad un pranzo dato da Zaleski e che si trattiene qui fino alle prime ore del pomeriggio perché ha invitato a colazione il signor Paganon (1), tornerà poi a Losanna dove si prevedono questa sera e domani fasi decisive.

Nel colloquio che S. E il Ministro avrà oggi a colazione con Paganon Egli parlerà probabilmente anche del caso Vingiano. Vedrai al riguardo il colloquio fra Herriot e S. E. Pilotti che il Ministro aveva fatto partire domenica per Parigi soprattutto per dare a Manzoni il necessario consiglio giuridico, è tornato qui ieri, e ha avuto stamani un colloquio con Scialoja e S. E. Non sappiamo ancora i risultati dell'interrogatorio del Vingiano che avrebbe dovuto aver luogo ieri. Il suo avvocato Indelli gli aveva consigliato di mantenersi fermo nel rispondere che non aveva nulla da dire oltre a quello che già aveva in un primo tempo dichiarato. Se dall'interrogatorio o altrimenti non nasce alcun fatto nuovo, S. E. il Ministro intenderebbe mantenersi sulla seguente linea: l'autorità francese e possibilmente quella giudiziaria dovrebbe chiedere alla R. Ambasciata che venisse tolta l'immunità diplomatica al Vingiano e ciò dopo avere permesso un colloquio fra Manzoni e l'imputato. Questo metodo darebbe soddisfazione formale all'Ambasciatore e eviterebbe uno scandalo perché il Vingiano non avrebbe più altra figura che quella di un semplice privato che avrebbe agito per proprio conto. Se non subito forse almeno in seguito anche n Vingiano potrebbe usufruire dei provvedimenti di scambio.

Prima di parlarti delle ultime impressioni circa il disarmo vorrei dirti ancora due parole sulla riunione dell'Assemblea Straordinaria per il conflitto cinogiapponese che indetta già da più giorni non è stata ancora tenuta. L'Assemblea dovrebbe approvare il testo della lettera ai delegati cinese e giapponese di cui ti unisco copia e che vuole ovviare agli inconvenienti provenienti dal fatto che il rapporto della Commissione inviata in Manciuria non può essere presentata entro il termine di sei mesi previsto dal Patto. Il ritardo nella convocazione dell'Assemblea è dovuta al fatto che la Delegazione giapponese presentita dal Segretario Generale dichiara fin'ora di voler rispondere alla lettera in una forma evasiva che non elimini la possibilità per il Giappone di eccepire in seguito la invalidità delle decisioni della Società delle Nazioni pe,r

ché questa avrebbe lasciato trascorrere il tempo prescritto per la presentazione del Rapporto Lytton. Continuano quindi le conversazioni con la Delegazione Giapponese mentre la Delegazione Cinese si è dichiarata completamente favorevole alle decisioni dell'Assemblea indicate nella lettera. Da un punto di vista di pura redazione la lettera deve ancora subire qualche ritocco chiesto da Pilotti.

Il corriere sta per partire e non ha il tempo di scriverti a lungo come avrei dovuto circa il disarmo. Domani procurerò di commentarti il più brevemente possibile il piano Hoover nelle ripercussioni sul nostro esercito e sulla nostra marina.

Il piano non è stato ancora discusso nelle conversazioni anglo-francoamericane che riprendono oggi con la presenza, sembra, di Henderson e di Hagnides Capo della Sezione disarmo al Segretariato della Società. A quanto pare la Delegazione Americana vorrebbe che la conferenza si aggiornasse verso la metà del mese di luglio dopo avere approvato una risoluzione che approvi in massima il progetto rinviandone lo studio ad un piccolo Comitato analogo a quello che è stata la Commissione preparatoria e che dovrebbe riunirsi soltanto in settembre salvo a riconvocare la conferenza quando gli studi del Comitato fossero giunti a buon punto o meglio quando i vari Governi si fossero messi d'accordo per via diplomatica.

La Delegazione britannica, a quanto dice Agnides avrebbe, dopo il ritorno di Simon a Ginevra, mutate completamente le sue direttive. Il Partito conservatore, già per sua tendenza originaria incline ad avvicinarsi alle vedute francesi, avrebbe aderito pienamente alle richieste del suo Ammiraglio decisamente avverso ad ogni riduzione della potenza navale briannica e vedrebbe volentieri ora un puro e semplice aggiornamento della conferenza.

S. E. ha visto ieri sera Simon che è tornato ad insistere con Lui perché l'Italia desse l'adesione a ridurre il tonnellaggio delle corazzate da costruire a 26 mila tonnellate. Il Ministro ha risposto negativamente per le ragioni che già avrai veduto nel promemoria sulle proposte Simon che ti mandai qualche giorno fa. Accettare questa proposta significherebbe infatti, specie se si prolunga come anche vorrebbero gli inglesi, la vita delle corazzate, consacrare la strapotenza marittima dell'America e dell'Inghilterra oggi largamente dotate di corazzate di 35 mila tonnellate contro le quali non potrebbero battersi le nuove unità di 26 mila tonnellate che sole potrebbero più venir costruite.

Simon ha chiesto al Ministro se desiderava prendere parte alle conversazioni franco-anglo-americane. S. E. ha risposto che evidentemente preferiva non rimanervi estraneo ma che lasciava a Simon di scegliere il modo con cui queste conversazioni avrebbero dovuto continuare. Domani alle 11 dovrebbe aver luogo uno scambio di vedute fra la Delegazione nostra e quella inglese con intervento forse anche delle Delegazioni francese e americana.

P. S. -Nel colloquio che ha avuto oggi luogo tra Paganòn e il Ministro non si è parlato dell'affare Vingiano.

Grazie della tua lettera che mi ha fatto il pm vivo piacere. Farò il possibile per seguitare ad informarti del mio meglio.

(l) -Dal febbraio al luglio 1932 Jacomonl fu anche segretario generale aggiunto della delegazione alla conferenza del disarmo. (2) -Cfr. nn. 114, 122, 126, 130. (3) -Cfr. n. 130, allegato.

(l) Cfr. n. 140, allegato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 1° luglio 1932.

Ieri Ti ho mandato, da Ginevra, due appunti relativi ad un incontro con von Neurath, e con Simon Cl). Mercoledì mattina (2), non appena tornato da Forlì, von Neurath ha domandato di vedermi. Fatto nuovo. La Germania accetta dì pagare un «forfait» pur di ottenere la cancellazione delle riparazioni. Von Neurath, ricordi, mi aveva preannunziato ciò, in forma vaga, sin da qualche giorno fa (3). Herriot rifiuta il «saldo» (4). A mezzogiorno (5) la Delegazione tedesca pubblica un comunicato ufficiale che sembra un ultimatum. Mercoledì a mezzogiorno la Conferenza traversava il suo punto critico e risolutivo. Improvvisamente Macdonald convoca per il pomeriggio alle 17 i Capi di delegazione. Nelle prime ore del pomeriggio si apprende che Herriot cede, ed accetta di trattare sulla linea proposta dai Tedeschi. Secondo fatto nuovo. La Conferenza agonizzante a mezzogiorno, riprende nuova vita nel pomeriggio, e rinascono improvvisamente le speranze in una soluzione del problema centrale per cui la Conferenza è stata convocata. I Capi di Delegazione si ritirano e lasciano agli esperti finanziari il compito di continuare le discussioni. Ormai la questione di principio è risolta. La Germania ha ceduto da una parte, e la Francia ha ceduto dall'altra. I Tedeschi hanno ceduto per uno, i francesi hanno ceduto per dieci. Si tratta adesso di fissare il «modo >>. Cosa non facile, perché le proposte tedesche (emissione di obbligazioni senza garanzia) non hanno ancora una base seria. Ma ho l'impressione che queste difficoltà saranno superate. Nella giornata di ieri il fronte delle discussioni si è infatti spostato. Sino a mercoledì sera il quesito principale era il seguente: Accetterà la Francia, accetterà la Germania? Durante le discussioni di ieri, tutti indistintamente, francesi, tedeschi, inglesi, italiani si domandavano: Accetterà l'America? -Un passo, dunque, ed assai notevole, è stato fatto durante queste quarantotto ore. Un certo « fronte unico >> europeo si sta determinando. I Francesi sembrano essere rassegnati ormai ad accettare il fatto compiuto, e non mostrano che una preoccupazione: l'America. Anche in materia politica, si sta facendo strada l'idea di una manifestazione di «politica! tranquillity » da parte di tutti gli Stati, il che è ben lontano da quella richiesta di «tregua di dieci anni>> richiesta quindici giorni fa da Herrot come condizione preliminare del negoziato finanziario.

Le discussioni di ieri in seno alle due Commissioni, quella che tratta le riparazioni, e quella che tratta i problemi economici e finanziari (a questa seconda interverrà probabilmente anche l'America) sono state assai interessanti.

(-4) Cfr. n. 126.

I Francesi hanno insistito pel fondo comune (« camouflage l> del progetto Tardieu). I Tedeschi hanno su questo punto interessante la situazione economica dell'Europa centro-orientale, appoggiato i Francesi. Si è rotto così il fronte unico della collaborazione itala-tedesca alla Conferenza delle quattro Potenze a Londra. I Tedeschi pagano ai Francesi il prezzo della loro arrendevolezza. Noi abbiamo restituito, poco dopo, la partita in sede di discussione del prestito austriaco, dove, insieme coi Francesi, abbiamo chiesto che il prestito sia coperto dalle identiche garanzie d'ordine politico del prestito concesso all'Austria nel 1922. Il prestito del 1922 scade il 1932, e con esso il famoso Protocollo. Per il prestito attuale domandiamo che tale Protocollo rimanga in vita sino al 1952. -Almeno che i nostri trenta milioni di scellini ci servano ad allontanare per altri venti anni il pericolo di sorprese sul terreno dell'Anschluss. Ed in questo caso abbiamo fatto un affare. -Il Delegato tedesco ha protestato vivamente. Il Delegato inglese ha fatto il Ponzio Pilato. I Francesi hanno tenuto duro, e poiché, una volta tanto, sono stati intelligenti ed hanno rinunciato a domandare all'Austria l'impegno di trattare coi cinque Stati danubiani sulla base di accordi preferenziali, accettando così di entrare nel nostro ordine di idee, abbiamo anche noi insistito per estendere ad altri 20 anni il limite del Protocollo del '22. L'Austria, presa pel collo, accetterà. Credo che il problema del prestito austriaco sia ormai sulla buona strada, per quanto riguarda i nostri interessi politici e finanziari.

Il determinarsi del fronte unico franco-tedesco sulla particolare questione delle preferenze unilaterali da accordarsi agli Stati agricoli dell'Europa danubiana, ci ha messo in una posizione un po' delicata. Il Prof. Beneduce ha domandato istruzioni al Ministro Mosconi. Mosconi ha detto a ' Beneduce di accettare l'ordine di idee franco-tedesco. Informato della cosa per telefono a Ginevra (dove mi ero recato ieri per poche ore) ho telefonicamente pregato Mosconi e Beneduce di non mollare e di non preoccuparsi affatto della conseguenze d'ordine politico che ne potranno derivare. A queste ci penso io. L'Italia è un mercato necessario ai prodotti agricoli jugoslavi e rumeni. Prima di fare delle concessioni di ordine preferenziale alle economie agricole di questi due paesi (l'Ungheria è già sistemata cogli Accordi Brocchi che, però, non sono ancora stati messi in vigore da parte nostra, malgrado tutti gli ordini dati e ripetuti del Capo del Governo!) voglio vederci chiaro, e ad ogni modo Francia e Germania dovranno pagarci a caro prezzo .queste eventuali conceSsioni. Da due anni insisto perché i Dicasteri tecnici si decidano ad un piano italiano di ricostruzione economica dell'Europa Orientale, il che ci avrebbe permesso di prendere delle posizioni vantaggiose d'ordine politico ed economico. Si sono sempre rifiutati, dichiarando che l'Italia non può uscire dalla formula della clausola della nazione più favorita (morta, sepolta ormai). Adesso, avanti l'accordo franco-tedesco in materia di preferenze, si accorgono che la strada battuta era sbagliata e, per non restare isolati, vorrebbero accedere frettolosamente. Adesso sono io che mi oppongo. Giunti a questo punto, bisogna infatti utilizzare almeno quella parte di vantaggio che esiste in ogni errore compiuto. Non siamo noi che dobbiamo «accedere». -Sono i Francesi ed i Tedeschi che dovranno venire a pregare! e noi metteremo le nostre condizioni.

Nell'attuale momento di crisi generale, non sono i Paesi venditori bensì i Paesi compratori che hanno una posizione di vantaggio. Utilizziamola, senza preoccuparci dell'« isolamento».

Il nostro «memorandum» (l) ha fatto ovunque un'eccellente impressione. Ad esso hanno giovato la chiarezza del documento, il carattere di indipendenza della tesi italiana, sopratutto nei confronti inglesi, la fortunata tempestività della sua presentazione. L'Italia è per H «colpo di spugna». Ma se questo non si fa, occorre si tenga conto dei nostri particolari interessi.

(l) -Cfr. nn. 129 e 130. (2) -29 giugno. (3) -Cfr. n. 122. (5) -Del 29 giugno.
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI (2)

D. R. P. 220238/390. Roma, 1° luglio 1932.

Questo Ministero ha letto con interesse i vari rapporti da Lei inviati circa la questione della propaganda croata che verrebbe svolta a Fiume e a Zara, circa l'atteggiamento sfavorevole alla Jugoslavia che sarebbe tenuto da alcuni organi, specie periferici, della nostra stampa, nonché le considerazioni da Lei svolte circa le ripercussioni e reazioni che tali due fatti sollevano in codesta stampa e opinione pubblica e presso codesto Ministero degli Affari Esteri (3).

Per quanto concerne la lettera testé direttaLe dal Signor Fotic, con richiamo ai pr,ecedenti affidamenti, e in particolare alla questione della pubblicazione dell'Ustascia a Fiume, La informo che sono state date ora dstruzioni alla R. Prefettura di Fiume, tramite il R. Ministero dell'Interno, per una rigorosa sorveglianza sulla vendita di periodici croati. Debbo però far presente che in realtà dalle indagini accurate compite è risultato che non si tratta né si è mai trattato, di regola, di vendita di periodici o pubblicazioni, ma puramente di distribuzione clandestina che come tale sfugge a rigorosi controUi e quindi può aver luogo nei limiti in cui le Autorità di polizia non riescono a colpire e reprimere.

Da tale condizione di fatto da noi accertata Ella quindi potrà trarre gli elementi per una risposta che credesse di far pervenire o di dare verbalmente al Signor Fotic.

Del resto i cosidetti affidamenti a suo tempo da Le1i richiesti al Signor Karovic come condizione preliminare per una adesione nostra hanno avuto stentata e lenta applicazione senza prescindere [sic] che essi sono stati dati solo in relazione o in occasione di un passo del Karovic per la soppressione da parte nostra di un foglio che riusciva pare particolarmente ostico alle Autorità jugoslave.

Non è neppure possibile che da noi si oblii senz'altro l'atteggiamento pluriennale di tolleranza e di compiacente appoggio in senso antitaliano da codesta stampa metodicamente e sistematicamente adottato malgrado qualsiasi nostro saltuario rilievo per i fatti più salienti.

Circa poi la nostra stampa non sembra sia ora il caso di rinnovare, anche se fosse possibile, interventi moderatori dato che per ragioni di principio non appare la opportunità che sussistano impegni di reciprocità di trattamento tra la stamp.~t italiana e quella jugoslava, con la conseguenza di una sopravalutazione de1la importanza di quest'ultima fuori di ogni proporzione.

A ciò anche si aggiunge che, come Ella stessa segnalò, l'erronea supposizione della esistenza di un impegno di reciproca distensione fece sorgere costì perfino delle pretese di nostra rinuncia a critiche a tesi generali politiche jugoslave, come pel discorso Marinkovic a Ginevra, che mostrano in chi formulò quelle osservazioni una assoluta mancanza di senso dei limiti che un accordo del genere tra Italia e Jugoslavia potrebbe in qualsiasi caso avere.

Tutto ciò non toglie che nella misura del possibile venga sempre suggerita alla stampa specie della capitale, una linea di dignità e di equilibrio confacente alla propria situazione di stampa di una grande potenza. Dico nei limiti del possibile perché l'atmosfera di allarmismo e di pessimismo che si è andata formando intorno alla situazione jugoslava non ha la sua origine in Italia e trova del resto in fatti innegabili e certi della cronaca quotidiana di codesto Paese il suo fondamento se non vure la sua ~riustificazione.

Né sembra che proprio a noi, sul cui conto si è costì sempre compiacentemente raccolto e rilevato ogni notizia meno che simpatica, si possa oggi fondatamente richiedere di contribuire ai fini della propaganda jugoslava.

Per tutte queste considerazioni non è il caso, ad avviso di questo Ministero, di entrare sulla via di accordi, intese in materia di stampa il cui atteggiamento potrà essere modificato spontaneamente e quindi tanto più efficacemente quando potrà subentrare presso di noi la persuasione che di fatto costì gli avvenimenti della politica e della situazione italiana trovano un apprezzamento di più equanime, più leale e più spassionata comprensione di quanto non avvenga ora.

Ella potrà al caso mettere anche in evidenza e in rilievo, in relazione a tutto quanto precede, la violenza di linguaggio contro di noi di codesta stampa in questi ultimi tempi, come documentano le rassegne stampa di codesto Ufficio, le comunicazioni quotidiane di codesto corrispondente Stefani.

(l) -Cfr. n. 125. (2) -Inviato, per conoscenza, all'Ufficio Stampa. (3) -Sulla questione cfr. nn. 80 e 120.
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE

NOTA VERBALE. Parigi, 1° luglio 1932.

D'odre de Son Gouvernement, l'Ambassade Royale d'Italie se référant à la note du Ministère des Affaires Etrangères du 25 juin 1930 a l'honneur de lui communiquer ce qui suit:

L'étude que le Gouvernement Italien a fait de la note du Quai d'Orsay en

date du 25 juin 1930 n'a pas, de méme que l'étude des communications précé

dentes du Département sur la méme question, amené le Gouvernement Italien

à modifier son opinion en la matière.

Le Gouvernement Royal reste ferme dans l'avis que le point base de départ

de la question entre l'Italie et la France est constitué par les notes italo

françaises échangées à Rome le 14 juin 1900 et le 1er novembre 1902. D'après

ces notes la sphère d'influence française, l'expansion française et les posses

sions françaises en Afrique du Nord ne peuvent, sans accord bilatéral entre les

deux parties intéressées, dépasser à l'égard de la Tripolitaine-Cyrenai:que, les

limites indiquées dans la déclaration franco-britannique du 31 mars 1899.

Ces limites sont constituées dans leurs secteurs Orientai et Nord Orientai

par la ligne géographique qui partant de la rencontre du tropique du Cancer

avec le 16ème dégre de longitude Est de Greenwich (13.40 Est de Paris) descend

dans la direction du· Sud Est jusqu'à sa rencontre avec le 4eme dégré de longitude

Est de Greenwich (21.40 Est de Paris). S'agissant d'une ligne géographique par

tant du point de rencontre susindiqué et devant avoir la direction de Sudest,

cette ligne doit former avec le tropique du Cancer un angle del 45°; autrement

elle n'aurait plus la direction géographique qui lui a été fixée. Toute direction

comportant une modification dépassant l'angle de 45°, n'est plus conforme à

la déclaration franco-britannique du 21 mars 1899 et méme si fixée par voie

d'interprétation, ne peut avoir de valeur pour le Gouvernement Italien sans son

consentement spécifique.

Quant à la frontière de la Tripolitaine elle a été sommairement indiquée dans la carte mentionnée dans les notes Prinetti-Barrère échangées à Rome le 1er novembre 1902. Elle a été ensuite détaillée jusqu'à Toummo dans les notes italo-françaises du 12 septembre 1919, mais elle n'a pas encore été, à l'Est de Toummo, l'objet d'une égale indication bilatérale. D'après la déclaration anglofrançaise du 21 mars 1899 et d'après l'échange de notes franco-italiennes du 1°" novembre 1902, la limite de l'expansion française atteint à l'est de Toummo son point le plus septentrional à la rencontre du Tropique du Cancer avec le méridian 14° Est Greenwich et tourne ensuite vers le sud-est. Toute indication ou question concernant la frontière tripolo-syrénai:que, au délà de ce point de rencontre et au délà de cette ligne, ne peut plus intéresser le Gouvernement de la République.

Telles étant la base et la situation, juridiques et conventionnelles, des limites entre la sphére d'influence ou les possessions françaises du Nord Afrique par rapport à la Tripolitaine-Cyrcna!que, le Gouvernement italien regrette de ne pouvoir modifier les conclusions des communications de l'Ambassade Royale au Ministère des Affaires Etrangères de la République du 3 mars 1930 et du 19 Juin 1930. Le Gouvernement Royal renouvelle sa déclaration que ces conclusions sont rédigées sans préjudice des négociations en cours découlant aussi bien de l'art. 13 du Pacte de Londres que de l'examen d'autres points prévu par les notes échangées à Paris le 12 septembre 1919. Il saisit l'occasion pour constater la validité encore pleine et complète non seulement de la partie des notes franco-italiennes du 14/16 décembre 1900 et du F" novembre 1902 qui se réfère aux limites territoriales de l'expansion française en Afrique septentrionale par rapport à la Tripolitaine-Cyrénaique, mais également de celle qui concerne les communications commerciales établies par les voies caravanières de Tripoli avec les régions visées par la Conventlon franco-anglaise du 21 mars 1899.

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COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON (l)

APPUNTO. Losanna, 2 luglio 1932.

Simon. -Vuole mettermi al corrente delle sue ultime conversazioni coi francesi, cogli americani e con Henderson. Ritiene che qualcosa di pratico possa veramente farsi e che qualche accordo possa essere raggiunto. Il campo che presenta delle possibilità è il campo aereo. Si potrebbe accordarci su una limitazione del peso degli aeroplani a tre tonnellate.

Grandi. -Non posso accettare. Il peso di tre tonnellate è troppo e troppo poco nello stesso tempo per noi. Se ponete attenzione al fatto che i centri vitali dell'Italia si trovano a piccola distanza dalla frontiera mentre i centri vitali delle altre Potenze continentali si trovano a grande distanza, ne deriva che con piccoli aeroplani da bombardamento aventi scarsa autonomia, un eventuale avversario può recarci danni che noi non potremmo in nessun modo controbilanciare, se non con apparecchi di mole ed autonomia assai superiore. Il criterio empirico non basta in materia di aviazione.

Aggiungete che qualsiasi limitazione nel campo aereo sarebbe per noi inaccettabile se non organicamente congiunta ad analoghe limitazioni nel campo terrestre e navale.

Simon. -Voi non siete dunque per il metodo del « point by point ».

Grandi. -No. Noi siamo per l'altro «give and take ».

Simon. -Avete difficoltà che nella prossima settimana le cinque Potenze firmatarie del Patto Navale di Londra si riuniscano per esaminare la situazione?

Grandi. -Nessuna difficoltà. Ma cosa ne pensate del Piano Hoover?

Simon. -Penso che potremo stralciare qualche punto per la discussione e l'accettazione intanto dei punti sui quali è possibile raggiungere l'accordo. Che ne dite? Anche gli Americani sarebbero d'accordo.

Grandi. -Non sono di questo parere. Continuo a credere che l'Europa ha fatto e fa un grande errore a non accettare il Piano Hoover. Ad ogni modo una cosa ormai è certa: nessun risultato tangibile può essere ragg,iunto nel campo degli armamenti, almeno per ora. Mi domando allora se non sia meglio

riunire la Commissione Generale al più presto, votare un'approvazione di massima del Piano Hoover e prendere le vacanze senza attardarci più oltre in questioni di dettaglio che darebbero all'opinione pubblica mondiale ancora più l'impressione dell'insuccesso completo della Conferenza del Disarmo. Intanto passerà l'estate e in seguito vedremo.

Simon. -Studierò la cosa.

Dopo questo colloquio ho mandato Vitetti a Ginevra per informare Gibson, e per confermargli il mio preciso parere, e cioè, doversi evitare la discussione «point by point » de.l piano Hoover, come vorrebbero gli Inglesi. Gli Inglesi desiderano disintegrare il piano Hoover facendo discutere la parte terrestre ed aerea, e lasciando fuori la parte navale. Una discussione così ridotta darebbe l'impressione che il Piano Hoover è tramontato per sempre. Occorre mettere tutti gli Stati davanti alla loro responsabilità, ed obbligarli a votare almeno l'approvazione di massima de·l piano, così come è, nel suo equilibrio organico e generale, ed aggiornare la Conferenza sulla votazione di questo ordine del giorno.

(l) Al colloquio era presente Rosso.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. U. S. 220350/478. Roma, 2 luglio 1932.

Seguito telespresso di questo Ministero n. 219973/470 del 28 Giugno u.s. (1).

In relazione alle considerazioni svolte ed alle intese corse nella riunione tenutasi presso codesto Ministero il 30 Giugno u.s. (2), questo Ministero pregherebbe codesto di volere telegraficamente richiedere al Governatore dell'Eritrea:

1°) che studii e comunichi un preciso programma di politica periferica attiva, mirante a favorire lo stato di disordine nelle zone settentrionali dell'Etiopia e a suscitare opposizioni all'azione imperiale;

2°) che procuri di sondare lo spirito delle popolazioni etiopiche nei riguardi dell'Imperatore e in genere della sistemazione che questi va dando alle provincie periferiche; e prepari la possibilità di maggiori contatti con gli elementi scontenti; a tale scopo egli potrebbe anche inviare in Etiopia, se lo crede opportuno, appositi emissari adatti;

3°) se il Governo dell'Eritrea dispone di armi e munizioni che possano, a ragion veduta, essere eventualmente inviate oltre confine; a tale scopo gioverà altresì raccogliere notizie, il più possibile precise, circa le armi di cui dispongono di già le popolazioni periferiche, onde regolarsi -ove del caso -per le munizioni da procurare.

Dovrebbe essere nel contempo data a S. E. Astuto l'impressione che ~ per quanto nessuna determinazione sia stata ancora adottata per quel che riguarda lo svolgimento di una politica periferica più attiva che coltivi e susciti torbidi ed aiuti gli elementi di opposizone all'Imperatore --non sarebbero a mancargli, nel caso di decisione positiva, i mezzi necessari allo svolgimento di tale politica.

Questo Ministero gradirà cortese partecipazione delle comunicazioni che verranno al riguardo rivolte al Governatore dell'Eritrea.

(l) -Non pubblicato. (2) -Non si pubblica 11 relativo verbale.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 3 luglio 1932.

EccoTi, buttati giù in fretta, degli appunti sulla giornata di ieri e di oggi. Può darsi che quando questi appunti saranno giunti a Roma. la situazione sia mutata di nuovo.

Ad ogni modo, questo momento è troppo interessante per noi, perché non sia utile che Tu ne conosca subito i particolari. Credo di essere sulla strada da Te voluta.

P. S. ~Ricevo in questo momento il Tuo telegramma (l). La situazione, come vedrai dagli appunti è mutata dall'altra sera. quando Ti telefonai.

La settimana scorsa è stata la settimana franco-italiana. La prossima potrebbe essere la settimana itala-inglese (2).

ALLEGATO

Prestito austriaco

Losanna, 2 luglio 1932.

Nella riunione di ieri il delegato tedesco ha dichiarato di non poter accettare la condizione posta dai Francesi e dai noi relativamente al prolungamento del protocollo del 1922, sul quale è basato l'avviso della Corte dell'Aja relativo al progetto della Zollunion austro-tedesca. Il Delegato francese, inaspettatamente, ha dichiarato che si sarebbe contentato di una lettera del Cancelliere austriaco diretta al Presidente del Consiglio della Società delle Nazioni. Il Delegato tedesco ha accettato. Il Delegato italiano ha domandato tempo per avere istruzioni.

Ho dato istruzioni al Delegato italiano (Beneduce) di dichiarare che noi manteniamo la condizione. Noi stiamo facendo il grosso sacrificio di trenta milioni di scellini

«Dalla Tua telefonata odierna ho compreso che stiamo per entrare in una fase forse più ardua per noi e Ti rinnovo sinceramente il mio augurio di buon lavoro, convinto del resto anche per l'esperienza del passato che con un attegg!aménto «solido» conerto di buona maniera si finisce con l'ottenere se non tutto almeno molto rli Quello che si desidera. Qui continuiamo il noto tran-tran e per quanto tutte le grosse questioni si siano trasferite a Losanna e a Ginevra non possiamo dire che il lavoro ci manchi...

Su qualche altro argomento come ad es. l'Etiopia mi sarebbe grato potert! intrattenere, ma mi rendo conto che in questi giorni debbo limitare al minimo il tempo da farTi perdere... ».

per l'Austria. Che almeno essi valgano ad ottenere un effettivo vantaggio politico. Il Consigliere Federale Musy, Presidente del Comitato Misto, ha sospeso i lavori del Comitato, ed ha prospettato l'utilità di venire a conferire direttamente con me. Il Delegato tedesco gli ha risposto che forse era più opportuno che il Cancelliere tedesco me ne parlasse direttamente. Infatti von Papen, nel nostro incontro di ieri, mi ha pregato di lasciare cadere la condizione posta dall'Italia. Ho spiegato a von Papen che non era possibile che l'Italia facesse il grosso sacrificio di una somma così importante per l'Austria, senza ottenere dall'Austria almeno la promessa di non alienare la propria indipendenza economica. È il meno che noi possiamo chiedere. I Tedeschi debbono rendersene conto. Altrimenti il prestito lo facciano loro.

Più tardi, Musy è venuto egli pure a vedermi. Anche a lui ho spiegato il nostro punto di vista. Ma i Francesi hanno ceduto: -«Ciascuno difende a modo suo gli interessi del proprio Paese » -gli ho risposto.

Alle 18 il Cancelliere austriaco Dollfuss ha chiesto di vedermi. Gli ho risposto che ero dolente, ma che non potevo.

Gli Austriaci sono come gli Albanesi. Hanno bisogno ogni tanto di un «cazzotto». Che ci tradiscano, lo sappiamo benissimo, ma che pretendano anche di essere ricompensati per questo, proprio no.

Ma cosa sta succedendo nel campo francese?

ALLEGATO Il

Losanna, sabato 2 luglio 1932.

La situazione non mi aggrada. C'è qualcosa in aria che non va. Da mercoledì (l) ad oggi assistiamo ad un inesplicabile capovolgimento dell'attitudine francese, passata da un'intransigenza irragionevole al « desarroi » più completo. Qualcosa di nuovo e di impreveduto, nel campo della politica interna francese, deve essere accaduto in questi giorni a Parigi. I Francesi «mollano» tutto. Anche nella questione del prestito austriaco dove avevano mostrato sino ad ora tanta durezza. I Tedeschi sono più imbaldanziti c.he mai. Capiscono che mai più avranno un momento così favorevole e vogliono stravincere. Le parole dettemi ieri sera da von Papen erano eloquenti.

Gli Inglesi, i nostri amici inglesi, ci tengono da qualche giorno in disparte. Dalle notizie confidenziali che mi giungono sembra che essi stiano persuadendo i Francesi ad accettare il principio della liberazione della Germania dalle sue obbligazioni senza che la Gran Bretagna (non parlo dell'America per ora) dichiari a sua volta la liberazione dei suoi crediti di guerra verso l'Italia e la Francia. Tutto ciò in cambio dell'appoggio che gli Inglesi hanno dato per persuadere i tedeschi a pagare questo «forfait» (2-4 miliardi di marchi-oro) che la Germania non pagherà mai, che l'America non accetterà da noi qualora li potessimo mobilizzare, ma che dovrebbero servire ad Herriot per rientrare in Francia con « qualcosa » in mano, ed illudere così la pubblica opinione francese. Che la Germania paghi un « payment de liquidation » secondo la formula di von Neurath, la cosa ha ben poca importanza per l'Italia. Ma quello che è essenziale per noi è che nell'istesso momento in cui noi rimettiamo i nostri crediti alla Germania, la Gran Bretagna deve rimettere i suoi crediti a noi, e siano parimenti adottate delle comuni misure di salvaguardia nei riguardi dell'America. La Gran Bretagna ci vuole portare invece tutti quanti a liberare la Germania, e mantenere intatti nei riguardi dei suoi creditori europei i suoi diritti, in attesa di conoscere quello che farà l'America nei riguardi di tutti.

Ma questo non è il « colpo di spugna » o meglio è un colpo di spugna unilaterale, a solo vantaggio della Germania e della Gran Bretagna. Non credo che noi possiamo accettarlo. Io, almeno, non l'accetterò. Gli Inglesi si sbagliano se credono di farmi trovare davanti al fatto compiuto. Io conosco loro, ma essi non mi conoscono ancora.

Il «colpo di spugna» italiano è cosa ben diversa da questa soluzione che gl'Inglesi stanno preparando, a solo beneficio della Banca d'Inghilterra.

In queste condizioni credo utile andare a trovare von Neurath. Von Papen e von Neurath sono stati molto leali e mi hanno tenuto al corrente di ogni loro movimento. Alle 17 mi incontro con von Neurath all'Hotel Savoie. ·

Grandi. -«Le cose non mi piacciono, caro von Neurath. Noi continuiamo ad essere più che mai per il colpo di spugna. Il sistema del pagamento ' à forfait • temo rischierà di compromettere, anziché avvantaggiare la situazione di tutti, e specialmente dei debitori europei verso l'America. Mi dicono che gli Inglesi stiano preparando un progetto dove è detto che l'Italia e la Francia dichiarano l'estinzione delle riparazioni tedesche, e gli Inglesi dichiarano alla loro volta che faranno altrettanto nei riguardi dell'Italia e della Francia quando l'America rimetterà i debiti a tutti. Questa discriminazione non è possibile. Io mi rendo conto che qualche rischio noi possiamo prenderlo, tutti insieme e tutti d'accordo, nei riguardi dell'America, ma non potrei mai accettare una soluzione che obblighi l'Italia a liberare la Germania mentre l'Inghilterra insiste a mantenere il suo credito di guerra verso di noi».

Von Neurath. -«Non è possibile che l'Inghilterra faccia questo. Le vostre informazioni sono sbagliate, credetelo ».

Grandi. -« Lo spero. Ad ogni modo deve essere chiaro che il mio Paese deve uscire da questa Conferenza coi suoi interessi salvaguardati al 100 per cento. C'è anche la questione del deposito dell'oro della Banca d'Italia presso la Banca d'Inghilterra. Io non firmerò l'accordo se prima questa questione non sarà regolata. Sin'ora questo oro ce lo avete pagato voi. Noi domandiamo che esso ci venga restituito dall'Inghilterra,

o che venga trovata qualche maniera per )ndennizzarci ».

Von Neurath. -«Trovo che avete ragione. È chiaro che l'Italia non può uscire da Losanna senza avere risolto le questioni che la interessano più direttamente. Anche noi non intendiamo pagare i quattro miliardi chiestici da Herriot. Non possiamo andare oltre due miliardi di marchi».

Grandi. -Si, ma tutti questi nuovi « bonds » tedeschi serviranno per l'America e per il «fondo comune» proposto dalla Francia per aiutare le situazioni dell'Europa centro-orientale. Ossia torneranno indirettamente (questi ultimi) nelle mani francesi. Noi non accettiamo il «fondo comune». Preferiamo il «colpo di spugna». Domattina vedrò MacDonald e gli parlerò chiaramente.

Ritorno all'Hotel Palace. Trovo Pirelli che torna in quel momento dalla riunione del «bureau» durante la quale MacDonald ha annunziato l'avvenuto accordo francobritannico sul testo di una risoluzione di cui egli ha consegnato copia a Pirelli con preghiera di mostrarmela subito e fargli sapere la nostra accettazione. Leggo rapidamente la formula (Vedi allegato) (1). Vedo subito che essa non è accettabile. Essa ci copre scarsamente verso l'America, ma ciò che più mi preme, essa non ci copre affatto verso l'Inghilterra. I Francesi l'hanno accettata. Tanto peggio per loro. Ad ogni modo essi hanno compensi d'altra parte. Io non accetterò, dovessi mandare per aria la Conferenza.

Faccio telefonare a MacDonald che non posso dargli una risposta prima di domattina. Poco dopo MacDonald mi fa domandare se voglio prendere il breakfast con lui e sua figlia alle 8,30 al Beau Rivage.

Relatton between Reparations and War Debts.

The arrangement with Germany would take the form of an agreement dealing solely with the obligations of Germany and maknig no reference to Inter-Allied debts. This agreement would be signed at Lausanne and would be put !nto force prov!sionally be would not come !nto fina! effect until after ratification. So far as the Cred!tor Governments are concerned ratiflcation would not be effected unti! a satisfactory settelement had been reached between them and their own credito~s. It would be open to them to expeain the position to their respective Parliaments, but non specific reference to it would appear in the text of the agreement with Germany. Subsequently if a satisfactory settlement about their own debts was reached, the Creditor Governments would ratify and the agreement with Germany would come !nto full effect. But if no such settlement could be obta!ned, the agreement with Germany could not be ratif!ed; a new situation would have arisen, and the Governrnents lnterested would have to consult together as to what should be done. In that event, the legai position, as between ali the Governments would revert o that wh!ch ex!sted before the Lausanne meeting.

Poco dopo Herriot, mi fa chiedere se voglio pranzare con lui, da solo a solo. Accetto. Restiamo insieme sino alle 23, ora in cui egU parte per Parigi. Riferisco altrove il mio colloquio con Herriot (1). La giornata di oggi è stata, e quella di domani sarà ancora più, interessante. Prima di andare a letto riconforto Mosconi che non ha ben capito di che cosa si tratti.

Domenica, 3 luglio 1932.

Breakfast al Beau Rivage nell'appartamento di MacDonald. Sono presenti Miss Isabel e Sir John Simon. MacDonald è estremamente gentile. Si parla del più e del meno. Egli aspetta che io cominci, ma io aspetto che cominci lui. Finalmente comincia.

MacDonald. -Pirelli vi ha mostrato il « draft »?

Grandi. -Sì.

MacDonald. È fatto molto bene, nevvero?

Grandi. -Forse. Ma io non l'accetto. Né raccomando il mio Governo ad accettarlo.

MacDonald non si aspettava questa risposta. Non vuoi credere. Alza le braccia. Mi domanda se io dico veramente sul serio. Mi dice che nessuno e tanto meno l'Italia vorrà prendersi la responsabilità di un « break-down » della Conferenza colle ripercussioni mondiali ecc. ecc.

Gli rispondo che io non sento le responsabilità meno di quello che le sente il Primo Ministro della Gran Bretagna, e che sono convinto come lui che bisogna andare ad un accordo generale. Non è sulla necessità dell'accordo, ma sul contenuto che bisogna intenderei.

« Ma è possibile pensare che l'Italia debba essere la sola a fare le spese della Conferenza di Losanna? Voi, Inglesi, ci guadagnate i vostri crediti privati in Germania, gli Americani altrettanto, i Tedeschi ci guadagnano le riparazioni, ossia la revisione di uno dei punti più importanti del Trattato di Versailles, i Francesi hanno l'« illusione » di guadagnare una somma X di « bonds » tedeschi che non varranno nulla, e noi, italiani, dovremmo accettare una soluzione mediante la quale cancelliamo le riparazioni tedesche accettando parimenti che voi, inglesi, continuiate a considerare intatto e giuridicamente perfetto il vostro credito verso di noi. Aggiungasi la questione del deposito dell'oro, di cui non voglio parlarvi ora, ma che, debbo ricordarvi dovrà essere comunque risolto prima che l'« agreement » sia definitivo.

MacDonald. -Ma non capite che il vostro atteggiamento finirebbe col rinforzare le correnti anti-cancellazioniste in America?

Grandi. -No. Al contrario. È questo paradossale illusorio pagamento di nuovi « bonds » tedeschi che inciterà gli Americani a resistere, e a domandarci di emettere dei « bonds » noi pure, a liquidazione dei nostri debiti verso l'America. L'America non accetterà i « bonds » tedeschi, e domanderà che glieli garantiamo noi. Voi mi dite spesso che avete le vostre informazioni dall'America. Ma anch'io ho le mie informazioni.

MacDonald. -Ma io vi do la parola d'onore che l'Inghilterra cancellerà i vostri debiti.

Grandi. -Ditelo allora chiaramente nell'accordo.

MacDonald. -Non posso farlo. Sarei rovesciato al mio ritorno a Londra.

Grandi. -Anch'io, al mio ritorno in Italia, se accettassi il «draft » cosi com'è.

MacDonald. -Perché non parlate col Cancelliere dello Scacchiere?

!6 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Grandi. -Non ho bisogno di parlare con Chamberlain, ma con voi che siete il Presidente della Conferenza. Con Chamberlain parleremo della questione dell'oro che è una questione italo-britannica, dopo che avremo raggiunto un accordo fra me e voi.

MacDonald. -Ma è dunque possibile che la Gran Bretagna e l'Italia che hanno marciato sin'ora « hand in hand » debbano avere questo contrasto? Pensateci. Riflettete. I Francesi hanno accettato, senza fare obiezioni.

Grandi. -Ciascuno ha il suo proprio modo di vedere nel difendere gli interessi del proprio paese.

MacDonald. -Ma voi vi troverete solo di fronte a tutti nella Conferenza.

Grandi. -È una posizione gradevole per me. Non è l'Impero Britannico ad insegnare che «the splendid isolation is the strongest »? Io sono per il «colpo di spugna» e tutto quello che si sta facendo non darà la fiducia nel mondo. Non vi è che un modo perché la Conferenza di Losanna riesca ed è che Inglesi, Francesi, Italiani e Tedeschi dichiarino di rimettersi « all around » tutti loro crediti e debiti, e prepararsi così, tutti insieme, a domandare all'America di fare altrettanto. «Rimetti a noi i nostri debiti, che noi li rimettiamo ai nostri debitori ».

Il breakfast doveva durare mezz'ora. Dura invece un'ora ed un quarto. Vengono ad avvertire MacDonald che von Papen e von Neurath aspettano nell'anticamera da tre quarti d'ora. Prima di congedarmi MacDonald mi invita al breakfast per domattina, e anche alla passeggiata prima del breakfast sul lago.

Quando esco trovo nel corridoio von Neurath. Gli dico in italiano «Per vostra norma le cose sono come vi ho detto ieri». Simon. -Nell'ascensore: «Credete che il Primo Ministro possa terminare la Conferenza martedì e partire per Londra? ». Gli rispondo: Non credo».

(l) -Non rinvenuto. (2) -Cfr. anche una l. p. pari data di Ghigi a Grandi. della quale si pubblicano i due brani seguenti:

(l) 29 giugno.

(l) L'allegato manca. Se ne pubblica qui il testo trovato allegato ad un documento inglese:

(l) Il verbale di questo colloquio non è stato trovato.

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Losanna, 4 luglio 1932.

Ti mando questo appunto circa una lunga conversazione, di parecchi giorni fa, avuta con M. Paganon, braccio destro di Herriot. Per quello che vale.

ALLEGATO

CONVERSAZIONE GRANDI -PAGANON (Sottosegretario agli esteri e fiduciario di Herriot) (l) (Colazione all'Hotel Bellevue -presenti Rosso e Rocco)

Ginevra, 30 giugno 1932.

La conversazione si è aperta su dichiarazioni piuttosto autobiografiche di Paganon (relatore per molti anni del bilancio degli Affari Esteri, uomo di sinistra, candidato a Ministro dei LL.PP. cui in definitiva aspira, sindaco, consigliere generale e deputato di Grenoble, montanaro e contadino alieno dalla mondanità; 50 anni, padre di famiglia, proprietario di industrie (cemento), indipendente, conoscitore della Germania dove ha

studiato chimica, e soprattutto conoscitore ed amico affezionato dell'Italia dove si reca spesso, e che ammira, che comprende, che sente profondamente ecc. ecc. Parla anche un poco l'italiano e lo parla volentieri).

Spunti di assaggio della conversazione. Vi sono molti Italiani a Grenoble. Bene accolti, ben voluti, « sposano le nostre donne ». Paganon ha fatto molto per lo sviluppo dei centri universitari e di cultura itala-francesi, esistenti a Grenoble, Firenze, Napoli.

Conclusione ricorrente: Francia ed Italia non possono non intendersi. Debbono intendersi.

È questo il problema che appassiona Paganon. Quale Sottosegretario agli Affari Esteri egli rompe una tradizione di oltre quarant'anni, durante i quali il Quai d'Orsay non ha avuto (salvo Daniélou che non contava niente) un Sottosegretario. Non è la firma né l'amministrazione che interessano Paganon. Egli vuole dedicarsi ad uno o due problemi: i rapporti itala-francesi innanzi tutto, chiave di volta del problema europeo, insieme con quello dei rapporti franco-britannici che egli vorrebbe anche trattare, giusta un solo accenno brevissimo da lui fatto.

« Sono per l'intesa con l'Italia -egli dice -per l'intesa con la Gran Bretagna. Non sono contro la Germania. I tedeschi hanno grandi qualità».

Ritorno al problema franco-italiano. «Come uomo politico indipendente posso osare affrontarlo. Se riesco sarò contento. Se fallisco tornerò a cacciare il camoscio sulle mie montagne».

«Non sono un diplomatico». Frasi di grande ammirazione per l'abilità degli Italiani, per l'arte di Machiavelli, ecc. ecc. -Complimenti personali per Grandi per il successo avuto per l'adesione alla proposta Hoover che egli qualifica il più grande successo mai visto a Ginevra, quale neanche Briand aveva mai avuto ecc. ecc.

Problema franco-italiano:

«La maggior difficoltà è la questione navale», dice Paganon. Questo spunto offre l'occasione ad una rassegna degli uomini politici francesi: Tardieu, Briand, Herriot, Laval. Paganon dice essere amico personale di Tardieu, di cui loda l'intelligenza. « Mais il est trop parisien. Ce n'est qu'un journaliste parisien ». Briand negli ultimi anni declinava. Mostra di avere molta stima e simpatia per Laval, che gli aveva offerto un portafoglio nel suo Ministero. Ma nel suo primo esperimento Laval, -che ha la diffidenza e la cautela del contadino -non ha voluto impegnarsi a fondo. Grande ammirazione e devozione per Herriot, l'unico uomo capace di comprendere e sentire l'Italia, per la sua intelligenza, la sua sensibilità e la sua umanità.

Vengono rievocate le responsabilità di Tardieu nell'aggravarsi della questione navale, che prima di Londra non esisteva.

Grandi. -«Vogliate, vi prego, prendere conoscenza, nei vostri archivi, della nota con la quale noi proponevamo di accordarci con voi Francesi prima della Conferenza m Londra».

La parola « parità » viene a galla e Paganon accenna al solito tema delle necessità francesi. Rosso spiega che non si tratta per l'Italia di ottenere la parità, sibbene si tratterebbe di rinunciare alla parità di diritto, che essa oggi possiede, e che nessuno può toglierle.

Paganon vuole entrate in discussione ed accenna ai soliti tre punti: problema navale, Tibesti...

(interruzione di Grandi)... « Tibesti, affare da poco... ».

-« ... Tunisia. Voi vorreste una stabilizzazione per dieci anni».

Grandi. -«Il problema è più vasto. Bisogna vederlo con maggiore larghezza».

Paganon. -Bene, parlatemi francamente. Io non ho mandato. Io posso parlare con tutta franchezza e libertà, a titolo di amico, se permettete. Io so che l'Italia ha dei bisogni. So che il vostro Paese ha delle magnifiche forze di espansione che hanno diritto al loro sfogo. Il vostro Paese ha compiuto miracoli. Io so quel che noi dobbiamo a Mussolini ed al Fascismo. Senza il Fascismo l'Europa avrebbe avuto un'Italia bolscevica. Noi sappiamo pure che l'Italia è rimasta scontenta ed amareggiata dagli errori fatti a suo danno.

Grandi. -Profondamente amareggiata. E non solo dei torti fattile dai Trattati...

Paganon. -La colpa non è solo dei Francesi, ma anche e soprattutto degli Inglesi, ed anche dei vostri uomini dell'epoca. Del resto a questi ultimi voi lo avete fatto pagar caro.

Grandi. -Sì, ma sono dieci anni di rapporti itala-francesi che pesano oggi sull'amarezza degli italiani. Dopo quello che l'Italia di Mussolini ha fatto dal 1915 in poi per la Francia, l'Italia aveva diritto di attendersi ben altro. Lo stato d'animo degli Italiani è stato profondamente ferito. Patto di Londra, Patto di San Giovanni di Mariana e tutto il seguito doloroso che voi ben conoscete.

Paganon. -Io so tutto questo. Ma in cosa consistono i problemi più vasti? Che cosa si può fare per risolverli? Che cosa posso fare io per questo riavvicinamento franco-italiano che -ripeto -è la chiave di volta della situazione europea?

Grandi. -Voi conoscete certamente i deliberati del Gran Consiglio Fascista ed i miei discorsi alla Camera ed al Senato. Orbene, nel mio discorso al Senato io ho esposto le linee del problema italiano ...

Paganon. -Di quando è questo discorso? Desidero leggerlo nel suo testo integrale.

Grandi. -Ve lo farò avere. La questione è di sapere se voi volete e potete fare qualche sforzo di buona volontà, diciamo pure qualche sacrificio per questa amicizia che voi stesso dichiarate essere così necessaria.

Badate. Il momento storico è molto delicato. Esistono oggi, in Italia, come generalmente dovunque ed in ogni epoca, tre generazioni. La vecchia generazione, quella che ha vissuto nella concezione politica della Triplice alleanza, imbevuta di cultura germanica, ancora ammiratrice della Germania; che, in presenza del trattamento che l'Italia ha avuto dai suoi alleati di guerra, pretende di aver visto giusto. Poi ci siamo noi: la generazione che ha fatto la guerra e la rivoluzione fascista, che ha spezzato i vecchi legami, spezzato le vecchie tradizioni, che ha voluto la guerra al vostro fianco contro gli Imperi Centrali. Questa generazione, la nostra, è profondamente amareggiata per le delusioni che voi le avete inflitto. Essa è oggi lontana dalla Francia. E poi c'è la nuovissima generazione che non ha vissuto queste due passioni, ma che viene su nell'atmosfera odierna e considera la Francia come Paese nemico. Ecco i frutti della politica francese dal 1914 ad oggi.

Paganon. -Voi dite che le nuove generazioni italiane tornano a guardare alla Germania?

Grandi. -Evidentemente, ed è inevitabile. Orbene, ogni giorno che passa, la generazione che ha sentito e fatto la guerra si assottiglia. Le occasioni saranno in futuro sempre più rare. Se voi volete, non c'è tempo da perdere.

Paganon. -Certo, la Francia vuole. Noi vogliamo arrivare a questo accordo. Ed io son sicuro che soprattutto Herriot, vi ripeto, è l'uomo che può farlo. Che cosa potrebbe impedirlo?

Grandi. -La vostra avarizia. Scusatemi questa parola dura. Ma questo è quello che vi perderà.

Paganon. -(colpito e fraintendendo). -No. La Francia non è avara. Noi non teniamo alle riparazioni. Il Francese è lavoratore.

Grandi. -Non parlo della piccola avarizia. Si tratta della «grande» avarizia: quella politica.

Paganon. -No. Non è avarizia. Ricordatevi che la Francia è la patria di Descartes. Pel francese tutto è logica e metodo. La politica francese parte dalla logica e segue un metodo.

Grandi. -Errore. La politica se vuole essere la vita, non può essere logica ad ogni costo.

Paganon. -È vero. Ma, insomma, comprendetemi. La Francia desidera la pace. Herriot, col quale voi avete parlato, vuole affrontare il problema franco-italiano. Ditemi quel che la Francia può fare.

Grandi. -Che volete che vi dica? Quando il mio amico Berthelot dice: «Attendez. L'Italie viendra, quand la Grande Bretagne viendra », si fa delle forti illusioni. L'Italia è ormai su un'altra strada.

Paganon. -(interrompendo con vivacità). -Voi sapete che Berthelot non c'è più. In modo assoluto. Io ho preso interamente in mano gli affari che trattava lui. Capirete che, con la mia esperienza di relatore del bilancio, io so dove mettere le mani, i funzionari mi vogliono bene, si fidano di me, ed io non mi sarei lasciato confinare nelle pratiche burocratiche. No, Berthelot è da considerare per un pezzo fuori del giuoco. Del resto egli è molto seriamente malato ed ha 75 anni. È qui vicino. A Vevey, in una casa di salute. Ha della nevrastenia ed i medici gli proibiscono ogni lavoro. Per parte nostra gli abbiamo mandato appena a vedere qualche carta per rimontargli un po' il morale. Sarebbe stato facile metterlo nella Delegazione. Ma Herriot non ha voluto. No, no. Vi ripeto, Berthelot è finito. Me ne dispiace per lui, ma è così. C'è ancora qualche sua creatura, ma questo non conta. Gli affari siamo noi che li trattiamo. Questo come Quai d'Orsay. Il problema franco-italiano è un problema politico, e come tale, voi comprendete, non può essere risolto se non da un Governo che abbia una larga base nel Paese; solo le sinistre possono affrontare e risolvere questo problema. Noi non abbiamo preconcetti dottrinari o di regime.

Grandi. -Ne sono persuaso. Del resto voi sapete che il Fascismo ha un contenuto sociale molto più sostanziale delle cosiddette democrazie. D'altronde la terminologia politica odierna è completamente anacronistica. Democrazia, socialismo, borghesia, dittatura, autocrazia sono tutti termini da rivedere. C'è il vocabolario politico da rifare tutto quanto, Mussolini è molto più vicino al popolo che non siano i Governi democratici. A me non è stato difficile lavorare un riavvicinamento con il laburismo che, come avete visto, ha dato buoni frutti. Quindi niente preconcetti di partito. Io condivido le vostre simpatie per Herriot. Devo dire che di tutti i francesi con i quali ho trattato è certamente in lui che ho trovato la maggiore comprensione e la maggiore umanità.

Ma torniamo pure al problema franco-italiano. Si è perduto molto tempo. Voi avete perduto un tempo prezioso. Il problema è oggi molto più difficile che non fosse alcuni anni fa. Come vi dicevo, dieci anni di rapporti sempre peggiori pesano molto. Il problema navale, dite voi. La migliore occasione che voi avete perduto è stata proprio all'apertura della Conferenza Navale di Londra, quando avremmo potuto intenderei subito con Tardiu. La base era ragionevole ed onesta. A Washington la parità era stata fissata sulle nostre cifre basse. Noi vi offrivamo di fissare voi le cifre per Londra. Era giusto. La questione navale non sarebbe sorta fra noi, se Tardieu avesse posto il problema franco-italiano al di sopra delle sue necessità di partito in lotta con Briand. Invece venne il discorso di Calais che era fatto contro Briand, ma di cui i rapporti franco-italiani fecero le spese. La questione navale era venuta ad aggiungersi alle altre difficoltà.

L'ultima occasione perduta fu quella delle famose basi di accordo del l o Marzo 1931. Non era cosa facile fare accettare al Paese ed ai nostri marinai quell'accordo. Furono ventiquattro ore difficili. Eppure Mussolini volle fare ancora un tentativo ed impose colla sua autorità l'accordo ai nostri marinai. Quale fu il risultato? I marinai francesi rinnegarono l'accordo e con essi il Governo francese. Voi parlate della grande difficoltà del problema navale. Ma basta un piccolo sforzo per risolverlo. Le basi sono sempre là. Ora, per esempio a proposito dei negoziati coi Tedeschi: i Tedeschi costruiscono il secondo Deutschland e voi vi preparate a fare delle corazzate per sorpassarlo. Noi naturalmente faremo corazzate come voi, dopo che avremo saputo quel che fate voi. Ebbene, non sarebbe più ragionevole che tedeschi, francesi ed italiani si mettessero d'accordo per non costruire corazzate?

Questa del problema navale è l'ultima occasione perduta.

Paganon. -Ma anche voi avete perduto occasioni. Lavai voleva venire a Roma. Io conosco un documento inoppugnabile e posso assicurarvi del suo sincero desiderio di intendersi con l'Italia e per questo scopo di venire a Roma e di incontrarsi col Duce.

Grandi. -Le cose sono state forse mal riferite. C'è stato malinteso. Credete che noi non desiderassimo di completare la serie degli incontri europei tipo Chequers con la Chequers italo -francese? Ma la cosa non fu maneggiata bene e con la delicatezza che era necessaria.

Paganon. -Parla degli Ambasciatori e dice di Beaumarchais che è un brav'uomo, molto retto e coscienzioso, ma forse troppo freddo per Roma. « Besnard aveva incontrato simpatie ma non aveva séguito e considerazione a Parigi. Ora Beaumarchais andrebbe bene come Ambasciatore a Londra o meglio come Segretario Generale. A Roma occorre un uomo politico; qualche deputato; io ne vedo due o tre, ma non sono ancora ben deteminato. Anche il vostro Manzoni è un buon uomo. L'ho visto l'altro giorno alle corse ed è stato tanto gentile».

Grandi. -Si, me lo ha scritto. Voi sapete naturalmente di quell'affare che il Presidente Herriot ed io abbiamo deciso di trattare direttamente sottraendolo alle Ambasciate... (1).

Paganon. -Lo so. So che Herriot lo tratterà direttamente. Io non mi occupo affatto di quell'affare.

Grandi. -Bene. Dunque per tornare al problema italiano. Prendiamo un punto di partenza, e cioè dal momento in cui è incominciata la vostra recente «offensiva di cordialità».

Paganon. -« L'expression est charmante ».

Grandi. -Dunque quando incominciò la vostra offensiva di cordialità. Il pubblico italiano l'accolse con molto interesse. Ed era veramente una cosa interessante. La prima manifestazione fu l'articolo di Poincaré, col suo consiglio a Tardieu di intendersi con l'Italia. È vero che lo scolaro non seguì il consiglio del maestro. Poi il vostro collega Patenòtre, giovane intelligente; ...

Paganon. -(interrompendo piuttosto freddo). -Sì, ma è molto giovane, deve ancora farsi...

Grandi. -C'era stato anche Hennessy...

Paganon. -«Un brave garçon intelligent, mais enfin ... » (altra scrollata di spalle).

Grandi. -Dunque. Noi abbiamo creduto conveniente di non fare aprire una discussione tra la stampa dei due Paesi e di aspettare piuttosto che l'atmosfera divenisse adatta a discussioni più sostanziali. I soliti luoghi comuni di fratellanza, ecc., non contano più.

Paganon. -Avete fatto benissimo.

Grandi. -Ebbene, come è finita questa vostra campagna di stampa? Il Direttore del Temps Chastenet è venuto a Roma. È stato ricevuto dal Duce, ha visto uomini e cose. Io gli ho parlato con molta franchezza. Mi è simpatico. Lo apprezzo. È un uomo intelligente.

Paganon. -È vero. Ed è un vostro amico.

Grandi. -Ebbene: ecco che a coronamento delle offerte di intesa della stampa francese, viene un grosso articolo del Temps che ritengo di Chastenet, firmato con tre stelle. Prima parte: ottima. Molta comprensione dei bisogni delle giuste aspirazioni di questo popolo di quarantadue milioni ecc. ecc. Perfetto. Conclusione. Bisogna fare qualche cosa per l'Italia. Che cosa? Aiutarla ad andare in Turchia ed in Abissinia!! l Voi

capite che mi sono cadute le braccia. La Francia vuole · aizzarci contro la Turchia o l'Abissinia? L'impressione è stata semplicemente penosa. Lasciatemi dire: è stata una grossa gaffe.

Paganon. -Comprendo. Ma allora che cosa si può fare? « Allez-y ». Ditemi quale è il Paese che vi interessa? Parliamo da amici.

Grandi. -Guardate voi stesso. Un Ministro francese mi diceva {l) un giorno: l'Impero francese è troppo pesante.

Paganon. -Ma l'Inghilterra cosa fa per voi?

Grandi. -L'Inghilterra non ha bisogno di quello che noi possiamo dare alla Francia.

Paganon. -Eppure essa ha bisogno di voi. Credete che altrimenti vi sarebbe amica?

Grandi. -Ma voi vi rendete conto di quello che potrebbero significare 80 milioni di Italiani e Francesi uniti nella collaborazione europea e mondiale?

Paganon. -Certo, certo. Me ne rendo conto ed è a questo che bisogna arrivare. Anzi, scusate una parentesi: che direste di una collaborazione italo-francese in Brasile? Ci sarebbero da fare cose molto interessati.

Grandi. -Perché no? Ma queste sono questioni di dettaglio, da esaminare dopo. Adesso occorre una cosa sostanziale che abbia per l'Italia un valore reale, e rappresenti qualcosa verso la soluzione del suo problema vitale di espansione.

Paganon. -Ma allora qual'è questo Paese? La carta è presto passata in rassegna: la Siria? Io ho detto, più volte che la darei.

Grandi. -La Siria non è vostra, oramai la Siria è dei Siriani.

Paganon. -L'Angola?

Grandi. -L'Angola non è un mandato.

Paganon. -Già. I Mandati. Ma quali sono i Mandati? Siria, Palestina, noi abbiamo le due colonie ex-tedesche, Togo e Camerun. Non vorrete già la Tunisia? Sarebbe impossibile. Quale dunque sarebbe il Paese adatto?

Silenzio e sorrisi.

Rosso. -Io sceglierei il «Camerum ».

Paganon. -Il Camerun? E poi? Dopo il Camerun?

Grandi. -Già. È la solita domanda. I Francesi se la fanno tutte le volte che

stanno per cedere qualcosa ai Tedeschi. Ma poi cedono sempre ai Tedeschi. Che cosa verrà dopo? Con l'Italia il dopo si può presentare sotto un nuovo aspetto. Paganon. -(come distratto, impressionato). -Il Camerun? Ma ci sono poche risorse. Un po' di caucciù ... Grandi. -Un po' di cotone. Paganon. -È vero. Anche cotone. Un mio amico che è stato Commissario al Camerun mi diceva sempre che il Camerun rende poco ... Grandi. -Se voi aveste da darci un altro territorio più interessante, io non domando di meglio. Paganon. -No, no. Dicevo così per dire. Non è un paese da popolamento. Grandi. -Per noi il problema delle materie prime è più urgente di quello demografico. Quando l'Italia si sarà assicurati due o tre rifornimenti vitali essa potrà meglio

0) Il Ministro delle Colonie Pietri, durante la Conferenza navale di Londra, tre anni fa. [Nota del documento].

proseguire il suo sviluppo e noi potremo far vivere anche più gente in casa nostra. Vi darò un piccolo esempio. Voi sapete che abbiamo negoziato un prestito alla Turchia di trecento milioni di lire. Doveva essere in gran parte un prestito destinato a forniture dall'Italia, e cioè un prestito a base economica, navi, locomotive, macchine agricole, prodotti metallurgici ecc. Ebbene: venuti al dettaglio sapete che cosa mi ha fatto osservare il mio collega delle Finanze? Che non si trattava d'altro che di veri e propri trasferimenti all'estero. Perché? Perché il ferro per le macchine noi lo importiamo dall'estero; perché il carbone per fonderlo noi lo importiamo dall'estero, e cosi di seguito. Comunque si faccia noi siamo prigionieri e tributari dell'estero. L'Italia ha bisogno di materie prime.

Paganon. -È esatto. (Ma egli rimane silenzioso, perplesso. Sembra che l'affare del Camerun lo abbia colpito ed impressionato). «Ma che cosa ci dareste in cambio del Camerun?».

Grandi. -Sta a voi domandarlo.

Paganon. -Già, è vero. Ma l'Abissinia? Non si può fare qualcosa da quella parte?

Grandi. -L'Abissinia è certamente un punto interessante. Ne parleremo.

Paganon. -Se volete, un'altra volta. Oggi è tardi.

Grandi. -Possiamo parlare anche adesso dell'Abissinia. È un problema interessante, dirò anzi appassionante. Me ne accennò Lavai a Parigi nel luglio scorso. « Qu'est ce que vous pensez de l'Abyssinie? ». Penso che l'Abissinia è un problema che interessa egualmente Francia, Italia ed Inghilterra. Penso che la Francia si accorge oggi di avere fatto, da mezzo secolo in qua una politica sbagliata, si accorge cioè che la prima regione minacciata dal nuovo nazionalismo (nutrito e sospinto dalla Francia) etiopico è proprio Gibuti. Ciò del resto è naturale. Per quanto riguarda l'Italia non vi nascondo nessun segreto. Siamo ad una svolta. O noi ci intendiamo con voi ed allora ci sarà da lavorare insieme laggiù, pel comune rischio e pel comune vantaggio, ovvero non ci accordiamo con voi ed allora ci accorderemo coll'Imperatore dandogli quello sbocco al mare per il quale insiste da tanto tempo. Si starà tranquilli e la ferrovia di Gibuti ne farà le spese. Ma possiamo fare altrimenti. Il problema dell'Abissinia è un grosso problema itala-franco-britannico che dovremo esaminare in un secondo tempo, quando i rapporti itala-francesi saranno chiariti. Dopo, non prima. C'è già del resto un accordo tripartito cui basta dare vita, se si volesse. Ma di ciò, ripeto, non bisogna parlare in sede di chiarimento dei rapporti itala-francesi. Il problema abissino esiste, ma appartiene ad altro ordine di questioni. Ne parleremo dopo. Quando la Francia si sarà decisa ad un passo concreto verso l'Italia il resto verrà. Verrà anche la collaborazione nei Balcani e nell'Europa Danubiana. Ma il terreno dei Mandati è il più adatto per fare qualche cosa di tangibile.

Paganon. -Certo i mandati sono un aspetto interessante, ma delicato, credetemi, molto delicato del problema. E l'Inghilterra? Occorrerà il consenso inglese. Credete che gli Inglesi acconsentirebbero?

Grandi. -Perché non dovrebbero acconsentire?

Paganon. -E l'Inghilterra dovrebbe dare anch'essa un mandato.

Grandi. -Questo si vedrebbe. La questione dei mandati è sempre aperta. I Mandati rappresentano ancora il terreno dove è possibile fare delle revisioni senza toccare quella che voi chiamate la «santità dei trattati».

Paganon. -Voi avete fatto del resto il possibile per mantenere la questione aperta ed avete fatto dal vostro punto di vista, benissimo. Certo, è il solo terreno che non sia ancora consolidato.

Grandi. -Così voi dovete comprendere il nostro atteggiamento circa la revlSlone dei Trattati. Perché dovremmo essere per una politica di conservazione, quando non ci è stato dato nulla da conservare? È strano che voi Francesi non vi rendiate conto di ciò. È possibile dopo che voi ci avete portato via quello che era stato promesso solenne

mente all'atto della nostra entrata in guerra, che veramente crediate che noi possiamo aiutarvi a conservare quello che avevate promesso di darci e che voi invece vi siete preso? Per ottenere da un Paese una politica di conservazione occorre che esso abbia in questa politica degli interessi effettivi. A parte la frontiera naturale delle Alpi, gli Alleati ci avevano solennemente promesso di risolvere: l) la nostra sicurezza adriatica; 2) il problema della nostra mancanza di materie prime (colonie).

Paganon. -Ma voi credete che la frontiera del Brennero sia proprio un problema risolto?

Grandi. -È risolto. Su questo punto non fatevi illusioni. I Tedeschi sono nei riguardi dell'Italia molto più abili di quello che lo siate voi.

I patti per quanto riguarda l'Adriatico non sono stati mantenuti. La sicurezza adriatica ci è stata tolta. Ma noi comprendiamo che una revisione dei trattati su questo capitolo, pur così vitale per noi, è impossibile. Siamo realisti. Capitolo chiuso. Resta il campo coloniale, che non è chiuso. Voi lo avete ammesso. Dunque revisione nel campo coloniale. È il meno che noi possiamo chiedere. Il Gran Consiglio del Fascismo ha proclamato nel mese di aprile, ancora una volta, e con solennità inusitata, il principio della revisione dei Trattati. È ormai l'ideologia dell'Italia fascista. Voi sapete che le ideologie sono pericolose. Ma io sono un semplice Ministro degli Esteri che deve tirare delle conclusioni e fare dei conti nell'interesse del proprio Paese. Ed un mese fa parlando alla Camera ed al Senato. ho indicato con molta chiarezza quale è la strada per la quale voi Francesi potreste arrivare. Perché io ho parlato sopratutto per voi Francesi, il che, del resto, è stato perfettamente capito da qualche francese intelligente, che ha detto: « Enfin, on nous dit quelque chose de précis, enfin. Désagréable, mais précis ».

Sareste voi, Herriot e voi, meno intelligenti di questo « qualche» francese?

Voi sapete dove a poco a poco conduce la logica delle ideologie. La nostra « revisione dei Trattati» diventerà fatalmente un principio di sovvertimento politico più generale, tanto più pericoloso quanto più impreciso (le coscienze popolari seguono le idee che si presentano come bandiere). Occorre che la Francia si affretti e ripari almeno parzialmente gli errori e le colpe che voi stesso ammettete avere la Francia commesso nei nostri riguardi. Questo è interesse vostro, è interesse nostro, è interesse di tutti. Fate in modo di non arrivare troppo tardi.

Paganon. -Ma il germanesimo è un pericolo per voi non meno che per noi.

Grandi. -Questa è un'altra delle grandi illusioni dove si culla la vostra pigrizia e, perdonatemi, la vostra « avarizia». Gli Italiani sono dei realisti, malgrado le apparenze contrarie. Hanno fatto i loro conti. Sanno che uno stretto accordo colla Germania dà loro degli svantaggi e dà loro dei vantaggi. Coi Tedeschi si discute, e si negozia, con i Francesi non si tira un ragno da un buco <<non c'è niente da fare», come si dice. Allora andiamo coi tedeschi. Accettiamo i rischi ed i vantaggi. Questo pensa la grande maggioranza degli Italiani. E i tedeschi lo sanno. Lavorano, e voi perdete del tempo prezioso.

Paganon. -Ma l'« Anschluss »?

Grandi. -Altra illusione. Vi racconterò un episodio. Quando nel marzo dell'anno scorso l'Ambasciatore tedesco mi domandò udienza per comunicarmi il famoso progetto di «unione doganale» rimase così sorpreso nell'udire dalle mie labbra che io mi sarei opposto a tale progetto, da non potersi trattenere dall'esclamare: «Ma voi siete ben sicuro di interpretare in questo momento il pensiero del Vostro Governo?» (1).

Paganon. -E voi che rispondeste?

Grandi. -Io gli risposi semplicemente che egli si trovava nel Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri del Regno di Italia e ciò era l'unica cosa che doveva avere per lui qualche interesse.

n. -182, dove però queste parole non risultano.

Ma l'Ambasciatore tedesco aveva potuto dire quello che ha detto solo perché egli sa perfettamente che la grande maggioranza degli Italiani è « rassegnata » (l) ormai all'unione austro-tedesca, e ciò è il frutto diretto di questi dieci anni di politica francese verso l'Italia. Aggiungete la cospicua mole di interessi economici che l'Italia, specie agricola, ha in Germania, ed aggiungete ancora le difficoltà di ogni genere create dalla politica economica francese (sempre Tardieu) verso l'esportazione agricola italiana.

Voi sapete esattamente che se all'Aja ed a Ginevra le cose sono andate bene, e la Germania ha ritirato questa volta il progetto, ciò lo si deve esclusivamente all'attitudine italiana che ha contribuito a vincere le perplessità dell'Inghilterra. Ma la Germania farà meglio le cose la prossima volta.

Tardieu si è incaricato quest'anno di aiutarla col suo famoso progetto che ha già creato una concordanza di interessi itala-tedeschi nell'Europa danubiana. Si poteva essere, diplomaticamente, meno abili di così?

Paganon. -Avete ragione. Errore grave di Tardieu. Ripeto. La via è Roma-ParigiLondra. L'Europa Orientale verrà dopo.

Grandi. -Ecco dunque come stanno le cose.

Paganon. -(Prende un tono solenne). M. le Ministre, io vi ringrazio di avermi parlato come avete fatto. Io non posso dirvi niente, ma vi prometto che mi metterò a studiare questo problema a fondo. Ne parlerò naturalmente col mio Presidente Herriot, e, vi ripeto, io ho la speranza, se non ardisco troppo, di riuscire. In ogni caso io farò tutto quello di cui sono capace per riuscire. Se avrò troppo presunto dalle mie forze, peggio per me. Comunque avremo ancora occasione di vederci. Noi resteremo ancora per un po' di tempo insieme qui a Losanna. Dobbiamo vederci.

Convenevoli -Congedo molto cordiale.

Questo è il primo «a fondo » nei rapporti i tale-francesi con un Ministro francese responsabile. Andrà? Non andrà? Vedremo. Ma poiché M. Paganon è venuto personalmente a cercarmi, valeva la pena di farlo. A furia di seminare, qualche volta succede che il grano nasce anche nella sabbia. Un anno fa la parola «Camerun» pronunciata da un Ministro italiano avrebbe fatto saltare dalla sedia un Ministro francese. Adesso se ne parla già tranquillamente, come di un soggetto di discorso interessante.

Se Mussolini potesse dare all'Italia una colonia sull'Atlantico!

(l) Ed. parzialmente e con ampie varianti sotto la data 8 luglio, In D. GRANDI, La politica estera, pp. 999-1002.

(l) Allude forse all'accusa di spionaggio mossa dalle autorità francesi a un impiegato dell'Ambasciata a Parigi.

(l) -Episodio esatto -Parole di von Schubert. [Nota del documento]. Cfr. serie VII, vol. X,
141

L'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

APPUNTO (2). Roma, 4 luglio 1932.

A parte le innumerevoli questioni di dettaglio che si vanno svolgendo, più

-o meno stentatamente, col Governo albanese in materia di organizzazione civile, lavori pubblici, contestazioni a danno delle imprese italiane, programma di manutenzione delle opere già costruite impiego dei fondi del prestito 1931, scuole professionali, ricerche minerarie, rinnovo e perfezionamento della convenzione petroli, applicazione della convenzione AGIP immissione di famiglie coloniche nella concessione dei terreni dell'Aja, sistemazione delle concessioni elettriche,

ecc... ecc..., si ritiene di dover segnalare alla particolare attenzione due questioni che in questo momento richiamano il massimo nostro interessamento, sia per la portata politica -Unione Doganale -sia per la tensione che può derivarne: -Moratoria Svea.

Unione doganale.

Da un anno perseguiamo cautamente questo obiettivo. Abbiamo cercato di comprometterci il meno possibile, mascherando con ogni cura il nostro desiderio di realizzarla, e facendo spostare sul Governo albanese l'interesse a chiedere una radicale soluzione dei nostri reciproci rapporti economici.

Essendo stata prospettata dagli albanesi la necessità di rivedere, in loro favore, l'attuale trattato di commercio, abbiamo sempre risposto che non possiamo accordare -pur volendolo vivamente -alcuna agevolazione alle importazioni albanesi in Italia senza aprire le porte alla dilagante importazione dei più grandi paesi europei che, valendosi della clausola della Nazione più favorita, premerebbero sui nostri mercati e danneggerebbero l'economia italiana, senza migliorare per nulla il tenue ed irrilevante rivolo delle importazioni albanesi in Italia che continuerebbero a trovare, coi terzi, identiche condizioni di relatività.

La possibilità di instaurare un regime particolare con accorgimenti più o meno palesi senza ricorrere all'unica soluzione che permetta di negare ai terzi l'applicazione della clausola della Nazione più favorita, è stata da noi respinta recisamente per non tagliarci la strada alla Unione doganale; ma gli albanesi, durante un anno, non hanno fatto altro che battere su queste vie traverse per non arrendersi alla idea dell'Unione doganale.

Questa parola mette in allarme le loro suscettibilità e fa loro temere di compromettersi innanzi al mondo.

Tuttavia la crisi economica generale e la necessità imperiosa ed urgente di migliorare le condizioni della loro agricoltura aprendo uno sbocco ai prodotti di essa, hanno fatto lentamente maturare il loro atteggiamento.

Il Re Zog ha avuto una serie di colloqui con Soragna ed alla fine ha ammesso la possibilità di parlare dell'Unione Doganale come ultima ratio per il risollevamento economico del suo Paese.

Per non riaprire coi tecnici una discussione sul fattore politico, Soragna ha ottenuto che il Re desse a Mehdi Frasheri l'incarico di trattare intorno al congegno ed alla formulazione di una Unione Doganale « come se le pregiudiziali politiche fossero superate>>. Il primo contatto fra Soragna e Frasheri ha avuto luogo di recente.

Nel piano di realizzazione dell'Unione Doganale, gli albanesi cercano di assicurare dalla loro parte questi vantaggi:

l) aprire uno sbocco ai loro prodotti agricoli;

2) ottenere, sotto forma di aumento del nostro contributo annuo, l'equivalente dell'ammontare dei proventi doganali che perderebbero;

3) svuotare di contenuto i pegni Svea aventi per oggetto le dogane.

Questi tre obiettivi, che concilierebbero a loro favore il massimo dei vantaggi, sembrano sufficientemente importanti per alimentare il loro interesse a proseguire il negoziato.

Da parte nostra, abbiamo i seguenti obiettivi:

l) quello di carattere politico di fare una nuova grande affermazione della nostra azione in Albania;

2) Quello di carattere economico di assicurare che il denaro da noi apportato in Albania valga, almeno, a determinare una esclusività di acquisti albanesi in Italia, mentre attualmente l'Albania, col nostro denaro, ha accresciuto la mole dei propri acquisti presso terzi Paesi, diminuendo in cifre assolute il livello dei suoi acquisti in Italia.

M oratoria Svea.

All'indomani della tensione sorta nell'autunno scorso per il mancato rinnovamento del Patto del 1926, il Governo albanese chiese se quello italiano fosse disposto ad esercitare una influenza sulla Svea per una lunga moratoria. Fu risposto che tale azione sarebbe stata esercitata, non senza far presenti gli interessi degli obbligazionisti e le condizioni generali del momento che non consentivano sistemazioni a lunga scadenza.

Nel prepararsi al negoziato, la Svea ha presentato come piattaforma contabile l'intero ammontare delle quote maturate e dei relativi interessi di mora, come se il precedente accordo di moratoria del 1928 non fosse più in vigore. In realtà, il Governo albanese non ha adempiuto neppure ai pagamenti parziali previsti da quella moratoria, essendosi limitato ad onorare i suoi impegni per le cifre minime previste per il solo anno 1930; dopo di che è ritornato ad essere insolvente.

La piattaforma contabile presentata dalla Svea è un semplice punto di partenza per accrescere le distanze, essendo ovvio l'interesse nostro di non arrivare alla concessione della moratoria in forma di accordo consensuale, mentre è egualmente ovvio l'interesse nostro di non sforzare il Governo albanese al benché minimo pagamento in linea di fatto.

Questo atteggiamento è dettato dal proposito di non diminuire, sia pure per un lasso di tempo indeterminato, la efficacia giuridica dei pegni, i quali, non esercitabili nella fase attuale dei nostri rapporti di amicizia col Governo albanese e nel momento internazionale che attraversiamo, possono divenire strumenti utili ad una nostra politica, non soltanto albanese ma anche mediterranea, il giorno in cui, contro un fatto internazionale altrui non prevedibile, il Governo italiano decidesse di procedere da parte sua ad una contro-affermazione.

Si tratta ora di convincere gli albanesi che possono confidare in una nostra lndefinita tolleranza, ma non possono attendersi una sistemazione di pieno valore giuridico, in forma contrattuale, come essi vorrebbero.

(l) -Questo naturalmente si dice per 11 signor Paganon, come molte altre cose dette prima. Io non sono affatto rassegnato all'Anschluss, né, spero, gli Italiani. [Nota del documento]. (2) -Il titolo originale dell'appunto è: «Questioni principiai! attualmente in corso nei riguardi dell'Albania».
142

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, MACDONALD

APPUNTO. Losanna, 5 Zuglio 1932, ore 24 (1).

l) Conferma del colpo di spugna.

2) Accettazione di quello che si sta facendo, visto che tutti si mettono su questa strada, ma conferma della necessità che qualche cosa si faccia che debba servire alla rinascita della fiducia ed alla ripresa dei traffici.

3) Il documento preparato dagli Inglesi (2) introduce una discriminazione tra debiti e riparazioni; questa discriminazione non solo non è accettabile dal punto di vista italiano, ma è dannosa anche da un punto di vista generale in quanto non faciliterebbe, ma danneggerebbe invece le future trattative con l'America.

4) L'Italia può anche adattarsi a non chiedere la cancellazione in questo momento dei debiti verso la Gran Bretagna.

5) È ben inteso che se l'Italia non è soddisfatta dei suoi accordi per debiti non ratificherà l'accordo con la Germania.

6) Gli effetti della dichiarazione del 16 giugno debbono rimanere in forza fintanto che i negoziati con l'America e con la Gran Bretagna non sono conclusi.

7) Attualmente esiste uno stato di fatto per cui le riparazioni tedesche (parte condizionata) servono a pagare tutti i debiti.

Bisogna che il « gentlemen's agreement » stabilisca che, se non si ratifica e se non si fa un accordo con l'America e con l'Inghilterra, l'attuale situazione di fatto, oltre che di diritto, rimanga immutata; che quindi l'interdipendenza di fatto esistente tra riparazioni e debiti non soffra alcun pregiudizio.

143

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, HERRIOT (3)

APPUNTO. Losanna, 7 luglio 1932.

*Riprendiamo la conversazione di sabato scorso (4). Il nostro colloquio dura esattamente due ore: dalle 17 alle 19. Mi limito a spremerne i punti fondamentali. Herriot parla abbondantemente annegando in

un mare di parole, di cui si compiace, alcune poche idee che io trattengo e sulle quali cerco di mantenere indirizzata la nostra discussione. Ciò non è facile. Il discorso di Herriot è come una grossa barca che si muove sopra un mare agitato avendo al timone un marinaio ubriaco. Non lo fa per artificio o per mettere fuori strada il suo interlocutore. È la sua natura. Ma per ancorare questa boa galleggiante, occorre della fatica.

Herriot mi parla lungamente delle sue trattative con MacDonald e con von Papen. Mi fa grandi lodi di von Btilow e cioè proprio di colui che guidando con abilità consumata la Delegazione tedesca alla Conferenza di Losanna, ha contribuito più di ogni altro, alla sconfitta di Herriot. Cerco spesso di condurlo al punto fondamentale (per gli interessi francesi forse più ancora che per gli interessi italiani) dei rapporti fra i debitori della Gran Bretagna, ma dal modo superficiale delle sue risposte, m'accorgo anche troppo che gH Inglesi lo hanno giocato in questo settore, che è il più delicato, promettendogli un appoggio efficace circa il famoso «forfait>> da pagarsi dalla Germania e la dichiarazione politica che sino a ieri von Papen rifiutava di sottoscrivere e che oggi, ottenuto tutto quello che desiderava, è lo stesso Governo tedesco che sotto altra forma presenta ai Francesi come contropartita del pagamento di liquidazione*.

Grandi. -Sono molto lieto di constatare che le vostre parole di oggi sono molto diverse da quelle che mi diceste quindici giorni or sono (l). Mi rallegro che voi siate disceso da una posizione di intransigenza assoluta ad un'attitudine di tanta conciliazione. Ciò è ancora di migliore augurio per l'avvenire.

Herriot. -La conciliazione dell'Europa, questa è la sola cosa che m'interessa. *Vi sono riuscito nel 1924 accettando il Piano Dawes e ritirandomi dalla Ruhr. Oggi faccio altrettanto, e credo sia bene fare così. Il risultato maggiore e che la Francia apprezzerà al sommo grado per noi, è il ristabilimento dell'entente cordiale con la Gran Bretagna. MacDonald è un vero amico per me e noi sappiamo intenderei.

Grandi. -Me ne rallegro.

(Gli Inglesi hanno succhiato Herriot come si succhia un uovo. La Francia si accorgerà di quello che è l'amicizia britannica alla prima scadenza del debito francese verso il Tesoro britannico ...) *.

Herriot. -L'intesa con la Gran Bretagna, ecco il punto essenziale della poìitica francese; dopo di che, immediatamente, l'intesa con l'Italia.

Entriamo a parlare dei rapporti italo-francesi. Herriot è sincero quando parla della sua volontà di intendersi con noi. Egli conosce l'Italia da cima a fondo avendovi dimorato lungamente, parla italiano che egli dice avere appreso da suo padre ferito alla battaglia di Solferino e decorato con una medaglia al valore da Re Vittorio Emanuele II. Purtroppo questa volontà di intesa trova il suo limite nella sua natura di letterato generico e sentimentale il quale ha dei problemi internazionali una visione approssimativa, e cioè mancante di contorni netti. Tuttavia Herriot fa delle ammissioni importanti: l'accordo fra l'Italia e la Francia non può essere che sostanziale e basato sulla

necessità di rimediare alle ingiustizie fatte dagli ex-Alleati e particolarmente da Clemenceau all'Italia nei Trattati di Pace, nonché di tener conto dell'esistenza di un problema italiano consistente nel nostro eccesso demografico e nella mancanza di territori che ci assicurino l'indispensabile rifornimento di materie prime. Herriot è anche d'accordo che è specialmente nel continente africano dove si possono trovare le soluzioni più adatte, e che queste soluzioni possono costituire il punto di partenza per intese europee, *specialmente nell'Europa Orientale. Di questo problema, dell'Europa Orientale, egli sarebbe disposto a parlare anche subito qualora noi lo volessimo. A quest'ultima proposta ho evitato di rispondere *.

Herriot.-Finita la Conferenza di Losanna mi dedicherò al problema francoitaliano. Man mano che noi proseguiamo nelle nostre conversazioni si chiarisce sempre più la via da seguire. La Conferenza di Losanna è la riprova ancora una volta di quello che Francia ed Italia possono valere se unite e di quello che possono perdere se in contrasto tra loro.

Mi ringrazia ancora una volta per il telegramma inviatogli in occasione della cerimonia a Cocherel per Briand. -Mi domanda se Briand è l'uomo di Stato francese che io ammiro di più.

Grandi. -No. Non è Briand l'uomo francese che io ammiro di più.

Herriot. -Quale allora?

Grandi. -È Delcassé. Delcassé ha saputo sfidare ad un certo momento le ire dei Francesi per avere abbassato la bandiera francese sopra una terra d'Africa. In quel momento egli ha guadagnato la Gran Bretagna alla battagl,ia della Marna. Non è stato questo il migliore affare fatto dalla Francia da Napoleone III in poi?

(l) -Il colloquio aveva avuto luogo nel pomeriggio. (2) -Cfr. n. 139, nota l, pag. 192.

(3) Da Carte Grand!; ed. con varianti in GRANDI, La politica estera, cit., pp. 998-999. Tra asterischi l principali passi soppressi.

(4) Allude alla conversazione del 2 luglio su cui cfr. l'accenno nel n. 139, allegato II.

(l) Cfr. n. 126.

144

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. S. 2553/1501. Vienna, 7 luglio 1932.

Mio telespresso n. 1454 del 30 giugno (1).

Nel colloquio di stamane Jakoncig mi ha riconfermato la sua personale opinione che meglio che le armi convenga concedere alle «Heimwehren » una porzione maggiore degli 800.000 scellini che sono loro necessari per equipaggiarsi. Jakoncig ritiene che alle «Heimwehren » occorrono armi ma che se la notizia che esse vengono dall'Italia trapelerà prima del momento in cui ci si dovrà servire di esse, ciò provocherebbe una reazione delle masse a sinistra.

Starhemberg a cui ho chiesto dopo, quanto egli considerava potessero costare in Austria 10 mila fucili e 250 mitragliatrici, ha preventivato tali somme in:

20 scellini per fucile = 200.000 scellini

400 scellini per mitragliatrice = 100.000 scellini

e ha aggiunto che se preavvertìto in tempo potrebbe con discreta facilità procurarsi tali armi da fabbriche amiche in Austria, o nei paesi vicini. Starhemberg continua a ritenere che i socialisti nel corso dell'estate faranno un colpo di mano e teme la data del 7 agosto in cui lo « Schutzbund » ha indetto una riunione militare a Hirtenberg ove è sìta la fabbrica d'armi di Mandi (l).

(l) Cfr. n. 131.

145

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E IL SEGRETARIO DI STATO AGLI ESTERI BRITANNICO, SIMON

APPUNTO. Losanna, 7-8 luglio 1932.

(Sìr John Simon mi prega di andare a pranzare con lui al Beau-Rivage. Non rivedevo Simon da tre giorni e cioè dall'ultimo incontro con MacDonald in cui egli stato presente (2), incontro non gradevole né per mé né per l'inglese. Simon si profonde in cortesie. Egli fa del suo meglio per rimediare a quella che è stata l'attitudine del Cancelliere dello Scacchiere. Io rimango freddo e distratto.

Cerca di portare il discorso sulla Conferenza del Disarmo, sui prossimi lavori, sulla solita tesi della necessità di un accordo anche modesto che finisca col presentare al mondo un fronte unico di conciliazione prima che la Conferenza di Ginevra si aggiorni. Richiesto ancora una volta del mio parere, mi limito a rispondergli che glielo ho già detto tante volte, che egli lo conosce benissimo e che non vale la pena io glielo ripeta).

Simon. -Non siete soddisfatto della Conferenza di Losanna?

Grandi. -No. Come potrei esserlo?

Simon. -Eppure avete torto. Prima di sabato noi giungeremo ad un accordo e questo sarà di gran sollievo per il mondo.

Grandi. -Sollievo per voi Inglesi.

Simon. -Ma perché? Non capisco.

Grandi. -Voi capite benissimo, poiché eravate presente alla mia conversazione col Primo Ministro MacDonald. Tutti i Paesi europei debitori dell'America sconteranno fra qualche mese gli errori compiuti alla Conferenza di Losanna.

Simon. -Non era possibile fare altrimenti. Voi sapete benissimo che da parte americana si è preoccupati che la Conferenza dì Losanna finisca con una cancellazione totale delle riparazioni e dei debiti europei.

Grandi. -Ragione di più per confermare quanto vi dicevo prima. Debbo dirvi che quanto è accaduto qui a Losanna costituisce per me un brusco risveglio.

Simon. -Non capisco.

Grandi. -Qual'è la posizione delle singole Potenze alla fine della Conferenza? Ecco: vittoria tedesca. La Germania guadagna la cancellazione delle riparazioni. La Gran Bretagna ha tentato (senza riuscirvi, fortuntamente) di guadagnare una posizione di vantaggio rispetto i suoi debitori europei, ma salva ad ogni modo i crediti privati britannici in Germania. La Francia sconfitta a Losanna se ne torna tuttavia con due illusioni alle quali ogni buon francese crederà e cioè il forfait pagato dalla Germania ed il ristabilimento dell'entente cordiale franco-britannica -L'Italia? L'Italia torna senza alcun vantaggio illusorio o reale, dopo essere stata costretta a lottare proprio contro di voi per salvare quel principio di connessione fra riparazioni e debiti di guerra che è stato fin dall'inizio la base di fatto della politica italiana in materia di obbligazioni finanziarie di guerra. L'Italia ha rischiato di vedersi punita proprio per aver proclamato ed insistito per una politica di «colpo di spugna» molto tempo prima della Conferenza di Losanna. Infatti durante questo mese di negoziati la Francia ci ha combattuto, e questo sta bene. La Germania avendo da noi ottenuto tutto prima che noi le domandassimo nulla, non ci ha considerato che come degli amici che non avevano più nulla da dare. Voi, Inglesi, ci avete trattato in un primo tempo come un alleato incomodo, ed in un secondo tempo avete profittato del nostro contrasto con la Francia per battere separatamentc prima gli Italiani e poi i Francesi nella questione fondamentale per noi, dei nostri debiti di guerra verso la Gran Bretagna.

Tutto ciò dimostra che la solidarietà itala-britannica si è mostrata efficace solo negli interessi britannici, e si è spezzata non appena l'Italia si è trovata in una posizione di domandare alla Gran Bretagna un'attitudine di equità sopra un interesse italiano. Evidentemente non si può fare a meno di tirare da tutto ciò delle logiche conseguenze.

Simon. -Ma no. Voi vi sbagliate, credetelo. La situazione non è così. Noi teniamo quanto mai all'amicizia dell'Italia.

Grandi. -Lo so. Ma solo nelle cose che vi interessano. La Conferenza di Losanna ci ha fatto toccare con mano qual'è il punto limite dell'amicizia inglese nei riguardi dell'Italia. Vi è tutta una situazione generale, determinatasi con la Conferenza di Losanna, sulla quale bisogna che il mio Paese rifletta.

Simon. -Non bisogna che ci lasciamo così. Nella prossima settimana parleremo ancora di tutto ciò a Ginevra. Vi dimostrerò che avete torto.

Grandi. -Parto per Roma non appena terminati i lavori della Conferenza di Losanna e non credo sarò a Ginevra per le ultime discussioni sul disarmo. Dopo Losanna esse non hanno più per me un grande interesse.

Nell'uscire mi imbatto nell'esperto della Tesoreria Leith Ross il quale mi informa che il Cancelliere dello Scacchiere non può accettare la formulazione del «gentlemen agreement » proposta da noi e dai Francesi.

Leith Ross.-«È Pirelli che ha consigliato ai Francesi la formula. Pirelli è intelligente, mais il est malin ».

Grandi. -«Voi Inglesi trovate che un Italiano è sempre "malin" quando difende gli interessi del suo Paese».

17 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

8 luglio.

Non so che cosa sia avvenuto dopo questo incontro fra me e Simon. È però certo che all'indomani, ossia oggi, Leith Ross è venuto alla Delegazione Italiana e ha ripreso i negoziati che apparivano interrotti fra noi e gli Inglesi. Abbiamo proposto lo scambio di lettere segrete fra il Cancelliere dello Scacchiere ed il nostro Ministro delle Finanze, alla sera Leith Ross ha comunicato a Pirelli che Chamberlain accettava. Così il punto per noi essenziale, che MacDonald aveva accettato l'altra sera (connessione delle riparazioni coi debiti di guerra) e che Chamberlain aveva poscia rifiutato, è stato nuovamente ammesso dal Cancelliere dello Scacchiere e formalmente accettato con uno scambio di lettere segrete (l).

(l) -Il ctocumento reca !l visto di Musso!ini. (2) -Cfr. n. 139, allegato II.
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IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI

APPUNTO. Roma, 10 luglio 1932.

Le dichiarazioni di Stimson sul Patto di Parigi meritano una seria considerazione.

Queste dichiarazioni mi sembrano importanti perché precisando il punto di vista americano sulla interpretazione e la portata reale del Patto, esse indicano evidentemente le direttive che il Governo di Washington si propone di seguire di fronte ad una eventualità di guerra o di minaccia di guerra.

Stimson contesta vigorosamente l'opinione di quelli che considerano il Patto come una semplice manifestazione retorica di buona volontà. Egli sostiene invece che esso implica degli obblighi positivi. Per il fatto di aver accettato il principio dell'illegalità della guerra gli Stati firmatari hanno assunto l'impegno preciso di prendere posizione contro i violatori del Patto.

Il Patto di Parigi riconosce l'interesse diretto e particolare che ha ogni nazione di evitare la guerra; riconosce dunque a ciascuno Stato firmatario il diritto di esprimere il suo giudizio morale, ed eventualmente quindi anche la sua disapprovazione, per qualsiasi atto che sia contrario allo spirito del Patto. Il principio della neutralità deve quindi essere concepito in modo diverso che non per il passato.

F'ormalmente la posizione è la seguente: la Germania si è obbligata a consegnare nel periodo di 3 anni, 3 miliardi di marchi di obbligazioni, da err.ettersi se e quando le condizioni del suo credito lo consentano. (Si omettono l'indicazione di queste condizioni e le modalità stab!Iite per la loro determinazione). L'accordo non entrerà in vigore fino alla sua ratifica; e l Governi creditori non lo ratificheranno finché non intervenga "un accordo soddisfacente" tra di essi e i loro creditori. Da qui ad allora sono sospesi, sia i pagamenti tedeschi per riparazioni, sia 1 pagamenti per i debiti tr& Stati europei. " Se un accordo soddisfacente non potrà essere raggiunto (continua il cosiddetto Gentlemen's Agreement che regola la questione), l'accordo con la Germania non sarà ratificato: sorgerà una nuova situazione e l Governi Interessati si consulteranno per determinare li da farsi. In tal caso " la posizione legale fra tutti l Governi tornerebbe a essere quella che esisteva prima della moratoria Hoover, si tornerebbe cioè alla posizione determinata dagli Accordi dell'Aja. (In uno scambio di lettere riservate e particolari alle due Delegazioni italiana e inglese è precisato che il ritorno agli Accordi dell'Aja comprenderebbe anche quello che gli Accordi stessi implicano per quanto riguarda la connessione In essi coten uta tra 1 debiti di guerra e le riparazioni " ».

Per il testo, segreto ma pubblicato dai giornali, dell'accordo di Losanna dell'8 luglio 1932 tra Belgio, Inghilterra, :Francia e Italia circa la fine delle riparazioni cfr. Documents Diploma· tiques Français, 1932-1939 (DDF), I serie, Tomo I, n. l, pp. 1-2.

Dopo la firma del Patto di Parigi -dice Stimson -ciascuno Stato ha il diritto di intervenire in un conflitto fra altri due Stati, sia facendo dei passi, sia esprimendo la propria opinione, sia provocando delle consultazioni con altri Stati; e ciò senza che le Parti in causa siano giustificate a dolersene o a considerare tale intervento come un atto poco amichevole.

È vero -aggiunse Stimson -che il Patto non stabilisce delle sanzioni giuridiche né prevede l'intervento di misure di forza da parte dei firmatari. Esso fa entrare in giuoco però, col suo peso sempre più decisivo, la sanzione dell'opinione pubblica. Il Patto comporta pertanto l'obbligo positivo di ciascun Governo firmatario di indirizzare la politica nazionale e l'opinione pubblica del proprio Paese in conformità all'impegno assunto di considerare la guerra come un atto illegale.

Questi i concetti essenziali delle dichiarazioni di Stimson. Essi non sono nuovi, ricordando anzi molto da vicino certi commenti e certe idee di Briand. Venendo dal Segretario di Stato americano e formulati in modo cosi netto e vigoroso (il che fa presumere che rappresentino il punto di vista, non solo del Governo, ma anche del pubblico americano) essi hanno indubbiamente un significato ed un'importanza partico·lare.

Intanto, le dichiarazioni di Stimson tendono a dare un contenuto positivo al patto di Parigi.

In secondo luogo le dichiarazioni del Segretario di Stato mostrano che il Governo americano non intende affatto rinunciare ad interessarsi, ed eventualmente ad intervenire, nella discussione delle questioni politiche europee.

In terzo luogo esse sembrano voler dire che gli Stati Uniti si tengono pronti, quando occorra, a far sentire tutto H loro peso per condurre alla ragione il paese che voglia turbare la pace del mondo.

Nell'ultima parte delle sue dichiarazioni Stimson afferma che il metodo della consultazione è implicitamente previsto dal Patto di Parigi e che quindi 0 inutile cercare di stringere degli accordi speciali per impegnarsi a fare quanto il Patto stesso già contempla. Con ciò si ha l'impressione che Stimson abbia voluto contestare l'opportunità deU'iniziativa franco-britannica per il Patto di fiducia (1).

(l) Cfr. in proposito il seguente passo di un appunto ministeriale intitolato: «Debiti e riparazioni » che riprende il testo inglese pubblicato a p. 192. «La ConTerenza di Losanna ha praticamente dato di frego alla Parte VIII del Trattato di Versailles (riparazioni).

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[VITETTI] a [MUSSOLINI] (2)

L'Aja, 10-11 luglio 1932.

La conferenza di Losanna si è chiusa con un passivo per la politica italiana. Da qualunque punto di vista i suoi risultati si considerino, essi sono pregiudizievoli per noi. La Conferenza di Losanna ha segnato:

1°) La liberazione della Germania dai suoi obblighi finanziari verso gli Alleati, senza' che né gli Alleati siano stati liberati dai loro obblighi verso gli Stati Uniti, né l'Italia e la Francia, dai loro obblighi verso l'Inghilterra;

I. -Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974, pp. 838-849.

2") Un riavvicinamento anglo-francese, sotto forma di un Patto di Fiducia (1), il quale, se non ha il carattere che gli attribuisce Herriot, rappresenta tuttavia da parte della Gran Bretagna la constatazione che la procedura più adatta per la soluzione dei problemi di politica europea deve far capo a un accordo preliminare fra l'Inghilterra e Li Francia;

3°) Un rafforzamento della posizione della Germania, la quale, liberatasi dal peso delle riparazioni, potrà da ora in avanti più liberamente dedicarsi al raggiungimento degli obiettivi della sua politica estera, dei quali due almeno i suoi armamenti e l'assorbimento dell'Austria -sono in pieno contrasto con i nostri interessi.

In conseguenza di questi fatti, i nostri rapporti con le grandi Potenze di Europa vengono ad essere tutti, più o meno gravemente, modificati, e la nostra libertà di azione, rispetto a tutte le grandi Potenze, notevolmente ridotta. Queste avranno tutte nel prossimo avvenire meno bisogno di noi: la Germania che ha oramai raggiunto col nostro aiuto il primo e più essenziale dei suoi obiettivi, e troverà in un aumento della sua libertà e della sua forza, la possibilità di seguire una politica più indipendente; la Francia, che con la fine delle riparazioni, vede rimosso il maggiore ostacolo ad una ripresa dell'intesa francobritannica; la stessa Inghilterra che, liquidate le riparazioni, non è più obbligata a far ricorso a noi per assicurarsi il nostro concorso alla soluzione del problema della ricostruzione economica della Germania, e del ritorno della Germania a una politica di cooperazione nella comunità europea, che ha costituito in questi anni uno dei più forti anelli di congiungimento fra la politica britannica e la politica italiana.

II. -La politica britannica e la politica italiana non hanno una base permanente comune, l'Inghilterra avendo assoluto bisogno di un regime mondiale di stabilità e di conservazione, mentre l'Italia è obbligata dalle sue necessità di vita -e sopra tutto ora in seguito all'inasprimento del protezionismo europeo e del protezionismo americano -a farsi largo tra i grandi Imperi che si sono venuti a costituire nel secolo XIX. Quello che in questi anni ci ha unito all'Inghilterra è stato solo una certa affinità di interessi di fronte al problema dell'equilibrio europeo, per essere noi separati per le Alpi dall'Europa continentale come essi lo sono per la Manica, e non avere ambizione ad estendere il nostro dominio sopra nessun territorio continentale. Negli anni che hanno seg<Iito la guerra questa affinità di interessi ci ha sempre portato vicino alla politica inglese, nella quale noi abbiamo anche trovato il solo possibile appoggio per resistere alla strapotenza della Francia, e ai tentativi di dittatura politica finanziaria e militare che la Francia ha in questi anni compiuto in Europa. Noi, con ancora in cuore le amarezze della Conferenza di Parigi e della slealtà politica di Clemenceau e di Poincaré, gli Inglesi, con la preoccupazione di ricostruire l'economia europea sulle basi di una riconciliazione franco-tedesca, ci siamo trovati uniti dal 1920 a oggi in una politica di revisione dei trattati, che tuttavia per gli Inglesi non è andata mai al di là del problema delle riparazioni e di un equo riconoscimento dei diritti della Germania nella comunità europea, per noi ha voluto sempre significare una revisione a favore dell'Italia della distribuzione dei territori coloniali extra-europei. Questi soao i legami -né molto

solidi né molto resistenti -che hanno congiunto la politica britannica alla politica italiana, e che la Conferenza di Losanna ha in parte sciolto e in parte la Conferenza del disarmo sta sciogliendo, mentre l'Inghilterra deve fatalmente rettificare la sua posizione verso la Francia. Una volta infatti cancellate le riparazioni, e una volta ammessa, riconosciuta ed attuata la parità di diritti nel campo degli armamenti -un primo passo alla parità fra forze tedesche e forze francesi -quali saranno più gli interessi che potranno indurre l'Inghilterra a una politica di limitazione della forza francese? E che bisogno avrà più l'Inghilterra della cooperazione italiana di fronte alla Francia? L'Inghilterra non potrà -nei prossimi anni -che spostare l'asse della propria azione -come indica il Patto di Fiducia -verso una più stretta cooperazione con la Francia, alla quale, dopo tutto la lega il fondamentale interesse della conservazione e della stabilità nelle condizioni del mondo. Il Patto di Fiducia certo non è né l'alleanza franco-britannica, né l'abbandono del sistema dell'equidistanza consacrato negli Accordi di Locarno, né la rinuncia alla politica dell'equilibrio europeo, ma indubbiamente è un sintomo, un indice, una tendenza, il principio di una direttiva, forse una mèta, verso la quale l'Inghilterra lentamente ma logicamente si avvia. Questa direttiva è favorita dal decadere della potenza finanziaria francese, che negli ultimi due anni aveva minacciato la supremazia inglese e umiliato la City, dai primi segni di una rinascita politica tedesca che già appare essere più rapida e più violenta di quanto l'Inghilterra non si attendesse, e finalmente dalle estreme condizioni di debolezza nelle quali è ridotto il Labour Party che negli anni scorsi è stato il più deciso sostenitore del revisionismo, e che per un lungo periodo non potrà riaversi dal colpo subito nelle elezioni dello scorso autunno ed esercitare la sua influenza sulle direttive della politica estera inglese. I conservatori inglesi sono stati sempre inclinati a una politica di solidarietà anglo-francese, solo corretta dall'avversione inglese a ogni forma di predominio francese sulla Germania. Caduta o venuta ad attenuarsi la possibilità di un tale predominio, viene a cadere o ad attenuarsi anche la ragione di una opposizione laburista alla politica francese. Una maggiore intimità fra la Francia e l'Inghilterra è nella natura delle cose, voglio dire nella fondamentale identità degli interessi dei due paesi, e nella logica degli avvenimenti. E non abbiamo del resto noi stessi notato nella ultima fase della Conferenza del Disarmo -mi riferisco in particolare al periodo che immediatamente precedette e a quello che seguì la presentazione del Progetto Hoover -e poi nel corso della Conferenza di Losann::1, una crescente intimità di rapporti fra il Governo britannico e il Governo francese? Sarà stato anche questo dovuto alla simpatia personale che ha sempre legato MacDonald e Herriot e alla loro teoria delle due democrazie occidentali che devono tenersi unite, ma non vi è stato anche -nell'escluderci dalle riunioni confidenziali franco-anglo-americane -il desiderio inglese di risolvere il problema degli armamenti per mezzo di un accordo diretto con la Francia, sulla vecchia base di concessioni parallele rìPll'Inghilterr;t alla Franria nel campo della sirurena in rambio di concessioni francesi alla GermaniJ. nel campo del di';armo? E che co::-a é di essenzialmente diverso il Patto di Fiducia? E la sicurezza francese non rientra naturalmente

nel quadro r;enerale delLL conl>crva:::ione c dclLt stabilità che è il quadro della pJ!Eicil tritannka'!

III. -Più gravi sono le conseguenze del Trattato di Losanna nei nostri rapporti con la Germania. La nostra politica verso la Germania -che non poteva certo in questi anni essere più liberale -è stata fondata sul concetto che né all'Italia conveniva permettere che la Francia acquistasse una schiacciante supremazia in Europa, né conveniva all'Europa impoverire, umiliare e isolare la Germania. Questo concetto ha anche costituito, come dicevo, uno dei più forti anelli di congiungimento tra l'Inghilterra e noi. Noi avevamo giustamente a temere che una Germania impoverita, umiliata e isolata si volgesse per soccorso

o alla Russia o alla Francia, e che si venisse così o a saldare l'alleanza tedescobolscevica di Rapallo, o a stringersi in condizioni di disuguaglianza un accordo franco-tedesco, ben più pericoloso per noi che quello al quale avevano mirato con la loro politica conciliatrice, e in condizioni di relativa uguagllanza, Herriot e Briand. Sostenendo e incoraggiando la Germania, noi abbiamo perseguito in questi anni essenzialmente due fini: quello di mettere la Germania in condizione di resistere alla Russia e alla Francia, e quello di mettere in valore di fronte ai Francesi la posizione dell'Italia. A noi sembrava che un rafforzamento della Germania era necessario non solo per impedire che essa o divenisse preda del bolscevismo russo o cadesse sotto il predominio francese, ma anche perché da una parte essa potesse frenare la pressione bolscevica sull'Europa, e dall'altra costituisse per la Francia una tale minaccia da obbligare la Francia a rivedere la sua politica verso di noi, e aprirci eventualmente per mezzo di una revisione dei mandati, le porte del suo impero coloniale.

I Tedeschi hanno sempre perfettamente inteso che questi erano i veri fini della nostra politica. Ma avendo necessità del nostro aiuto -e nei limiti di questa necessità -hanno dovuto servirei. Dico nei limiti di questa necessità perché -come è avvenuto subito dopo la conclusione del Trattato di Locarno -ogni volta che essi hanno creduto di poter fare a meno dell'Italia, essi si sono rivoltati contro di noi con l'antico odio che nutriscono per il nome italiano e con l'animo fisso all'Austria e all'Alto Adige. Vi è stata sempre anzi in questi anni una sorda inimicizia tra i Tedeschi e noi, che ha serpeggiato sotto la tenue superficie dei nostri buoni rapporti, noi in realtà intendendo che i Tedeschi si rialzassero dalla loro prostrazione e divenissero tanto forti da minacciare la Francia, ma non da minacciare noi, essi intendendo di essere così forti e così liberi, da non aver più bisogno dell'aiuto italiano, che essi hanno sempre accettato più con rancore che con gratitudine.

Per risolvere la questione delle riparazioni e quella del suo riarmamento per riacquistare cioè la sua indipendenza economica e la sua indipendenza politica -l'aiuto dell'Italia è stato ed è alla Germania indispensabile. In questi anni è stata l'azione combinata del Governo britannico e del Governo italiano, che ha permesso alla Germania di respirare, e la stessa politica di riconciliazione perseguita da Briand è stata dettata alla Francia più dal timore di restare isolata nei suoi tentativi di isolare la Germania, che da un cangiamento nell'atteggiamento francese. La Germania ha avuto, ha e avrà ancora bisogno di noi. Quello però che è certo è che quando questo bisogno verrà a mancare, quando la Germania cioè avrà raggiunto la sua indipendenza economica e politica, si produrrà nella politica tedesca un deciso cambiamento di direttive nei riguardi dell'Italia. La conferenza di Losanna -con la cancellazione delle riparazioni -ha affrettato questo movimento come la conclusione del Patto di Fiducia, aumentando i pericoli di un isolamento politico della Germania in Europa, lo ha ritardato. Bisognerà vedere fino a che punto queste due forze opposte si potranno equilibrare.

In+;anto è ovvio che la posizione della Germania rispetto a noi si è rafforzata. La cancellazione delle riparazioni è un netto e permanente vantaggio per la Germania -economicamente e politicamente. La conclusione del Patto di Fiducia è uno svantaggio per tutti e due. E in un certo senso anzi è uno svantaggio più per noi che ci siamo visti abbandonare dall'Inghilterra, che non lo sia per la Germania, la cui politica non era fondata, come la nostra, sopra un'intima collaborazione con l'Inghilterra. Se il Patto di Fiducia pot ?! stato il prezzo che Mac Donald ha pagato a Herriot per l'abb3indono delle riparazioni, la Germania ne ha tratto dopo un certo suo vantaggio, noi non ne abbiamo tratto nessuno. Anzi di fronte al Patto di Fiducia -se esso indica una ricostruzione dell'Intesa Cordiale -noi abbiamo tanto bisogno della Germania che la Germania di noi. Fatto il bilancio finale dei vantaggi e dei danni, quello solo che si può dire è che la Germania è ora in una minore condizione di necessità di fronte a noi, noi in una maggiore condizione di necessità di fronte alla Germania.

È facile vedere che questa situazione non può logicamente svilupparsi che a nostro danno. Liberatasi dal peso delle riparazioni, e dalle dure limitazioni che le riparazioni hanno imposto alla sua indipendenza politica, la Germania non potrà che perseguire con maggiore rapidità e decisione i suoi immediati obiettivi. Questi sono, come ho accennato al principio del presente memorandum, essenzialmente due, la revisione delle clausole del Trattato di Versailles relative ai suoi armamenti, e l'assorbimento dell'Austria. La Conferenza di Losanna la ha avvicinata all'uno e all'altro di questi obiettivi.

Non mi indugio sulla questione degli armamenti, poiché è ormai chiaro che il principio dell'« uguaglianza di diritto» posto con suprema abilità di uomo di stato dal Dr. Briining nel suo discorso del 9 febbraio, è entrato per cosi dire, nella coscienza popolare dell'Europa e sta facendosi inevitabilmente strada a Ginevra. Prima della Conferenza di Losanna, sarebbe stato forse possibile alla Francia venire a un accordo con la Germania offrendo per suo conto la cancellazione delle riparazioni tedesche in cambio di un mantenimento per qualche anno del regime fissato nel Trattato di Versailles, o di una stabilizzazione degli armamenti tedeschi. Oggi la Francia non ha più armi per negoziare, e il tempo lavora ineluttabilmente a favore della Germania, che a febbraio aveva dalla sua solo il diritto e il buon senso e ora ha anche una maggiore indipendenza e il coraggio che le viene dall'avere abbattuto definitivamente il meccanismo delle riparazioni. La Parte V del Trattato di Versailles è oramai una vecchia porta corrosa e von Papen con un colpo di spalla può farla cadere, mentre è chiaro che la liberazione dei suoi obblighi finanziari verso gli Alleati darà alla Germania la possibilità di un'attiva ripresa economica, e quindi di una vasta politica di armamenti. La realtà è dunque che a Losanna la Germania non solo ha ottenuto la cancellazione delle riparazioni, ma anche la possibilità pratica

di migliorare e in un secondo tempo, aumentare il suo esercito e la sua flotta, rafforzando così di fronte a noi, come alla Francia, la indipendenza della sua politica.

Questo fatto già di per sé avvicinerebbe la Germania a quello che si è chiaramente rivelato fin dal luglio dell'anno scorso essere il suo essenziale obiettivo -e cioè l'assorbimento economico e politico dell'Austria -anche se a questo obiettivo la politica dell'Inghilterra non l'avesse intanto, da un anno in qua, avvicinata. L'Inghilterra oramai non ne vuole più sapere dell'indipendenza austriaca. Il Protocollo del 1922 è lettera morta nella politica inglese. All'Aja l'anno scorso esso è stato salvato con grande sforzo dalla Francia e da noi, contro la volontà dell'Inghilterra, che non solo si è dissociata dalla nostra azione davanti alla Corte Permanente di Giustizia Internazionale, ma ha lasciato a Sir Ceci! Hurst di sostenere in seno alla Corte le ragioni della Germania. A Losanna al momento che si è trattato di rinnovare gli impegni del Protocollo, ci siamo trovati di nuovo di fronte alla opposizione britannica, che a tanto anzi è giunta da spaventare Herriot, il quale, se non fosse stato per il resoluto atteggiamento italiano, avrebbe ceduto all'Inghilterra e rinunziato a quella clausola politica. che l'anno innanzi ci aveva permesso di far cadere il progetto di unione economica fra l'Austria e la Germania. E pure tanto forte la Germania si è sentita a Losanna da poter rifiutare la sua adesione al Protocollo, e fare all'Austria un'offerta separata di assistenza finanziaria, mettendo sotto i nostri stessi occhi quelli che sono i primi effetti della cancellazione delle riparazioni.

Come dunque è fatale che la politica tedesca si diriga verso l'indipendenza degli armamenti e verso l'assorbimento dell'Austria, così è fatale che la nostra libertà d'azione verso la Germania venga a essere limitata e ridotta. Voglio dire che noi non avremo più la libertà di essere amici o nemici della Germania, ma saremo obbligati o ad accettare con nostro danno i risultati della sua politica, o a legarci con la Francia contro di essa.

IV. -Messl cosi fra il Patto di l<'iduci:l --che nel suo svolgimento logico dovrebbe portare a un rinnovamento. in qualche forma, dell'intesa francobritannica -e la minaccia di un risorgimento della potenza tedesca, noi non possiamo non considerare senza apprensione lo stato futuro dei nostri rapporti con la Francia. Negli anni passati il nostro ragionamento si è fondato sulla ipotesi di una Germania, che, lentamente rafforzandosi, avrebbe fatto lentamente sentire alla Francia il bisogno dell'amicizia italiana. Una Germania povera, umllìata e isolata ci spiaceva -come ho detto più sopra -anche perché la Francia non sentendosi minacciata, non poteva volgersi all'Italia, ma pensava, con le sue alleanze orientali di far fronte eventualmente a una coalizione itala-tedesca, se mai l'Italia avesse stretto tanto i suoi vincoli con la Germania, da tornare al regime della Triplice. Non avevamo torto di ragionare così, poiché è nell'avara natura dei Francesi, «più taccagni, diceva il Machiavelli, che prudenti» di cedere solo alla necessità, e bisognava mettere avanti ai loro occhi il pericolo di una Germania risorta, p~r indurla a considerare, sopra una base di uguaglianza e con adeguati compensi, l'alleanza italigna. Ma in relazione a quer:.ti obiettivi la nostra politica ha avuto sempre c cleve necessariamente avere un limite. Noi non potremmo mai spin;::ere il nostro appoggio e il nostro favore alla Germania fino a permettere che la posizione si rovesci, e la potenza tedesca diventi così minacciosa da obbligare! a un'alleanza forzata con la Francia. Questo sarebbe un rischiare la nostra libertà internazionale, e per evitare il pericolo di un predominio francese, favorire con le nostre stesse mani lo stabilirsi di una condizione di cose in Europa che farebbe la nostra politica prigioniera di necessità più forti di noi. Quale sarebbe infatti la posizione dell'Italia il giorno che una Germania armata e potente si affacciasse sulle nostre Alpi e guardasse improvvisamente verso il nostro Mare? Che cosa potremmo fare allora noi? O meglio che cosa altro potremmo fare se non accettare dalla Francia quella garanzia che nel 1925 Briand ci offrì e noi avemmo allora la forza e la saggezza di rifiutare?

Ma il problema dì un nostro riavvìcinamento alla Francia non può essere considerato solo in relazione alla intensità della pressione che la Germania può esercitare sull'Europa Centrale. Esso è strettamente legato anche agli sviluppi della politica franco-britannica che a Losanna si è realizzata nel Patto di Fiducia. Se la J.i'rancla infatti non verrà come noi crediamo a un accordo vantaggioso con l'Italia, se non stretta dalla necessità di assicurarsi l'alleanza italiana contro Ia crescente potenza della Germania, è chiaro che nel misurare questa necessita essa aovra mlzlalmente partire da una valutazione della solidità e della stabilità delle garanzie di sicurezza che le offre la politica britannica.

Oggl Queste garanzie sono precise ma incerte. Il Trattato di Locarno le fissa con una esattezza gmncuca alla quale non fa tuttavia riscontro una fermezza di direttive politiche che possa dare alla Francia quel senso di sicurezza che essa ansiosamente chiede all'Inghilterra da un trattato all'altro e dall'una all'altra alleanza. Vi è qualche cosa di provvisorio e di sfuggevole nella politica britannica che non soddisfa l'immagine francese la quale dominata dall'incubo di una nuova aggressione tedesca, vuole vedere davanti a sè degli eserciti pronti a marciare, non i cinque parlamenti dell'Impero disputarsi sull'interpretazione degli obblighi di assistenza militare previsti dai Trattati. Quello che la Francia ha in questi anni costantemente tentato e tenta ora di ottenere è un impegno più generale e più incondizionato da parte dell'Inghilterra a intervenire in un nuovo conflitto europeo, qualora la Germania tenti di provocare con le armi quella revisione dei Trattati sulla quale essa ha per ora concentrato la sua azione diplomatica. Segna il Patto di Fiducia l'inizio di una più intima collaborazione franco-britannica? O il primo passo verso una ricostituzione della Intesa Cordiale? O la maschera colla quale il Governo britannico vuole presentare al popolo inglese una politica di più precisi impegni di pace e di guerra con la Francia? Oggi è difficile dirlo. Il Patto di Fiducia ha fatto troppo evidentemente parte di un più complesso mercato fra Francia e Inghilterra, ed è ancora troppo intimamente legato alla questione delle riparazioni e degli armamenti tedeschi. per potere fissare il valore politico permanente che esso potrà avere. Ma, come dicevo, in principio, più che un riavvicinamento franco-britannico esso rappresenta la constatazione che, per risolvere i problemi europei la proo::cdura più adatta lLve far capo a un accordo preliminare fra l'Inghilterra e la Francia.

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Anche in questi limiti il Patto di Fiducia già indebolisce la nostra posizione di fronte alla Francia già esso suggerisce alla Francia che la strada della alleanza britannica è tuttavia sempre aperta, già incoraggia la Francia a perseguire i suoi sforzi per una ricostituzione dell'Intesa Cordiale, invece di volgersi a noi, in cerca di una soluzione equa e soddisfacente dei rapporti franco-italiani che garantisca e congiunga gli interessi dei due paesi di fronte alla Germania. Solo nell'avvenire noi sapremo se questi sforzi riusciranno a fissare la posizione ora così mobile dell'Inghilterra, e se gli interessi che l'Inghilterra ha in comune con la Francia alla stabilità e conservazione dello status quo prevarranno sulle tendenze essenzialmente isolazioniste del popolo inglese, e vinceranno la pesantezza e complessità del meccanismo imperiale. Solo nell'avvenire potremo cioè sapere esattamente quale sarà il significato definitivo del Patto di Fiducia, ma ora considerato nelle condizioni attuali, e dal nostro punto di vista, esso rappresenta una forza di deviazione da quella strada sulla quale noi vorremmo incamminare i rapporti franco-italiani.

È troppo evidente che noi non potremo attirare la Francia a una alleanza con noi, se essa avrà la possibilità di ricostituire per suo conto l'Intesa Cordiale, perché io debba insistere su questo punto. Ma vi sono due considerazioni che devono essere assolutamente chiare. Una è che a un aumento della potenza e dell'aggressività tedesca in Europa corrisponderà necessariamente un rafforzamento dei rapporti franco-britannici, l'altra è che un progressivo rafforzamento nei rapporti franco-britannici progressivamente limiterà la nostra libertà d'azione verso la Francia. Il giorno infatti che la Germania, restaurata la sua vita economica e ristabilita la sua pace civile, comincerà a ricostruire su nuove fondamenta il suo edificio imperiale, e getterà sull'Oceano le sue navi, forzerà i mercati, metterà in piedi un esercito, e guarderà avidamente ai piccoli e deboli paesi che le sono intorno e che dovranno cadere preda della sua forza, il giorno che la Germania riapparirà in Europa nell'impeto della sua grandezza violenta e della sua irrefrenabile aggressività, allora si risveglierà anche in Inghilterra il senso, ora attutito, del pericolo tedesco, e come la Germania tenterà di scuotere l'edificio dell'Europa, l'Inghilterra fatalmente si stringerà all'unica forza veramente conservatrice che resti sul Continente, e cioè alla Francia. Quel giorno noi stessi -minacciati come saremo dal rinascere della potenza tedesca, che premerà sulle nostre Alpi e dal rinnovamento della cooperazione francobritannica che premerà sul Mediterraneo -non avremo scelta, e o ci dovremo legare definitivamente alla Germania, o il nostro riavvicinamento alla Francia avverrà allora in condizioni di necessità e di svantaggio, che ci priveranno di ogni vera facoltà di negoziare.

Anche dal punto di vista dei rapporti franco-britannici, è necessario che il nostro riavvicinamento alla Francia -se questo è veramente negll scopi generali della nostra politica estera -si faccia prima che il risorgimento del Reich imperiale trasformi sulla Manica e sulle Alpi le condizioni essenziali nelle quali il problema attualmente si pone.

V. -Questo implica anche naturalmente una revisione dei nostri rapporti con i paesi danubiani alleati della Francia. È un concetto comunemente diffuso che questi rapporti sono interamente dipendenti da quelli franco-italiani, e che una volta che noi saremo giunti a un accordo con la Francia, la Jugoslavia, la Cecoslovacchia e la Romania saranno obbligate a venire a patti con noi. Vi è anzi chi va più oltre: chi pensa che noi potremo negoziare con la Francia in condizioni così vantaggiose da indurre la Francia a scegliere fra queste alleanze orientali e noi, e che la Francia, pur di assicurarsi l'amicizia e la collaborazione dell'Italia allenterà i suoi vincoli con la Jugoslavia e la lascerà sola e indebolita, a dover regolare le questioni che noi abbiamo con essa sull'Adriatico. Noi potremo allora -si dice -con molto minor sforzo e con molte maggiori probabilità di successo spezzare la Piccola Intesa, e disfare -facendo leva sul separatismo croato -l'unità jugoslava, e acquistare così queHa sicurezza e quella libertà sui confini orientali che i nostri alleati nel 1919 ci negarono.

Qui non è il luogo di esaminare questo problema, né se il disfacimento dell'unità jugoslava sia uno scopo praticamente perseguibile e una volta perseguito possa veramente portare dei vantaggi all'Italia. È difficile interessare i Croati a una politica separatista senza garantire loro i porti sull'Adriatico, che ora sono nelle mani della Jugoslavia, e col garantire loro questi porti viene a cadere una delle prime ragioni, e anzi la più essenziale, per le quali noi potremo essere indotti ad aiutare il loro movimento. Del resto una volta indipendente, la Croazia o si volgerebbe all'Ungheria -e si ricostituirebbe allora in un'unione ungaro-croata quel problema che avremmo tentato di risolvere dissolvendo l'unità jugoslava-o si volgerebbe a cercare, contro l'Italia, la protezione di Grandi Potenze, e per essere più debole della Jugoslavia, e più esposta, sarebbe obbligata a dare a questa nuova dipendenza un carattere di vassallaggio che l'alleanza franco-jugoslava attualmente non ha. Il risultato più immediato del dissolvimento dell'unità jugoslava sarebbe dunque di creare ai nostri confini un piccolo Stato, che o sarebbe vassallo della Francia, o cadrebbe, incapace a difendersi, sotto i colpi che la Germania tenterà di dare alla presente struttura politica dell'Europa Danubiana.

In realtà il problema dei nostri rapporti con gli Stati della Piccola Intesa, e in particolare con la Jugoslavia, non può essere impostato fuori del quadro dei nostri rapporti con la Germania. Se la Germania si prepara a riprendere di nuovo, sulle rovine dell'Impero austro-ungarico, la sua marcia verso l'Europa sud-orientale, sarà la politica tedesca -assai più che non la politica francese -quella che noi sentiremo gravare a nostro danno nella Valle del Danubio e sulla riva destra dell'Adriatico. Oggi la Germania non ha e non può avere che un programma: quello di aprirsi, con l'annessione dell'Austria, la strada dei Balcani. Assorbita l'Austria, questo programma diventerà irresistibile. Con l'Austria i Tedeschi non solo si saranno assicurati una base geografica per la loro espansione, ma diventeranno gli eredi di una tradizione imperiale, non ancora interamente spenta, nella Valle del Danubio. Non solo avranno aumentata materialmente la loro forza, ma avranno rimesso le mani nella vecchia struttura economica e culturale -non ancora interamente dissolta

dell'ex Impero austro-ungarico. Non solo sul Brennero e a Vienna avremo in realtà la Germania, ma a Budapest e a Zagabria, sulle Alpi Giulie e sull'Adriatico, dovunque vi sono ancora popolazioni e tradizioni austriache, dovunque ancora il tedesco è la lingua della cultura e del commercio, dovunque ancora si rimpiangono i vantaggi dell'unità imperiale, e l'ordine, la buona amministrazione e il prestigio del vecchio Impero.

Negli anni che sono davanti a noi, noi dovremo far fronte allo svilupparsi di questo programma che, in una prima fase, possiamo ragionevolmente immaginare come diretto all'assorbimento dell'Austria, alla dissoluzione della Cecoslovacchia e a una manomissione più o meno velata e indiretta della indipendenza ungherese. Dovremo o potremo assistere inerti al raggiungimento di questi obiettivi? Lasceremo la Germania disfare a suo vantaggio la struttura degli Stati Danubiani? E con quali forze? Con quali alleanze? Suscitando e mantenendo quali elementi di resistenza?

I soli Stati sui quali noi possiamo appoggiarci per resistere a una ripresa della marcia tedesca sull'Europa Danubiana, sono in definitiva gli Stati della Piccola Intesa. La politica di questi Stati verso l'Austria e verso l'Ungheria non poteva essere più sciocca e più rozza di quella che è stata, ed essi sono in gran parte responsabili delle tendenze pangermaniste di Vienna e Budapest, ma è comunque sulla loro cooperazione che riposa ogni possibilità pratica di difendere l'Indipendenza dell'Austria e dell'Ungheria. Questo non è solo vero, negativamente perché ove la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania si dirigessero verso una politica di accordi con la Germania, l'Austria e l'Ungheria dovrebbero fatalmente essere sacrificate ai vantaggi dell'amicizia tedesca, ma anche positivamente perché la cooperazione degli Stati della Piccola Intesa si è mostrata assolutamente indispensabile a risolvere i problemi fondamentali del Bacino Danubiano. Certo il problema si presenterebbe in modo assolutamente diverso se vi fosse una possibilità pratica qualunque di garantire l'indipendenza austriaca per mezzo di un'intesa fra noi e la Germania. Ma questa possibilità non esiste. Anche se la Germania si inducesse a creare con noi e con l'Ungheria un regime di accordi politici e economici, per preservare l'indipendenza dell'Austria, la parte che essa avrebbe nel funzionamento pratico di questi accordi sarebbe sempre preponderante, e noi dovremmo o rassegnare! a una condizione di netta inferiorità nel Bacino Danubiano, o a precipitarci a distruggere, sollecitando gli aiuti degli Stati della Piccola Intesa, quel regime che noi stessi avremo, con nostro danno e con pericolo dei nostri interessi creato.

Noi saremo dunque fatalmente spinti verso un accordo con gli Stati della Piccola Intesa. Questo è stato già evidente l'estate scorsa, quando ci siamo dovuti stringere con la Francia e la Cecoslovacchia, a difendere l'indipendenza dell'Austria contro il progetto di Unione Doganale; ma diverrà anche più evidente negli anni prossimi, quando la Germania, liberatasi ormai dal peso delle riparazioni. e rafforz8.ta la sua struttura economica e politica. riprenderà con più animo e più vigorr. la Sll;'l politk.a espanshmista snl DaJwhio. Sarà essa allora che tenterà di dissolvere i legami tra la Piccola Intesa. di separare la Polonia dagli alleati danubiani della Francia, di spezzare l'unità jugoslava per soddisfare le rivendké'.zioni unghl'rcsi, di far ::mc qw;;~t0 rivrmlicnzi<Jni, per allarg.ue i limiti della r;aa pùli:;ìca -:: raffvrzarc e facilitar" LL :.-ua azione di sovvertimento e di dominio nell'Europa Centrale. Dopo tutto non bisogna dimenticare che se la Piccola Intesa è unita in una politica di mantenimento dei Trattati, gli interessi della Cecoslovacchia, della Jugoslavia e della Romania di fronte al problema tedesco non sono identici. Solo per la Cecoslovacchia l'Anschluss è veramente questione di vita e di morte, In un primo periodo, e cioè nella fase puramente austriaca della sua politica espansionista, la Germania, con la promessa di sacrificar loro gli interessi revisionisti dell'Ungheria, potrà tentare di conciliarsi la Jugoslavia e la Romania e solo dopo aver spezzato la Piccola Intesa volgere contro di esse il programma delle rivendicazioni ungheresi.

Noi saremo allora obbligati a difendere e sostenere l'unità della Piccola Intesa, e a stringere gli interessi jugoslavi e romeni alla difesa dell'indipendenza austriaca; e premuti dal volgere degli avvenimenti e dalla forza crescente della Germania, dovremo noi far sacrificio degli interessi ungheresi, gettando l'Ungheria definitivamente dalla parte tedesca.

Non pare dubbio che sia dunque nostro interesse chiarire e rivedere i nostri rapporti con la Piccola Intesa, prima che la Germania inizi la sua politica di espansione danubiana. Né si vede perché dovremmo in questo procedere d'accordo con la Francia. A noi non conviene far dipendere i nostri rapporti con la Piccola Intesa dai nostri rapporti con la Francia, chè anzi abbiamo interesse a tener separati i due problemi, e a non entrare in negoziati con la Francia, se non prima avremo raggiunto una cordiale intesa con la Jugoslavia. Sarà forse più difficile negoziare con la Jugoslavia, mentre questa è alleata della Francia e i rapporti itala-francesi sono così oscuri e incerti, ma è infinitamente più pesante negoziare con la Francia, in regime di alleanza francojugoslava e con la Jugoslavia a noi nemica. La Francia o esigerà un nostro riavvicinamento alla Jugoslavia, e allora dovremo rivedere i rapporti italajugoslavi in una situazione svantaggiosa, o calcolerà il ravvicinamento italajugoslavo come un suo apporto, e allora dovremo pagare il ravvicinamento itala-jugoslavo due volte: una volta alla Francia e l'altra alla Jugoslavia. L'ipotesi che la Francia sacrifichi la Jugoslavia a noi non può essere neppure calcolata, perché la Jugoslavia è un elemento Ef;senziale del piano di isolamento e accerchiamento della Germania e, una volta che noi ci saremo impegnati a sostenere questo piano, non avremo noi stessi interesse a gettare la Jugoslavia nelle braccia della Germania.

Per una ricostruzione della nostra politica estera quale ci impone la conferenza di Losanna, noi dobbiamo anzi cominciare proprio dai rapporti con la Jugoslavia. Dobbiamo proprio cominciare col riesaminare questi rapporti alla luce di quelle che saranno fatalmente le direttive della nostra politica nell'Europa Centrale; spinti come già siamo, o saremo di più nell'avvenire, ad una sorda lotta con la Germania, per sbarrarle prima la strada di Vienna, e poi quella dei Balcani. Per resistere alla Germania dovremo prima di tutto -prima cioè anche di volgerei ad un'alleanza con la Francia -costituirci una base di azione nell'Europa Danabiana, che di fronte alla stessa Francia ci renda più indipendenti e più forti. Sarebbe sciocco e imprudente, per costituirci questa base, abbandonare l'Austria e l'Ungheria alla grossolana cupidigia dei paesi

della Piccola Intesa. Dobbiamo anzi fare il contrario: e cercare di alleviare la pressione della Piccola Intesa su di loro, svegliando a Praga, a Belgrado, a Bucarest il senso del pericolo tedesco e delle sconfinate rivendicazioni della Germania, e spegnendo il timore del pericolo asburgico e delle rivendicazioni ungheresi. Tuttavia per fare questo dobbiamo pur dare alla Piccola Intesa -se vogliamo che essa diventi baluardo e difesa dei nostri interessi contro l'espansionismo tedesco -la sicurezza e la fiducia della nostra amicizia.

VI. -Ma una volta che ci saremo messi su questa strada non dovremo rinunciare noi al nostro revisionismo? Non dovremo invertire le premesse della nostra politica e passare, armi e bagagli, alla politica della conservazione dei Trattati? Sarà possibile conciliare le nostre premesse revisioniste con un'alleanza itala-francese e anzi con una politica di collaborazione tra l'Italia e la Piccola Intesa?

In realtà il nostro revisionismo per quanto riguarda l'Italia, ha sempre avuto e ha uno scopo preciso: quello di rivedere a nostro vantaggio la distribuzione dei territori coloniali. In Europa il nostro revisionismo ci ha servito a esercitare una pressione politica sulla Francia, non a soddisfare alcuna necessità nostra. Parlando di revisione dei Trattati il nostro animo si è volto sempre all'Africa, al Mediterraneo orientale, all'iniqua distribuzione dei mandati che fu fatta alla Conferenza di Parigi, alle condizioni di inferiorità nella quale si trova l'Italia rispetto alle altre Grandi Potenze vittoriose. Noi abbiamo sempre pensato che era utile eccitare e aumentare il pericolo tedesco in Europa, perché la Francia fosse costretta a rivedere in nostro favore la situazione coloniale. Non dobbiamo perdere di vista questa impostazione del problema italiano. Non sono né i Tedeschi della Slesia che ci interessano, né gli Ungheresi della Transilvania. Sono gli Italiani ai quali bisogna dare terre e lavoro, campi da coltivare e mercati da sf.ruttare. Sia la Siria o sia il Camerun noi abbiamo la nostra «revisione» che ci preme. Gli altri dovranno pensare a sé.

Ora il grave problema che, dal progetto austro-tedesco di Unione Doganale alla conferenza di Losanna, si è posto davanti a noi, è che un risorgere troppo rapido e troppo violento della potenza tedesca non sovrapponga alle necessità coloniali italiane delle esigenze più immediate e più urgenti di sicurezza europea; e la conferenza di Losanna ha aumentato non indebolito questo pericolo. Dalla Conferenza di Losanna la Germania è uscita più libera e più forte, la Francia più sicura. Nei mesi che verranno si vedrà se sarà più rapido il processo di ricostituzione dell'Intesa Cordiale o il processo di ricostruzione della Germania Imperiale, e se di fronte al rinascere della potenza economica, politica e militare della Germania, l'Inghilterra non sentirà la necessità di stringersi più strettamente alla Francia. Ma noi intanto -messi tra il pericolo dell' Anschluss e il pericolo del Patto di Fiducia -dobbiamo subito por mano a ricostruire vigorosamente la nostra politica estera, mentre siamo ancora in condizione di farlo, e prima che la Germania Imperiale ci forzi su posizioni di necessità sulle quali noi saremo obbligati a sacrificare le necessità vitali della nostra espansione.

(l) -Annotazione a margine: «Interpretazione troppo Estensiva ma tendenziale. La parte im· portante però è la relazione che essa ha con il patto di fiducia». (2) -Da Carte Vitetti anonimo e senza destinatario, ed. in R. DE FELICE, Mussolini il duce,

(l) Dal 13 luglio. Testo in DDF, I serie, tomo I, n. 16.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. 2386/461 R. Berlino, 12 luglio 1932, ore 20 (per. ore 24).

Von Neurath è rientrato Berlino e attende mia visita venerdì.

Nel corso della conversazione avuta stamane con Koepke, discorso è caduto su telegramma da Roma alla Boersen Zeitung cui si riferisce riassunto stampa stamane e intitolato: «Politica estera incerta» (1).

Telegramma ha avuto qui molta impressione, sia per quanto dice nei riguardi Italia che nei riguardi collaborazione Papen Neurath. Sul primo Koepke osservava essere assurdo parlare cambiamento politica Germania verso Italia. A Berlino ben si è capita e apprezzata la condotta di

V. E. Losanna anche quando V. E. in un certo momento ha dovuto prendere posizione salvaguardare interessi particolari Italia.

Rapporti franco-tedeschi non sono certo migliorati in seguito intransigenza Herriot Losanna, che sarà ancora più rigida Ginevra. Egli ha già fatto sapere qui che, fino a quando a Berlino sarà Gabinetto attuale, tollerato oggi, corroborato forse domani, da Hitler con partecipazione diretta partito nazionale socialista, Francia non farà concessioni questione disarmo. Koepke esclude scopo accordi politico militari Francia e Germania.

Quanto alla collaborazione Papen-Neurath, osservava essere vero:

l a in alcuni circoli dirigenti fiducia in Neurath è maggiore che in Cancelliere;

2° generalmente si dice che in un eventuale rimaneggiamento Governo dopo le elezioni Cancelliere sarebbe destinato uscire, mentre Neurath sicuramente rimarrebbe;

3° certa gente cerca seminare zizzania fra i due, tuttavia per il momento nulla si osserva capace minare collaborazione fra i due che sono nei rapporti migliori.

Koepke mi ha chiesto da quale fonte corrispondente romano Boersen avere attinto informazioni. Gli ho risposto che a ciò nessuno può rispondere meglio, che ambasciata di Germania a Roma. Io so che Ludwig nei circoli codesta capitale è favorevolmente conosciuto e considerato ma non di più.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

PROMEMORIA. Roma, 12 luglio 1932.

In occasione degli incidenti verificatisi di recente fra la Polonia e Danzica, è stato nuovamente segnalato al R. Ministero che le consultazioni politiche del

Segretariato sull'argomento si limitano ai Governi francese ed inglese e che l'Italia è regolarmente tenuta fuori da simili trattative. Interessato al riguardo dal Conte Gravina, il Segretario Generale ha fatto conoscere che il rappresentante britannico era tenuto al corrente perché relatore al Consiglio sulla questione di Danzica, il francese a causa della grande influenza della Francia sulla Polonia, come alleata.

Sir Eric Drummond faceva poi aggiungere che, sopratutto, la Francia è stata costantemente consultata sugli affari di Danzica perché i suoi rappresentanti ne hanno presa l'iniziativa rivolgendosi continuamente al Segretariato per informazioni. L'Italia invece ha dato l'impressione di un certo disinteresse verso gli avvenimenti e la questione di Danzica.

Sebbene la presenza a Danzica del Conte Gravina faccia sì che il R. Governo è, di fatto, tenuto più o meno al corrente direttamente di quanto avviene, la Direzione Generale E.L.A. sarebbe d'avviso convenga, specie in questo momento, dissipare questa apparenza di disinteressamento e prendere, in certa misura almeno, noi stessi posizione negli affari danzichesi.

La questione di Danzica, di fronte allo sviluppo del nazionalismo germanico è gia ed è sempre più destinata in avvenire a costituire uno dei punti sensibili delle rivendicazioni tedesche e per ciò stesso, un elemento di incertezza e di disordine nell'Europa Orientale.

La nuova situazione creata alla Germania dalle decisioni della Conferenza di Losanna, merito in gran parte dell'attitudine decisa ed energica adottata, da tempo, dal Governo italiano in favore del «colpo di spugna» potrebbe, sempre ad avviso della Direzione Generale E.L A., permetterei e consigliarci un'attitudine più indipendente nei riguardi della Germania, la quale, del resto, ha sempre mostrato scarsa sensibilità di fronte ai continui importanti servigi resigli dalla politica italiana. Attitudine la quale, rientrando nel quadro generale degli interessi e della politica italiana, oltre a far comprendere alla Germania la necessità di corrispondere in forma più concreta alla nostra benevolenza potrebbe lasciare una maggiore possibilità di ulteriori sviluppi.

Questa nostra direttiva potrebbe cominciare a manifestarsi in un maggiore interessamento italiano alle questioni danzichesi, inteso a salvaguardare la situazione di diritto e di fatto ivi creatasi sotto gli auspici della Società delle Nazioni. Ciò nel senso, appunto, di moderare gli eccessivi entusiasmi del Senato e degli elementi germanici di Danzica. Il momento sembrerebbe a ciò particolarmente favorevole poiché mentre, da una parte, il R. Ambasciatore a Varsavia segnala l'intenzione della Polonia di sviluppare, di fronte a Danzica, un piano di azione, a base giuridica, intonato a maggior calma ma tendente a creare l'impressione della sua decisione nella difesa delle proprie posizioni, il Conte Gravina, fonte non sospetta, riferisce aver ritenuto necessario di richiamare la attenzione del Presidente Ziehm sulla necessità di non lasciarsi « montare la testa » dai recenti successi riportati dalla Città Libera e prenderne coraggio per nuove pericolose provocazioni contro la Polonia.

Qualora V. E. concordi con le considerazioni esposte dalla Direzione Generale

E.L.A. -istruzioni in tal senso potrebbero essere inviate al nostro personale presso la Lega delle Nazioni ed a Danzica. P. -S. -Poiché l'Ambasciatore di Polonia ha accennato al Commendator Ghigi che l'unico Console straniero a Danzica non dipendente dalla propria Rappresentanza diplomatica di Varsavia è quello italiano, sarei d'avviso che in occasione della nomina del nuovo titolare del nostro Consolato a Danzica si possa stabilire questa dipendenza gerarchica, alla quale finora eravamo stati contrari, date le circostanze esistenti.

(l) Telestampa n. 1650. [Nota del documento].

150

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 2388/73 R. Bucarest, 13 luglio 1932, ore 9,32 (per. ore 18).

Sono venuto a sapere che codesta legazione Romania, che era stata giorni fa incaricata di far passi presso V. E. per nuova proroga di sei mesi termine previsto articolo 5 trattato amicizia italo-romeno, riceverà istruzioni di chiedere invece che il trattato stesso sia prorogato di sei mesi, stante che nel frattempo si è constatato che detto istrumento verrà a scadere col 18 luglio p. v.

Governo romeno è cioè d'avviso che avvenute due proroghe articolo 5 hanno ormai fatto coincidere termini utili per la rinnovazione del trattato con quelli della scadenza del trattato stesso.

Circa su indicata questione, mi permetto richiamare mio telegramma 64 del 7 luglio 1931 (l) e soprattutto mio telegramma per corriere n. 395 del 20 febbraio u.s. dall'oggetto «La Piccola Intesa e la Romania» (2).

151

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (3)

T. 2399/418 R. Londra, 14 luglio 1932, ore 0,12 (per. ore 6).

Simon mi ha oggi convocato per comunicarmi che, a complemento di alcune dichiarazioni fatte ieri alla Camera dei Comuni, ne avrebbe oggi stesso fatte altre, che mi pregava comunicare immediatamente a V. E., aggiungendo che analoghe dichiarazioni saranno fatte da Herriot a Parigi.

Trasmetto con telegramma a parte n. 417 (4) e 419 (5) discorso ieri Simon e testo documento consegnatomi. Segretario di Stato ha aggiunto seguenti chiarimenti:

1°) Non si tratta di un accordo separato anglo-francese (6), ma di iniziativa che due Governi prendono nell'interesse di tutti e nella ferma speranza che le altre Potenze la seguano. Su ciò ha insistito ripetutamente.

18 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

2°) Intesa ha carattere prettamente europeo.

3°) Governo britannico non desidera impegno mediante trattato o altra forma solenne, ma solo amichevole adesione e spirito buona volontà da parte di tutti.

4°) Scopo principale è evitare una Potenza abbia riservati contatti con un'altra a danno di una terza, ma far in modo tutti collaborino invece di accordo allo scopo comune.

Stesse comunicazioni sono state fatte agli incaricati d'affari Germania e Belgio.

* Per ciò che concerne parte relativa negoziati commerciali, Simon mi ha detto che questione aveva dovuto essere trattata «a fianco>> con Governo francese, come a suo tempo sarà analogamente trattata con R. Governo e altri interessati.

Con una certa irritazione segretario di Stato ha accennato << inutile chiasso » fatto da Churchill e Lloyd George sul « gentlemen agreement » espressione che egli deplora.

Mi ha accennato autorizzazione da lui chiesta Governi interessati per pubblicare accordo. Nel momento (in cui) mi parlava non gli era ancora pervenuta risposta di V. E. * (l).

Infine Segretario di Stato ha ripetutamente insistito nella speranza che

R. Governo come gli altri interessati aderiscano proposta, che implica sistema che ha già dato eccellente risultato e che molti altri può darne.

(l) -Cfr. serie VII, vol. X, n. 381. (2) -Cfr. serie VII, vol. XI, n. 230.

(3) Ed. in GRANDI, La politica estera, clt., pp. 985-986.

(4) -Telestampa n. 1664 R. [Nota del documento]. (5) -Telegramma n. 2400 R. [Nota del documento]. (6) -Allude all'accordo del 13 luglio.
152

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1842/714. Tirana, 16 luglio 1932 (per. il 18).

Ieri ho conversato col Re. Premetto che le linee della conversazione erano state già un po' preparate in antecedenza dall'azione di Libohova, Abdurraman e Sereggi. La conversazione si è svolta ad un dipresso secondo qui di seguito riassumo.

Sono stato a Roma, un mese e mezzo fa, cominciai, perché gli articoli della stampa albanese, i discorsi dei privati, l'eco delle provincie e, infine, persone ufficiose, che stanno presso Vostra Maestà mi hanno convinto che Vostra Maestà e il popolo albanese, in tanta crisi commerciale, attendevano dall'Italia un nuovo intervento a favore dell'Albania. D'altra parte, mi piacque il constatare che si cominciava qui a comprendere l'assurdità della situazione che consiste a prendere i soldi dall'Italia, per comperare dagli stranieri, i quali viceversa nessun pagamento compiono in Albania, né gratuito né contro merce: e che si cominciava a sentire che tale situazione non poteva durare indefinitamente. Io andai quindi a Roma a chiedere, parlando come avvocato del popolo

albanese, che venisse studiata la maniera di facilitare al massimo l'entrata della produzione albanese in Italia, contro l'apertura dell'Albania ai prodotti italiani. Ho fatto bene o male?

Il Re: ha fatto benissimo, ed ha interpretato il pensiero mio e di tutti e la ringrazio di parlar così chiaramente.

Io: Vostra Maestà sa già che ho trovato a Roma cuore aperto sul terreno pratico, ma difficoltà su quello giuridico-internazionalista. Cioè: mentre gli enti politici erano disposti a far molto per l'Albania, coloro che hanno la responsabilità della vita economica italiana, mostrarono l'impossibilità di trattamenti speciali. Al che il Duce si era posto il quesito, se l'Unione doganale avrebbe potuto risolvere le difficoltà; e si era convinto, in linea generale, dell'affermativa. Le istruzioni con cui ero tornato erano quindi, com'è noto, le seguenti: l'Italia è pronta a discutere con l'Albania un Trattato di Unione doganale. Avendo comunicato da tempo quanto precede a Vostra Maestà e discorsone con quelle tali persone ufficiose, mi pareva era giunto il momento di avere qualche risposta conclusiva.

Il Re: Lei sa come io concepisca in modo intimo i rapporti itala-albanesi e come vi abbia dato, per cosi dire, l'Albania in mano. Ciò vuol dire che non posso che essere favorevole ad un ra·vvicinamento intimo anche nel campo economico commerciale. E poi, è vero: il popolo mi segue ormai su questa via; se qualcuno dice il contrario mente, o non conta. Però, né io né lei abbiamo la competenza specifica per decidere la forma sotto cui realizzare tale ravvicinamento: questa è materia da giuristi, da esperti.

Io: È naturale, Maestà, che in simil materia delicata e difficile, ogni capo di stato si fa consigliare dai propri esperti. Non dubito che Vostra Maestà l'abbia già fatto, ed ora abbia deciso la linea da seguire.

Il Re: Io non ho veri esperti: non ho nessuno a mia disposizione che sia capace di studiare il problema di propria iniziativa e di riferirmene in modo esauriente. Ma voi avete specialisti quanti ne volete, i quali, in unione con qualcuno dei miei, potrebbero venire ad un opportuno risultato.

Io: La cosa si può fare. Noi non siamo giunti all'idea dell'Unione doganale per il gusto di fare un'Unione doganale: ci siamo giunti guidati dal parere degli esperti. Nessuna difficoltà a che qualcuno dei vostri uomini, che più sono preparati a questo genere di problemi, discutano con me, ed eventualmente con qualche perito italiano, per farsi una convinzione su ciò che è utile e possibile all'Albania, e poi trasmetterla a Vostra Maestà. Ma dico subito che nessuno dei Ministri in carica è atto a tale scopo.

Il Re: Io nominerei due commissari che so a lei graditi, i quali esperirebbero queste discussioni preliminari.

Io: Maestà, permetta che Le parli come un albanese, come un amico. Vostra Maestà, lo vedo, è incerto, è dubbioso, si tiene in un prudente riserbo. Non me ne adonto: anzi, La lodo. Il passo a cui Vostra Maestà dovrebbe decidersi è importante, è grave; può essere una svolta della storia economica dell'Albania. È giusto che Ella proceda cautamente. Anzi, voglio assicurarLa che nulla di quanto diciamo La impegna, che io sono ben lungi dal cercare di trarLa a poco a poco nell'ingranaggio. Ma, se vogliamo non lavorare a vuoto, occorre spiegarci francamente.

L'Unione doganale ha due lati: l'economico ed il politico. Il primo tocca specialmente ai periti e il loro avviso può prevalere, se sarà ben motivato, sull'animo di Vostra Maestà. Ma sul secondo, so che Vostra Maestà non ascolterà se non il proprio criterio. Occorre quindi sapere se Vostra Maestà ha una pregiudiziale politica contro l'Unione doganale: perché una tale pregiudiziale falserebbe tutto il lavoro dei periti.

Il Re: Io non sono persona che ha dei pregiudizi, desidero il bene del mio popolo, pur non perdendo naturalmente d'occhio la posizione internazionale dell'Albania ed i suoi interessi come nazione.

Io: Mi spiegherò più chiaramente, ma Vostra Maestà mi risponda nettamente. Crede Vostra Maestà che l'Unione doganale coll'Italia sia un atto internazionale che può mettere in forse la dignità e l'indipendenza albanese?

Il Re: Me lo chiedereste o me lo consigliereste, se così fosse?

Io: No, anzitutto perché non mi metto ad imprese inutili, e se così fosse, non avrei nessuna probabilità di concludere con un uomo come Vostra Maestà. In secondo luogo, le menomazioni della dignità e dell'indipendenza albanese ferirebbero la nostra politica, la quale tende ad elevare l'Albania, non ad abbassarla; giacché un'Albania abbassata non ci serve.

Il Re: Lo credo anch'io; io ho fiducia in voi, so che la vostra politica tende a servirsi dell'Albania, ma non ad assorbirla.

Io: Allora, torno a pregare Vostra Maestà di rispondermi. Vostra Maestà nutre il concetto che non si debba in nessun caso sboccare in un'Unione doganale, perché non è compatibile, o è nociva all'indipendenza albanese e agli interessi di Vostra Maestà?

Il Re: (dopo aver riflettuto qualche istante) No. Io credo che il punto d'arrivo in materia può essere dettato semplicemente dall'interesse economico, e cioè dipendere dal risultato delle conversazioni tecniche.

Io: Questa dichiarazione mi soddisfa abbastanza, e, torno a ripeterlo, non trovo affatto fuor di posto la prudenza di Vostra Maestà. Io stesso poi, siccome ho l'abitudine di mettermi nei panni di coloro con cui discuto un affare, per comprendere meglio i loro punti di vista, non mi sonq nascosto le difficoltà preliminari anche di natura politica che possono turbare qualche patriota albanese. Per me, si riducono a due.

La prima, consiste nell'effetto che l'Unione doganale potrebbe provocare all'estero. E dirò subito che, se le cose e le idee di questo mondo fossero come erano quattro o cinque anni fa, non crederei neppure il caso di perdere il tempo a discutere qui il problema con Vostra Maestà: l'Unione doganale sarebbe stata cosa prematura e sconsigliabile.

Il Re: Si, avete perfettamente ragione. A quel tempo neppure sarebbe stata la pena di discorrere di un simile atto.

Io: Ma ora, l'atmosfera di questa povera Europa è un'altra. Ora, sotto la sferza della crisi, è di moda il parlare di intese economiche, di collaborazioni, di Unioni, di economie aperte almeno da qualche lato; e, pur continuandosi con tragico affanno ad elevare barriere doganali, si impreca contro quest'arma soffocatrice, e si attende qualcuno, che dia l'esempio della ribellione, per portarlo in trionfo. Non soltanto, quindi, il progresso del senso della collaborazione coll'Italia, conseguito nell'ambiente albanese, rende oggi possibile il porre tranquillamente sul tappeto, tra noi due, una proposta che anni or sono avrebbe provocato una levata dì scudi; ma la situazione europea, per suo conto e per altri fenomeni, è tale che anche quei malevoli, che, anni or sono, avrebbero fatto baccano e forse provocato degli ostacoli, oggi sarebbero costretti (anche se a contraggenio) a far la faccia ridente ed applaudirci.

Il Re: È vero.

Io: La seconda difficoltà sta in ciò, che l'Albania si metterebbe in linea economica a troppa esclusiva mercé dell'Italia. Diventerebbe come altri Stati, per es. la Danimarca, la cui vita economica dipende esclusivamente dall'Inghilterra.

Il Re: Questa difficoltà non mi fa paura.

Io: Non a Vostra Maestà, ma a qualchedun'altro forse sì. Ora, a costui bisogna far riflettere, anzitutto, che l'Albania sì trova già economicamente alle dipendenze dell'Italia, non peraltro se non per la forza delle cose; e, dato che possa trovar dì meglio, le sarebbe possibile anche in avvenire, ave lo sia presentemente, di scuotere tale predominio. Poi, bisogna fargli riflettere che la dìpendenza dall'Italia sarebbe in realtà creata, non da quel pezzo dì carta che sancisce l'Unione doganale, ma dal fatto che le merci albanesi verrebbero concentrate sul mercato italiano. Ora, anche il suddetto patriotta sembra oggi d'accordo, con tutti gli albanesi, a voler conseguire tale risultato; ma attraverso stipulazioni dì larghissimi accordi preferenziali, che non portino l'etichetta dell'Unione doganale. Quindi questa tale dipendenza economica egli l'ha già bella che accettata.

Il Re: Anche questo è esatto. Ma io non ho alcuna paura di questa dipendenza economica. So che cosa è, e non ho alcun dubbio che, anche economicamente, l'Albania deve agganciarsi all'Italia.

Io vi propongo quindi due persone che trattino la questione in dettaglio. Il primo è il Signor Gera, Segretario Generale delle finanze.

Io: Lo conosco e mi va.

Il Re: Il secondo delegato è Medhi bey. È uno spirito agile, e mi fido della sua onestà verso di me e verso di voi.

Io: Mi è simpatico, e lo accetto. Però, Vostra Maestà mi deve promettere di non influenzarlo menomamente nel senso politico, perché altrimenti siamo serviti; cercherà ogni sorta di soluzioni intermedie, e Vostra Maestà sa che in tali circostanze la fantasia dì Medhì bey deraglia. Vostra Maestà gli deve dire che lui sì occupi della parte economica e pratica, e non badi alle ripercussioni politiche: quelle debbono essere riservate al criterio di Vostra Maestà. Soprattutto, non gli dica nulla che gli faccia supporre che Vostra Maestà preferirebbe di sottrarsi, ove possibile, all'Unione doganale; ipnotizzato dall'idea non discuterebbe più liberamente, e dopo due conversazioni la romperemmo.

Così si conchiuse che il Re avrebbe messo al corrente Medhi Frasheri ed io avrei cominciato a discorrere con lui e, quando si scendesse a qualche maggior dettaglio, col Signor Gera, durante questi periodi canicolari. Dovremmo in questo tempo sbarazzare il terreno dal maggior numero possibile di problemi pregiudiziali, non tanto risolvendolì, quanto abbozzando le possibilità di soluzioni. Prese poi le vacanze, o durante le medesime, sarebbero potuti intervenire degli specialisti: cioè il Gera o Medhi bey avrebbero potuto compiere delle

gite a Roma, per dirimere problemi più particolari. Ove poi le cose si fossero messe su una china veramente soddisfacente, nulla ostava che uno o due nostri specialisti venissero a Tirana.

Il Re cadde parimenti d'accordo con me che il Consiglio dei Ministri fosse tenuto all'oscuro di tutto, fino a cose ben avviate. Gli feci anche osservare, che la massima segretezza era necessaria o, in caso di insuccesso delle trattative, i rapporti itala-albanesi o meglio quelli dell'Italia colla sua persona ne avrebbero avuto una seconda scossa molto pericolosa.

Riandando la conversazione, e se guardo donde siamo partiti all'inizio delranno, traggo la conclusione che abbiamo man mano conseguito dei buoni progressi. Ma il pesce è estremamente sospettoso e cauto e, se si danno strapponi alla lenza, scapperà rompendo il filo.

E poi non ho dubbio, salvo superiori rettifiche, che la politica della dolcezza e della pazienza è l'unica adesso possibile. Pressioni di carattere pauroso, aut-aut categorici, minacce aperte di sospensione di sussidi o -peggio, non si debbono assolutamente più usare, col Re, se non il giorno in cui saremo nel caso o nella volontà di attuarli. Ora, io ho il senso che l'E. V., impegnato a fondo su un largo scacchiere, in questo momento desidera di non avere in Albania incidenti o schiamazzi. Non faccio previsioni sul risultato finale, perché nell'anima dei popoli si può leggere, nei segreti dei partiti e dei gruppi si scruta, ma sul cervello di Zog non vi sono spiragli. Secondo me, egli si riserva ancora; ma la pregiudiziale, come pregiudiziale, la volontà recisa di ottenere i vantaggi senza concedere la formula, non c'è più.

(l) Il passo fra asterischi non è edito In GRANDI.

153

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA (l)

T. 745 R. (2). Roma, 17 luglio 1932, ore 20,45.

(Per Ginevra). Ho telegrafato R. ambasciatore a Berlino quanto segue:

(Per tutti): Quest'ambasciatore Germania mi ha chiesto ieri a nome del suo Governo, nostro modo di vedere circa cosiddetto «accordo di fiducia~-Ho risposto a von Schubert che R. Governo aveva ritenuto opportuno accogliere immediatamente l'invito britannico di aderire alla procedura di consultazione e ciò allo scopo di evitare che « accordo di fiducia » assumesse un carattere spiccato di accordo franco-britannico. Questa necessità ci aveva impedito di consultarci preventivamente col Governo germanico come sarebbe stato nostro desiderio, ma saremmo stati lieti di tenerci in contatto con Berlino circa l'ulteriore svolgimento di questa questione.

Circa il mio modo di vedere sull'atteggiamento germanico in proposito, le

stesse ragioni che ci avevano consigliato di aderire, militano in favore del

l'adesione della Germania, allo scopo appunto di dare all'accordo di fiducia un carattere europeo e generale. Ho anche detto a von Schubert che nel ricevere i giornalisti italiani avevo rilevato analogie sostanziali fra l'« accordo di fiducia» e il progetto di patto consultivo proposto recentemente dalla Germania a Ginevra.

V. E. nelle sue conversazioni costi potrà opportunamente confermare il nostro desiderio di tenerci in istretto rapporto per l'ulteriore seguito di questa questione, tanto più che nostra adesione è soltanto di massima et Governo italiano si ripromette di esaminare dettagli accordo per decidere ulteriore linea di condotta.

(Per Ginevra). Prego comunicare quanto precede al ministro Buti a Losanna con mezzo speciale.

(l) Ed., con varianti, in GRANDI, La politica estera, cit., p. 986.

(2) Il telegramma venne inviato a Berlino con numero di protocollo particolare 177 e a Ginevra con numero di protocollo particolare 151.

154

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 747/152 R. Roma, 17 luglio 1932, ore 20,50.

Telegramma di Buti 158 (1).

Ritengo che sarebbe utile riprendere opportunamente l'argomento con sir John Simon, e dirgli a mio nome che lo ringrazio della sua cortese comunicazione e che anch'io condivido suo modo di vedere circa opportunità adesione germanica al recente accordo di fiducia. Anzi, come V. S. desumerà da mio telegramma n. 151 (2), ho intrattenuto in questo senso l'ambasciatore dì Germania a Roma, pregandolo di trasmettere mio punto di vista a suo Governo. Circa ulteriori passi presso Governo germanico, V. S. può dire a Simon che ritengo sarebbe opportuno che azione italiana ed inglese si esplicasse concordemente.

Prego comunicare quanto precede con mezzo speciale al ministro Buti a Losanna con riferimento al suo telegramma n. 158.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 751/75 R. Roma, 18 luglio 1932, ore 24.

Suo telegramma 73 (3). Questo incaricato d'affari di Romania ha fatto passo di cui predetto telegramma di V. S. Gli ho fatto rispondere che sarà studiata oggi stesso oppor

tuna formula mediante cui il trattato possa continuare ad avere vigore per altri sei mesi. Durante tale periodo si dovranno condurre negoziati per metterei d'accordo sulle modifiche che noi intendiamo apportare al trattato stesso.

R. Governo però dichiara fin d'ora che non intende assolutamente addivenire ad ulteriori proroghe nel caso tali negoziati non condurranno a pratici e ...iefinitivi risultati.

(l) -T. 2426/158 R. del 16 luglio, non pubblicato: desiderio di Simon che l'Italia faccia sentire al Governo tedesco l'opportunità della sua partecipazione all'accordo di fiducia. (2) -Cfr. n. 153. (3) -Cfr. n. 150.
156

COLLOQUIO FRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, MURRAY

APPUNTO. Roma, 18 luglio 1932.

L'Incaricato d'Affari Inglese, viene per comunicarmi quanto segue:

Sir Ronald Graham rimase molto impressionato della conversazione avuta con me sabato 16 corrente (l) e si mise subito in comunicazione con Sir John Simon a Ginevra. Sir John Simon pregava Graham di venirmi subito a trovare per dirmi come fosse addolorato delle impressioni da me avute sia a Losanna sia relativamente alla intesa preliminare franco-britannica. Simon sperava che dopo le sue dichiarazioni fatte al Consiglio della Società delle Nazioni, almeno su un punto, la situazione potesse essere chiarita. Anche da parte di Mac Donald, che era stato informato della cosa, egli intende ripetere che la Gran Bretagna ha sempre tenuto e tiene in particolar modo a procedere in istretta intesa con l'Italia, e che ove il Governo italiano avesse avuto delle impressioni contrarie, il Governo britannico ne era sinceramente dolente. Il Governo britannico confida che il Governo di Roma e di Londra potranno continuare uer l'avvenire quel lavoro comune che ha dato così giovevoli risultati finora nella ricostruzione europea e nella soluzione dei maggiori problemi della politica generale.

Grandi. -Grazie. -Gli prego di dire a Simon che il Governo Italiano desidera intrattenere il Governo Britannico sul contenuto dell'accordo consultivo, che dalle contraddittorie dichiarazioni inglesi e francesi non appare affatto chiaro. -Ritengo utile che Simon sappia subito che l'Italia considera necessaria la partecipazione della Germania all'accordo. Senza la partecipazione tedesca l'accordo non potrebbe essere comunque concretato, e ad ogni modo l'Italia non potrebbe confermare ad esso la sua adesione.

Murray. -A tal proposito Simon spera il Governo Italiano vorrà interpretare i suoi buoni uffici a Berlino perché il Governo tedesco dia la sua adesione.

Grandi. -Il Governo tedesco giudicherà quale sarà la migliore via da prendere. -Ad ogni modo ove la Germania non aderisse una nuova situazione verrebbe a determinarsi per cui anche l'Italia dovrebbe riesaminare la sua attitudine.

(l) Non si è rinvenuto il verbale del colloquio Grandi-Graham.

157

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'ALTO COMMISSARIO DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI A DANZICA, GRAVINA

L P. Roma, 18 luglio 1932 (1). Inte lligenti pauca: è necessario nell'interesse dell'azione italiana di politica estera che tu

assuma in tutto quanto è possibile un atteggiamento formale e sostanziale meno sfavorevole alla Polonia. E ciò nei limiti non dell'equo. ma del fattibile Cerca di fare quanto necessario perché i giornali polacchi cantino un po' le due lodi! E che ti siano un po' ostili i giornali tedeschi. Ti scrivo tutto ciò, debitamente autorizzato dal mio capo (2).

158

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2450/155-156 R. Vienna, 19 luglio 1932, ore 0,15 (per. ore 6,15).

In colloquio odierno, Starhemberg mi ha confermato sua personale opposizione clausole prestito; riservava però ogni decisione suo partito dopo conferenza domani con ministro ala destra partito-cristiano-sociale. Non dà impoctanza clausola politica, in quanto che non accettazione protocollo e conseguente necessità moratoria prolungherebbe clausola prestito 1922. -Trova inaccettabili condizioni economiche, tanto più che apporto finanziario non è sufficiente necessità paese.

Si proporrebbe valersi dell'impopolarità protocollo e cancelliere, per tentare presidente Repubblica affidare i poteri Rintelen e Heimwehr che, sotto bandiera « anti prestito » possa governare a parlamento chiuso con pieni poteri economici finanziari che consentano all'Austria fronteggiare da sola proprie necessità.

Ho fatto notare che, poiché Governo italiano aveva firmato accordo, dovevo ritenere desiderasse ratifica.

Ricevuta risposta, che vantaggi derivanti da Governo nettamente destra compenserebbero inconvenienti mancata ratifica «protocollo societario, quindi francese » una ratifica con voti delle Heimwheren andrebbe, secondo Starhenberg a tutto giovamento social-democratici e nazional-socialisti.

Jakoncig che ho visto più tardi, mi disse che teme molto che intransigenza gruppo parlamentare Heimwehr contro Cancelliere austriaco lo obbligherà a uscire dal Gabinetto.

Pur avendo convenuto fatto, noti pericoli di tale decisione, egli non crede potervisi opporre, malgrado che tale passo equivalga a preparare Governo di coalizione rosso-nero, perché, salvo imprevisti sviluppi, non ritiene che presidente della Repubblica affiderà Governo a Rintelen e Heimwehr, come spera Starhenberg.

159.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

D. 4501. Roma, 19 luglio 1932.

Or sono quasi due anni con la mia lettera n. 3869 R. del 30 agosto 1930 (1), a proposito di alcune apprensioni da Lei riferitemi circa l'influenza dei pangermanisti nelle Heimwehren, ebbi occasione di dare alla S. V. alcune direttive generali non solo per il contegno da tenere verso queste ultime, ma per le tendenze da seguire nella nostra azione politica di fronte alle questioni dell'Anschluss, dei rapporti austro-ungheresi e di una eventuale restaurazione absburgica.

Da quell'epoca le situazioni concrete in realtà non sono cambiate, ma il continuo processo storico risolutivo che si va svolgendo in Europa e specialmeno nell'Europa centrale ha seguito un ritmo più accelerato, di guisa che alcuni fattori politici si sono meglio precisati, mentre altri elementi psicologici e per ora imponderabili nell'evoluzione dei vari Paesi appaiono meno difficilmente individuabili.

Credo opportuno quindi volgere nuovamente uno sguardo d'insieme su tali questioni, affinché la S. V. possa averne norma per il seguito della sua attività diplomatica in codesto Paese.

Rilevo anzitutto che le apprensioni relative alle aspirazioni pangermanistiche delle Heimwehren sembrano in questo momento meno accentuate, anzi che il trapiantamento del nazional-socialismo tedesco in Austria, se ha avuto per effetto di indebolire il movimento heimwehrista. comincia tuttavia a determinare una specie di epurazione di quest'ultimo in un senso più nazionaleaustriaco .Nei rapporti fra i due movimenti a noi conviene quindi regolare! facendo delle distinzioni, le quali saranno determinate dalla fisionomia più precisa che essi in avvenire potranno assumere, l'uno a carattere pangermanista e l'altro a carattere nazionale.

La venuta del Principe Stahremberg a Roma ed il suo colloquio con S. E.

il Capo del Governo ci hanno dato l'impressione non soltanto di una sua più

netta evoluzione in quest'ultimo senso ma anche di una sua maggiore maturità,

come ci hanno confermato nel favorevole giudizio della sua integrità e del suo

sincero patriottismo. Egli ci ha rivolto alcune richieste di aiuti cui S. E. il

Capo del Governo ha dato il Suo assenso di massima, e per la cui pratica

esecuzione mi riservo di darLe a parte dettagliate istruzioni. Per quanto il movi

mento heimwehrista possa sembrare in questo momento più debole di quanto

fosse due anni or sono, e per quanto non sia certo possibile fare per ora

affidamento su di un suo effettivo ed integrale successo, mi sembra che a noi convenga sostenerne il più possibile le forze, e cercare di renderlo un elemento più efficace nella vita politica austriaca.

Approvo perciò quanto Ella ha fatto a questo scopo e La prego di perseverare nella stessa linea di condotta tenuta finora e nei contatti amichevoli e costanti non solo con gli esponenti delle Heimwehren, ma anche con gli altri uomini politici austriaci simpatizzanti con queste ultime o che di queste intendono giovarsi per risanare il paese e l'amministrazione dello Stato, offrendo resistenza tanto ai partiti estremi quanto a quelli che lavorano a preparare una più stretta unione fra l'Austria e la Germania.

Le nostre direttive di politica generale, e l'opposizione fra i nostri punti di vista e quelli francesi sulle grandi questioni che mantengono agitata e divisa l'Europa, non ci consentono purtroppo di approfondire i punti di contatto certamente esistenti fra gli interessi nostri e quelli della Francia nei riguardi della sistemazione dell'Europa centrale e specialmente dell'Austria. È difficile ai due Governi perfino esaminare con serena obiettività tali problemi giacché è impossibile isolarli dagli altri che formano il complesso dei rapporti itala-francesi. Se a volte si determinano naturalmente delle identità di vedute e perfino una effettiva concordanza di azione sul territorio della politica austriaca, ben presto ogni eventuale sviluppo di questa coincidenza verso una definitiva concorde sistemazione viene arrestato e circoscritto dalle linee generali in cui si muove ancora l'azione politica francese tendente a stabilire in Europa un suo sistema di sicurezza che per essere unicamente rivolto a garantire gli interessi francesi assume necessariamente un carattere egemonico, al quale siamo costretti ad opporci.

Il problema austriaco, che fra quelli interessanti l'Italia e la Francia sarebbe forse il più facile a risolversi mediante un amichevole accordo fra i due Paesi, non può trovare quindi neanche esso soluzione isolata, ma rimane soltanto come un punto di minore resistenza nella pesante e difficile situazione dei rapporti politici itala-francesi. Ciò mi induce pertanto a rinnovarLe le istruzioni, cui la S. V. si è del resto già attenuta, di mantenere contatti con la Rappresentanza diplomatica francese a Vienna, cercando quella consultazione e perfino quella collaborazione locale che può esserci assai utile in determinati casi quanto meno appaiono le possibilità di reale cooperazione fra i due Governi.

Ciò posto, ritengo opportuno ritornare sull'argomento che già trattai nella mia lettera del 30 agosto 1930 e cioè sull'avvicinamento progressivo dell'Austria e della Ungheria allo scopo di ricostituire le basi di una futura unione fra i due Paesi. Benché si debba riconoscere che tale avvicinamento non abbia fatto da due anni a questa parte molto progresso, è necessario tuttavia constatare che di fronte all'aumento delle forze di attrazione che la Germania (in proporzione diretta col miglioramento delle proprie condizioni politiche ed economiche) sarà in grado di esercitare nei riguardi dell'Austria, si manifesta per noi la convenienza di spingere maggiormente la nostra azione tendenziale verso l'unione austro-ungherese. All'indomani della guerra, la nostra politica si è diretta naturalmente nel senso di cercare di far gravitare l'Austria unicamente nell'orbita italiana, tentando di stabilire con essa speciali e stretti

legami. Purtroppo le vicende politiche europee e particolarmente quelle austriache, ma più che altro le situazioni economiche determinatesi in Austria ed altrove, ci hanno costretti -per l'assoluta impossibilità di agire da noi soli

o di intervenire in maniera preponderante -a tendere verso una regolamentazione internazionale della struttura economica e finanziaria austriaca, per evitare che questa diventasse soggetta esclusivamente alla Francia o alla Germania. Questi successivi adattamenti delle nostre tendenze, ispirati a considerazioni puramente realistiche, ci portano dunque ora in via conseguenziale ad accentuare il nostro atteggiamento favorevole ad una futura unione austroungherese e perciò se con la mia citata lettera di due anni fa, davo a V. S. istruzioni di non contrastare le correnti che potrebbero portare ad una tale eventualità, credo ora opportuno dirLe che il Suo compito dovrà esercitarsi più attivamente in questo senso in modo da incoraggiare ed appoggiare tali correnti. Mi rendo perfettamente conto che esse non hanno ancora acquistato una forza apprezzabile di realizzazione, e che troppi ostacoli vi si frappongono ancora, tanto in Ungheria quanto in Austria, sia di ordine interno che di ordine internazionale, ma non vi è dubbio che una siffatta trasformazione politica ha bisogno di una lunga maturazione, di una preparazione psicologica difficile e lenta. Cominciando però fin da ora a dare agli elementi che possono lavorare a questo scopo la sensazione che il Governo italiano ne vedrebbe con favore il raggiungimento, potremo contribuirvi utilmente, e, in ogni caso eserciteremo quell'azione contrastante ai tentativi di assorbimento dell'Austria da parte di altri Stati che i nostri fondamentali interessi ci impongono di combattere energicamente.

L'eventualità di un'unione austro-ungherese ci porta naturalmente ad esaminare la questione della restaurazione monarchica e in particolare quella della restaurazione della Monarchia absburgica.

Lo svolgersi degli avvenimenti politici in Europa ha indotto già da tempo il Governo italiano a modificare almeno «in pectore » su tale materia il suo punto di vista di assoluta intransigenza, ma esso naturalmente si è astenuto finora da qualsiasi manifestazione esplicita in proposito.

È noto che mediante l'articolo l del Trattato fra l'Italia e la Jugoslavia del 12 novembre 1920, i due Governi si impegnarono « specialmente a prendere di comune accordo tutte le misure politiche atte a prevenire la restaurazione della Casa degli Absburgo sul trono dell'Austria e dell'Ungheria>>. Con scambio di note dell'8 febbraio 1921 fra l'ItPlia e la Cecoslovacchia i due Governi accettarono le disposizioni del suddetto trattato.

In sostanza per quanto ci riguarda, noi non facemmo che accedere al preesistente accordo anti-absburgico ceco-jugoslavo, il quale manifestò tutta la sua efficacia in occasione del tentativo di restaurazione compiuto da Re Carlo al principio del 1921. La Conferenza degli Ambasciatori fin dal 4 febbraio 1920 dichiarò formalmente che una tale restaurazione « resterait en désaccord avec les bases memes du règlement de la paix et ne serait par Elles

(le Grandi Potenze) ni reconnue ni tolérée ».

La stessa Conferenza rinnovò analoga dichiarazione il l o aprile 1924. È da ricordarsi infine che l'Ungheria in occasione della sua ammissione nella Società delle Nazioni (1922) dovette confermare i suoi impegni al riguardo.

Ma il trattato itala-jugoslavo non è stato da noi rinnovato nel gennaio 1929 e quindi deve considerarsi a tutti gli effetti decaduto anche l'art. l. Così pure non venne rinnovato ne.ll'agosto 1929 il trattato itala-cecoslovacco, senza tuttavia che fosse fatta esplicita menzione della decadenza simultanea dello scambio di note anti-absburgico dell'8 febbraio 1921. Tuttavia, poiché tale scambio di note era sostanzialmente connesso al trattato generale di amicizia, e poiché le note facevano esplicito riferimento all'impegno anti-absburgico contenuto nel trattato itala-jugoslavo, è evidente che avremmo con la Cecoslovacchia forti argomenti per sostenere che dal detto impegno siamo anche di fronte ad essa liberati.

Debbo aggiungere che il 14 gennaio 1931 questa Ambasciata d'Inghilterra presentò all'Ufficio competente di questo Ministero un promemoria col quale, prendendo pretesto dalla preparazione di una pubblicazione dei trattati internazionali in vigore cui il Foreign Office intendeva procedere ci chiedeva se il trattato itala-jugoslavo del 1920 e lo scambio di note itala-cecoslovacco del '21 non fossero effettivamente più validi, e se non fossero state inserite in altre convenzioni le disposizioni concernenti gli Absburgo.

A questo promemoria non venne da noi data alcuna risposta, né l'Ambasciata d'Inghilterra finora è ritornata sull'argomento.

Tale lo stato giuridico e dei fatti per quanto riguarda il Governo italiano, i cui impegni si possono considerare quasi annullati, mentre permangono in certo modo quelli assunti con la nostra partecipazione alle citate deliberazioni della Conferenza degli Ambasciatori, e d'altra parte è chiaro che ove la questione fosse posta in un prossimo tempo all'ordine del giorno della politica europea, essa farebbe rivivere aspre discussioni internazionali e nette vigorose opposizioni assai difficili, per non dire impossibili, a superarsi. Di ciò continua a rendersi pieno conto il Governo ungherese, il quale anche per importanti ragioni d'ordine interno non considera la questione medesima di attualità mentre ancor meno attuale essa è in Austria, data la costituzione dei vari partiti e la preponderanza nelle masse e negli ambienti politici sia delle tendenze socialistiche sia di quelle pangermanistiche.

Sembra chiaro però che, salvo circostanze per ora imprevedibili un'eventuale unione austro-ungherese potrebbe effettuarsi più facilmente sotto l'egida di una comune monarchia che sotto gli auspici di altre forme di regime politico. Ciò è più evidente se si considerano le tendenze ungheresi e meno se si considerano quelle austriache, ma sia nell'uno che nell'alro paese gli elementi ideali e sentimentali che possono condurre a trasformazioni politiche del genere di quella che ci prospettiamo, sono ancora i soli, per quanto deboli, che costituiscono delle possibilità di avvicinamento, specie se la monarchia si restaurasse con gli Absburgo.

Conviene quindi a noi pure cominciare ad accentuare gradatamente e con opportuno accorgimento il nostro teorico e tendenziale favore verso le eventualità di restaurazione monarchica, a condizione che questa si effettui in forma unitaria per l'Austria e l'Ungheria insieme. Non conviene però ancora accentuare tale favore nei riguardi della Casa di Absburgo, sia perché non abbiamo con questa utili contatti né sufficienti elementi per renderei conto del suo atteggiamento verso l'Italia, sia perché l'opposizione internazionale sarebbe certamente più forte se la restaurazione monarchica sl identificasse in restaurazione absburgica, e sia infine perché i partiti monarchici in Ungheria sono tutt'altro che concordi nei riguardi di quest'ultima.

L'azione politica di V. S. in codesto Stato dovrà dunque per ora ispirarsi soltanto al concetto generale di una restaurazione monarchica unitaria.

Credo superfluo ripeterLe infine che tali istruzioni hanno per ora carattere semplicemente tendenziale e che esse hanno soprattutto lo scopo di chiarirLe per Sua opportuna norma l'attuale pensiero del R. Governo su delle questioni che sono certamente per l'Italia d'importanza fondamentale (1).

(l) -La minuta di Guariglia è del 15 luglio. (2) -Cfr. n. 149.

(l) Cfr. serie VII. vol. IX, n. 233.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (2), ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA

T. PER CORRIERE 756 R. Roma, 20 luglio 1932.

Suo telegramma 155 (3).

Opposizione contro protocollo é con ogni probabilità fomentata da Governo tedesco. Quanto poi al reale atteggiamento del Governo ungherese in questa faccenda, ho chiesto precisi schiarimenti a Budapest circa informazioni fornite da codesta legazione con precedente telegramma.

Sembra però che Starhemberg si faccia qualche illusione circa la reale possibilità per le Heimwehren di giungere ora al potere facendosi piedistallo dell'impopolarità del protocollo. Se cosi fosse, opposizione Starhemberg non farebbe altro che il giuoco dei pangermanisti e dei nazional socialisti austriaci senza effettivo beneficio per Heimwehren.

D'altra parte quale che sia la marca di fabbrica del protocollo, esso corrisponde dal lato politico ai nostri interessi anti-anschlussisti. conviene quindi, come ha già fatto del resto V. S., non incoraggiare Starhemberg nei suoi propositi contrari alla ratifica del protocollo.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

T. PER CORRIERE 758 R. Roma, 20 luglio 1932.

Signor von Schubert è venuto comunicarmi (4) in via confidenziale per incarico di von Neurath un dispaccio dell'ambasciatore tedesco a Parigi von Hoesch su un suo colloquio con Herriot, e un dispaccio di istruzioni inviato all'incari

p. -987.

cato d'affari tedesco a Londra circa le comunicazioni che il Governo tedesco fa al Governo britannico relativamente all'invito per l'accordo consultivo europeo.

Von Hoesch ha ricordato a Herriot che idea patto consultivo era stata avanzata dalla delegazione tedesca a Losanna e respinta dal Governo francese e all'obiezione di Herriot che progetto tedesco era limitato alle Potenze invitanti tra cui Giappone ha replicato che in esso si parlava esclusivamente delle quattro Grandi Potenze europee. Herriot ha spiegato che la Francia aveva accettato nuovo progetto sia per portare Inghilterra da cui proveniva più addentro alle questioni europee sia per dare nuova vita all'idea di unione europea già tentata da Briand. Von Hoesch sottolinea che Herriot nulla ha detto che possa considerarsi invito Governo francese al tedesco di aderire all'accordo preliminare franco-britannico.

Incaricato d'affari tedesco a Londra è stato incaricato comunicare al Governo britannico:

l) Governo tedesco manifesta anzitutto una certa· sorpresa per l'improvvisa apparizione di un progetto di accordo consultivo di cui la stessa Germania s'era fatta iniziatrice a Losanna e cui Governo francese non aveva inteso dare seguito.

2) Germania confermando sue favorevoli disposizioni verso idea tale accordo è incline a darvi seguito ma prima di prendere decisioni deve chiedere al Governo britannico ulteriori precisazioni sul contenuto e la portata del documento alla cui redazione non ha partecipato. Governo tedesco si dirige esclusivamente al Governo britannico dato che il Signor Herriot, richiesto recentemente dall'ambasciatore tedesco a Parigi da incarico del suo Governo, non ha creduto di dare spiegazioni né indirizzare invito ad aderire all'accordo.

3) I termini dell'accordo non sono chiari. Il Governo tedesco chiede se si riferiscano solo a questioni già esaminate o possano riferirsi anche ad altri punti che potrebbero sorgere in avvenire.

4) Importa al Governo tedesco conoscere se Governo britannico consideri in base all'accordo la possibilità di prendere .in esame questione debiti interalleati, nel qual caso non potrebbe aderirvi trattandosi questione cui Germania è estranea.

5) Resta da chiarire quali Stati parteciperanno all'accordo, essendovi divergenza fra quanto hanno al riguardo detto Segretario Stato britannico e il signor Herriot. Secondo Governo tedesco adesione di tutti gli stati europei priverebbe accordo della sua importanza pratica. Governo tedesco desidera comunque conoscere effettiva intenzione delle due Potenze che hanno concluso per prime l'accordo e in particolare se, trattandosi di accordo aperto a tutti gli Stati europei sarebbe stata considerata la partecipazione dell'URSS che sembrerebbe esclusa da recenti dichiarazioni di Simon non facendo parte della S.d.N.

6) Il Governo tedesco desidera infine conoscere se il Governo britannico intenda estendere invito ad altre Potenze europee oltre Germania, Italia e Belgio.

Von Schubert mi ha confermato desiderio suo Governo tenersi in stretto contatto con noi sull'ulteriore sviluppo della questione. Pur rendendosi conto diversità posizione due paesi di fronte all'accordo esso ritiene che sarebbe utile armonizzare l'azione dei due Governi.

Ho pregato von Schubert di dire a von Neurath che ho apprezzato sue comunicazioni e che sono d'accordo di mantenerci in stretto contatto. Ho confermato le ragioni per cui Governo italiano ha ritenuto utile dare immediata adesione all'invito britannico che è stata semplice adesione di principio. Governo italiano si riserva discutere i termini dell'accordo che nelle dichiarazioni di Simon a Londra e a Ginevra e in quelle di Herriot appaiono quanto mai confusi e imprecisi. Abbiamo aderito in massima non all'accordo franco-britannico preliminare, bensì all'invito del Governo britannico, come risulta chiaro dai Comunicati ufficiali diramati a riguardo da Roma e da Londra. Utilità e tempestività nostra adesione è dimostrata dal disappunto francese di questi giorni. Essa ha infatti impedito speculazione francese su apparente intesa franco-britannica ed ha costretto Governo inglese a chiarire significato tale intesa in un senso più vasto e generico di quello proposto in un primo tempo e cui Governo francese aveva aderito. Infatti Simon ha perfino accennato alla possibilità di esaminare la revisione dei trattati. (Qui von Schubert mi afferma con incaricato d'affari tedesco Simon è andato anche più in là accennando come possibile materia d'esame questioni della responsabilità della guerra e del corridoio polacco).

Credo sia giunto il momento --ho detto a von Schubert -in cui anche il Governo italiano domanderà delle precisazioni al Governo di Londra. Vedo con piacere che molti dei punti che il Governo italiano sottoporrà all'esame del Governo britannico corrispondono a quelli del Governo tedesco. Due punti sono fondamentali per noi: nessun fronte comune contro l'America, né contro la Germania. Londra e Parigi hanno commesso in questi ultimi mesi, e specialmente a Losanna, molti errori nei riguardi degli Stati Uniti nel campo del disarmo, delle riparazioni e della politica generale. Noi non intendiamo assumercene la responsabilità e, pur avendo accettato i deliberati di Losanna come una soluzione che rappresentava «il meno peggio», restiamo fermi alla linea tracciata dal Capo del Governo nei due articoli del Popolo d'Italia e ripresa nel memorandum da me presentato al presidente della conferenza di Losanna e poi nelle dichiarazioni alla stampa estera. Gli avvenimenti dei prossimi mesi determineranno la nostra linea di condotta verso l'America nella questione dei debiti.

Nei riguardi della Germania noi abbiamo accettato nelle sue linee generali il progetto tedesco di patto consultivo presentato dal signor von Papen a Losauna. Lo abbiamo accettato perché era specificato trattarsi di accordo consultivo fra le quattro Grandi Potenze europee basato sullo stesso piano degli accordi di Locarno, che è la sola base su cui si può costruire qualcosa di pratico e utile. Aderendo all'invito britannico abbiamo inteso aderire alla stessa idea avanzata dal Governo tedesco un mese fa, come del resto ho chiarito ai rappresentanti della stampa italiana il giorno stesso dell'adesione italiana. II Governo italiano non intende dare consigli al Governo tedesco ma è chiaro tuttavia, e desidero fin d'ora che il Governo tedesco ne sia informato, che l'Italia

non potrebbe in nessun caso mantenere la sua adesione ad un accordo consultivo di cui la Germania non facesse parte. Questo è il punto forse più importante che intendiamo chiarire col Governo di Londra.

Prego V. E. d!l. valersi opportunamente di quanto precede nei suoi colloqui costi.

(l) -Copia di questo dispaccio venne inviata in pari data h Berlino, Londra, Parigi e Budapest con telespr. rr. 4549. (2) -Questo documento e il successivo recano la firma di Grandi, sebbene il cambio di consegne con Mussollni fosse avvenuto alle ore 8 del giorno 20 (cfr. D. GRANDI, Il mio paese. Ricordi autobiografici a cura di R. De Felice, Bologna, 1985, p. 354). (3) -Cfr., n. 158. (4) -Il colloquio ebbe luogo il giorno 19. Una versione è in GRANDI, La politica estera, c!t.,
162

APPUNTO (l)

..• (2).

Ginevra.

Le nostre delegazioni m111tari corrispondono egregiamente al loro mandato. Si segnalano in maniera particolare 11 colonnello Giglioli e il comandante Ruspoli, tecnici provetti.

Ottima scelta è stata quella del gen. Cavallero che con la sua esperienza di Versailles ha preso posizione fin dal primo momento più ancora come diplomatico che come tecnico. Parla bene le lingue, ha metodo e molto tatto.

Diverso anzi opposto è 11 giudizio sulla delegazione diplomatica. Un gruppo di sfaccendati che passeggiano e si divertono con lautissime indennità. Perché non richiamarli con telegramma? Fa eccezione il Vitetti, giovane di valore eccezionale, intelligentissimo, coltissimo. Il Rosso è buon funzionario, ma di valore medio. Nullo 11 Jacomoni (3) nulli gli altri.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA (4)

L. P. ... (5).

Tu sai che io non ho alcuna simpatia per 11 sistema della corrispondenza epistolare coi miei colleghi. Credo che le cose più delicate, meglio vale la pena di trattarle a voce. Ma questa volta sono costretto a farlo, consigliato dalla opportunità di chiarire in modo preciso alcune posizioni di fatto relative all'attività che sta svolgendo il Capo della nostra Missione militare in Albania, Gen. Pariani.

19 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

Più volte ho avuto l'occasione di intrattenerti sull'argomento, manifestandoti la necessità che il Gen. Pariani fosse richiamato alla esatta proporzionata valutazione dei suoi compiti e ad una obbedienza più sostanziale di quelle che sono le direttive superiori. Questi richiami non solo non hanno avuto esito soddisfacente, ma hanno avuto l'esito contrario, e la riprova di ciò sta nella voluminosa e romanzesca letteratura dovuta alla penna di questo egregio ufficiale (memoriali testamentar,i, appunti, resoconti di conversazioni ecc. ecc.) di cui ho trovato gli ultimi non edificanti esemplari sul mio tavolo al mio ritorno da Ginevra.

Quando oirca cinque anni fa il Sottosegretario Cavallero indicò al Capo del Governo il nome del Colonnello Pariani, per l'incarico delicato di organizzare militarmente l'Albania, io che avevo conosciuto durante la guerra l'eccezionale valore del Pariani Io mandai a chiamare personalmente allo scopo di wncere le sue titubanze ad accettare l'incarico cui era stato designato e che egli appariva riluttante ad accettare.

L'opera del Pariani è stata utile, posso dire preziosa per la nostra azione in Albania. Ad un certo momento essa è diventata dannosa. Oggi essa rischia di diventare pericolosa.

Credo superfluo dilungarmi sull'illustrazione del problema italiano in Albania. Mi limito ad alcune indicazioni, che sono i necessari punti di riferimento.

Dall'unità del Regno ril problema del territorio albanese ha fatto parte integrante del problema della nostra sicurezza adriatica. Sembra che durante il Congresso di Berlino i Governi di allora si siano lasciati sfuggire l'occasione (la storia diplomatica e militare dell'Italia è purtroppo una storia di occasioni mancate) di mettere il piede in Albania. È certo che dal Congresso di Berlino (1878) allo scoppiare della guerra mondiale tutti i Governi Italiani che si sono succeduti hanno considerato il problema albanese al primo piano degli interessi internazionali dell'ItaLia e bisogna onestamente riconoscere che la ferma condotta dell'Italia, durante un trentennio, ha impedito alla Duplice Monarchia quell'azione di assorbimento dell'Albania che era nel disegno di Vienna. L'Albania è rimasto un problema insoluto sino al Patto di Londra, ma già con notevoli ipoteche precostituite a nostro favore.

Il Patto di Londra ha risolto con nostra sufficiente soddisfazione il problema dell'Italia in Albania. Se il Patto di Londra avesse potuto tradursi in realtà, l'Italia avrebbe segnato una tappa storica di indubbia importanza sia agli effetti della nostra sicurezza adriatica, sia agli effettJi della nostra politica di espansione nei Balcani. Il Patto di Londra non si è tradotto in realtà, per quanto riguarda l'Albania, per colpa nostra. Esso era ancora vivo nel 1920, quando noi ci siamo ritirati dall'Albania in seguito ad un avvenimento che «bisogna » ricordare perché i popoli debbono ricordare le sconfitte patite, e i Governi che si rispettano orientare su qu~lle la ,loro azione politica, per vendicarie. Gli avvenimenti del 1920 sono stati il frutto di errori metà dovuti all'azione militare, metà all'azione politica, come sempre succede. Essi si sono conclusi col Protocollo di Tirana (2 agosto 1920 -Governo Giolitti-Sforza) nel quale l'Italia rinuncia a qualsiasi diritto di sovranità, protettorato, influenza in Alba

nia, che riconosce come Stato indipendente. Mezzo secolo di sforzi italiani e quattro anni di guerra per assicurare all'Italia il dominio del Basso Adriatico si concludono così col Trattato della nostra rinuncia albanese.

La rinuncia italiana deve essere apparsa c inverosimile » persino alle stesse Grandi Potenze se, un anno dopo il Trattato di Tirana, le stesse Grandi Potenze, nel firmare l'atto di nascita del nuovo Stato Albanese, si impegnavano a riconoscere in favore dell'Italia alcuni limiti all'indipendenza ed alla sovranità albanese (Dichiarazione di Parigi: 9 Novembre 1921 -Governo Bonomi): limiti che l'Italia non si era preoccupata di salvaguardare all'indomani della ritirata di Valona (ritirata militare cui gli stessi Albanesi avevano assistito con meraviglia incomprensibile). Questi limiti non sono stati allora naturalmente riconosciuti né dall'Albania né dalla Jugoslavia, ma costituiscono tuttora tutto ciò che internazionale ci è rimasto a giustificare la nostra attuale azione e posizione in Albania.

La Dichiarazione del '21 sta al Patto di Londra come le Convenzioni del 1896 con la Francia sulla Tunisia stanno al Trattato del 1868 col Bey di Tunisi. L'una e l'altra costituiscono su fronti diversi l'unica tavola rimasta dal naufragio di situazioni internazionali perdute.

1921-24. È arrivato Mussolini. Egli non è arrivato, per disg·razia dell'Italia, prima di Valona e di Rapallo. Dal '22 al '24 EgN lavora a salvare dalla rovina del Trattato di Rapallo quello che nessuno ormai più riteneva si potesse salvare. Riguadagna Fiume che era perduta. Riguadagnata Fiume, fa l'armistizio con Belgrado e passa all'Albania. Dopo due anni di lavoro (io sono il privilegiato che ha assistito giorno per giorno a questo lavoro Suo, e soltanto Suo), Egli giunge a concludere con Ahmed Zog il Patto di Amicizia e di Sicurezza (27 Novembre 1926) il Patto della nostra ripresa albanese, oggi scaduto e non rinnovato dagli Albanesi in gran parte per colpa, e cioè per difetto di intelligenza e di obbedienza, del Capo della nostra Missione Militare Generale Pariani.

Cos'è questo Patto di amicizia e di sicurezza, questa carta internazionale cui noi davamo tanta giusta importanza? È l'accettazione implicita da parte albanese delle stesse limitazioni alla sovranità ed alla indipendenza albanese contenute, a favore dell'Italia, nella Dichiarazione di Parigi.

L'art. 1 del Patto, nella sua formulazione primitiva conteneva « chiaro, netto il riferimento a questo documento » internazionale che il Duce aveva ben diritto di chiamare H nostro «Statuto Adriatico». Le trattative minacciarono all'ultimo momento di naufragare appunto perché Zogu, pentitosi ad un tratto, intendeva togliere nella sostanza e nella forma tale specifico riferimento, sul quale si basava, è evidente, tutta l'importanza del Trattato. Poi si rassegnò a lasciare la sostanza, e noi ci accontentammo di velare la forma.

Il Patto di Amicizia e di Sicurezza fu importante, e costituiva talmente la c rimessa in diritto » (non solo di fatto) del nostro piede in Albania, che provocò una rottura dei nostri rapporti colla Jugoslavia, e scatenò un vero allarme in Europa. Ma nessuno dei tre Governi (Gran Bretagna, Francia e Giappone) firmatari della Dichiarazione del '21 osò (pensa quanta voglia potesse averne la Francia, alleata di fatto della Jugoslavia) fare obiezioni. Il Patto di sicurezza italo-albanese era la conferma di un accordo internazionale esistente cui l'Albania oggi aderiva.

Concluso il Patto di sicurezza, il Capo del Governo pensò subito di approfittare della nuova situazione di diritto creata tra Italia ed Albania per stabilirvi una nostra penetrazione sistematica. Di qui la serie degli Accordi economici, finanziari, militari ed infine il Trattato di Alleanza e la creazione del Regno. Tutto ciò non come «sviluppo ) ma «in funzione » del Patto di sicurezza che doveva :rimanere il Patto fondamentale dei :rapporrti itala-albanesi.

Senonché, a poco a poco, attraverso l'azione personale del Generale Pariani, la politica del Patto di Sicurezza è slittata nella politica del t:rattato di alleanza, trattato che contempla un determinato settore, ma non tutta la complessa situazione del problema albanese. Questo errore di valutazione del Generale Pariani ha portato Re Zog a giuocare arditamente (servendosi proprio del Capo della nostra Missione Militare) contro la stessa azione politica dell'Italia. Servendosi proprio del Generale Pariani, anima di asceta che, come tutti gli asceti, non vede che la «sua » verità, Re Zogu è arrivato a giocare Mussolini, il quale ha dovuto «incassare », di fronte al piccolo Sovrano da burla che Egli aveva creato come suo vassallo, e che Invece, ad un certo momento gli ha, con brutta maniera, rifiutato di sottoscrivere la carta del rinnovo della sua sottomissione!

Qual'è l'errore del Generale Pariani? Il Generale Pariani è partito dal concetto che bisogna preparare e il più rapidamente possibile l'Albania alla guerra contro la Jugoslavia.

Questo faceva, è vero, parte delle istruzioni ricevute. Il momento era sino a qualche tempo fa assai delicato. Ed un conflitto f,ra noi ed l nostri vicini dell'est tutt'altro che improbabile. Poi le istruzioni vennero modificate, nel senso d'allungare i tempi di questa preparazione. Ma il Generale Parianl non ha allentato. Al contrario ha allargato la sua azione che doveva essere limitata ad un campo specifico, a tutto l'Insieme della nostra azione politica, sino a concepire (e proporre), con il senso infantile di certi militari che vogliono occuparsi troppo di politica, di concentrare In un unico personaggio (alto-commissario italiano alle dipedenze di Re Zog?) la trattazione del principali interessi italoalbanesl, in ciò spinto naturalmente dallo Zogu, il quale sperava di svincolarsi dalla incomoda autorità del Rappresentante di S. M. Il Re d'Italia con tanto di bandiera italiana issata sulla Lega:?Jione, attraverso l'Istituzione di un Ibrido personaggio, vestito con uniforme albanese, e operante ai suoi ordini diretti.

Le direttive del Capo del Governo in materia di organizzazione militare erano bren precise. 1°) preparare militarmente l'Albania per un'ev,entuale guerra itala-albanese-jugoslava; 2°) creare un esercito albanese, guidato e controllato dai nostri ufficiali.

(l) -Da Carte Grandi. Annotazione a margine d! Mussolln!: «M. Paulucci. S. E. Grand!». (2) -Si Inserisce sotto 11 20 luglio, ultimo giorno di permanenza di Grandi al Ministero degli Esteri ma è certo anteriore. (3) -Annotazione a margine, forse di Jacomonl: «Visto da Jacomoni ». (4) -Da Carte Grandi, nello stesso fascicolo si conserva 11 seguente appunto di Grand!: «Pratica rimasta non finita per le mie d!mlss!onl. Lettera a Gazzera non spedita (approvatadal Capo del Governo che ne ha preso visione) ». Della stessa pratica fa parte anche 11 doc. n. 28. (5) -Il documento è privo di data, certamente anteriore al 20 lugllo. SI Inserisce sotto questo giorno.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2474/484 R. Berlino, 20 luglio 1932, ore 20,45 (per. ore 24).

Cambiamenti ministeriali avvenuti Roma sono giunti qui di sorpresa. Stampa locale si mantiene sino ad ora riservata; soltanto qualche giornale mette in connessione partenza Grandi da palazzo Chigi con andamento lavori risultati conferenza di Losanna.

Bulow mi disse che nuova impronta che V. E. darà politica estera italiana assumendo direttamente direzione è considerata qui con grande fiducia e mi ha assicurato essere vivo desiderio questo Governo di continuare fiducioso contatto nelle questioni interessanti i due Paesi.

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L'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2784/452 R. Addis Abeba, 20 luglio 1932 (per. il 9 agosto).

Proseguendo l'opera che il marchese Paternò aveva iniziata, mi sono assiduamente adoperato ad avviare l'attiV'ità delle riunioni del corpo diplomatico alla trattazione delle materie di interesse comune; e ciò allo scopo di assicurarne meglio la difesa contro la crescente resistenza degli abissini, e di dM.'e a questi la precisa sensaZJione della solidarietà delle rappresentanze estere, sulla scissione delle quali essi avevano sempre contato nel passato. Sono stato molto secondato in questa opera dai ministri di Francia e di Gran Bretagna -e posso dire che si sono raggiunti buoni risultati.

Il co·rpo diplomatico si riunisce regolarmente il primo sabato di ogni mese; è ricevuto tutti i mercoledì dal ministro de.gli Este.ri, e in queste occasioni, se del caso, sono compiuti passi collettivi, di cui si sono già avuti numerosi esempi.

L'attività del corpo diplomatico, delle cui sedute si tengono regolari verbali, va sempre più affermando l'autorità di esso, si da presentarlo di fronte al Governo etiopico come una istituzione politica vigile ed operante, investita della difesa degli interessi e dei diritti delle Potenze rrappresentate (1).

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IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

L. Roma, 20 luglio 1932.

Trasmetto a V. E., spiacente di non averLa potuta rivedere prima del Suo ritorno a Vienna, un sunto del colloquio avuto con V. E. il 6 luglio u.s. Credo inutile aggiungere altro e rimango in attesa di eventuali comunicazioni da parte di V. E.

ALLEGATO

SUNTO DEL COLLOQUIO FRA GAZZERA E AURITI

6 luglio 1932

l) Si esamina in qual modo il materiale potrebbe essere spedito, qualora si desideri, a momento opportuno, di addivenire alla effettiva spedizione.

2) Il Ministro Gazzera comunica al Ministro Auriti che il materiale (nella misura già nota e che gli viene indicata) è accantonato e pronto ad essere spedito. Esso verrebbe inviato alla Ditta Steyer come materiale da modificare per l'impiego della cartuccia Hirtenberg.

3) Il Ministro Gazzera e il Ministro Auriti rimangono d'accordo che il Ministro Auriti tornerà a Vienna e farà precisare le garanzie che le autorità austriache daranno per l'introduzione del materiale, in modo da giudicare se dette garanzie sono sufficienti per assicurare l'arrivo a destinazione e per giustificare -ove ne fosse bisogno -pienamente, anche ed essenzialmente di fronte ai paesi esteri, il nostro invio.

4) Appena raccolte tali garanzie scritte, l'addetto militare a Vienna e quello a Budapest si recheranno a Roma per concordare i particolari della spedizione, per il caso che essa si possa e si debba realmente fare.

5) Il Ministro Auriti sarà probabilmente ricevuto da S. E. il Capo del Governo e parlerà di questa questione e comunicherà al Ministro Gazzera le direttive avute (1).

(l) Suvlch comunicò: «Approvo, con T. 7615/280 P. R. del 29 agosto.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2484/485 R. Berlino, 21 luglio 1932, ore 12,50 (per. ore 15).

Telegramma di V. E. 177 (2).

Bulow mi ha informato conversazione avvenuta tra S. E. Grandi e Schubert circa accordo fiducia (3). Passo fatto a Londra da incaricato d'affari tedesco presso Foreign Office, onde avere chiarimenti, non ha avuto alcun risultato, data assenza Simon. È stato ripetutamente [telegrafato] Ginevra, dove si trova, ma finora non è giunta risposta mentre, nel frattempo, incaricato d'affa;ri francese è venuto esprimere a nome suo Governo desiderio Germania aderisca atto.

Bulow pensa che quell'accordo (è) creato dagli intrighi Parigi, come è risultato da fretta con la quale Francia ne ha aperta porta Polonia, mentre Inghilterra avrebbe voluto patto a cinque destinato passare oblio. Tuttavia nell'interesse comune premunirsi contro nuova sorpresa, egli saluterebbe con soddisfazione se continuasse, anche nella questione, contatto fra Roma-Berlino.

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IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2490/30/131 R. Ginevra, 21 luglio 1932, ore 17,10 (per. ore 20).

Strettamente personale segreto.

Notizia rimpasto ministeriale in Italia ha gettato negli ambienti anglofrancesi Segretariato vivo senso di sorpresa e di allarme trasformato in costernazione profonda quando sono stati meglio appurati nomi ministri dimissionari e personalità che li sostituiscono.

Si esprimeva ieri chiaramente il rimpianto di aver perduto preziosi ferventi adepti della Società delle Nazioni, che erano riusciti a fare penetrare nell'Italia

fascista lo spirito di Ginevra; e non si nascondeva incertezza e abbattimento di fronte all'opera cui Segretariato dovrà ora accingersi tentando pazientemente nuova difficile conversione alla sua causa.

Ma oltre a questa considerazione personale si era vivamente preoccupati per un temuto radicale cambiamento delle direttive italiane alla conferenza del disarmo; la quale senza scosse era giunta finalmente, colla risoluzione Benes, a quelle conclusioni che fino dall'inizio Francia e Inghilterra avevano in mente di raggiungere coll'ausilio americano. Il Segretariato scorgeva indizio poco rassicurante a suo riguardo tanto per sorte conferenza disarmo quanto per direttive generali futura politica estera italiana, nell'assunzione da parte di V. E. del portafoglio Esteri e nella permanenza dei tre ministri militari non colpiti dal rimpasto ministeriale.

I pochi elementi internazionali simpatizzanti per l'Italia fascista non favorevoli apprezzamenti sua tempestiva decisione. Nello stesso spirito essi commentano pure sua designazione quadrumviro Balbo a capo delegazione italiana conferenza disarmo nel momento in cui fra l'altro si tenta di dare fiero colpo nostra aeronautica.

Nell'insieme si può dire che la situazione creatasi e consolidatasi negli ultimi anni aveva indotto gli ambienti societari a fidarsi del terreno sul quale essi avanzavano, nella illusione di assoggettare la politica estera di un grande paese; tanto più duro e penoso è oggi il risveglio da questo segno di megalomania.

(l) -Auriti rispose a Gazzera con L rr. del 1° agosto, che non si pubblica. (2) -Cfr. n. 153 che aveva come protocollo particolare per Berl!no Il n. 177. (3) -Cfr. n. 161.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S.... (1)/1596. Vienna, 21 luglio 1932.

Perché ne rimanga traccia negli incartamenti di codesto R. Ministero credo oppor.tuno mettere per scritto quanto segue in ·relazione alla mia recente gita a Roma.

Com'è noto, circa un mese e mezzo fa il principe Starhemberg si recò costi e fu ricevuto da S. E. il Capo del Governo. Tornato a Vienna mi comunicò aver egli chiesto all'E.S. quindicimila fucili, duecentocinquanta mitragliatrici e 800 mila scellini: tutto ciò per la esecuzione dei suoi noti piani. S. E., secondo le sue affermazioni non si sarebbe mostrata contraria a entrambe le richieste e gli avrebbe detto d'intrattenermene e di intendersi con me per la loro eventuale esecuzione.

Autorizzato dopo ciò a venire a Roma esposi a codesto R. Ministero quali fossero le idee di Starhemberg circa le modalità per l'eventuale invio da parte nostra delle armi e dei danari. Per ciò che concerneva quelle, egli proponeva che nella prima spedizione, ch'egli aveva udito dire imminente, di nostre armi per l'Ungheria alla fabbrica di Hirtenberg in Austria, la quale si sarebbe occupata di farle poi segretamente pervenire agli Ungheresi, fossero stati da noi aggiunti i quindicimila fucili e le duecentocinquanta mitragliatrici destinate

alle «Heimwehren ~-La spedizione avrebbe potuto effettuarsi senza difficol~ e senza timori di incidenti internazionali qualora fosse stata effettuata da un privato e si fosse dichiarato il suo vero contenuto. Le armi sarebbero state apparentemente inviate per essere modificate dalla suddetta manifattura e nessuno avrebbe potuto nulla eccepire qualora la loro introduzione temporanea fosse stata autorizzata dal ministero degli Afflllri militari austriaco; se le armi una volta così importate in Austria non fossero in seguito state apertamente riesportate, era cosa alla quale nessuno avrebbe poi fatto più qui attenzione. Ora, una volta giunte le armi in Austria, gli ufficiali ungheresi incaricati di accettarle avrebbero rifiutato di ·ritirare appunto quanto serviva alle «Heimwehren », adducendo a pretesto il loro cattivo stato; in ciò Starhemberg dichiarava aver avuto il consenso di GOmbOs con cui si era procurato all'uopo un colloquio. La manifattura a sua volta, e in ciò Starhemberg era d'intesa con il suo diretto·re generale Mandi che è uno dei suoi sostenitori e consiglieri, avrebbe rimesso le armi rifiutate a questo Dipartimento degli Affari militari e a questa Direzione Generale della Gendarmeria, nei cui depositi esse sarebbero state custodite fino al momento in cui le «Heimwehren ~ ne avessero avuto bisogno. A tale riguardo Starhemberg faceva notare come si fosse messo d'accordo con uno dei generali di maggiore autorità del Dipartimento e consigliere ascoltato del ministro Vaugoin, mentre per quanto concerneva la Gendarmeria poteva farsi affidamento sul suo ministro, persona designata al po:rtafoglio dallo stesso Starhemberg. Circa i fondi, Starhemberg proponeva che fossero accreditati in valuta pregiata al conto corrente che il direttore Mandi ha in Svizzera; questi li avrebbe convertiti in scellini e ve·rsati qui a Starhemberg il quale avrebbe così beneficiato del corso più basso che lo scellino ha in Svizzera in paragone al corso austriaco. Riferito ciò a codesto R. Ministero aggiunsi che naturalmente né prima né dopo il viaggio di Starhemberg a Roma io avevo assunto alcun impegno verso di lui, e che attendevo in proposito le istruzioni di S. E. il Capo del Governo. Credevo però mio dovere far presente alcune osservazioni. Ragioni di politica così generale come speciale e cioè in considerazione tanto di una certa affinità del programma delle « Heimwehren ~ con quello fascista quanto del fatto che le « Heimwehren:. e il partito cristiano-sociale che le sostiene appaiono qui per ora gli unici elementi della vita pubblica austriaca cui possiamo appoggiarci in questo stato, consigliavano a parer mio che noi continuassimo a non disinteressarci delle «Heimwehren ~ e acconsentissimo alla loro richiesta di maggiori sussidi fissandoli nella cifra che a S. E. il Capo del Governo sarebbe piaciuto stabilire. Al riguardo però avevo delle considerazioni da fare. La prima era ch'io credevo preferibile escludere il sig. Mandi dalla faccenda: un segreto è tanto più facile a serbare quanto minore il numero delle persone cui Io si confida, com'è provato dal fatto che delle nostre sovvenzioni a Starhemberg cosi nella fine del '30 come nel corso del '32, sovvenzioni da me consegnategli personalmente, nessuno finora ha qui, che io sappia, avuto notizia, e a ogni modo la cosa è dmasta ignorata dalla stampa e dall'opinione pubblica. Oltre a ciò coi tempi che corrono non si è mai sicuri che il danaro fatto pervenire mediante una terza persona, specie se questa è negli affari, giunga a destinazione e integralmente. Credevo quindi preferibile che si cercasse di acquistare scellini in Italia e mi si mandassero con la valigia diplomatica

a più riprese. Ciò tanto più in quanto io stimavo opportuno di non consegnare in una volta sola tutta la somma, bensì di rimetterla gradualmente, ciò che avrebbe permesso di esercitare meglio controllo e influsso su Starhemberg. La seconda osservazione riguardava le armi, circa le quaH avevo dubbi sull'opportunità della loro spedizione. Innanzi tutto, dato e non concesso che il ministe·ro degli Affari militari avesse avuto facoltà e fosse stato pronto a rilasciare i suddetti permessi di importazione temporanea, non mi appariva affatto sicuro che la possibile propalazione della notizia non avrebbe suscitato commenti, campagne della stampa demo-massonica, e conseguenti incidenti internazionali. Poco mi persuadevano le assicurazioni del signor Mandl che i socialisti erano contenti fosse per tal modo procurato lavoro agli operai delle officine di Hirtenberg e se ne sarebbero stati zitti: le armi provenivano dall'odiata Italia fascista, e l'occasione era troppo bella per darci addosso anche a costo di pagare maggiori sussidi di disoccupazione agli operai di Hirtenberg. D'altra parte se anche tutto fosse andato liscio, quale garanzia avevamo noi che le armi, una volta consegnate al ministe·ro degli Affari militari e alla gendarmeria, sarebbero da loro state messe a disposizione delle «Heimwehren » nel momento da queste voluto? Non doveva dimenticarsi che nessuno potrebbe escludere l'avvento dei socialisti al potere in un ministero di coalizione; avvento per H quale questa legazione di Germania e -paradossale combinazione -il Governo cecoslovacco si adoperavano da tempo, e la prima con ogni energia e con ogni intrigo: che sarebbe successo delle armi in tal caso? A ogni modo, se avesse voluto esaminarsi l'eventualità dell'invio di questo, occorreva prima raccogliere gli elementi di fatto e vagliarli; conoscere cioè se il ministero degli Affari milltari fosse disposto a rilasciare i permessi su citati, se tali permessi fossero compatibili con i trattati, se pertanto in base a questi, nel caso di propalazione della spedizione, la nostra posizione avrebbe potuto presentarsi inattaccabile ecc. ecc. Mai epoca è stata al rigua·rdo più delicata dell'attuale in cui V'i è in corso una conferenza internazionale per il disarmo e in cui il principio del disa.rmo è stato da noi sostenuto nel modo più netto e radicale.

Dopo riferito quanto precede a codesto R. Ministero ebbi ordine da S. E. il Capo del Governo di recarmi a conferire da S. E. il Ministro della guerra (1). Il generale Gazzera mi parlò della questione delle armi, gli ripetetti quanto ho sopra esposto al riguardo: osservò, che nel caso si fosse voluto da noi dar seguito alla faccenda avrebbe potuto far venire a Roma i nostri addetti milita·ri in Vienna e Budapest per esaminare con loro la validità degli elementi che ci fossero stati prodotti da questo ministero degli Affari militari: rimanemmo d'intesa che prima di ripartire per V·ienna sarei andato nuovamente da lui a comunicargli le superiori decisioni.

Dopo alcuni giorni da tale colloquio, essendo tornato a Roma S. E. il Ministro Grandi, egli mi ricevette. Mi disse che aveva conoscenza di quanto avevo riferito a codesto R. Ministero e che aveva presi gli ordini di S. E. il CapÒ del Governo. L'E. S. dava istruzioni che si rinunciasse alla spedizione delle armi ma si accordassero i fondi. Il ministro Grandi mi lasciava libero di presentare a Starhemberg il nostro rifiuto di armi nel modo ch'io stimassi più oppor

tuno e fissava la sovvenzione in 500 mila lire invece degli 800 mila scellini chiesti. In seguito a tali istruzioni presi accordi con il cav. Serena relativamente all'acquisto degli scellini in Italia e al loro invio in Austria dopo che egli avesse ricevuto l'autorizzazione scritta per la libera disponibiHtà della somma. Andai quindi al ministero della Guerra e in assenza del Ministro comunicai al suo Capo di Gabinetto le istruzioni che avevo ricevuto circa le armi. Dopo di che sono tornato iersera a Vienna e mi riservo procurarmi domani o doman l'altro un colloquio con Starhemberg. Sarebbe intanto opportuno ch'io avessi al più presto assicurazione che si sta costà preparando la prima spedizione di scellini, e perciò ho sollecitato tale assicurazione con il mio odierno telegramma

n. 160 (1).

Avverto intanto che essendo stamane venuto a vedermi un fiduciario ungherese che è in rapporti con le « Heimwehren) egli mi ha detto che anche a Budapest si preferirebbe che noi non inviassimo qui le armi, come impresa troppo arrischiata e troppo pericolosa.

(l) Il numero è 1llegg1blle per Il deterioramento del documento.

(l) Cfr. n. 166, allegato.

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L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM, ALL'ONOREVOLE GRANDI (2)

L. P. S. Anna di Valdieri, 21 luglio 1932.

I am very unhappy to see that your threat has been realised (3) and should be still more so if I believed that this was to be the end of our official relations. ButI refuse to believe anything of the kind -i t would be too sad. As regards private relations I am happier in feeling that there is a friendship nothing can shake. I can't say how sorry I am that you should be leaving the Ministry, even if only temporarily, nor thank you enough for all your kindness and forbearance during these years we have worked together -it has been such a pleasure working with you.

I sympathise with your feelings about Lausanne, but think that you must to some extent have misread a situation brought about by our strenuous and necessary efforts in the super human task of bringing the French and Germans together! It is delightful up here, such sun and air! I hope you will have an equally pleasant holiday.

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IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (4)

T. R. P. 2499/31/133 R. Ginevra, 22 luglio 1932.

La discussione e il voto della risoluzione Benès, che nell'intenzione francoinglese doveva aver luogo stamane, hanno invece avuto inizio questo pome

(-4) Da Carte Grandi.

riggio. Rinvio è stato ottenuto dopo pressione insistente che energico atteggiamento ministro Balbo mi ha permesso esercitare sul segretario generale, facendo valere presso quest'ultlimo necessità attendere istruzioni chieste Parigi, dove si è potuto ottenere che all'Italia non si facesse trattamento troppo dissimile da quello usato Francia· e Inghilterra, cui sono stati concessi rinvii sedute perfino per pura ragione di comodità loro delegati.

Ieri, però, avendo qui avuto sentore di una possibile dissociazione dell'Italia dai complici anglo-americani della risoluzione Benès, segretario generale e presidente conferenza hanno subito agito su Gibson inducendolo pronunciare suo [discorso] nella seduta di oggi che secondo promesse fatte avrebbe dovuto limitarsi pura esposizione da parte Benès noto progetto. Questa manovra, per dichiarazione sfuggita stamane al segretario generale, si ispirava alla speranza che parola rappresentante S.U.A. creasse immediatamente atmosfera favorevole all'adesione e potesse influire sulle decisioni di V. E.

Naturalmente ministro Balbo non si è lasciato impressionare da questa mossa e ha fatto oggi chiare, coraggiose dichiarazioni che hanno riscosso qualche applauso da parte gruppo Stati favorevoli nostra linea di condotta, mentre hanno profondamente scosso per la loro nota di verità anche molti di quei delegati che, per ragioni di infeudamento alla Francia, all'Inghilterra ed all'America, non potevano che assumere atteggiamento dettato loro protettori.

Drummond voleva che S. E. Balbo non parlasse prima della fine della seduta per non incoraggiare col suo esempio eventuale diserzione di altre delegazioni dalla tesi Benès.

Naturalmente S. E. ieri mattina ha fatto esattamente il contrario, e, nonostante qualche ostruzionismo della presidenza, ha potuto essere terzo oratore.

Discorso Balbo ha agito come dissolvente sulla compagine del blocco creatosi... (l) nella prossima risoluzione Benès e nelle votazioni che sono seguite sulle prime parti della risoluzione stessa sono apparsi, con penosa sorpresa degli anglo-francesi... (l) astensioni ed anche non pochi voti contrari. Mentre Segretario attendevasi tutto al più uno o due voti contrari e quattro o cinque astenuti, essi sono saliti alle notevoli cifre che V. E. conosce; non è da escludere che una delle felici conseguenze del fermo atteggiamento assunto dall'Italia nella odierna riunione, e che e.ra atteso con ansia dai tedeschi, dai russi e da alcuni altri, possa essere quella di indurre la Germania a votare contro l'insieme della risoluzione Benès nel momento (domani o posdomani) in cui a tale voto verrà proceduto.

Trattandosi di commissione, e non di conferenza plenaria, la votazione avviene a maggioranza, ma le astensioni ed i voti contrari in una mate.ria che tocca gli interessi vitali degli Stati non potrà non avere una particolare influenza sulla sorte dell'eventuale mistificazione dei... (l) e della conferenza stessa.

Membro autorevole delegazione tedesca non escludeva dopo seduta di oggi possibilità che Germania si astenesse dal partecipare alla probabile futura fase della conferenza.

Ambienti Segretariato si mostrano costernati per improvvisa ed imprevista

atmosfera scompiglio determinatasi nell'odierna seduta. Inglesi e americani hanno principalmente avve·rtito la chiara allusione alle questioni navali nelle dichiarazioni italiane.

Ministro Balbo intendeva partire domani, ma mi sono permesso suggerirgli rimanere sino alla fine dei lavori.

Spero V. E. vorrà approvare mio subordinato consiglio, che si ispira alla preoccupazione che Segretariato, maestro nel maneggiare artifizio procedura, possa in questi giorni spingere presidenza a qualche colpo mancino.

(l) -Non pubblicato. (2) -Da Carte Grandi. (3) -Allude a quanto evidentemente Grandi gli aveva detto circa il suo probab!le allontanamento dalla direzione del Ministero nel colloquio del 16 luglio, di cui non al è trovato il verbale.

(l) Gruppo !ndec!frato

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2544/344 R. Parigi, 23 luglio 1932 (per. il 25).

Le faccende e V'icende di Losanna, di Ginevra, della situazione parlamentare e ministeriale francese, della situazione finanziaria statale e della crisi economica francese, degli eventi interni in Germania, hanno creato una tensione di atmosfera nella V'ita politica francese. La ripercussione di questo stato di fatto è visibile in tutte le sue manifestazioni esterne. Nello specchio più vivente e più impressionabile, ossia nella stampa, questa ripercussione si avverte nel continuo plasmare degli avvenimenti ad uso particolare proprio, del paese, del partito, del Governo.

:a: cosi che l'iniziativa britannica di un patto consultivo europeo, che dall'embrione anglo-francese viene annunciato in forma da diventare un'intesa intereuropea, è stato presentato a questo pubblico come un patto di Hducia tra Francia e Inghilterra, rinnovazione dell'intesa cordiale, riaffermazione di personali reciproche disposizioni tra MacDonald ed Herriot. È così che la dichiarazione italiana esplicativa del suo atteggiamento di astensione dal votare la soluzione Benès a Ginevra, viene presentata dal corrispondente ginevrino del Matin come un inganno, da quello del Petit Parisien come un sabotaggio, da quello dell'Echo de Paris come una manovra contro n disa.rmo. È cosi che l'incidente Renaudel all'Unione interparlamentare a Ginevra viene artificialmente trasformato in incidente contro la Francia colla affermazione che gli italiani hanno gridato «abbasso la Francia». È cosi che il corrispondente ginevrino del Petit Parisien di stamane afferma che le formule elaborate dal Benès ottennero ieri una votazione senza scrutinio, ossia di unanimità, mentre quello deli'Echo de Paris rileva che la proposta Benès pei carri d'assalto è stata mantenuta con 26 voti favorevoli e sei contrari su circa una sessantina di votanti, ossia non ha nemmeno la maggioranza effettiva.

Colla sospensione della conferenza di Ginevra, quest'agitazione politica francese verosim1lmente diminuirà nel largo campo internazionale per concentra·rsi su quelli a cui l'opinione pubblica francese più si interessa ossia al germanico ed all'italiano. I recenti eventi di Berlino hanno, per quanto in parte intuiti, prodotto nei francesi grande impressione. La socialdemocrazia prussiana, considerata il baluardo della repubblica democratica in Germania è stata sconfitta

senza reazione: il governo militare germanico di Scleicher si è affermato con volontà di guida permanente dell'Impero tedesco: non solo Ebert ma Stresemann stesso sembra sorpassato in Germania da una attività più fattiva della reazione contro la situazione creata a Versaglia. In queste circostanze e di fronte a questo pericolo l'atteggiamento francese per le manifestazioni italiane cresce in sensibilità ed in nervosità.

173

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A SOFIA, CORA (l)

L. 4567. Roma, 24 luglto 1932 (2).

Le accluse informazioni si aggiungono a talune altre, che farebbero supporre la possibilità di un radicale cambiamento della politica bulgara, nei confronti della Jugoslavia (3). Mi riferisca in proposito e colla precisione necessaria.

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COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

APPUNTO. Roma, 25 luglio 1932.

L'Ambasciatore di Germania è venuto per informa·re: Sono pervenuti da parte inglese i chiarimenti chiesti dalla Germania sul «patto di fiducia ,. Questi chiarimenti sono ritenuti soddisfacenti. Perciò la Germania risponde all'Inghilterra e alla Francia (che aveva anche invitato la Germania alla partecipazione) in senso affermativo.

Nella dichiarazione tedesca si farà richiamo allo spirito della dichiarazione franco-inglese del 13 luglio e si esprimerà il voto che sia tenuto conto delle necessità tedesche (Ciò va inteso soprattutto per il disarmo).

Questa adesione germanica sarà pubblicata.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 2822/1639. Vienna, 25 luglto 1932.

Ho avuto ieri un colloquio con Starhemberg. Gli ho spiegato come circa l'invio di armi il R. Governo, pur non essendo in massima contrario alla loro spedizione, si preoccupi delle eventuali conseguenze, anche in considerazione

dell'attuale momento, e non ravvisi elementi sufficienti di sicurezza nel piano progettato per il loro invio. Starhemberg non ha negato il fondamento dei miei dubbi e non ha insistito. Com'è noto a V. E. non solo gli Ungheresi ma lo stesso ministro del Commercio Jakoncig, heimwehrista, si manifesta contrario alla spedizione.

Quanto ai fondi gli ho indicato l'ammontare fissato dal R. Governo spiegandogli come non possa pensarsi a somme maggiori se non si veda prima qualche ,risultato concreto e favorevole dell'impiego di quella che abbiamo deciso concedere. Starhemberg, pur mostrando che aveva fatto assegnamento su un ammontare maggiore in seguito all'udienza avuta dall'E. V., ha rinnovato la cllchiarazione dei suoi sensi di riconoscenza e ha accennato alla grande urgenza in cui si trova di riceverli. Mi ha fatto presente come la propaganda nazionalsocialista vada qui svolgendosi con una attività che presuppone una disponibilità di fondi cui non possono minimamente paragona,rsi le modeste sovvenzioni ch'egli riceve dagli stremati industriali austriaci. Si è mostrato in proposito alquanto preoccupato e io l'ho rincorato esortandolo a supplire con l'attività alla deficienza dei mezzi. A ogni modo credo necessario d'essere messo in grado di fornirgli al più presto una parte della somma, e perciò ho stamane telegrafato rinnovando al R. Ministero la preghiera di provvedere al suo invio senza indugio (mio telegramma n. 163) (1).

Ho poi creduto attirare l'attenzione di Starhemberg sulla cattiva impressione suscitata nel R. Governo dai suoi recenti discorsi nei quali non lo si è visto prendere un contegno chiaro e netto di fronte ai nazionalsocialisti austriaci e al loro programma di annessione. Starhemberg ha osservato che non corrispondono alla verità le dichiarazioni attribuitegli da questa stampa. Nelle riunioni in cui egli parla questi giornali inviano propri ,redattori che riferiscono secondo le tendenze dei giornali stessi, i quali essendo quasi tutti demomassoni e pangermanistl hanno interesse a travisare le sue parole per trarre l'acqua al proprio molino. Non servirebbe a nulla ch'egli inviasse alla stampa il testo delle sue dichiarazioni perché essa non le pubblicherebbe ed egli non ha modo di costringervela mentre poi le «Heimwehren 1> per mancanza di mezzi non hanno per far rimettere le cose a posto che un unico piccolo giornale settimanale. Ho replicato che pur non negando l'esattezza di quanto affermava poiché conoscevo per lunga esperienza le tendenze di questa stampa e i mezzi di cui si serve per farle valere, dovevo osservare come anche dalle rettifiche da lui forniteci si avesse spesso l'impressione di una certa sua ambiguità di contegno nei riguardi del nazionalsocialismo e del loro programma. Ora questo mi pareva un punto che se fino a qualche tempo fa poteva presentare una qualche minore importanza assumeva ora un valore fondamentale di fronte all'estendersi della propaganda dei nazi in Austria. Era per me evidente che le «Heimwehren 1> avevano interesse a presentarsi con un programma chiaramente diverso da quello hitleriano, senza di che il movimento delle prime non avrebbe avuto ragione di esistere e sarebbe fatalmente stato assorbito dal secondo. Poiché effettivamente il suo pensiero e quello di tanti suoi partigiani non coincideva con quello di Hitler, non vedevo perché preferisse rimanere nell'equivoco piuttosto che uscirne dando al movimento un proprio contenuto che facesse chiaramente

apparire il suo scopo. Se anche da ciò avesse dovuto in seguito derivare qualche scissione, il danno sarebbe sempre stato compensato dalla maggiore omogeneità del movimento.

Che utilità gli derivava [dal] serbare coloro che propendevano per l'annessione? Ciò poteva ancora valere finché non esisteva qui uno specifico movimento hitleriano annessionista: piuttosto che lasciare inutilizzati gli annessionisti era preferibile accoglierli nel proprio seguito sotto la comune bandiera antisocialista. Ma nel presente stato di cose la situazione era mutata, e non poteva certo credersi che egli sarebbe riuscito a lungo andare con dichiarazioni variamente interpretabili a evitare che finissero con il passare ai nazi quei seguaci che pur tendendo al programma di Hitler continuavano a seguire Starhemberg. Sopra seguaci incerti hanno alla fine più forza di attrazione i capi i quali espongono un'idea chiara che non quelli i quali rimangono nebulosi; accettando il programma dei primi ci si libera dal tormento dei dubbi e si pensa con la testa di altri invece che dover continuare a far lavorare la propria. A ogni modo se anche egli non si sentiva l'animo di ,rompere per ora completamente i ponti, doveva almeno ritornare per cosi dire alle origini del suo movimento, limitandosi a riprendere il tema che esso era sorto per ragioni non dipolitica estera bensì interna, e cioè per la lotta contro il socialismo e il rafforzamento dell'autorità dello stato: se egli avesse invece come che sia toccato la questione dell'annessione avrebbe fatto il gioco dei nazionalsocialisti che, più chiari in proposito, si sarebbero valsi della sua indecisione per pigliare su di lui il sopravvento. Starhemberg pur senza contraddirmi mi ha fatto presente le difficoltà che incontra per n vantaggio che traggono questi hitleriani dai larghi mezzi di cui sono provvisti, mentre molti dei suoi seguaci vengono alle adunate con le scarpe legate con lo spago ed egli non può neanche rifocillarli convenientemente dopo una marcia; altri vantaggi traggono del pari i nazionalsocialisti austriaci di fronte a questa borghesia dalla piega degli avvenimenti in Germania a danno di quei socialisti. Gli ho risposto che appunto perciò egli deve dare al suo movimento un contenuto indipendente dalla Germania: se colà, invece che i partiti di destra, avessero preso il sopravvento quelli di sinistra non ne sarebbe egli stato del pari danneggiato per la maggiore baldanza che di riflesso avrebbero preso contro di lui i socialisti austriaci? Quanto alla sua mancanza di fondi gli ho fatto notare come non convenga dare all'efficacia del danaro un'importanza eccessiva: entro certi limiti si fa marciare meglio la gente con lo stomaco vuoto che quella a stomaco pieno la quale appunto perciò teme più i rischi e spera meno nei vantaggi. Gli ho tuttavia promesso che avrei rinnovato calde insistenze con V. E. per il sollecito invio dei fondi promessigli.

(l) -Autografa. (2) -Spedita 11 25 luglio. (3) -Le informazioni trattavano di un possiblle riavvicinamento jugo-bulgaro.

(l) T. 5123/163 P. R. delle ore 13,27, non pubblicato.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'UFFICIO STAMPA

APPUNTO. Roma, 26 luglio 1932.

L'Incaricato d'Affari di Jugoslavia è venuto a protestare per l'acclusa pubblicazione del Tevere chiedendomi se il Governo italiano la deplorava.

Io ho risposto:

0 ) che la pubblicazione in questione non era che una riproduzione di pubblicazione altrui, sia pure clandestina, e che si poteva pure pensare che essa fosse stata fatta a titolo di curiosità giornalistica.

2°) che dopo i recenti attacchi all'Italia di alcuni giornali jugoslavi, i quali riprendevano con violenza il motivo della guerra da muovere a noi per toglierei dei territori su cui si alimenta in Jugoslavia un colpevole ed assurdo irredentismo, non era più il caso di chiederci di deplorare nulla.

Noi del resto ci eravamo astenuti dal rilevare questa nuova crisi isterica della stampa jugoslava. 3°) che quindi mi sarei limitato semplicemente a segnalare la pubblicazione del Tevere a codesto Ufficio Stampa.

Finita così la conversazione con l'Incaricato d'Affari Jugoslavo, credo però sarebbe opportuno far raccomandare al Tevere un po' di prudenza per non avvalorare i sospetti che si nutrono contro di noi circa i nostri rapporti col movimento croato. È facile infatti accusarci di aver avuto i manifesti in questione dagli stessi agitatori clandestini croati.

Richiamo pure le istruzioni già date da S. E. il Capo del Governo mesi or sono perché fossero evitate le pubblicazioni contro Re Alessandro (vedi manifesto a destra); pur dovendosi però riconoscere che in questo caso si tratta ripeto -di una semplice «riproduzione '> di pubblicazioni altrui.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. GAB. 2588/504 R. Berlino, 27 luglio 1932, ore 13,35 (per. ore 15,15).

Ho parlato con Nadolny di ritorno da Ginevra e con Koepke che rimpiazza segretario di Stato questione uguaglianza diritti. Ambedue separatamente mi hanno detto che tanto da parte inglese quanto francese, non appena aggiornati lavori conferenza, sono state date Governo tedesco ampie formali assicurazioni su loro disposizioni favorevoli desiderio Germania desiderosi raggiungere soddisfacente soluzione della questione prima della ripresa lavori. Tanto Herriot quanto Simon hanno espresso parere convenga per il momento lasciare in riposo questione; si comincerebbe parlarne primi settembre. In via diplomatica verrebbe fissato quando e come.

Koepke però mi ha detto essere intendimento del Governo tedesco, non appena passate elezioni politiche, iniziare conversazioni Governo italiano e Governo sovietico onde fissare linee comune azione tra Governi prima di entrare in negoziati con Parigi e Londra. Esperienza ultima riunione Ginevra consiglia, secondo parere questo Governo, ai tre Gabinetti Berlino Roma Mosca procedere con unità di vedute azione di fronte rinsaldata cooperazione anglo-francese.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 69. Bled, 27 luglio 1932.

Pochi giorni dopo la di lui nomina a Ministro degli Affari Esteri nel Ministero Srkich, vidi Jeftic (V. E. ne rammenta i lunghi colloqui con me) (l) il quale rispondendo alle mie convenzionali parole di compiacimento e di augurio mi disse sperare che le conversazioni riprenderebbero. Erasi arrivato tanto vicino ad un accordo completo e mancava tanto poco al congiungimento dei due punti di vista che un piccolo sforzo basterebbe per una definitiva conclusione. Il Re ed il Governo jugoslavo non avevano mutato il loro punto di vista, però non farebbero alcunché per la ripresa dei colloqui attendendo che tale iniziativa venisse dal Governo Fascista.

Inoltre pochi giorni or sono persona in stretto contatto col Sovrano mi ha dato confidenziale conoscenza delle espressioni di compiacimento espresse da Re Alessandro nell'apprendere che l'E. V. aveva assunto il Ministero degli Affari Esteri, traendone utile auspicio per lo sviluppo e la conclusione dei noti colloqui.

Le parole di Jeftic, e la confidenza, che è certamente voluta, debbono essere interpretate come aperture indirette al fine appunto di .riprendere le note trattative?

È possibile. In ogni caso V. E. darà loro significato preciso e ne trarrà le conseguenze che sembreranno più utili.

Mi limito qui a riassumere, per memoria, nelle loro linee schematiche, le conclusioni più importanti delle conversazioni che si iniziarono proprio qui a Bled due anni addietro col Signor Marinkovich (2) e che salvo una loro precisa formulazione possono così riassumersi:

Nel campo politico: rinuncia dell'Italia alla sua politica revisionista in confronto della Jugoslavia, accordo politico con l'Italia, abbandono quindi della subordinazione politica alla Francia pur dichiarandosi esplicitamente che non si intendeva in alcun caso prendere posizione ostile ad essa, impegno alla consultazione per le maggiori questioni europee anche nella Società delle Nazioni e specialmente per le balcaniche. Riconoscimento, se non formale, certamente sostanziale, della nostra posizione in Albania, parte della sistemazione strategica italiana in Adriatico, ma anche frontiera di essenziale difesa della Jugoslavia nella vallata del Vardar. Nel campo militare: la frontiera della Venezia Giulia cessa di essere una frontiera militare, le Giulie e le Caravanche costituiscono un comune interesse difensivo contro la ripresa germanica anche in caso del verificarsi dell'Anschluss, la difesa del mare Adriatico è affidata all'Italia col concorso jugoslavo.

Nel campo economico: tendenza alla formazione di un unico mercato italajugoslavo con la progressiva abolizione delle reciproche barriere doganali pur

20 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

salvaguardando i rispettivi essenziali interessi, e la difesa rH ciò che può sembrare indispensabile alla vita dei paesi rispettivi. Tralascio questioni minori e conseguenziali come ad esempio la propaganda irredentista dalmatica in Italia e la giuliana in Jugoslavia.

Non posso certamente affermare se oggi dopo vari mesi di silenzio, ed a credere che le parole riferite in principio costituiscano delle indirette aperture, il pensiero Reale seguiti le medesime linee qui ora sinteticamente riassunte.

Ma certo è che è difficile prescindere dalla situazione interna quale essa si è andata progressivamente delineando dal settembre 1931.

Se dal 6 gennaio 1929 (instaurazione del Governo dittatoriale) la linea assunta dal Sovrano è singolarmente rettilinea ed inspirata a fermi concetti che denotavano in Re Alessandro una singolare intelligente perspicacia ed un alto spirito: anzi, dirò di più, se la decisione del 1929 appariva, a guardare indietro da quando era Reggente, in stretta connessione con un disegno preciso e preveggente, dal settembre dello scorso anno la condotta sovrana appare incerta contraddittoria, determinata più da circostanze contingenti che da persuasive ragioni. Oggi, ad un anno di distanza, debbo ripetere quello che scrissi allora: non so vedere quali imperiosi motivi persuasero il Re ad emanare la nuova costituzione che nessuno chiedeva, che nessuna forza era capace di imporgli, mel";ltre è proprio da questa ingannevole ed insincera concessione che data il formarsi dello stato inquietissimo di spirito pubblico, del rinnovarsi ed accrescersi di incidenti, del rafforzarsi delle opposizioni e del determinarsi, fra altro, di due nuovi fattori di debolezza e di scissione: cioè la differenza religiosa divenire prima dissidio e poi aperta lotta (l'odio cattolico contro la propaganda ortodossa è la spinta maggiore alle dimostrazioni italofile della Slovenia) e i vari gruppi etnici avversi a Belgrado trovare, per la prima volta, proprio i serbi essere i più pericolosamente ostili al regime. Ed è da questi Oe resistenze slovene sono puramente passive, e quanto ai croati io non crederò loro che allorché avranno trovato contro il truce Bedekovich uno degli ombrelloni con i quali i milanesi punirono a morte nel 1800 l'odiato Prina), non dagli altri gruppi jugoslavi che può venire il più forte urto alla situazione presente percorsa da fremiti repubblicani, con qualche infiltrazione comunista, con l'esercito non sicuramente più disciplinatamente compatto come potevasi affermare fino a pochi mesi or sono.

La situazione jugoslava è quindi piena di oscurità e di ombre, ed il penetrarle per discernervi significato a portata acuisce ogni giorno interesse.

Tuttavia non credo che la crisi sia della Jugoslavia. La crisi è soltanto di governo, e di regime dittatoriale, non più. Di fronte ad un estremo pericolo, salvo inesplicabili ostinazioni sovrane, se la crisi dovesse andare a più ampio cerchio v'è possibile salvezza. Come è pure da tenere presente che ad una situazione che mettesse in mortale pericolo il serbismo, serbi e Re troverebbero la via dell'accordo. Si tratta in ultima analisi, secondo me, solo di un momento della nuova vita unitaria jugoslava, che democratico-parlamentare serba nel primo periodo, dittatoriale serba nel secondo, si avvia forse ad un federalismo che farà perdere ai serbi parte della superiorità direttiva avuta fin qui.

Tuttavia se queste sono le conclusioni cui credo poter giungere oggi, altro è costruire su di esse un nuovo edificio politico itala-jugoslavo sui cui benefici, malgrado le difficoltà ed il duro pericoloso lavoro per mantenerlo in quotidiana utile efficienza, non vi possono essere dubbi.

A meno che un eventuale accordo con l'Italia non permettesse al Sovrano di alleggerire la mano, riaccostare a sé quegli elementi direttivi dei vecchi partiti e dei gruppi etnici che gli sono oggi fieramente avversi, gettare un sicuro ponte fra le vecchie popolazioni del Regno, appoggiarsi non più soltanto all'esercito ma, riacquistata la popolarità perduta, anche sul pubblico favore. È certo che nei vantaggi che il Sovrano può ripromettersi da un accordo con noi, vi è anche quello di un suo interno rafforzarsi.

Come da parte nostra dobbiamo tener presente che mai forse vi è stato qui come in questo momento un così universale favorevole sentimento di favore per l"Italia in ogni più diversa parte e regione. Per opposti e contraddittori motivi, ma è.

Un accordo con noi che rafforzando la situazione sovrana, non permettesse a popolazioni e partiti di riacquistare alcuna parte delle posizioni perdute con la dittatura, finirebbe, malgrado sia oggi da tutti auspicato, coll'essere impopolare e permetterebbe forse alle forze democratiche massoniche in mano francese di sollevare una pericolosissima agitazione antidinastica.

Si entra quindi in difficile e delicatissimo argomento, sul quale, se mai possibile, mi riservo tornare (1).

(l) -Cfr. serie VII. vol. XI, nn. 18, 26, 52, 54, 66, 112, 213. (2) -Cfr. serle VII, vol. IX n. 189.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2633/514 R. Berlino, 29 luglio 1932, ore 20,35 (per. ore 22).

Neurath mi ha detto stamani che le osservazioni lamentate Governo francese in seguito discorso Schleicher non lo commuovono, perché Herriot già conosce intenzioni finalità politiche tedesche questione disarmo, che le parole Schleicher sono conseguenza logica attitudine Germania Ginevra, introduzione alle nuove trattative diplomatiche che egli vuole svolgere con il Gabinetto. Se queste acconsentiranno disarmo proporzioni alle quali è condannata Germania, tanto meglio, se no bisognerà intenderei. Questo ha fatto dire a Parigi da Hoesch, questo ha detto a Poncet.

Dal colloquio mi è sembrato che tendenza Neurath dopo discorso Schleicher sia ritardare inizio, certamente per dar tempo opinione pubblica francese calmarsi. Egli intende verso quindici agosto prendere congedo riposarsi.

Mi ha pregato dire V. E. che Governo tedesco continuerà tenersi in contatto Governo italiano e tenerlo perciò informato: che indurrà Germania rimanere sulle direttive da lui esposte a S. E. Grandi a Losanna; che è ben lungi intenzioni attuale Governo concludere o cercare concludere accordo militare con la Francia.

Ciò che Governo tedesco vuole è conseguire riconoscimento giuridico uguaglianza con altri Stati, riorganizzare proprie forze armate in modo non più numeroso, ma più economico adatto moderni criteri difesa.

(l) Il documento reca il visto di Mussollnl.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

HELAZIONE 223356/113. Roma, 30 luglio 1932.

Si ha l'onore di qui allegata (2) sottoporre in visione a V. E. la copia di una

lettera che il noto Capo del Sionismo Revisionista, Vladimiro Jabotinsky, ha

diretto al Professore Dottor !sacco Sciaky del Liceo Galilei di Firenze, il quale

l'ha ufficiosamente comunicata a questo Ministero, e nella quale sono conte

nute ed esposte le linee generali del progetto di istituzione di una Scuola Cen

trale di Istruttori Ebrei che il Jabotinsky avrebbe in animo di fondare in un

paese latino, e preferibilmente in Italia.

Nel trasmettere copia della lettera accennata, il Prof. Sciaky aggiunge da

parte sua quanto segue:

« Il Signor Jabotinsky sarebbe deciso a istituire in Italia la Scuola Centrale di istruttori ebrei. In pari tempo egli, come Capo del Berit Trumpeldor, disporrebbe perché i giovani soggetti alla disciplina di questa organizzazione intraprendessero, nei vari paesi, lo studio sistematico della lingua italiana. Tutto ciò rientrerebbe nel piano del Signor Jabotinsky di iniziare un processo di orientamento spirituale delle masse ebraiche nel senso dello spirito latino, e precisamente italiano. Egli è infatti ammiratore del Risorgimento italiano e dell'idealismo concreto del pensiero politico italiano, in antitesi all'ideologismo, tipico di altre culture.

D'altra parte, per quanto ciò possa esser soltanto implicito -e senza pregiudicare dal punto di vista politico il futuro, sebbene anzi successivi sviluppi in senso politico siano naturali e possibili -questi due atti del Signor Jabotinsky dovrebbero esser tali da indicare al popolo ebraico l'Italia come un paese in modo speciale amico, e verso il quale dovrebbe polarizzarsi il suo interesse morale e nazionale. Si preparerebbe così, sul terreno della tradizionale amicizia dell'Italia verso gli ebrei e della reciproca simpatia del popolo ebraico verso l'Italia, la possibilità di concretamenti in una più attiva collaborazione, nei limiti e nei modi che il tempo e le circostanze potranno consentire. Certo, il popolo ebraico non potrà non vedere nel passo che il Signor Jabotinsky si appresterebbe a compiere, una pregiudiziale per l'orientamento futuro delle masse ebraiche, stabilita sotto gli auspici del più forte partito oggi nel sionismo, e di quello che più larghe simpatie vien giornalmente conquistando nelle masse ebraiche -l'Unione dei Sionisti Revisionisti.

Il Signor Jabotinsky desidererebbe avere quella certezza, se pur implicita, positiva di un orientamento da parte del R. Governo, che giustificasse la sua azione l>.

Dall'esame del progetto è lecito formulare le seguenti osservazioni:

l) La creazione di un Centro di Istruttori Ebrei sembra essere ormai stata decisa dal Sionismo Revisionista il quale si sarebbe a tal fine anche già assicurato i fondi necessari; esso verrebbe creato infatti con l'appoggio del Berit

Trumpeldor il cui programma e la cui attività sono illustrati nell'esposto redatto dal Prof. Sciaky e che viene allegato alla qui unita copia di lettera del Prof. Jabotinsky. Dalla lettera del Jabotinsky e da quanto ha verbalmente esposto il Prof. Sciaky, risulta inoltre che la Francia desidererebbe che tale Centro sorgesse entro i propri confini; il Jabotinsky preferirebbe tuttavia, anche per certe sue personali inclinazioni favorevoli al nostro Paese e al Fascismo, istituirlo in Italia.

Ora poiché uno degli scopi della istituzione da lui ideata è, per dichiarazione dello stesso Jabotinsky, quello di promuovere nelle masse ebree un orientamento mentale verso correnti mediterranee e latine, in contrasto alla tendenza, prevalsa nel sionismo durante l'ultimo ventennio, di avvicinarsi a forme di cultura nordica, è evidente che, per quanto anche modesto possa essere il risultato dell'azione che in tal senso svolgerà il Revisionismo, il paese che ospiterà l'istituzione nella quale verranno accolti giovani israeliti provenienti dai più svariati paesi del globo, non potrà non trame vantaggio ai fini della espansione delle proprie idealità, della propria cultura e della propria lingua. A tale riguardo devesi anche aggiungere che il Jabotinsky è disposto, ove tale sua istituzione potesse sorgere in Italia. a curarvi l'insegnamento della lingua italiana. della Storia del Risorgimento italiano e dei concetti fondamentali riguardanti lo Stato Fascista.

2) Il Sionismo Revisionista non è soltanto un movimento culturale, ma è anche un movimento a carattere politico il quale ha assunto di fronte al problema della Sede Nazionale Ebraica in Palestina un atteggiamento intransigente ed integralista, in opposizione alla tendenza più moderata (detta «di governo») rappresentata dal Dottor Weizmann.

L'urto fra le due opposte tendenze ha già condotto, nella scorsa estate al Congresso di Basilea, alla caduta del Weizmann dalla Presidenza della Organizzazione Sionistica Mondiale ed aUa di lui sostituzione col Dottor Sokolow, mutamento questo che è stato registrato come un notevole successo del Revisionismo il quale, pur non annoverando il nuovo Presidente fra i propri seguaci, è tuttavia riuscito a far togliere quella importantissima carica ad uno dei suoi più tenaci avversari.

Sembra quindi che, in considerazione dei futuri eventuali sviluppi che il movimento revisionista può avere in zone particolarmente importanti e delicate, e nelle quali molti sono i nostri interessi, quali il Levante in genere e la Palestina in specie, possa esservi un certo interesse nostro anche politico, oltre che culturale, nel favorire l'istituzione in Italia della Scuola progettata, la quale potrebbe offrire la possibilità di stabilire e mantenere co.l movimento capeggiato dal Jabotinsky utili contatti al fine di esercitare su di esso, e per quanto possibile, un certo controllo ed una certa eventuale influenza, controllo ed influenza che non è in ogni caso interesse nostro, per ovvie ragioni, il lasciare eventualmente esercitare dalla Francia.

Ove l'E. V. ammettesse in linea di massima l'interesse italiano a favorire la istituzione in Italia del Centro di Istruzione progettato dal Prof. Jabotinsky, il consenso del R Governo all'istituzione del Centro stesso dovrebbe essere subordinato a talune condizioni:

In primo luogo dovrebbe il Signor Jabotinsky impegnarsi a non dare ai corsi che verranno svolti alla Scuola Centrale di Istruttori ebraici, e all'attività in genere della Scuola medesima, alcun carattere di propaganda politica a sfondo anti-islamico, e ciò per ovvie ragioni connesse con gli orientamenti e le esigenze della nostra politica estera e coloniale. Per le stesse ragioni dovrebbero venire esclusi, come istruttori alla Scuola in progetto, i funzionari dello Stato civili

o militari in attività di servizio.

In secondo luogo, considerazioni derivanti dagli impegni da noi assunti col Vaticano in virtù del Concordato del 1929 consiglierebbero, ove la Scuola dovesse venire aperta in Italia, a non consentire che essa sorga a Roma, ma a suggerire al Jabotinsky di istituirla in altra città del Regno, ad esempio Milano,

o Firenze, o Trieste.

Si ha l'onore di sottoporre quanto precede all'E. V., con la preghiera di voler impartire le Sue alte direttive per norma di linguaggio e di condotta nelle eventuali conversazioni che questo Ministero dovesse eventualmente avere in merito al progetto in questione (l).

(l) -Guariglia aveva presentato analoga relazione a Grandi il 29 aprile 1932. (2) -Non si pubblica.
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VITTORIO MAZZOTTI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. s. [Roma], 30 luglio 1932.

Mesi or sono quando maggiormente prendeva piede l'agitazione politica rivoluzionaria diretta dai nazionalisti croati in tutta la Jugoslavia si decise anche di organizzare in senso rivoluzionario la provincia di Kossovo e a mio tramite veniva affidato tale compito ad Hassan bey Pristina persona ben vista ed ascoltata in tutta la regiolle con rispettosa deferenza, con un passato politico irivoluzionario di prim'ordine e sopratutto a noi legato da una sincera e vera amicizia.

Siccome sarebbe forse un compito superiore alle forze umane accordare le varie razze di cui si compone la Jugoslavia ed incanalarle verso un obiettivo comune nel comune interesse causa la megalomania nazionale sovrana nella penisola balcanica si sarebbe pensato di tentare invece un accordo di massima tra gli albanesi di Kossovo ed i macedoni. Molto più che il capo dell'O.R.I.M. Ivan Mihalloff più di una volta avrebbe richiesta la collaborazione del Pristina, come pure chiesto tramite il macedone Etvimoff un abboccamento con il sottoscritto.

Naturalmente quando feci conoscere all'ufficio competente il desiderio del Mihailoff, prevalse il concetto che prima di prendere contatti diretti con il capo macedone, sarebbe stato desiderabile che il Pristina si fosse con lui incon

trato e che poi ci avesse riferito sulle vere intenzioni politiche e nazionali che

perseguiva e specialmente come la pensava nei riguardi delle rivendicazioni

albanesi.

Le istruzioni date al Pristina sempre che il Mihailoff riconoscesse i diritti storici, linguistici ed etnografici dell'Albania sono state quelle di trarre i preliminari di una intesa di azione rivoluzionaria da sviluppare e praticare nella regione che va dal Drin al Vardar in perfetta comunione di idee e d'interessi. Inoltre di abbozzare una linea di demarcazione all'ingrosso per evitare poi malintesi il più delle volte dannosi a tali fratellanze.

Il Pristina che era privo di un passaporto regolare e quindi nell'impossibilità di viaggiare, dopo lunghi mesi di tentativi è riuscito ad attenerne uno dal governo turco, e si è già messo da più di una settimana in viaggio alla volta di Costantinopoli e a quest'ora con tutta probabilità si trova instradato verso le montagne bulgare per incontrarsi con Mihailoff.

Nel caso poi l'azione del Pristina con n Mihailoff non desse risultati soddisfacenti, allora il primo dovrebbe interessarsi esclusivamente della costituzione di un comitato rivoluzionario Kossovese ed iniziare quella propaganda di penetrazione in seno all'emigrazione albanese che si trova in Turchia sempre con il consenso delle autorità turche.

Questo il motivo che mi aveva spinto a chiedere udienza all'E. V. dopo averne chiesta l'autorizzazione a S. E. Lojacono dal quale dipendo.

Pertanto dopo n cambio della guardia recentemente avvenuto ed anche per la nuova designazione di S. E. Lojacono ad Ankara e in più per la sua assenza immediata dovendo partecipare ad una crociera, così mi ero permesso di chiedere una udienza anche perché desideravo che l'E. V. designasse la persona con la quale conferire e ricevere le relative istruzioni in materia cosi delicata e segreta (1).

Mi voglia Eccellenza perdonare l'ardire ...

(l) Annotazione a margine di Suvich: «Il Capo del Governo è contrario. Il sionismo revisionista è una montatura di una organizzazione con fini militari. Ritiene che accogliere in Italia questo centro potrebbe metterei in dif!lcoltà con gll Arabi, con le correnti antisemitiche degll Stati vicini e mediterranei e con gli israellti di tendenza moderata che stanno in Italia. D'altra parte il Dr. Weizmann ha ancora sempre un seguito notevole ».

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IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2712/90 R. Praga, 30 luglio 1932 (per. il 4 agosto).

Ho mandato a parte, per telespresso, le informazioni date da! dottor Benes al Consiglio dei ministri intorno alla situazione europea come egli la vede. Le dichiarazioni non escono dalla banalità. Mi pare invece di maggiore interesse informare che Benes negli ambienti praghesi e negli ambienti esteri che da lui prendono il tono, sembra fare grande affidamento sopra il patto di consultazione anglo-francese che egli considera di fatto limitato alle due Potenze che per prime lo hanno firmato, anche se molti altri Stati europei sono stati poi invitati ad aderirvi. Benes dice infatti che la situazione europea è molto miglio

rata perché Francia ed Inghilterra si sono ormai messe d'accordo in una intesa particolare su tutte le più importanti questioni europee, comprese quelle del Centro-Europa. Nel suo ottimismo (rinato dopo l'ultimo soggiorno a Ginevra) egli afferma che nel prossimo anno saranno riprese iniziative danubiane che, data la sua posizione politica davanti al Governo di Parigi e l'amicizia personale da lui stretta con lord Simon, la Cecoslovacchia avrà ancora una volta la parola preponderante nei progetti che verranno. Dell'Italia Benes non parla, perché egli ritiene che l'accordo franco-inglese sia sufficiente a eliminare eventuali opposizioni italiane.

Affermazioni analoghe (senza alludere all'Italia) Benes ha fatto all'ex-ministro ungherese Friedrich che, come ho annunciato, è stato in questi giorni a Praga. Friedrich ha pubblicato le affermazioni di Benes in un giornale di Budapest, ma tale intervista non è stata riprodotta da nessuno dei giornali di Praga, pure così attenti nel riferire ogni parola di Benes. Evidentemente le affermazioni di Benes a Friedrich erano dedicate unicamente agli ungheresi perché anch'essi si rendano conto che la nuova solidarietà franco-inglese consiglia i paesi dell'Europa centrale a navigare nella scia della rinnovata «entente cordiale».

(l) A margine Il seguente appunto d! Alolsi del 3 ago8to: «Ho visto oggi Il Signor Mazzotti. Siamo rimasti d'accordo che tornerà a vederml dopo che avrà vist" Prlstlna di ritorno dal suo Incontro con Mihailoft' ».

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IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2655/821. Sofia, 30 luglio 1932.

In preliminare risposta -il corriere riparte fra poche ore -alla lettera autografa dell'E. V. in data 24 luglio n. 4567 (1), mi onoro far presente che sulla recente nolP-mir.a e sui rapporti bulgaro-jugoslavi ho già riferito in modo esauriente col mio rapporto n. 2534/776 del 22 corrente (2) che confermo.

Escludo che --pel momento -si possa parlare di un cambiamento della politica bulgara nei confronti della Jugoslavia. Tuttavia dalla ·recente polemica e da altre informazioni che ho riferito a suo tempo, si può desumere a quali condizioni il Governo bulgaro sarebbe disposto ad un riavvicinamento con la Jugoslavia. La questione si porrebbe il giorno in cui a Belgrado si prenderanno in considerazione i desideri bulgari relativi alla Macedonia ed alle altre regioni annesse. L'attuale Governo jugoslavo non sembra prenderli in alcuna considerazione, ma i fautori bulgari del riavvicinamento contano su cambiamenti e sulle disposizioni di uomini politici attualmente all'opposizione.

Non sarà male ricordare che l'ex-ministro degli Esteri radicale Lazar Markovitch ebbe a dichiarare che se mai ritornasse al potere concederebbe l'autonomia alla Macedonia.

Con il prossimo corriere ritornerò sull'argomento ed, intanto, assicuro l'E. V. che ho seguito e seguo la questione con la massima attenzione (3).

(l) -Cfr. n. 173. (2) -Non pubbl!cato. (3) -Il documento reca il visto di Mussolini.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 2911/1691. Vienna, 31 luglio 1932.

Ho chiesto ieri a Starhemberg notizie sull'ultima riunione della Direzione federale delle «Heimwehren » (mio telespr n. 1690 del lo agosto) (l) nonché sul comunicato dell'ufHcio stampa delle «Heimwehren » medesime a proposito del discorso pronunciato in parlamento dal deputato Kunschak (mio telesp.

n. 1689 del 1° agosto).

Starhemberg mi ha risposto che il comunicato in parola, oltre che da riguardi verso lo «Stahlhelm » e Hugenberg, gli era stato suggerito dalla considerazione convenisse scindere la responsabilità delle «Heimwehren » da quella dei cristiano-sociali in modo da preservarle dai danni che a questi certamente sarebbero derivati dalle esagerazioni alle quali il deputato Kunschak si era lasciato andare compromettendo la giusta sostanza del suo discorso la quale in realtà poco differiva da quella del discorso da lui stesso tenuto anteriormente <mio telespr. n. 1625 del 25 luglio) (2): confrontare l'agitazione degli agenti tedeschi con quella degli agenti russi alla vigilia del conflitto mondiale, era stata infatti una mancanza di tatto che avrebbe potuto alienare anche al movimento delle «Heimwehren » quegli elementi nazionalisti che egli stentava a frenare. Si propone tenere prossimamente un nuovo discorso nel quale ribadirà la tesi che le «Heimwehren » concepiscono l'Austria come parte del popolo tedesco, ma autonoma e indipendente. Si preoccupa della propaganda nazionalsocialista e ha in mente di ottenere dal cancelliere che, appena chiuso il parlamento, emani il divieto di tenere discorsi politici a quanti non siano sudditi austriaci e, come l'industriale suo amico di cui al mio tel. . . . (3) del . . . (3), vorrebbe che da parte nostra si facesse .presente a [Hitl]er che la propaganda nazionalista in Austria non ci è gradita.

Per quanto riguarda la riunione della direzione delle « Heimwehren » Starhemberg si mostra molto soddisfatto della fiducia confermatagli dai dirigenti delle varie province; il deputato Hueber del Salisburghese, che aveva dichiarato non poter accettare il punto di vista del «Bundesftihrer », ha ... (4) dimettersi e sarà sostituito da persona più disciplinata. La ma[ggioranza] governativa per l'approvazione del protocollo del prestito sembra così assicurata: il cancelliere ne è debitore alle « Heimwehren » verso le quali egli si è impegnato a una politica energica nei riguardi dei socialdemocratici, e ha consentito a Starhemberg la pubblicazione della lettera il cui contenuto è stato comunicato a codesto R. Ministero con telegramma Stefani speciale odierno. Dalle buone disposizioni di Dollfuss Starhemberg si ripromette qualche altro visibile vantaggio proponendosi di ottenere da lui la partecipazione al gabinetto di un

altro rappresentante delle «Heimwehren » nel ministero della Sicurez:t:a in luogo del funzionario Ach. Dollfuss sembra d'altronde convinto della necessità di governare facendo il più possibile a meno della collaborazione del parlamento: intende pertanto di conseguire da esso l'indispensabile approvazione al protocollo del prestito e alla legge del bilancio suppletivo, dopo di che la riapertura della camera dovrebbe essere ritardata il più possibile mediante qualche espediente che gli fosse suggerito dallo studio della costituzione.

Starhemberg mi ha detto infine che la composizione delle « Heimwehren » è in corso di modifica: si stanno allontanando dal movimento gli elementi, prevalentemente cittadini, che sono attratti dal nazi; mentre altri più sani, provenienti dalla campagna e dai gruppi cristiano-sociali, vi confluiscono. Appena ne avrà il tempo, compilerà sull'argomento un breve esposto che avrà cura di consegnarmi perché io lo trasmetta a V. E.

(l) -Il numero e la data di questo e del telespresso 1689 citato più avanti nel testo sono stati aggiunti a penna, in un secondo tempo. Evidentemente il documento pubblh:ato ed i due citati, che non si pubblicano, sono stati protocollati e spediti insieme. (2) -Non pubblicato. (3) -La lacuna è nel testo. (4) -Parola illeggibile per il deterioramento del documento.
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IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. STRETTAMENTE PERSONALE. Arenzano, 31 luglio 1932.

Il penoso stato di esasperazione in cui ho lasciato iersera, partendo da Roma, la vecchia Marchesa Paulucci de' Calboli, m'induce a vincere la mia abituale ritrosia a recarle il menomo disturbo per questioni personali.

La mia povera suocera, inchiodata in un quasi completa immobilità dall'inverno scorso, attende da molto tempo, con impazienza, il ritorno in patria di sua figlia, unico sollievo in questi suoi ultimi anni di vita.

La gentile accoglienza da V. E. fatta a questo desiderio, espressole già da vario tempo, aveva dato una grande speranza all'ammalata. Purtroppo il tempo passa, e pur dovendo, fra un mese, portar via i nostri mobili dalla villa di Ginevra, ignoriamo la parte che ci attende.

So che falsi apostoli del Regime hanno cercato, ancora recentemente, di colpirmi alle spalle, per togliere [dalla] circolazione oltre che uno dei più fedeli strumenti del Duce, anche uno scomodo testimonio di vili mercanteggiamenti, di transazioni sleali.

Ignoro quali perfide accuse siano state formulate contro di me, ma sono sicuro che nessuna di esse, qualunque essa sia, può intaccare la fiducia che

V. E., perfetto conoscitore, come nessun altro, della mia fede fascista e del profondo attaccamento alla Sua persona, mi ha sempre dimostrato da dieci anni.

Lei che ha veduto il mio incessante lavoro al Suo fianco, nel primo durissimo quinquennio della Rivoluzione fascista, e che ha seguito quello gravoso e snervante nella insidiosa trincea anti-italiana ginevrina, può essere il solo giudice se la mia fatica e la mia fedeltà meritano un riconoscimento, e, se non altro, la modesta soddisfazione che da tempo le chiedo.

Ebbi già l'occasione di prospettarle varie possibilità per un mio ritorno a Roma. Altre ve ne sono, dopo le recenti rotazioni.

V. E. vo[glia degna]rsi di prendere una decisi[one e comunicalrmi francamente che [cosa] pensa fare di me. Darà così un [po'l di [serelnità alla mia famiglia, e mi permetterà di compiere q[uel] dovere, che io sento. oltre che come [parelnte, anche come italiano, verso una vecchia Signora, che tutta la sua vita di moglie e di madre ha consacrata alla Patria.

Voglia perdonarmi ed avere la bontà di mandarmi qui un Suo rigo, che attendo con ansia e pel quale la ringrazio vivamente sin d'ora.

P. S. -Mi permetta di dirle la mia immensa gioia di vedere finalmente consacrati nel Suo giornale, nell'odierno articolo «Disarmo ginevrino'> i risultati delle mie diligenti osservazioni, sin qui derise e contrastate da molti colleghi scettici e societari.

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APPUNTO (l)

Roma, 2 agosto 1932.

Dal punto di vista della cronologia e della successione di fasi, le conversazioni itala-jugoslave per un riavvicinamento iniziate nell'estate 1930 in colloqui tra i Ministri Grandi e Marinkovich a Ginevra e rimasti definitivamente in sospeso ne~ gennaio 1931 in seguito alla constatata inconciliabilità dei due rispettivi punti di vista sulla questione Albania, vennero riaperte quasi inaspettatamente nell'agosto 1931 su iniziativa di Re Alessandro con l'invio a Roma del Ministro di Corte Jeftic e con comunicazioni dirette a S. E. il Capo del Governo, tramite il Conte Malagola.

Re Alessandro fece allora sapere che egli, convinto della utilità grande per il suo Paese di una chiarificazione di rapporti con l'Italia, era nell'ordine di idee di realizzare il riavvicinamento tanto nel campo politico che nel campo economico, fino alle conseguenze più larghe; che desiderava conoscere che cosa si pensasse da parte nostra.

Espressa da noi una generica adesione a tali possibilità, l'esame più concreto dai punti di reciproco interesse veniva demandato, anche per guadagnare tempo, a colloqui tra il Ministro Galli da un lato, Jeftic e Re Alessandro dall'altro: colloqui che ebbero di fatto seguito a più riprese dall'ottobre 1931 al gennaio u.s.

A grandi linee da parte jugoslava si chiedeva e si offriva:

-collaborazione politica generale e societaria, da estendere fino ad una alleanza, con implicito rallentamento dei rapporti con la Francia da non trasformare in ostilità, mantenimento dell'adesione alla Piccola Intesa salvo le indispensabili revisioni di fatto;

-collaborazione economica la più larga fino a parlare di unione doganale sulla base della complementarità e integrabilità delle due economie italiana e jugoslava;

-garanzia da parte nostra dello statu qua territoriale balcanico e danubiano stabilito dai Trattati di Pace e quindi garanzia nei riguardi ungheresi e bulga·ri;

-comune atteggiamento di difesa contro l'Anschluss ed il pericolo germanico verso l'Adriatico ed i Balcani sentito fortemente dalla Jugoslavia.

Sui punti suddetti la discussione si mantenne in termini generici passibili di sviluppo, con accenni da parte di Re Alessandro alle grandi ripercussioni internazionali ed europee e di apporto alla stabilità politica e sociale generale che un accordo itala-jugoslavo avrebbe avuto. Più dettagliata e vivace fu invece la discussione sul punto più grave e delicato di tutto l'insieme dei rapporti tra i due Paesi: l'Albania.

Da parte jugoslava vennero infatti formulate delle riserve circa la nostra situazione in Albania specie per quanto concerne la eventuale applicazione della Dichiarazione del '21 della Conferenza degli Ambasciatori.

Da parte nostra venne risposto, giusta una direttiva costantemente seguita che non potevamo consentire ad alcuna delle riserve formulate sull'Albania. La esplicita assunzione da parte della Jugoslavia degli stessi impegni assunti per l'Albania da parte delle Grandi Potenze costituisce il legittimo presupposto della generale intesa politica propostaci. È infatti da considerare e tenere presente che la Dichiarazione del '21 assunta in sede di Conferenza degli Ambasciatori non ha bisogno di alcun riconoscimento o adesione jugoslava, anzi ne prescinde. Una partecipazione jugoslava attiva alla sistemazione della questione albanese quale è contemplata nella Dichiarazione del '21 nonché il riconoscimento della situazione nostra di fatto creatasi dal '25 in poi, costituiva per noi il forse solo compenso ai maggiori vantaggi di ogni ordine che il Governo di Belgrado avrebbe tratto da una vasta intesa politica con l'Italia, mentre d'altra parte questa stessa intesa avrebbe, implicitamente e praticamente, servito ad ovviare alle preoccupazioni manifestateci nei riguardi delle ripercussioni della speciale situazione italiana in Albania, in ogni e qualsasi evenienza, nei confronti della sicurezza jugoslava.

Re Alessandro respinse vivacemente l'idea di qualsiasi adesione alla Dichiarazione del '21 e precisò anzi che essa contrastava con vitali interessi jugoslavi, aggiungendo che se l'Albania è un interesse strategico per l'Italia, lo è anche e più direttamente per la Jugoslavia e che un intervento militare italiano in Albania è per lui inammissibile fino a costituire un casus belli. Potevano essere ammessi i nostri interessi economici assolutamente prevalenti.

In un progetto scritto di accordo presentato dal Ministro Jeftic per incarico di Re Alessandro al Ministro Galli tutto dedicato, salvo un breve articolo per lo statu quo, all'Albania, Italia e Jugoslavia venivano poste sostanzialmente rispeto alla questione albanese, sullo stesso piede, in regime di parità, legando ogni nostra iniziativa ed attività politica in quel Paese all'accordo e consenso jugoslavo.

Tale progetto fu giudicato da S. E. il Capo del Governo inaccettabile.

Da questo momento (febbraio 1932) le trattative hanno subito un colpo di arresto (1). Il Ministro Galli ebbe istruzioni di attendere una eventuale nuova iniziativa jugoslava. Da parte di Re Alessandro vi furono nuovi generici approcci tramite il noto Conte Malagola, finché nel maggio scorso S. E. il Capo del Governo fece rispondere che era sua intenzione di eventualmente rivedere certe nostre posizioni politiche ed in primo luogo quelle con la Jugoslavia dopo la liquidazione delle questioni del Disarmo e delle Riparazioni, di fondamentale e generale importanza.

Alcuni giorni addietro Re Alessandro ha fatto sapere al Ministro Galli che egli è sempre nell'ordine di idee manifestato a suo tempo, ma che attendeva una nostra iniziativa. Egualmente lo Jeftic, divenuto ora Ministro degli Esteri al posto di Marinkovich, ha espresso sempre al Ministro Galli (2), il suo rincrescimento per la stasi intervenuta nelle trattative che secondo lui erano state così bene avviate e così prossime a concludersi (invero sulla questione albanese le rispettive posizioni sembrarono allora inconciliabili) e ha formulato la speranza di una ripresa di utili contatti.

A latere di queste trattative segrete sono stati condotti nella primavera scorsa i negoziati per il rinnovo del Trattato di Commercio, a cui gli jugoslavi annettevano una grande importanza. Su evidenti istruzioni di carattere politico, i negoziatori jugoslavi dettero prova di arrendevolezza, e di generali disposizioni favorevoli. Accennarono a più riprese alla speranza che gli accordi potessero essere seguiti da accordi generali commerciali di portata più grande. Da parte nostra si accentuò il carattere strettamente economico delle materie in discussione con esclusione di argomenti politici.

L'accordo oltre la parte tariffaria prevede la costituzione di una Commissione economica consultiva mista, per il cui tramite si potranno nel nostro pensiero intavolare conversazioni su molti argomenti di carattere commerciale, tariffario, ferroviario; che toccano da vicino nostri grandi interessi con la Jugoslavia e un po' indirettamente e necessariamente con tutti i Paesi danubiani ivi compresi i traffici dei porti dell'alto Adriatico.

Sarebbe a tal proposito forse opportuno, che indipendentemente da ogni eventuale ulteriore conversazione politica, venisse intanto subito autorizzata la attività della Commissione mista suddetta, in vista degli interessi nostri di cui è chiamata ad occuparsi come pure in relazione alla Conferenza dei Paesi danubiani che dovrebbe riunirsi sembra ai primi di settembre in applicazione della risoluzione ultimamente presa a Losanna.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. 790/70 R. Roma, 3 agosto 1932, ore 20,30.

Ho letto con molto interesse suo rapporto n. 1842/714 (3) e la incoraggio a proseguire nella linea opportunamente tracciata nei suoi colloqui col Re. Per

quello che riguarda le procedure sono di avviso che non convenga a noi di mettere alcun progetto in mani albanesi giacché codesto Governo inevitabilmente se ne servirebbe per dimostrare che siamo noi a volere e forse ad imporre la cosa ed in ogni caso lo deformerebbe a nostro danno. È necessario che le prime formule escano dalla mente degli albanesi restando a noi e non a loro il compito di rettificare. Tutt'al più uno schema potrebbe uscire dalle nostre mani solo nel caso che una delegazione albanese dopo essersi trasferita qui a Roma per dare forma definitiva al negoziato ce ne facesse richiesta al tavolo di lavoro.

Nei rapporti di V. S. con Mehdi Frasheri è opportuno chiarire che se questi rimane nello stato d'animo pregiudiziale alla parola unione doganale V. S. non potrà che rinviarlo dal Re a prendere ordini precisi e conformi alle dichiarazioni a lei fatte e cioè che il negoziatore deve presumere una volontà del Re già decisa verso quella soluzione.

(l) L'appunto, anonimo, ha come titolo «Rapporti con la JugosJavi'l. ».

(l) -Cfr. serie VII, vol. XI, n. 256. (2) -Cfr. n. 178. (3) -Cfr. n. 152.
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COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI POLONIA A ROMA, PRZEDZIECKI

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1932.

L'Ambasciatore mi dice che in Polonia si è avuta qualche volta l'impressione che l'Italia si astenesse da atto di maggiore simpatia verso quel Paese per non urtare la Germania. Ciò particolarmente in occasione della visita dei combattenti a cui non si è voluto far vedere Gdynya. L'Ambasciatore è persuaso che non sia così, ma le apparenze sono tali. Ritiene che si potrebbe incrementare il movimento commerciale italo-polacco; gli italiani potrebbero vendere di più -verso carbone -ma si muovono poco -lasciano fare all'addetto commerciale che evidentemente non può sostituire le iniziative private.

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COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, RAKIÉ

APPUNTO. Roma, 3 agosto 1932.

Venuto a rendermi visita per porgermi le sue felicitazioni ha approfittato dell'occasione per esprimermi il suo augurio per una prossima ripresa delle note trattative col suo paese.

Dal tono delle parole e da qualche domanda fattami, avevo tratto l'impressione che l'iniziativa di questo suo discorso fosse del tutto personale. Più tardi però, leggendo la lettera in data 31 Luglio (l) diretta da Guido Malagola Cappi a S. E. il Capo del Governo, sono rimasto colpito da alcune parole (... «il re di Jugoslavia mi ha però mostrato la sua viva speranza che il pre

sente periodo di stasi sia presto e decisamente interrotto perché ormai m Jugoslavia tutti pensano che questo accordo con l'Italia sia una necessità assoluta pel bene del paese») che sembravano quasi echeggiare quelle dette poco prima dal Ministro di Jugoslavia e che mi hanno suscitato il dubbio che l'iniziativa potesse partire da più lontano.

Il signor Rakitch ha infine espresso il desiderio di essere ricevuto da S. E. il Capo del Governo, nella sua qualità di Ministro degli Affari Esteri, in visita di omaggio (1).

(l) Non rinvenuta.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE UU. 2711/283/145 R. Bled, 3 agosto 1932 (per. il 4).

Mio telegramma n. 144 (2).

V. E. ha direttamente ricevuto da Veglia i rapporti del cav. Bonoldi nn. 958 e 961 del 1° corrente (3). Essi provano il continuare degli incidenti e la penosa situazione di quella nostra collettività.

Sono daccapo intervenuto energicamente presso il ministero degli affari esteri a Belgrado ed inviato una nuova nota, della quale mi riservo trasmettere copia, nella quale marco la parzialità di condotta delle autorità jugoslave, la loro negligenza e neghittosità.

Ho verbalmente aggiunto era bene io sapessi se le autorità jugoslave potevano o no assicurare la protezione dei nostri cittadini, che in caso diverso avremo dovuto prendere altri provvedimenti.

Il signor Karovic ha ripetuto che fino da ieri erano state rinnovate tassative istruzioni, sia direttamente a Veglia. che al bano di Zagabria, perché in via assoluta incidenti non si ripetessero e fosse assicurata protezione partenza avanguardisti fissata per domani. Karovic ha aggiunto che autorità avevano già operato due arresti condannando i responsabili a tre e quattordici giorni. Gli ho replicato che constavano anche a me tali arresti e condanne ma si trattava di due cittadini italiani che avevano legittimamente reagito. Lo pregavo perciò di non farsi prendere in giro dalle autorità di Veglia o non prendere in giro me.

Parlerò domani qui a Bled con Fotic, che lascia stasera Belgrado.

Sono poi in comunicazione telefonica con Veglia, per rincuorare nostro agente e quella collettività e, se comunicazioni con Sussak lo permettono; Romizi si recherà domani a Veglia per assistere partenza avanguardisti.

Riterrei indispensabile che al loro arrivo a Fiume fossero evitate dimostrazioni di simpatia che poi permetterebbero ulteriori reazioni a Veglia.

(l) -A margine annotazione di Suvich: <<Il Capo del Governo ha preso visione». (2) -T. 2686/144 R. del 2 agosto non pubblicato: assicurazione del ministro degli Esteri jugoslavo d! aver dato ordini tassativi per Impedire il ripetersi a Veglia d! disordini contro la collettività Italiana. (3) -Non pubblicati.
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APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

Roma, 4 agosto 1932.

a) Una camionale Tabris-Trebisonda può rappresentare un notevole interesse italiano e dal punto di vista dell'esercizio e dal punto di vista della fornitura di materiale. Desidero conoscere i motivi della «pessima prova » fatta dalla Fiat in Persia. Ritengo la Lancia la ditta che, oggi, può costruire i migliori camion a nafta o benzina. La Romeo, anche, ma sebbene parastatale, non ritengo conveniente invitarla al concorso. Attivare le proposte e le pratiche.

b) portare a una conclusione le pratiche col Ministero delle Comunicazioni per quanto concerne una linea di navigazione Italia-Golfo Persico.

c) procedere alla costituzione del sindacato commerciale italo-persiano, unico mezzo per superare le difficoltà del monopolio del commercio estero adottato dalla Persia e trattare sulla base degli scambi bilanciati. Prendere i necessari contatti colla Confederazione dell'Industria, la Ine e le ditte che hanno

o avevano stabilito rapporti d'affari colla Persia.

d) sta bene per quanto concerne la enntualc fornitura all'Ilva di 300 Km. di rotaie.

e) concordo coll'ufficio per quanto concerne le forniture di materiale aviatorio e militare e per le accoglienze da fare, quando verrà, al Comandante Orfa.

f) mandare degli ingegneri competenti per quanto concerne i progettati lavori idraulici e idroelettrici.

g) se i cattolici a Teheran, sono in discreto numero e se, in genere, un interesse politico italiano esiste, sono favorevole allo stanziamento di una somma dl lire 50.000 (cinquantamila) per la costruzione di una piccola, ma decorosa cappella da adibirsi al culto cattolico.

h) incaricare il Ministro Viola di procedere alla ratifica del Trattato di Amicizia.

i) da altra parte ho saputo che la Persia si è !agnata in modo particolare di uno dei Comandanti italiani adibiti alla sua piccola flotta. Sostituirlo, sollecitamente.

l) liquidare il caso Aureli e nel più breve termine di tempo possibile. Non è la prima volta che un caso «personale» compromette talora irreparabilmente tutta una posizione politica. Non è la prima volta che la condotta di un individuo può bastare, specie presso i malevoli, per giudicare un popolo e un regime. Circa le proposte per liquidare il caso Aureli concordo coll'Ufficio.

(!) L'appunto. autografo, si riferisce a un rapporto sulle relazioni italo-perslane.

Desidero di essere ragguagliato sullo sviluppo delle relazioni itala-persiane, in seguito ai provvedimenti e decisioni della presente. L'Ufficio deve prendere nota che io considero la Persia, come un paese molto accessibile alla nostra influenza e come uno dei capisaldi della nostra politica orientale.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 2959/1725. Vienna, 4 agosto 1932.

Segno ricevuta e ringrazio del dispaccio in data 19 luglio n. 4501 (l) Direzione Generale Europa Levante e Africa, relativo alla situazione in Austria e alla nostra politica generale verso la repubblica federale. Le direttive impartitemi con le quali, approvata la mia azione, mi si danno indicazioni per il suo proseguimento mi saranno assai utili per la mia ulteriore attività in questo stato.

Credo intanto opportuno esporre all'E. V. qualche considerazione relativamente a quella parte del dispaccio in cui si tratta della eventualità di una restaurazione monarchica in genere e di una restaurazione asburgica in specie.

Il citato dispaccio pone tra le ragioni della opportunità di non accentuare un nostro favore per una restaurazione della casa di Asburgo quella che non abbiamo sufficienti elementi per renderei conto del suo atteggiamento verso l'Italia. La prudenza di questa riserva mi appare assai fondata. Infatti, anche a lasciar da parte le voci qui giunte di simpatie dell'ex Imperatrice Zita per la Francia, suscitate o quanto meno rafforzate dagli intrighi e maneggi di suo fratello Sisto, mi è sembrato in proposito assai sintomatico un piccolo fatto che ho già avuto oceasione di riferire a codesto R. Ministero (mio telespr.

n. 1349 del 18 giugno) (2). In un colloquio avuto tempo fa con un legittimista austriaco che ha parenti nell'aristocrazia dell'Alto Adige, colloquio nel quale ho ottenuto da lui promessa di adoperarsi affinché dai parenti stessi si cerchino contatti con la Casa Ducale in Bolzano, egli mi ha detto che una delle ragioni della riserva dell'antica aristocrazia austriaca in quella provincia verso la nostra Monarchia è nel timore di non fare cosa gradita all'ex-Imperatrice seguendo un conegno più conciliante. A questo proposito credo qui opportuno porre per scritto quanto riferii verbalmente l'anno scorso a S. E. Grandi nei riguardi dei nostri rapporti con l'ex-Imperatrice: argomento che ha per noi, almeno per il momento, forse più importanza circa il di Lei influsso sull'aristocrazia delle nuove province che non circa una eventuale restaurazione asburgica, finora di assai problematica previsione. Dopo che l'ex-Imperatrice ebbe fatto visit!J, ai nostri Sovrani, il conte Colloredo-Mansfeld, che La aveva accompagnata in Italia ed era stato anche, a quanto mi confidò, ricevuto in udienza dall'E. V., mi chiese se avrebbe potuto rimetterei una esposizione sulla triste situazione finanziaria della sua ex-Sovrana, esposizione nella quale -egli si

Zl -Documenti diplomatici -Berle VII -Vol. XII

affrettò a aggiungere, evidentemente «pro forma» -non vi sarebbe stata alcuna richiesta di aiuti pecuniari. S. E. Grandi mi impartì verbali istruzioni di non dare per il momento seguito alla cosa, e il conte Colloredo, ex diplomatico provvisto di molta finezza e non privo di qualche intuito, non è più tornato con me sull'argomento quantunque io abbia dopo quel suo colloquio avuto occasione di parlargli assai spesso, mantenendo con lui ottime relazioni personali.

Come dicevo più sopra, una eventuale restaurazione asburgica si presenta per ora di assai problematica previsione. Aggiungo anzi che più che mai problematica è apparsa in questi ultimi tempi, nei quali, mentre il partito socialista è riuscito a mantenere le sue solidissime posizioni, è andata vigorosamente attuandosi una efficace propaganda nazional-socialista la quale, secondo tutti prevedono, invierà nella futura camera, ove finora quel partito non possedeva alcun seggio, quattro o cinque diecine di deputati, cioè un terzo dei complessivi mandati. D'altra parte anche più problematica appare qui una restaurazione monarchica non asburgica. Non vi sono altri partiti monarchici -a differenza dell'Ungheria -fuori dell'asburgico, e questo è quasi nullo così per quantità come per qualità. Vi è solo un legittimismo latente, specie tra la vecchia generazione, il quale tuttavia, più che la passata monarchia, rimpiange la forza e lo splendore di cui con essa aveva goduto il grande impero. Secondo ho sempre creduto e spesso riferito a codesto R. Ministero, una possibilità di restaurazione meno inattuale apparirebbe qui soltanto se essa avvenisse in Ungheria e dopo il suo avvento.

A ogni modo condizione necessaria, benché non sufficiente, per una restaurazione monarchica, rimane sempre una nostra completa intesa con la Francia su tale argomento, come in genere su ciò che riguarda l'assestamento di questa parte dell'Europa ove sono in gioco interessi tra i più delicati e più gravi per il nostro avvenire. Del che, del resto, trovo conferma nelle considerazioni del dispaccio cui rispondo.

(l) -Cfr. n. 159. (2) -Non pubblicato.
193

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

L. P. Londra, 4 agosto 1932.

Soltanto stamane, al mio primo mattino di Londra, leggo l'articolo che il Generale Italo Balbo ha scritto quattro giorni fa, sul Popolo d'Italia. Io sono partito sabato e l'articolo è comparso domenica.

Questo articolo è una canagliata. Il primo impulso è stato quello di afferrare la penna, con cui Balbo non ha dimestichezza se non attraverso i suoi amanuensi, e di rispondere per le rime, come so fare io, con un altro articolo, sulle colonne dello stesso giornale. Se infatti è lecito ad un Ministro in carica di scrivere, facendo pubblicamente degli apprezzamenti balordi e delle insinua

zioni maligne sull'azione svolta dal Ministro degli Esteri sino a quindici giorni fa -sarebbe più lecito a me che non ho più responsabilità di governo, di scrivere per difendermi pubblicamente ed aggiungere quello che penso sull'opera che nel fascismo e nel governo sta svolgendo questo signore.

Ed infatti il « primo atto » di vigliaccheria compiuto dalla politica estera italiana, da dieci anni a questa parte, è stato compiuto proprio dal Gen. Italo Balbo, quando a Ginevra, di f.ronte ad un progetto di risoluzione giudicato da lui stesso contrario agli interessi del Paese, egli non ha saputo rispondere, con tutto il suo alato coraggio, se non con un flebile voto di astensione, accanto al «no» secco della Germania e della Russia. Tu ci hai sempre insegnato che un fascista non si astiene mai, perché l'astensione è l'opinione degli eunuchi. Né io, pur trovandomi talvolta in situazioni delicate e difficili, mi sono mai comportato diversamente.

Sull'opportunità di questo articolo del Quadrumviro Balbo io non ho nulla da dire perché non sta a me di giudicare.

Sul contenuto dell'articolo posso dirti che esso contiene -poiché me ne intendo -una serie di bestialità e di inesattezze provincialesche, che dette ex cathedra, e cioè da un Ministro in carica, il quale ritorna dall'essere stato capo di una delegazione ad una Conferenza internazionale -non può certo giovare al Paese. Ma anche su questo non sta a me di giudicare.

Quello che mi interessa personalmente, e per il quale ti scrivo, e che ha profondamente ferito la mia anima di fascista, e di patriota, sono alcune frasi, a me dirette, di cui questo signore dovrà -presto o tardi -rendermi ragione.

Mi dispiace di aver affrettato la mia partenza. Se avessi atteso un giorno non sarei certo partito, per ora. Tu sai, caro Presidente, che io ho accettato senza entusiasmo di venire a Londra pur dicendo a tutti che ero soddisfattissimo. Questo giuoco è piccolo per il mio spirito. La vanità, che è gran parte di questo mestiere sciocco, non mi soccorre, perché non ne ho. Sono come un Comandante di Armata cui, durante la battaglia viene improvvisamente detto: «adesso comanda un battaglione». Io amo la politica, sono un uomo di partito, ho la nostalgia di dare cazzotti come una volta --e chi li ha ricevuti da me se li ricorda ancora. Sono venuto qui, disciplinato, perché tu me lo hai ordinato, e sereno, perché io non ho l'abitudine di sbattere la porta; quello che tu fai è sempre ben fatto, e pur avendo molto sofferto in questi quindici giorni, mi sono imposto uno stile, che so essere quello che ti piace. Credo che qui potrò rendere dei servigi utili al Fascismo e al Paese, e dare l'esempio di quello che può veramente fare un rappresentante fascista all'Estero, se ha sensibilità, fede, e intelligenza. Ma bisogna che non mi rompano le scatole, e non mi si costringa a tornare per prendere per il collo qualcuno che non sa perdonarmi di aver detto, come dirò sempre, che non riconosco e non riconoscerò mai nessuna altra autorità che non sia la tua, e nessuna gerarchia che non sia quella stabilita dallo Statuto del nostro Partito. Per questo, non appena io mi volto per andarmene, si cerca di mordermi al calcagno, urlando che si ha del coraggio. Da Te accetto ogni giudizio, anche il più duro. Ma da altri no.

Non è lecito scrivere che « ...l'Italia è stata vivamente applaudita a Ginevra, allorché le sue tesi non ferivano gli interessi concomitanti delle tre Potenze maggiori ecc. ecc... ».

Alla Conferenza Navale di Londra io ho detto per tre mesi di «no~ alla Francia, all'Inghilterra, all'America, al Giappone, tutti coalizzati insieme.

A Ginevra ho cominciato la mia azione, nel gennaio 1931, da solo giocando temerariamente, trascinandomi dietro la Germania nolente, contro la Francia e contro l'Inghilterra, e costringendo l'Assemblea ostilissima ad accettare l'entrata della Russia sovietica. Subito dopo, nel maggio, lottavo contro la Germania, con un «no~ secco nella questione dell'Anschluss, ma nello stesso tempo rifiutavo ogni solidarietà colla Francia, combattendo -da solo -il piano francese e quello tedesco insieme.

Nel settembre riuscivo ad imporre la tregua degli armamenti contro la Francia, contro l'Inghilterra e contro la Germania, che non ne volevano sapere e che l'ostacolavano ciascuna per motivi diversi. Unica prudente alleata fu in quell'occasione, l'America.

A novembre, in America, ho pronunciato una serie di discorsi, sulla dottrina fascista e sulla politica dell'Italia che nessun fascista ha mai osato di fare né in Italia né fuori d'Italia. Perché questo soprattutto ho sempre cercato: essere più duro nei miei discorsi all'estero, e cioè di fronte al nemico, che non in Parlamento o sulle colonne dei giornali italiani dove mi sarebbe stato troppo facile ottenere con poco coraggio, dei successi a buon mercato.

All'inizio della Conferenza del Disarmo ho presentato un «piano~ che era contro gli _interessi militari così della Francia, come dell'Inghilterra e dell'America e ho detto delle verità così dure che nessuna riunione internazionale aveva mai udito prima di allora. E durante sei mesi, come durante i lavori della Commissione preparatoria nel novembre 1931 non ho mai esitato a votare «no~ insieme colla Germania e colla Russia. Ciò è accaduto anche durante l'ultima riunione della Commissione generale -quando io e nessun altro, ha spinto la Germania ad osare, e sono riuscito, e tutta la stampa democratica ha gridato al blocco italo-tedesco-russo organizzato da Grandi. Perché il Generale Balbo non ha fatto questo?

E alla Conferenza danubiana di Londra, chi ha dato la famosa cornata, spezzando il binomio MacDonald-Tardieu, appena costituito, proprio qui a Londra, e ha mandato per aria il «progetto Tardieu ~. impedendo nel contempo alla Germania di profittarne, cosa che Von BUlow non ha saputo mai perdonarmi?

Da ultimo, nel bel mezzo della Conferenza di Losanna, non ho esitato un istante a rompere il fronte della così detta amicizia italo-britannica, e uare quel duro calcio negli stinchi al signor MacDonald, riuscendo ad ottenere così quelle due lettere segrete Chamberlain-Mosconi che costituiscono la no:sua salvaguardia circa il nostro debito di guerra verso la Gran Bretagna (1). E non è stata, per tre anni, base della mia azione quotidiana, costante, anche troppo monotona forse, la polemica senza quartiere contro la Francia?

E proprio a me si deve venire a parlare di coraggio, di lusinghe, di contatti ecc. ecc., proprio da chi è stato a Ginevra, per una settimana, chiuso nell'Hotel solo perché aveva paura della battaglia, lasciando a dei semplici funzionari la fatica di combattere? Informati, caro Presidente, di quello che è ac

caduto in quella settimana -ma con esattezza, -della baldanza, tutta nuovissima, con cui Herriot è salito alla tribuna, e di molti piccoli particolari che non sono edificanti per la nostra dignità di grande Potenza!

L'articolo di Balbo è stata una cattiva azione. E si vede anche troppo chiaro chi gli ha fornito il materiale per falsificare la realtà. Avrei preferito, in verità, scriverti d'altro, col mio primo corriere da Londra.

(l) Da ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Grand!.

(l) Sulle due lettere cfr. n. 145.

194

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. R. 811/121 R. Roma, 10 agosto 1932, ore 24.

Suo telegramma n. 108 (1).

Signor Litvinoff si è certamente reso conto fin dal princ1p1o che linea di condotta del Governo italiano nei riguardi del cosiddetto «patto consultivo , è stata determinata dalla evidente opportunità di impedire che iniziativa di Simon ed Herriot si cristallizzasse in un accordo di carattere prevalentemente franco-inglese. Utilità e tempestività della nostra adesione è stata del resto dimostrata dal disappunto francese. Essa ha infatti impedito speculazione del Quai d'Orsay su apparente intesa franco-britannica ed ha costretto Governo inglese a chiarire significato della iniziativa in un senso più vasto e generico di quello che sembrava essere nelle primitive intenzioni di Londra e di Parigi. Infatti Simon ha perfino accennato alla possibilità di esaminare problema della revisione dei trattati ed in una conversazione con incaricato affari tedesco sarebbe andato anche più in là, accennando come possibile materia d'esame le questioni della responsabilità della guerra e del corridoio polacco.

Per questi stessi motivi Governo italiano ha incoraggiato e visto con favore successive adesioni di altri Stati europei la cui partecipazione ha avuto per effetto di togliere al patto stesso qualsiasi significato anche apparente di un blocco antitedesco o antisovietico.

Dando la sua approvazione di principio Governo italiano si riservava naturalmente di chiedere delle precisazioni ed eventualmente discutere circa modalità di applicazione del patto di consultazione. Nel frattempo Governo tedesco si era rivolto a Londra per chiedere chiarimenti sulla portata reale del patto e questo ambasciatore di Germania ci ha comunicato il 25 dello scorso mese (2) che i chiarimenti dati da Londra erano stati ritenuti soddisfacenti e che pertanto il suo Governo aveva deciso di dare la sua adesione.

Da quanto ci risulta Simon si sarebbe espresso in modo evasivo circa eventuale adesione della Russia ed è evidente che né Governo britannico né Governo francese la desiderano.

Per parte nostra ci siamo finora astenuti dal porre a Londra il quesito concernente possibilità adesione dell'URSS anche perché non ci risultava se

codesto Governo avesse interesse di farlo. Qualora Litvinoff mostrasse desiderio di un nostro interessamento a Londra nei riguardi dell'URSS non mancherei naturalmente di esaminare possibilità di agire presso Governo britannico nel senso desiderato.

(l) -T. per corriere del 30 luglio, non pubbllcato. (2) -Cfr. n. 174.
195

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI UNGHERIA A ROMA, WODIANER

APPUNTO. Roma, 10 agosto 1932 (1).

Viene da parte del suo Governo per comunicazioni e suggerimenti.

Il Governo di Budapest, sulla scorta di informazioni pervenutegli in questi ultimi tempi, e che esso ha avuto la possibilità di vagliare, è giunto al convincimento che la Jugoslavia è ormai entrata in una fase di decomposizione. Questo convincimento si basa su tre ordini di fatti: l) l'esistenza di un complotto antidinastico e repubblicano tra gli ufficiali dell'esercito, di cui le condanne a morte di Serajevo e di Mariborg sarebbero state i primi segni rivelatori. Lo sgretolamento dell'esercito, la colonna della Corona, sarebbe in progressivo sviluppo; 2) l'intensificarsi del movimento separatista croato; 3) la incerta condotta politica del sovrano in questi ultimi anni, tutta a tentennamenti, a zig-zag, che stranamente somiglia a quella dell'imperatore Carlo nel 1918.

Il Governo di Budapest, preoccupato di questa situazione viene a proporre:

a) che i Governi italiano ed ungherese decidano di tenersi a stretto contatto per procedere ad un regolare ed assiduo scambio di informazioni.

b) che, in vista di un possibile precipitare degli avvenimenti in Jugoslavia, il Governo di Budapest invii a Roma una personalità che venga a collaborare col R. Governo nello studio delle misure da adottare in previsione.

Ho risposto all'Incaricato d'Affari che molte delle notizie da lui fornitemi erano pervenute anche a questo Ministero e che, pertanto, personalmente non credevo si opponessero difficoltà alla sua prima proposta relativa allo scambio d'informazioni, ciò che potrebbe servire di controllo. Quanto alla seconda proposta, mi riservavo di rispondere (2).

L'Incaricato d'Affari ha quindi portato il discorso sulle dichiarazioni fatte

da S. E. Balbo a Ginevra, dicendomi interpretarle come la prova della decisione

dell'Italia di ritirarsi da Ginevra. Ed ha continuato a tenere a lungo il discorso

sull'atteggiamento del R. Governo presso la Società delle Nazioni e sulla pro

babilità di una revisione della nostra politica in tale campo.

Gli ho risposto che su quanto mi veniva dicendo non v'era di fermo che le deliberazioni e le dichiarazioni contenute nell'ultimo comunicato del Gran Consiglio. Nulla di nuovo, nulla di deciso v'era al proposito se non quanto in quel comunicato l'alto Consesso aveva annunziato.

Avendo tentato ancora di insistere, malgrado l'ovvia delicatezza dell'argomento, ho chiuso il discorso dicendogli che questioni di una così alta importanza dipendono dagli sviluppi degli avvenimenti internazionali.

(l) -Il colloquio avvenne 11 giorno 9. (2) -Cfr. n. 197.
196

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

APPUNTO. Roma, 11 agosto 1932.

È venuto da me dietro mio invito. Alla vigilia di una trattativa importante come quella del prestito, sentivo il bisogno di mettere i punti sugli i relativamente a due questioni, una politica e una economica, che negli ultimi tempi avevano rotto la sincronia dei nostri rapporti.

a) Questione politica -Tewfik Ruschdi bey muove lagnanze per essere stato tenuto all'oscuro della decisione presa dall'Italia nei riguardi del patto di consultazione. Ho spiegato all'Ambasciatore le condizioni di urgenza in cui tale decisione aveva dovuto essere presa e gliele ho comprovate mostrandogli un riassunto del telegramma di chiarimento inviato dal Capo del Governo al nostro Ambasciatore a Mosca sullo stesso argomento (1). Non ha potuto non corivenire sulla giustezza delle nostre ragioni.

Dopo di che gli ho però a mia volta obiettato che una ben maggiore ragione di lagnanza avevamo noi verso il Ministro degli Esteri turco. Dopo due anni in cui l'Italia aveva dato alla Turchia tutto il suo appoggio per attenerne l'ingresso alla Società delle Nazioni -e quanto ciò fosse costato ben conoscevamo entrambi che ad Angora ci eravamo diviso il lavoro -Tewfik Ruschdi bey passava per Roma, visitava il Capo del Governo, aveva scambi di vedute sulle questioni politiche che interessavano i due Paesi e trovava conveniente celargli l'annunzio di un passo di tal genere prossimo a compiersi. Mi pareva difficile potesse esservi una possibilità di discolpa.

b) Questione economica -Tewfik Ruschdi bey dovrebbe essere pienamente cosciente del valore del prestito che l'Italia, in simili momenti, concede alla Turchia. In tali condizioni quale credito potrà concedere la Turchia al suo plenipotenziario che verrà qui a trattare se or son pochi giorni ha sconfessato l'opera di altri suoi delegati, presentati a questo Ministero dall'Ambasciatore turco a Roma, i quali avevano negoziato e già parafato il trattato relativo alla regolamentazione degli scambi tra i due paesi?

Anche su questo punto l'Ambasciatore non ha potuto fare a meno di convenire. Ha riconosciuto, che era urgente ristabilire i rapporti di piena fiducia

e mi ha assicurato che in tal senso, tenendo conto di tutto quanto io gli aveva comunicato, avrebbe telegrafato al suo ministro. Ha aggiunto pure che si sarebbe adoperato per ottenere il pronto invio dei plenipotenziari tanto per i negoziati interrotti da riallacciare quanto per i nuovi negoziati del prestito da intavolare (l>

(l) Cfr. n. 194.

197

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI UNGHERIA A ROMA, WODIANER

APPUNTO. Roma, 11 agosto 1932.

Ritornando sugli argomenti trattati nel nostro colloquio del giorno 9 u.s. (2), gli ho detto che per quel che concerne lo scambio di informazioni, avrei date istruzioni agli uffici, ma che nei riguardi della proposta di invio a Roma di una personalità per lo studio di un piano di azione da concertarsi insieme, ritenevo non essere la cosa opportuna, almeno per il momento.

Se l'ulteriore sviluppo della situazione lo avesse fatto apparire necessario, avrei riesaminato la proposta (1).

198

L'UFFICIO I DELLA DIREZIONE GENERALE EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (3)

APPUNTO. Roma, 11 agosto 1932.

Con riferimento all'acclusa lettera (4) dell'Agenzia di Trieste dell'Ufficio Viaggi c ILF ~. l'Ufficio I della Direzione Generale E.L.A. ha l'onore di comunicare che non ha nulla da obbiettare a che venga concessa qualche facilitazione di viaggio alla comitiva del Partito nazionalsocialista germanico.

Per quanto riguarda il proposito della comitiva stessa di rendere omaggio

a S. E. il Capo del Governo, si osserva che gli elementi che si hanno oggi sulla

situazione interna germanica sarebbero tali da far sorgere qualche dubbio circa

la sua opportunità.

I futuri rapporti fra il Presidente del Reich e l'attuale Governo di von

Papen da una parte e il partito nazionalsocialista dall'altra non sono ancora

delineati nel senso di una prevalenza degli hitleriani. Una visita di una comi

tiva nazionalsocialista a S. E. il Capo del Governo potrebbe quindi, in un certo

modo, essere interpretata come una intromissione nella politica interna germa

nica, marcando le simpatie dell'Italia per uno dei gruppi che oggi si conten

dono il potere; potrebbe quindi spiacere agli altri elementi di una eventuale

combinazione ministeriale. Occorre anche tenere in considerazione le tendenze

dell'attuale Cancelliere per un accordo con la Francia.

(l) -Annotazione a margine di Suvich: «Visto da S. E. il Capo del Governo 12 agosto 1932 -x l>. (2) -Cfr. n. 195. (3) -L'appunto è privo d! firma. (4) -Non si pubblica.
199

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, RAKIÉ

APPUNTO. Roma, 12 agosto 1932.

Rakich -Mi ha detto -dopo avermi parlato dell"Italia Centrale che egli afferma di conoscere meglio della Jugoslavia -che «l'Italia non avrà mai amici sicuri, né fra i croati, né fra gli sloveni, ma soltanto fra i serbi » che « nonostante la crisi interna politica ed economica, la Serbia resterà sempre la forza dominante e la più amichevolmente orientata verso l'Italia » che «sarebbe felice, se nel prossimo avvenire potesse vedere definitivamente migliorate le relazioni fra i due Paesi».

Gli ho detto che questo era anche il mio desiderio e gli ho accennato alla Commissione Mista che funzionerà fra poco.

200

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 2920/2079 R. Bucarest, 12 agosto 1932 (per. il 21).

I rapporti romeno-polacchi si sono vieppiù inaspriti. Il fatto nuovo è che il Governo polacco cerca adesso sottrarsi al suo impegno di non procedere alla ratifica del patto di non aggressione polacco-russo se non contemporaneamente alla conclusione di un analogo patto romeno-russo (mio telespresso

n. 672 del 10 luglio u.s.) (1).

Difatti, a malgrado che il signor Zalesky abbia convenuto nel luglio scorso col signor Titulescu, in Ginevra, la formula stessa dell'impegno suaccennato, il Governo polacco ha fatto qui notificare che esso non solo non ha inteso di assumere l'impegno in parola, ma che non può ammettere che il Governo romeno abbia potuto far cenno a detto preteso impegno nel comunicato ufficioso diramato qualche settimana fa (mio telespresso n. 735 del 27 luglio u.s.) (1).

Il segretario generale di questo ministero degli affari esteri, parlandomi in via strettamente riservata e confidenziale, mi ha commentato le notizie surriferite nel senso che la Polonia è ormai decisa a ratificare il suo patto di non aggressione con i Sovieti a prescindere dalla conclusione o meno di un analogo trattato romeno-russo, e che la ragione di tale atteggiamento è da ricercarsi nell'incoraggiamento che il Governo di Varsavia ha ricevuto dai prodottisi screzi fra Berlino e Mosca, a seguito dell'annunzio dell'avvenuta firma del patto polacco-russo, e nella sua viva speranza di poter riuscire, migliorando i rapporti fra Varsavia e Mosca, a dividere maggiormente Berlino da Mosca.

Ad ogni buon fine segnalo a V. E. che la progrediente separazione della Polonia dalla Romania nella questione dei rapporti con Mosca, ed il possibile conseguente isolamento di Bucarest rispetto a Mosca, non potranno non determinare la Romania a far tutto il suo possibile per conservare le clausole segrete annesse al trattato di amicizia italo-romeno, che scadrà definitivamente il 18 gennaio p.v.

Al riguardo credo poi opportuno far presente all'E. V. che la recente dichiarazione della Francia (mio telegramma n. 89 del 27 luglio) (l) di non procedere alla firma del suo patto con Mosca se non d'accordo con la Romania, comincia qui ad esser considerata lusinghiera nella forma, ma di scarsa importanza pratica, dato l'assai problematico aiuto militare che la Romania può effettivamente attendersi dalla Francia.

Difatti lo stesso mio autorevole informatore mi ha confidato essere ormai convinzione delle sfere dirigenti romene che se deve ritenersi problematico un aiuto militare da parte dell'alleata Polonia, in caso di operazioni militari sovietiche «circoscritte alla sola Bessarabia ~. è assolutamente da escludersi, nel caso prospettato, un aiuto militare francese. Malgrado ciò non si è qui perduta completamente la speranza che la Francia, la quale rendesi conto di tale stato d'animo romeno, possa finalmente ottenere da Mosca, fosse anche a costo di larghi finanziamenti, che parallelamente al patto franco-russo sia convenuto quello romeno-russo.

(l) Non pubblicato.

201

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 3090/1778. Vienna, 12 agosto 1932.

Stamane ho avuto un colloquio con Starhemberg.

Sulla situazione del suo partito si è mostrato ottimista e anche sulla propria posizione in esso, contrariamente alle asserzioni del ministro Jakoncig (mio telespresso n. 1776 dell'll agosto) (l). I vari gruppi provinciali lo seguono concordi, eccetto quello stiriano dal quale soma sempre un vento di fronda nazionalsocialista. Spera tuttavia di poter presto metter fuori i dissidenti e ristabilire anche in quella provincia l'unità e la disciplina. Circa Pabst egli si è convinto di quanto gli avevo più volte detto, e cioè che bisogna oramai diffidarne perché pagato dai Tedeschi vuole sfruttare le « Heimwehren ~ a vantaggio degli interessi di questi. Alla collaborazione di lui dovrà quindi forse rinunciare: mentre Starhemberg lavora per far approvare il protocollo sul prestito, Pabst fa pubblicare da questi giornali pangermanisti un comunicato per negare che egli si sia adoperato in tal senso e per affermare di aver agito in senso opposto. (Mio telespresso 1780) (1).

Del cancelliere Dollfuss è nel complesso contento. È intelligente abile e si mostra convinto della necessità di andare più a destra: un mutamento di

gabinetto non addurrebbe che un cancelliere più debole verso i socialisti, e la partecipazione di questi, se non diretta almeno indiretta, al governo. Anche per ciò egli ha fatto e fa tutto il possibile per l'approvazione del protocollo: se fosse data, Dollfuss ne uscirebbe rinforzato, mentre se non raccogliesse la maggioranza dovrebbe dimettersi. Tutte le difficoltà sarebbero sormontate se si riuscisse a assicurarsi il voto di due deputati heimwehristi che, guadagnati con ogni specie di intrighi da questa legazione di Germania, hanno assunto contegno di opposizione al governo e di disobbedienza a Starhemberg il quale da parte sua non ha alcun potere per obbligarli a rinunciare al mandato. Tuttavia egli spera sempre che Dollfuss riuscirà a condurre in porto n protocollo, nel che concorda qualcuno dei più noti deputati dell'ala destra cristiano-sociale con cui ho parlato in questi giorni.

Starhemberg progetta la costituzione di un blocco politico con l'ala destra di quel partito e ha già avuto al riguardo vari colloqui: un blocco di cui, per reazione ai nazionalsocialisti, sarebbe accentuato il carattere così cattolico come austriaco e che dovrebbe quindi avere l'appoggio anche del clero: se si riuscisse a rimandare le elezioni e a guadagnare così un anno di tempo è convinto che gli effetti della propaganda dei «nazi » in Austria si farebbero sentire sempre meno in modo da non consentir loro di inviare alla nuova Camera un gruppo troppo considerevole di propri deputati. In proposito si è fatto ricevere dal Presidente della Repubblica per cercare di evitare il pericolo che questi, se cade Dollfuss, offra il governo ai socialisti e sciolga il parlamento. Lo ha convinto dei danni che ne deriverebbero ai partiti borghesi, ma il Presidente, piccolo uomo di piccola mente, non pensa che agli articoli della costituzione e al loro rispetto letterale.

Si è infine riparlato delle armi e delle sovvenzioni. Circa le prime ha detto che il loro bisogno non è attuale. Giacché non ha potuto averle in luglio preferisce adesso soprassedervi in attesa della chiarificazione della situazione. D'altra parte con i danari c'è sempre modo di farsi mandare delle piccole mitragliatrici dalla Svizzera, leggere efficacissime e non care. L'importante è invece la questione dei fondi. Egli vuole intensificare la propaganda anche per contrastare quella nazionalsocialista, che è largamente provvista di danari dalla Germania. Mi ha consegnato i due fogli di istruzioni generali che accludo e parlato di altri suoi progetti per l'acquisto di qualche giornale che pur non essendo di grande diffusione riuscirebbe utile possedere. Mi ha altresì parlato della necessità di equipaggiare un po' meglio molti gregari. Se entro quattro settimane potesse ricevere tutta la somma da noi promessagli ne avrebbe grandissimo vantaggio. Vuoi rivedermi presto.

In considerazione delle voci di malcontento tra le «Heimwehren » verso di lui giuntemi in questi giorni (mio telespresso n. 1776 citato) ho voluto guadagnar tempo, per poter veder chiaro nella cosa. Gli ho addotto la difficoltà di trovare scellini in Italia, che d'altra parte conviene nel suo stesso interesse comprare costà perché più a buon mercato che non qui, e gli ho consegnato solo una parte della somma parziale rimessami da codesto R. Ministero: non potevo non dargli nulla in considerazione delle promesse fattegli costì e confermategli da me qui dopo il mio ritorno da Roma. Mi riservo regolarmi secondo quello che mi apparirà in seguito essere n meglio.

Che vi sia tra le «Heimwehren » il malcontento contro Starhemberg cul ha alluso il ministro Jakoncig con Morreale è assai verosimile. In questi tre anni di comando di Starhemberg le «Heimwehren » non hanno veduto crescere la loro forza e molto meno hanno effettuato quella marcia su Vienna di cui troppo spesso si è inutilmente parlato. D'altra parte n vantaggio attuale di avere qualche proprio ministro nel gabinetto ha il suo rovescio nei danni della propaganda nazionalsocialista. Di tutto ciò non si può addossare la responsabilità solo su Starhemberg, ma è umano si voglia trovare qualcuno cui gettarne la colpa che è invece un po' di tutti e fargli far la parte di capro espiatorio. Oltre a ciò la disciplina non è tra le maggiori qualità degli Austriaci, e la presente costituzione repubblicana, che ha tanto decentrato il potere, ha rafforzato le velleità autonome delle varie province. Non è tuttavia detto che se per esempio Jakoncig pigliasse il posto di Starhemberg le cose andrebbero meglio. Ché anzi, quali che possano essere le qualità e attitudini di quello, è probabile che meno seguito riuscirebbe ad avere nelle varie province questo piccolo avvocato di Innsbruck, che nato a Capodistria aveva dopo la guerra acquistato «ipso jure » la nazionalità italiana ed è dopo tornato a essere suddito austriaco. Non conosco ancora bene n Jakoncig, che fino alla sua nomina a ministro qualche mese fa aveva vissuto in Tirolo. Fa impressione di persona non priva di intelligenza seria equilibrata e energica: durante la guerra ha combattuto con molto valore. Mi sembra compt"endere che desideri di sostituire Starhemberg ne avrebbe e grandi, e non mi maraviglierebbe che l'invio, come suo messo, a Roma del dott. Malzacher (allego copia della commendatizia da me rilasciatagli per il capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo), quale che sia lo scopo apparente, avesse quello di sondare le nostre acque e vedere se si potrebbe far assegnamento sul nostro appoggio non solo morale bensì anche materiale: il Jakoncig sa che Starhemberg ci ha chiesto fondi e che noi non abbiamo opposto una negativa di massima. Con ciò non voglio dire che il Jakoncig sia in mala fede quando desidera sostituire lo Starhemberg e che pensi solo al proprio vantaggio morale e materiale. Ma è molto facile credere con la maggiore buona fede che i vantaggi collettivi coincidano con i personali. Già qualche mese fa un fiduciario ungherese mi venne ad accennare a tale progetto e mi chiese la mia opinione. Io gli dissi che almeno per il momento vi ero contrario. Cambiare, senza la sicurezza del meglio, è pericoloso, specie in un'organizzazione come le « Heimwehren » dove si riflettono le velleità autonomiste delle varie province cui accennavo più sopra. Quali che siano stati gli errori di Starhemberg e quali che siano i suoi difetti, è certo ch'egli è persona seria, retta, convinta, che ha speso parecchi milioni per la causa riducendosi nelle attuali difficoltà finanziarie, che ha qualità di oratore popolare, porta un titolo principesco e possiede grandi proprietà terriere ciò che ha sempre molto influsso sulle masse dei contadini tra le quali si reclutano la maggior parte delle «Heimwehren » ed ha infine un nome tra i più illustri nella storia di Austria. Molti di questi requisiti non li ha Jakoncig, e d'altra parte non risulta sicuramente che ne possegga altri che li compensino. A ogni modo noi dobbiamo tenerci fuori da queste che sono pure questioni interne e attendere a vedere che sviluppi la cosa prenderà in seguito. Il volere fin da ora intervenire potrebbe non servire alla causa delle << Heimwehren » e danneggiare la nostra, senza poi contare che se riuscissimo a ottenere la sostituzione, non saremmo sicuri che questa, come dicevo più su, sarebbe il meglio che si potrebbe conseguire. Osservavo all'Ungherese che sarebbe piuttosto opportuno esaminare l'eventualità di facilitare una collaborazione di Jakoncig con Starhemberg, mediante la quale si avrebbero i vantaggi del concorso dell'opera di quello senza i danni della rimozione di questo dal supremo comando.

Del resto già in proposito feci tempo fa qualche allusione a Starhemberg che non si mostrò in massima contrario a valersi maggiormente dell'opera di Jakoncig che apprezza. Occorrerà per ora attendere qualche giorno per vedere che cosa avvenga con il protocollo per il prestito e conseguentemente con l'attuale gabinetto. Dopo che la situazione sarà chiarita in un senso o nell'altro, dopo cioè che o il gabinetto avrà conseguito la maggioranza e si sarà quindi alquanto rafforzato o non la avrà ottenuta e si sarà quindi dovuto dimettere, si dovranno esaminare le ripercussioni che l'una o l'altra eventualità avrà avuto sull'organizzazione delle «Heimwehren », e dalla nuova situazione così creatasi potranno con meno incertezza trarsi le conseguenze. Mi propongo al riguardo di procurarmi allora un colloquio con Jakoncig.

Intanto qualora il suo messo dott. Malzacher venendo costì ci chiedesse consigli e aiuti stimerei opportuno fargli accoglienze gentili, tenersi sulle generali e non prendere per il momento alcun impegno: non vi sarebbe utilità di attirarsi il malcontento di Starhemberg e di legarsi a una soluzione che gli ulteriori avvenimenti dovessero far apparire dannosa tanto agli interessi delle «Heimwehren » quanto ai nostri. Noi potremmo intanto, qualora codesto R. Ministero vi consentisse, dire al dott. Malzacher, nel caso toccasse l'argomento, quello che ho già detto qui negli anni scorsi ad altri i quali erano venuti a chiedermi il nostro appoggio per rovesciare Starhemberg e prenderne il posto, e cioè che noi abbiamo sostenuto le «Heimwehren » e continuiamo a sostenerle, ma che non vogliamo intervenire nella questione della loro suprema direzione, questione che lasciamo alla decisione degli stessi dirigenti del partito: questi meglio di noi devono sapere quale sia la persona più adatta a guidarne le sorti.

(l) Non pubblicato.

202

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3299/1340. Londra, 13 agosto 1932.

Mi onoro segnalare a V. E. due articoli, che unisco al presente telespresso, comparsi nel Times del 12 corrente, circa l'attuale situazione in Abissinia.

Sia il corrispondente da Addis Abeba come il redattore stesso del Times nell'articolo di fondo si mostrano in sostanza, molto favorevoli alla politica sino ad ora svolta dal Negus che, con la sottomissione di Ras Gugsa e Ras Hailù, è riuscito a distruggere le basi del sistema feudale sino ad ora vigente in Etiopia. Notano pure come in seguito alla recente politica del Negus ed alle continue leggi e riforme da esso proposte ed applicate, specie per la schiavitù, l'Etiopia si vada avviando verso un periodo di maggior civilizzazione che dovrebbe escludere ogni idea di un mandato su quelle regioni da parte di una Potenza Europea (1).

203

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI (2)

L. P. Roma, 14 agosto 1932.

Ricevo la tua lettera circa l'articolo di Balbo (3). Non bisogna drammatizzarlo. Fu da me approvato, previa conveniente censura di alcuni periodi eccessivi. Il signor Simon ha, meno di chiunque altro, il diritto di lagnarsi. Egli ha giocato doppio a Losanna e ci ha tirato un colpo mancino.

Se qualcuno -Balbo o altri -afferma che la conferenza di Ginevra almeno nella sua prima fase è fallita -in conseguenza del pateracchio anglo-franco-americano cucinato nella salsa leguleia del signor Benes -quel qualcuno dice la verità. Tu sei fuori questione. Tu hai eseguito le mie istruzioni.

*Su tutto il resto della tua lettera potremo parlare a voce* ( 4).

204

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 2878/381 R. Parigi, 15 agosto 1932 (per. il 17).

L'impressione si è generalizzata, in queste ultime settimane, nei circoli locali -pubblici, diplomatici, militari, giornalistici, -che siamo nuovamente in un periodo di non buone relazioni tra Italia e Francia. L'origine di questo stato di fatto può fissarsi al giugno-luglio uu.ss. ossia agli eventi di Losanna e di Ginevra. I suoi episodi significativi sono stati finora i seguenti: -Le polemiche delle due stampe al riguardo dei rispettivi atteggiamenti alle due conferenze di Losanna e di Ginevra; -l'articolo, preannunciato ma non stampato, di Gioventù Fascista del giugno scorso, con rilievi alla persona del presidente Herriot che questi (estremamente sensibile) ed il suo entourage molto risentirono; -l'incidente Renaudel a Ginevra con tutta la susseguente fanfara antifascista della stampa socialista francese; -le interpretazioni unilaterali francesi al rimaneggiamento ministeriale italiano; -l'atteggiamento italiano nella votazione della risoluzione Benes alla conferenza pel disarmo; -l'articolo del generale Balbo sul Popolo d'Italia; -le manovre navali italiane.

(-3) Cfr. n. 193. (-4) Il brano fra asterischi è aggiunto a penna da Mussollnl.

Si deve tener presente, quale elemento psicologico importante, che tutto ciò avviene in una situazione francese disagiata politicamente (il Gabinetto Herriot cerca il dis-isolamento francese mediante avvicinamenti a Inghilterra e ad America, ma non riesce ad afferrare di più di ciò che tecnicamente chiamasi « l'atmosfera »; quando arriva a stabilire qualche fatto positivo, ad es. l'associazione francese all'iniziativa britannica per una consultazione sulle questioni europee derivanti dal trattato di Versaglia, rovina la sua stessa opera con auto-esagerazioni resegli necessarie dalle contingenze politiche interne; -quando il segretario di Stato americano interpreta ad uso americano il patto Kellog-Briand e quasi ne prepara la sostituzione eventuale al patto della Società delle Nazioni il Qual d'Orsay si accoda a queste manifestazioni con un'approvazione che mentre riceve ringraziamenti significativi, ma eventualmente sfruttabili ad uso proprio, è seguita immediatamente da vive insistenze del presidente Hoover pel disarmo e per la non cancellazione dei debiti di guerra); -disagiata finanziariamente (non si riesce a concretare un adeguato piano di fronte alle esigenze del bilancio e del Tesoro).

Fatti internazionali e situazione francese concorrono così alla realizzazione di una sensazione positiva quale è quella attuale di un sensibile peggioramento nelle relazioni tra Francia ed Italia.

Un risultato di questa situazione è per ora l'aumentato interessamento della stampa e dell'opinione generale francese alle cose italiane. Un altro risultato è la sensazione che si generalizza in alcuni ambienti ed in alcune persone, che oramai l'Italia sia passata nel campo avverso, ovvero che si sia ormai dinnanzi a un quasi irreparabile distacco fra i due paesi. Nelle sfere pensanti e responsabili perdura il senso che bisogna far qualcosa per « riprendere » l'Italia, ma non si sa cosa fare; non si crede che gli irresponsabili lo permetteranno; non si è disposti ad adeguati sacrifizi. Ed allora è facile il rifugio nella soluzione dello stringimento di spalle o in quella della formula: «l'Italia verrà da sé alla str~tta degli eventi».

(l) -Annotazione a margine dell'ultima frase, di mano non identificata: «Avviso a chi tocca» (2) -Da ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Grandi.
205

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 3149/1816. Vtenna, 16 agosto 1932 (per. il 22).

Mio telespresso n. 1778 del 12 agosto (1).

Sono stato oggi a visitare il ministro per l'Industria e le Comunicazioni Jakoncig e ho avuto un'ottima impressione del colloquio.

Jakoncig ha innanzi tutto spontaneamente riconosciuto che non può oramai assolutamente pensarsi alla sostituzione di Starhemberg ed è stato lieto di udire che tale era anche la mia convinzione. Malgrado i difetti e gli errori di quello, ha riconosciuto le stesse qualità che io apprezzo in lui, e i vantaggi derivantigli dalla sua posizione e dal seguito che tuttora ha nelle cam

pagne; ha dichiarato che un mutamento nella direzione suprema delle «Heimwehren , vorrebbe ora dire la fine delle stesse. Egli nota, di fronte agli sbagli commessi in passato da Starhemberg, un gran miglioramento nelle direttive che impartisce e nell'azione che svolge, soprattutto per questo: che mentre prima appariva tentennante ora lo si vede seguire una linea di decisione e di ragione. Gli ho detto dei consigli pratici da me datigli in conformità delle istruzioni di massima di V. E. ed egli si è manifestato convinto del favorevole orecchio che a essi presta adesso Starhemberg e degli utili risultati che ne conseguono. Della questione dei fondi non ha parlato; ha parlato invece di quella delle armi e si è ripetuto contrario al loro invio per le note ragioni, aggiungendo, giustamente, che non la fornitura di armi importa bensì la preparazione degli animi.

Circa la situazione del gabinetto si mostra piuttosto pessimista. Il cancelliere Dollfuss si è comportato lealmente verso le « Heimwehren, alle quali aveva segretamente promesso la concessione di un altro portafogli, e cioè quello della Polizia, se con il concorso di tutto il loro gruppo parlamentare fosse riuscito a fare approvare il protocollo per il prestito. Senonché, com'è noto, vi sono due o tre deputati heimwehristi che si manifestano contrari: chi dice perché divergono nelle idee e chi perché hanno preso danari da questa legazione di Germania. Ora Dollfuss non può rinunciare all'approvazione del protocollo stesso, e se quei deputati heimwehristi persistono nel loro rifiuto sarà forse costretto a patteggiare con i socialisti ottenendo che nella prossima votazione due o tre dei loro si diano per malati. Ma se il prezzo che i socialisti ponessero fosse quello del rinvio del rappresentante heimwehrista Jakoncig dal gabinetto, chi potrebbe, diceva questi, farne colpa al Cancelliere, considerato quanto precede?

La questione si deciderà, secondo le previsioni del Jakoncig, nel corso di questa settimana. Ma ad ogni modo, sia che egli rimanga nel gabinetto sia che ne esca, non si mostra pessimista circa la situazione del suo partito. Sul programma da svolgere in esso così nell'un caso come nell'altro le nostre idee hanno coinciso. Occorre fare un'accurata revisione dei seguaci serbando soltanto i fedeli e decisi: la qualità deve avere il sopravvento sulla quantità, e l'esempio dei deputati heimwehristi dissidenti ne è conferma. E poi e sopratutto occorre formulare un chiaro programma di carattere austriaco, per differenziare nettamente le « Heimwehren » dai « nazi », programma che ha la sua base naturale nella convinzione della maggior parte di questa opinione pubblica la quale è nel fondo del suo cuore contraria all'annessione. Starhemberg era stato al riguardo alquanto incerto nei suoi discorsi di fino a poco tempo fa, ma Jakoncig notava che in queste ultimissime settimane le idee di lui si erano andate chiarendo e precisando in proposito in senso antiannessionista secondo i nostri suggerimenti. Nell'attuazione del programma stesso occorrerà assicurarsi l'appoggio dell'ala destra del cristiano-sociali e del clero.

Ho detto a Jakoncig che avevo suggerito a Starhemberg di valersi della sua collaborazione e che Starhemberg mi aveva dati buoni affidamenti. Jakoncig me ne ha ringraziato e mi ha promesso di venirmi presto a visitare per discutere con me sull'ulteriore svolgimento del programma dopo chiarita l'attuale situazione delle «Heimwehren » nel gabinetto.

(l) Cfr. n. 201.

206

IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Roma, 18 agosto 1932.

Mi affretto ad inviarle, qui uniti, alcuni documenti (un rapporto utficiale e due appunti strettamente personali) che avrei voluto illustrarle verbalmente, se avessi avuto la fortuna di vederla.

La ringrazio vivamente della Sua benevola lettera di stamane.

Con piena serenità attendo il Suo giudizio, avendo la sicura coscienza di non essere mai venuto meno ai miei doveri verso il Duce, verso il Regime, verso l'Italia.

Confido, in ogni modo, che V. E. vorrà accordarmi la facoltà di difendermi, facendomi conoscere le accuse che sono state formulate contro di me. E confido sempre nella benevolenza di V. E., che spe·ro non muterà, come

non muterà mai la fedeltà e la devozione del Suo ...

ALLEGATO I

RIPRESA DELLA CONFERENZA DEL DISARMO

APPUNTO PERSONALE RISERVATO.

La seconda fase della Conferenza del Disarmo si annunzia forse ancor più ditficoltosa della prima per l'Italia che -astenendosi dal votare la risoluzione Benes -si è risolutamente collocata all'infuori, se non proprio in opposizione, con la direttiva generale sulla quale i lavori della Conferenza riprenderanno nella seconda metà di settembre: direttiva che ha, come punto di partenza, la risoluzione votata a maggioranza il

~~~ \

A Ginevra non si ignora che una posizione di intransigenza non può resistere per molto tempo alle lusinghe dei contatti, alle coercizioni di coscienza. Sarà quindi forse opportuno considerare, data la situazione ginevrina quale appare dalle obbiettive constatazioni fatte dal Sottosegretario Generale italiano alla Società delle Nazioni, e da lui prospettate coscienziosamente in questi ultimi cinque anni al R. Ministero degli Affari Esteri, se convenga lasciarsi attirare nuovamente nelle spire della Conferenza. dalle quali sarà sempre più ditficile districarsi impunemente; o se non sia preferibile «avere il coraggio dell'impopolarità e della durezza» scegliendo la via dell'uscita dalla Società delle Nazioni e dalla Conferenza del Disarmo.

Se la tutela dei supremi interessi dell'Italia dovesse consigliare una simile linea di condotta, i rappresentanti del R. Governo a Ginevra, sia nelle riunioni dell'Ufficio di Presidenza della Conferenza del Disarmo (seconda metà di settembre) come in quelle dell'Assemblea (fine settembre), potrebbero dichiarare esplicitamente il loro disinteresse nella discussione delle varie questioni. Nell'ultima seduta plenaria dell'Assemblea (principio di ottobre), potrebbero poi affermare che l'Italia, non potendo più prestar fede alle ipocrisie e agli inganni della Società delle Nazioni, in genere, e della Conferenza del Disarmo, in ispecie, preferisce, per ragioni di lealtà di fronte a se stessa e al mondo, uscire dall'Istituto ginevrino, proponendo una lunga tregua generale delle Conferenze internazionali.

22 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

ALLEGATO II

RELAZIONI ANGLO-ITALIANE

PROMEMORIA RISERVATISSIMO.

Al termine dell'ultima fase della Conferenza del Disarmo, ho avuto occasione di parlare con alcuni autorevoli membri della Delegazione britannica, e ho cercato di sondare le loro impressioni sull'atteggiamento tenuto dall'Italia in materia di disarmo e sul presente stato delle relazioni anglo-italiane.

Da uno scambio di vedute avuto con l'On. Noel-Baker (laburista, Segretario di Henderson), con Sir Herbert Samuel e col Signor Cadogan, ho ricavato la netta impressione che gli inglesi comprendono la nostra recente linea di condotta. Essi non possono rifiutarsi di ammettere che l'Italia non è stata trattata come avrebbe dovuto esserlo, sia a Losanna, nella questione delle riparazioni e dei debiti, sia a Ginevra nella Conferenza del Disarmo, sia infine nell'accordo anglo-francese proclamato a Parigi e a Londra.

Il Signor Cadogan, Segretario generale della Delegazione britannica e braccio destro di Simon, col quale ho avuto un colloquio molto franco in materia, non ha potuto anche lui non convenirne, e ha espresso la speranza che la situazione possa in qualche modo presto cambiare.

Egli mi ha manifestato il suo rincrescimento per le dimissioni di s. E. Grandi che in Inghilterra gode di universali simpatie.

Parlandogli allora della nomina di Grandi quale Ambasciatorf.! a Londra, gli ho detto che gli Inglesi dovevano anzi essere lieti di vedere che il compito di esercitare l'inevitabile reazione al cattivo trattamento fatto all'Italia tanto a Ginevra quanto a Losanna, non [sic] fosse riservato a persona grata a loro. L'Italia si era messa in prim!!linea nel sostenere la necessità del « colpo di spugna » e nello svolgere una tesi che conveniva, ancor più che a noi, agli interessi inglesi. Ma l'Inghilterra, all'ultimo momento, l'aveva abbandonata: conversazioni a tre con Francia e Germania; mancato appoggio nella questione dei debiti, ecc. E più tardi si verificava un'altra mancanza di riguardo con la proclamazione simultanea da Londra e da Parigi del patto anglo-francese. Mi pareva che dalla vecchia amica Inghilterra l'Italia poteva aspettare un trattamento migliore. Si sarebbe potuto per esempio attendere -prima di concludere il patto consultivo con la Francia -che l'Italia ne fosse stata informata e avesse avuto modo di far conoscere il suo pensiero.

Se -come io non dubitavo -l'adesione cordiale dell'Italia al patto era desiderata dal Govemo Britannico, questa mi pareva la via che avrebbe dovuto essere correttamente seguita: e non già la proclamazione dell'accordo alla Camera dei Comuni lo stesso giorno in cui la notizia -e il conseguente invito all'Italia -venivano comunicati al R. Incaricato d'Affari a Londra.

Cadogan non poteva non riconoscere che vi era da parte mia un fondo di ragione.

Passando poi a parlare della Conferenza del Disarmo, ho detto a Cadogan che l'Italia era venuta incontro all'idea del disarmo con la massima sincerità e perfino con un certo tenace entusiasmo. Essa l'anno scorso aveva fatto la proposta della tregua. All'inizio della Conferenza, aveva presentato un progetto sostanziale che tuttavia non era stato accolto. Più tardi, alla proposta Hoover, V. E. aveva dato la sua immediata adesione, a prova di buona volontà e di spirito di sacrificio. Ma il progetto Hoover era stato in fondo respinto dall'Inghilterra. Per la preparazione della risoluzione Benes, l'Italia era stata chiamata solo negli ultimi giorni a far parte delle conversazioni private, e cioè quando già le linee essenziali del progetto erano state concordate fra Inghilterra, Francia e America.

Questo trattamento ingiusto non poteva non provocare una certa reazione nell'opinione pubblica italiana e il Governo, da parte sua, non poteva non tenerne conto.

V. E. invece, secondo una mia idea della quale non avevo alcuna prova e che poteva anche risultare infondata, nonostante la sua verisimiglianza, aveva voluto dare ugualmente una prova del Suo desiderio di migliorare i rapporti con l'Inghilterra, inviando alla Corte di St. James la persona nella quale gli inglesi hanno la massima fiducia, nella speranza che presto si possa superare il presente stato di disagio.

Cadogan a questo punto ha osservato: «Posso dire che la nomina di Grandi è il più grande regalo che potevate farci, perché quello che Roma perde lo guadagna Londra». Gli ho risposto che a mio avviso tanto Roma quanto Londra guadagnavano; poiché V. E., nell'inviare a Londra una persona che gli inglesi considerano come il loro più grande amico, lo faceva nella certezza che, attraverso questa amicizia. S. E. Grandi avrebbe certo saputo ottenere dal Governo britannico quegli atti necessari a riparare l'impressione di delusione che il popolo italiano aveva risentito in queste ultime l'ettimane.

207

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 19 agosto 1932.

Ho pregato l'Ambasciatore di Germania di passare da me e gli ho comunicato la risposta che nell'appunto di ieri {l) S. E. Suvich sottopose all'approvazione di V. E.

Ho detto, cioè, a Von Schubert che circa il primo punto, relativo allo scambio di vedute sull'atteggiamento da tenere nella conferenza per gli Stati danubiani, ci metteremo in contatto attraverso le Cancellerie non appena avremo avuto la possibilità di esaminare la cosa in modo esauriente e che circa le altre due questioni, quella della revisione dell'accordo italo-tedesco sulle valute e quella della ripresa della discussione sugli scambi commerciali, noi siamo ben disposti a riprendere presto le trattative ma riteniamo difficile poter indire il convegno nei prossimi giorni dato il lavoro preparatorio che è tuttora in corso.

Von Schubert ha poi fatto nuove insistenze perché acconsentissimo a far venire a Roma il signor Posse, ma io gli ho ancora opposto la impossibilità nella quale ci troviamo di poter esser pronti a negoziare nella prossima settimana.

Alle sue ripetute raccomandazioni di procedere con urgenza, ho risposto promettendogli di sollecitare il corso della pratica e di dargli appena possibile una comunicazione in proposito.

208

L'UFFICIO ALBANIA A... (2)

APPUNTO. Roma, 19 agosto 1932.

Gli accordi di Tirana del 24 giugno 1931 per i quali l'Italia ha concesso una serie di prestiti gratuiti allo Stato albanese stabiliscono che tali prestiti «l'ammontare dei quali non sarà mai superiore a dieci milioni di franchi oro per esercizio, dovranno essere diminuiti proporzionalmente all'ammontare dei redditi e alla diminuzione delle spese di qualsiasi natura dello Stato albanese».

Ne deriva il nostro diritto di controllo sul bilancio dello Stato albanese

gmcché a seconda di tale bilancio varia l'entità e la de::;tinazione del nostro

apporto finanziario.

Con l'acclusa nota (l) il Ministro di Soragna prende posizione per sempre meglio riaffermare tale controllo. Non c'è che attendere la risposta del Governo albanese per vedere lo sviluppo che prenderà la cosa.

(l) -Non rinvenuto. (2) -n destinatario dell'appunto non è indicato.
209

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA (2)

TELESPR. 225419. Roma, 19 agosto 1932.

Con telespresso in data 5 agosto corrente, il R. Ministero delle Colonie comunica:

«Il Governatore della Somalia, riferendosi alle informazioni già date dalla

R. Legazione d'Italia in Etiopia circa alcune riunioni che si tengono ad Argheisa (nel British Somaliland) tra delegati britannici ed abissini della Commissione per il confine anglo-etiopico in Somalia, telegrafa quanto segue:

«Sarebbe accertato che delegazione britannica delimitazione dei confini Etiopia-Somaliland richieda riconoscimento diritto pascolo tribù suddite Somaliland anche nella zona Ogaden esterna linea nostre occupazioni fino Gorahei. Come è noto, Inghilterra erasi già riservata zona pascolo e pozzi nel territorio intercorrente fra la linea segnata nel protocollo anglo-etiopico del 14 maggio 1897, e quella del protocollo anglo-italiano 5 maggio 1894, entrambi richiamati nella convenzione di Londra 13 dicembre 1906 e confermati nei nostri rapporti dallo scambio di note 14-20 dicembre 1925. Eventuale riconoscimento tale riserva

o peggio ancora sua eventuale estensione, comprometterebbe gravemente nostri interessi nella zona etiopica antistante linea nostre presenti occupazioni e impedirebbe qualsiasi ulteriore sviluppo espansione nostre popolazioni nella sfera d'influenza riservataci dalla convenzione e dallo scambio di note anzidette. Riterrei necessario interessamento Ministero Esteri per evitare previsto danno questa colonia».

Pur essendo inesatti i richiami del Governatore della Somalia ai precedenti diplomatici elencati nel telegramma su riferito, ritengo di dover richiamare l'attenzione di codesto R. Ministero sulla delicata questione di una eventuale delimitazione dei diritti di pascolo dei sudditi britannici in Ogaden. Tale questione è strettamente collegata con quella della partizione delle sfere d'influenza in Ogaden secondo il protocollo anglo-italiano 5 maggio 1894 ed il nostro punto di vista al riguardo rimane quello che in occasione dell'incidente di Uardere fu esposto nel telegramma n. 294 del nostro delegato nella Commissione italobritannica pel confine somalo, telegramma che fu comunicato a codesto R. Ministero con telespresso 40019 del 13 gennaio 1930.

È quindi nostro massimo interesse che le discussioni di Arghesia siano attentamente seguite, in relazione anche al paragrafo 8 dell'accordo per i diritti di pascolo che costituisce l'allegato B (appendice I) all'accordo Cerulli-Stafford. Ciò, si intende, per poter eventualmente fare in tempo le nostre riserve a Londra in base ai diritti riconosciutici dal protocollo 5 maggio 1894 ».

Si trasmette in allegato, copia del citato telegramma 294 inviato in data 31-12-1929 dal Cav. Cerulli, allora delegato italiano per la delimitazione dei confini fra Somalia Italiana e Somaliland in occasione dell'incidente di Uardere.

Questo Dicastero prega la S. V. di voler impartire istruzioni al R. Console nello Harrar di cercare di seguire in quanto possibile le conversazioni di Argheisa, allo scopo particolarmente di appurare se in esse si progettino accordi circa il riconoscimento alle tribù del Somaliland britannico di diritti di pascolo oltre confine.

V. S. vedrà inoltre se sia il caso di intrattenere sull'argomento anche codesto Ministro britannico domandandogli qualche notizia circa le trattative di Argheisa.

In base agli elementi che sarà possibile raccogliere questo Ministero esaminerà l'eventualità di presentare formali riserve onde salvaguardare i diritti derivantici dal protocollo anglo-italiano 5 maggio 1894.

ALLEGATO

CERULLI AL MINISTERO DELLE COLONIE

T. s. 294. 31 dicembre 1929.

Rispondo al telegramma di V. E. n. 8282. Anzitutto premetto che in questo telegramma esaminerò questione Uardere soltanto dal punto di vista dei rapporti italainglesi in relazione noto incidente. Condizioni di quella regione Somalia meridionale sono note: partendo dalla attuale linea nostre bande al di là di Galadi non vi sono pozzi sino a quelli della linea Ualual Uardere; egualmente dal territorio britannico oltre Bohotle non vi sono pozzi sino a Ualual Uardere. Tanto sudditi italiani quanto sudditi britannici che intendano fuori delle linee delle rispettive occupazioni accostarsi allo Ogaden, debbono in questo settore bere a Uardere.

A tale stato di fatto contrappongonsi differenti condizioni di diritto derivanti:

1°) Dalle consuetudini tribù somale perché mentre uso pozzi Ualual Uardere fu tradizionalmente comune agli Ogaden Macabul ed ai nostri Migiurtini Ogaden, tribù Somalia britannica non (dico non) hanno avuto mai alcun diritto (dico diritto) di bere quei pozzi.

2°) Da trattati vigenti perché nostro trattato con l'Etiopia del sedici maggio 1908 non (ripeto non) ha riservato ai nostri sudditi alcun diritto pascolo e abbeverata oltre la linea dell'accordo Nerazzini; lettera ras Maconnen del quattro giugno 1897 che regola condizione tribù suddite britanniche in Etiopia dà a quelle libertà di «passare la frontiera e pascolare il loro bestiame » con le sole restrizioni che esse tribù debbano <( obbedire il governatore del paese in cui trovinsi e che i pozzi che sono nelle vicinanze debbano restare aperti per entrambe le parti». Ora non vi è dubbio che oltre Bohotle i pascoli dello Haud Ogaden dipendono da pozzi di Uardere.

3°) Dal Tripartito che, se nel suo articolo primo comma b) riconosce accordo Rennell Rodd-Maconnen, comprende d'altronde, in base ai suoi articoli primo comma... e quarto comma b), la regione dove è Uardere nella zona in cui sono riconosciuti interessi italiani. Perciò tribù britanniche spostandosi a pascolare nella zona a sud dell'Bo parallelo trovansi a vivere in territorio dove Governo italiano ha interessi riconosciuti dal Governo britannico.

Da tale condizione di cose mi sembra derivi chiaramente quanto segue: il fatto che tribù suddite britanniche pascolino in territorio Ogaden non si giustifica con precedenti diritti di quelle tribù, ma è soltanto conseguenza di una concessione del Governo etiopico che nel Tripartito è stata, come tale, riconosciuta senza che essa intacchi menomamente la definizione delle sfere d'influenza.

Perciò fino a quando tribù britanniche pascolano in territorio etiopico e «ubbidiscono al governatore etiopico regione eccetera », solo governo etiopico può contestare i limiti della generica concessione da esso fatta nel 1897. Noi non possiamo contestare sudditi britannici libertà accesso a questo o a quel pozzo nominativamente (nè naturalmente riconoscerla) se non in quanto contestiamo appartenenza all'Etiopia di quel pozzo stesso (vedi comma primo mio telegramma precedente n. 209). Possiamo però pretendere che quello che Governo britannico considera legittimo esercizio di tale concessione fattagli dall'Etiopia, non arrechi alcun danno ai legittimi interessi dei nostri sudditi in una zona dove il Tripartito stesso riconosce nostro diritto a salvaguardarli (vedi comma secondo mio telegramma precedente n. 209).

Perciò, premesso che è più che utile (a mio parere) non chiamare in causa Addis Abeba nè direttamente nè indirettamente nella soluzione dell'incidente di Uardere, sono d'opinione che è conveniente trattare e decidere con delegazione britannica detto incidente e che tale trattazione debba avvenire com amichevole liquidazione di fatto della questione del bestiame e degli uomini uccisi prescindendo nella discussione da ogni riferimento territoriale. Resta così fermo che, qualunque sia sul terreno nostro confine con l'Etiopia derivante dal trattato 1908, ogni concessione di pascolo e abbeverata da parte del governo etiopico a quello britannico, sia pure essa di fatto esercitata a sud dello 8° parallelo, non è da noi contestata nè riconosciuta con riferimento ad alcun territorio determinato, gli unici riferimenti territoriali tra noi e l'Inghilterra in questa zona rimanendo soltanto quelli del protocollo 5 maggio 1894 confermati dal Tripartito. Quindi anche incidente del 1921 non ha interesse per ammettere o respingere la richiesta britannica di trattare con noi l'incidente attuale, mentre invece il fatto come nel 1921 e nel 1929 Governo britannico ha trattato con noi incidenti avvenuti a Uardere tra i suoi e nostri sudditi, potrà avere veramente valore di precedente per noi verso l'Etiopia.

(l) -L'allegato manca. (2) -Inviato. per conoscenza, aì Ministero delle Colonie e all'Ambasciata a Londra.
210

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 3184/1832. Vienna, 19 agosto 1932.

Mio telespresso n. 1816 del 16 agosto (1).

Poiché dal mio colloquio con Jakoncig mi ero convinto che non sussistevano più i pericoli di scissione tra le « Heimwehren » e che Starhemberg rimaneva alla loro suprema direzione, ho fatto stamane a quest'ultimo una seconda consegna di fondi su quelli inviatimi. Stahremberg li destinerà per l'ampliamento delle circolari di istruzioni che invia alle varie direzioni provinciali e per l'acquisto di un bimensile delle « Heimwehren » di cui finora non aveva la proprietà.

A furia di udire le mie insistenze sulla necessità di un programma che separi nettamente le « Heimwehren » dai «nazi » per lo svolgimento di un'azione indipendente, ha finito con il convincersene, come del resto è provato dai suoi

ultimi discorsi. Mi ha confermato quanto m'aveva l'altro giorno promesso il ministro dell'Industria Jakoncig: le « Heimwehren » avranno un programma a sé, il quale in opposizione a quello degli hitleriani, non sarà germanico bensì austriaco, e si appoggerà all'ala destra del partito cristiano-sociale e al clero. Una tale chiarificazione è resa necessaria dalla propaganda dei «nazi », che del resto è andata alquanto diminuendo di intensità in questi ultimi tempi. Starhemberg ripete che il movimento hitleriano non ha qui un terreno naturale di sviluppo, e che se si potranno ritardare di un anno le elezioni esso non sarà più praticamente temibile.

Starhemberg mi ha pregato rinnovare a V. E. i suoi cordiali ringraziamenti per i nuovi aiuti che riceve, i quali, nel momento presente, gli sono di pa·rticolare utilità (l).

(l) Cfr. n. 205.

211

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

L. P. Londra, 20 agosto 1932.

Grazie della tua lettera (3). Hai perfettamente ragione. Non bisogna drammatizzare nulla. Tanto meno l'articolo di Balbo. Io l'ho considerato molto tranquillamente, sotto due diversi aspetti, l'uno soggettivo, l'altro oggettivo.

Dal punto di vista soggettivo: Balbo è un povero vigliacco. So quello che mi dico. Al momento buono dirò più. C'è tempo per tutto.

Dal punto di vista oggettivo ciò s'inquadra perfettamente nella situazione generale. La conferenza del disarmo è stata un fallimento. Un fallimento per tutti tranne che per l'Italia. Nell'esposizione di politica estera fatta al Senato il 5 di giugno u s. (Tu fosti cosi buono non solo da approvare, ma anche da definire un ottimo discorso il mio discorso anche se qualche vecchio senatore ex ambasciatore ne rimase preoccupato ed allibito) io preannunciai con asprezza questo fallimento, e ne denunciai le responsabilità con un linguaggio -Tu ricordi -che era un chiaro atto di accusa non solo contro la Francia ma sopratutto contro l'Inghilterra e contro l'America. La situazione si è sviluppata da quel momento con logica perfetta. Chi ha mai creduto che la Conferenza del Disarmo potesse riuscire in se stessa? Hai Tu mai udito da me simile assurdità? E se essa fosse per avventura riuscita, non sarebbe stato questo il peggiore danno per noi? Non ci siamo sempre detto che la nostra posizione di Ginevra era una posizione esclusivamente tattica, preparatoria, dialettica e polemica che doveva solo servire a dimostrare la malafede degli altri? E darci cosi per la f·utura necessaria azione di contrattacco una forte posizione di vantaggio? Non è stato ciò affermato chiaramente nello stesso deliberato del Gran Consiglio del ,mese di aprile u.s.?

La Conferenza del Disarmo ha dimostrato quello che volevamo, ed ecco che ora tutto si svolge logicamente, perfettamente, secondo il piano ed il disegno preordinati dal Tuo genio che veramente non fallisce mai. Dopo Losanna e dopo l'ultima tornata ginevrina bisognava tirare le conclusioni di questa azione tattico-preparatoria degli ultimi tre anni. Questo momento -e non altro era il momento giusto. Aspettare una settimana soltanto sarebbe stato un errore. Dammi atto -Presidente -che pur nella pena di abbandonare il mio lavoro di otto anni, cui ho dedicato tutta la mia vita, ho sentito cosi bene questa necessità della nostra politica estera, che Te l'ho detto calmamente, e sapendo quello che ti dicevo.

Sono abbastanza patriota, e troppo fascista, per non sentire che ciascuno di noi, il quale ha la fortuna di esserti vicino, ha un suo compito particolare da assolvere, transitorio e finito, e che Tu solo, che sei il Capo, puoi e devi fissare il momento e il ciclo dei tempi. Ecco perché disprezzo e sorrido di coloro che credono e vogliono far credere -poveri sciacalli e mosche cocchiere -di essere essi, e non Tu, a determinare gli avvenimenti.

Io ho fatto tre anni di dura trincea. Per una grande azione di contrattacco, come quella che Tu stai ora svolgendo in modo mirabile, le truppe che sono state molto tempo in trincea ed hanno resistito anche valorosamente contro il nemico, hanno bisogno del cambio. È la elementare legge della guerra. Occorre per l'offensiva un esercito fresco, e che esca all'attacco sapendo di essere direttamente comandato dal Re. Io seguo da questo interessante osservatorio, giorno per giorno -com'è mio dovere di ufficiale di vedetta qui distaccato dal mio comandante -gli avvenimenti internazionali. La stampa quotidiana, non solo ùritannica, ma anche francese, tedesca e americana danno al mio occhio e alla mia sensibilità -troppo abituati ed esperti ormai -la misura esatta delle reazior.i che la Tua azione diritta, abile, tempestiva e decisa sta determinando, giorno per giorno, direttamente e indirettamente nei vari settori della politica mondiale.

Che qui sieno preoccupati di questa azione, va benissimo, ed è la prima prova tipica del Tuo successo. Ed è bene che lo siena anche di più. La politica estera italiana non è stata mai così forte, non ha mai avuto tante « chances », tante vaste possibilità di movimento e raggio di azione, come in questo momento. E Tu stai giuocando le Tue carte da quel genio politico che sei. Ecco tutto.

Come Ti ho detto nell'ultima mia ho già cominciato -colla pacata tenacia che Tu conosci -il mio nuovo lavoro. So perfettamente quello che Tu vuoi da me. Spero di essere qui, come sono stato sempre, un intelligente e fedele esecutore dei Tuoi ordini. E se fosse, in qualche momento, necessario che io rettificassi la mia azione, Ti sarò grato se vorrai dirmelo subito e sempre. È infatti più difficile per me, ora che non sono più così materialmente vicino al Tuo cerchio «magnetico » come lo sono stato per tanto tempo, di « sentire » quello che Tu vuoi e quello che Tu non vuoi.

Sto organizzando l'Ambasciata che da più di un anno, e cioè da quando l'ambasciatore Bordonaro cadde ammalato, viveva di una vita opaca, fiacca e senza sensibilità. Voglio che Londra diventi il modello delle nostre Ambasciate all'estero.

Il Foreign Office è deserto e la città anche. Ho il mio tempo per osservare, lavorare, inquadrarmi. Intendo curare molto anche la colonia italiana. Un Ambasciatore in gamba deve essere un impeccabile signore quando è col Duca di Galles, un osservatore e un diplomatico accorto quando è al suo lavoro, e un buon parroco paterno quando è -e deve esservi spessissimo -in mezzo ai suoi connazionali. A Londra ho constatato subito non esistere, ad esempio, una organizzazione che riunisca i cuochi e i camerieri italiani che sono parecchie migliaia, e che sono penetrati dappertutto, nei gangli più delicati della vita inglese, e che possono, ben guidati, costituire una forza di propaganda fascista formidabile, assai più e meglio dei quattro professori di Università intenti a spaccare il solito pelo della grave e inutile sapienza! Il Sindacato fascista dei lavoratori della mensa, sarà la prima cosa che farò.

Poi c'è l'Ospedale. Oggi gran parte degli italiani ammalati si reca all'Ospedale Francese, che è perfino sussidiato dal Governo fascista! Questo perché l'Ospedale Italiano è povero, sporco e disorganizzato. Cercherò del denaro (Tu mi aiuterai con qualche solito titolo nobiliare magari...). Voglio fare dell'Ospedale italiano una casa moderna, pulita, fascista, come sono oggi gli Ospedali d'Italia, e nel quale gli Inglesi (per i quali come sai la Balcania comincia da Calais!) dovranno specchiarsi.

Ieri sera i cinematografi di Londra proiettavano il film delle nostre manovre navali. Sono corso ad applaudire anch'io. Lo spettacolo di organizzazione e di forza della nostra flotta era superbo e mi ha commosso l'animo, e qui ha fatto l'effetto che doveva.

Domani sarò ospite, nel suo castello in !scozia, di Lord Irving, che è stato vicerè delle Indie, ed è oggi ministro della P. I. È l'uomo su cui tutti pongono in questo momento le speranze, e si parla di lui come successore di Simon. Mi fermerò a Glasgow per la mia prima ispezione regolare a quell'ufficio consolare. Come vedi non perdo il mio tempo, da nessuna parte.

Il 5 settembre sarò a Roma per ricevere, come d'accordo, le Tue istruzioni.

P. S. -Sono certo Ti interesserà sapere che Londra è invasa dalla industria cinematografica tedesca e che in qualche cinema non ci si preoccupa nemmeno più di tradurre la lingua originale tedesca in quella inglese, cosi che non si sente parlare se non in tedesco.

Ti interesserà pure di sapere che non passa, si può dire, giorno, senza che i giornali annuncino una rapina a mano armata a Londra o nelle vicinanze, un atto di brigantaggio con furto, scasso, e spesso assassinio a scopo di furto. Una vecchia parola shakespeariana «highwayman » (che è la traduzione letterale del nostro antico «brigante ») è tornata di moda e passata nell'uso comune attraverso i titoli dei giornali. Sembra che queste cose non avvenissero più in Inghilterra -cosi almeno dicono gli inglesi -da un secolo in qua. La gente è preoccupata, e cosa ancora più strana in questo paese, viene consigliato la sera specie rientrando dal week end di andare armati. Quante considerazioni e riflessioni si possono fare su questo spunto di cronaca!

Allego anche un breve appunto su una conversazione tra il primo segretario dell'Ambasciata e l'Incaricato d'Affari d'Austria che è, da buon austriaco, molto al corrente dei pettegolezzi e discorsi che si fanno nel corpo diplomatico. Non è privo di interesse.

ALLEGATO

APPUNTO DI PRUNAS

Parlando confidenzialmente col Primo Segretario di questa Ambasciata, questo Incaricato d'Affari d'Austria, Barone Wimmer, ha così riassunto le impressioni suscitate in questi circoli diplomatici dall'arrivo di S. E. Grandi a Londra.

Alcuni -e sopratutto i vecchi Ambasciatori e Ministri -avrebbero espresso, non senza qualche ombra di rammarico, la convinzione che la presenza di un Ambasciatore di una Grande Potenza, energico e giovane, è probabilmente destinata a segnare la fine della vita tranquilla per il Corpo Diplomatico a Londra. Altri avrebbe espresso la stessa convinzione, ma, piuttosto che con rammarico, con qualche evidente senso di preoccupazione.

L'Ambasciatore Grandi cioè cercherebbe certamente di condurre una politica energica e attiva, che richiederà dunque sorveglianza ed attenzione continua.

Il barone Wimmer avrebbe sentito inoltre esprimere da molte parti l'opinione che questo Ambasciatore di Francia, Signor de Fleurieau in seguito alla nomina di S. E. Grandi, sarebbe fra breve destinato ad essere sostituito, appunto perché il Quai d'Orsay desidera avere a Londra un Ambasciatore più energico, vigile e giovane di quel che il Fleurieau non sia, e meglio atto a « ristabilire l'equilibrio».

Il Wimmer ha aggiunto che, molti Rappresentanti diplomatici esteri avrebbero fatto sapere ai rispettivi Governi che la presenza di S. E. Grandi a Londra sarebbe sopratutto vista con preoccupazione da questa Ambasciata di Francia, come suscettibile di porre serio ostacolo al proposito del Quai d'Orsay di ricostruire ad ogni costo l'atmosfera dell'intesa cordiale fra i due Paesi.

(l) -Il documento reca il visto di Mussollnl. (2) -Da ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Grandi. (3) -Cfr. n. 203.
212

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2956/547 R. Berlino, 22 agosto 1932 (per. il 25).

Nei circoli nazionali che stanno vicino alla cancelleria e al ministero degli esteri si spera che domani il cancelliere federale Dollfuss a Vienna avrà un voto contrario da parte assemblea, per quanto riguarda il prestito ed il protocollo di Losanna.

Se questa speranza fosse realizzata, qui si assicura che il Governo del Reich sarebbe disposto a fare a quello austriaco l'offerta di un prestito che lo ponesse al riparo dalle preoccupazioni finanziarie, almeno per il momento. Negli stessi circoli si afferma che da parte del ministero degli affari esteri si starebbe esaminando l'opportunità o meno di invitare il R. Governo a partecipare a questa azione di soccorso dell'Austria, al di fuori della lega.

213

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 3454. Londra, 22 agosto 1932 (1).

Stamane è venuto a farmi una visita l'esperto navale del Foreign Office, il Signor Craigie. Scopo, parlarmi -egli ha detto -della « eternai question ~

ossia la questione navale. Riassumo nella sua sostanza la conversazione, che l'esperto britannico ha dichiarato considerare «informai» and « confidential ».

Prendendo le mosse dalla proposta Hoover, Craigie mi ha detto essersi il Governo Britannico reso conto delle ragioni, di carattere politico, che hanno determinato l'accettazione da parte del Governo Italiano delle inattese proposte americane. Il Governo della Gran Bretagna non era, e non è in grado di accettarle. L'Accordo di Londra del 1930 rappresenta il massimo dei sacrifici che la Gran Bretagna è disposta ad accettare, nel campo navale. L'Ammiragliato non può andare più oltre. I bisogni navali della Gran Bretagna sono maggiori e diversi di quelli degli Stati Uniti. La mossa di Hoover tendente a spostare nuovamente su nuove basi, unicamente nell'interesse dell'America, l'Accordo Navale del 1930 non poteva e non può essere seguita con simpatia dal Governo Britannico. Il Governo americano ha tuttavia riaperto la questione, e non si può fare a meno di discuterla. Perciò il Governo della Gran Bretagna è venuto nella determinazione di presentare delle proposte, quelle comunicate da Baldwin alla Camera dei Comuni e poscia da Simon alle Delegazioni dei diversi Stati a Ginevra, che pure prendendo come punto di partenza le stesse proposte Hoover, si differenziano da queste sostanzialmente. Nel prossimo settembre le cinque Potenze si incontreranno nuovamente, in occasione dell'Assemblea della Società delle Nazioni per uno scambio preliminare d'idee, e forse per decidere la convocazione di un convegno utnciale od ufficioso per discutere la questione, secondo gli impegni presi nella risoluzione adottata a metà luglio

u. s. dalla Conferenza del Disarmo. Craigie conclude dicendo che il Governo Britannico prima di andare a Ginevra ed eventualmente a questo nuovo convegno navale desidera avere uno scambio d'idee, di carattere conf~denziale, col Governo Italiano allo scopo di mantenere quella intima collaborazione italobritannica nel campo navale che si è sviluppata ininterrotta dalla Conferenza Navale del 1930 ad oggi.

Rispondo a Craigie dicendo che non conosco quali sono attualmente, in questa materia, le direttive del mio Governo, e pertanto non posso riferirmi, per ora, se non a situazioni ormai sorpassate, nelle quali tuttavia un chiarimento non mi sembra del tutto inutile. Non è vero -ho detto a Craigie -che il Governo Italiano ha accettato le proposte Hoover solo per ragioni di carattere politico. A questo riguardo ho avuto già occasione di rettificare una erronea analoga interpretazione del Segretario di Stato. Le proposte Hoover ripetono in gran parte le proposte Italiane avanzate nel febbraio u.s. e affermano anzitutto il principio dell'interdipendenza degli armamenti. Contemplano la sospensione della costruzione delle corazzate, e riprendono integralmente l'accordo navale italo-franco-britannico del 1° marzo 1931. Contengono insomma delle proposte di carattere tecnico e pratico che l'Italia, purché adottate organicamente per tutti indistintamente gli armamenti, poteva, accettare. Al contrario l'Italia dichiarò allora (ed io più volte dovetti ripetere questa dichiarazione alla Delegazione Britannica) la sua riluttanza ad accogliere la proposta britannica per una riduzione pura e semplice del dislocamento delle navi di linea. Tale riduzione era stata accettata dall'Italia nel quadro dell'accordo del 1° marzo come contro-partita di concessioni fatte dalla Francia e dalla Gran Bretagna nel naviglio leggero. E' evidente che l'Italia non aveva interesse ad accettare una riduzione nel dislocamento delle navi da battaglia, mentre non vedeva difficoltà ad accettare la sospensione di qualsiasi costruzione di navi da battaglia. Circa l'eventualità di un prossimo convegno delle cinque Potenze navali firmatarie dell'Accordo di Londra del 1930, non mi risultava ho detto a Craigie, che il Governo Italiano avesse preso impegni in tal senso, non avendo esso votato la risoluzione del luglio scorso a Ginevra.

Su questa circostanza ho attirato l'attenzione dell'esperto navale inglese. Craigie mi ha pregato vivamente di fargli sapere, se possibile, quali sono le vedute del Governo Italiano sulla intera questione e specialmente sulle controproposte britanniche di cui, ad ogni buon fine, mi ha rimesso copia.

Sarò grato ove V. E. vorrà darmi istruzioni in merito (l).

(l) Il rapporto fu portato personalmente a Mussolini da Grandi quando venne a Roma ai primi di settembre. Grandi ne inviò in via confidenziale una copia a Sirianni Il 29 agosto.

214

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 79. Bled, 23 agosto 1932.

Già con mio rapporto del 27 luglio (2) ebbi l'onore di far conoscere all'E. V. le aperture indirette fattemi per la continuazione delle note conversazioni. S. E. Jeftich, che ho veduto qui lungamente l'altro giorno, avendolo dovuto intrattenere delle varie questioni ed incidenti in corso (Divise, incidente di Veglia, di Bled, etc. etc.), ha egli stesso ripreso l'argomento marcando per altro che era il governo jugoslavo ad attendere ancora una risposta. Ha poi esplicitamente aggiunto, a mia domanda, che le intenzioni di Re Alessandro erano immutate, che però non occorreva attendere ancora troppo, che le modificazioni ministeriali decise da V. E. erano state seguite con ogni attenzione ed interesse, che la nomina di S. E. Aloisi (che egli aveva conosciuto in Albania) era stata appresa con piacere. Da queste ultime decisioni egli vedeva il vantaggio del diretto intervento dell'E. V. per una decisione definitiva quanto ai futuri rapporti italojugoslavi, mentre dalla personale conoscenza di molte questioni per parte di

S. E. Aloisi sperava ne derivasse un consiglio appropriato e rispondente a realtà.

Ha poi ripetuto per l'ennesima volta che l'accordo doveva essere inspirato a completa sincerità ed andare quanto più possibile all'opposto della situazione presente per offrire vera garanzia di durata efficacia ed utilità reciproca e scambievole. Ha concluso che esso non poteva essere determinato da senso di timore ma solo da fredda ragione e sicura convenienza, che se in prossimo termine non si arrivasse alla soluzione nella quale Re Alessandro e lui volevano ancora sperare la Jugoslavia «dovrebbe prendere delle precauzioni» (testuale).

Jeftich ha avanzata l'ipotesi che l'arresto delle conversazioni fosse determinato da esagerate informazioni fornite all'E. V. sulla situazione interna, adesso perfettamente tranquilla e che dava ogni speranza al governo di un rapido ritorno alla normalità pur ammettendo che qualche difficoltà sussisteva ancora.

In mancanza di altre istruzioni recenti mi sono limitato a ripetere quanto dettomi dall'E. V. nella udienza accordatami il 29 Aprile u.s. O) ed ho espresso le solite frasi generiche accennando alla possibilità di una mia prossima gita a Roma. Mi sono volutamente astenuto dal chiedergli quale significato avesse la frase che la Jugoslavia, in mancanza di un accordo con noi, dovrebbe prendere delle precauzioni.

Si tratta evidentemente di precauzioni nuove, che possono essere militari

o politiche, determinate dalle due inquietudini maggiori del momento: la italiana e la tedesca.

Si accentua infatti in questo periodo una apprensione indeterminata e sospettosa senza fatti concreti che la indichino e precisino, solo additata da una serie di sintomi, accenni e voci di difficile controllo, le quali, pur non assumendo aspetto definito, meritano di essere per quanto possibile raccolte in un quadro.

Sulla falsariga delle sensazioni informazioni ed insinuazioni francesi i recenti mutamenti ministeriali e diplomatici, è mio stretto obbligo riferirlo a

V. E., vogliono qui essere interpretati da molti circoli come racchiudenti incognite e nostri propositi che domandano molta attenta circospezione e prudenza.

Se non diretta espressione di governo è certo con la sua approvazione che è stato pubblicato nella Politika del 14 corrente l'articolo dii X.Y.Z. (Baludgic) sulla politica estera italiana. Vi si sostiene la tesi che l'Italia, costretta all'attuale suo atteggiamento ed alle sue attuali decisioni politiche come forse alle prossime, dalla «infrangibile resistenza franco-inglese~ alle sue pretese, ha quale sua direttiva fondamentale prepararsi alla guerra accettando intanto, ma solo pro forma, ed in attesa di ritirarsene, le organizzazioni internazionali; che nella politica fascista si inizia ora un terzo periodo che sarà caratterizzato dalla «offensiva fascista verso l'occidente in attesa della creazione di una nuova Europa per la quale "il tempo non è ancora maturo (si ripetono e travisano parole di V. E.), occorre lasciare che la crisi si approfondisca e provochi nuove rivolte dalle quali scaturirà il tipo di europeo ". Perciò attenzione e pronti alla difesa~.

Va ricordata pure la campagna di stampa del noto Krakov sotto il titolo della «Guardia di Ferro», donchisciottesca nella forma, ridicola nel risultato. Ma essa continua a rullare tamburi, e intonare trombe roboanti affermando che la gioventù patriottica jugoslava è pronta ad affrontare il nemico, ed attende patriotticamente ferma che qualche ,improvviso tuono la scuota. Si mantiene così vivo nella opinione pubblica il sentimento di qualche oscuro prossimo pericolo, mentre nella Ere Nouvelle (sia pure con denaro jugoslavo) si denunciano le provocazioni militari e politiche dell'Italia alla Jugoslavia.

In pari tempo se le manovre navali sono finora quasi passate inosservate in questa stampa, non altrettanto le militari, specie le divisionali al confine giulio che il Vreme indica come destinate a durare « parecchio tempo » quasi ad insinuare che il rafforzamento provvisorio delle guarnigioni confinarie voglia celare diverse finalità da quelle consuete di ogni temporanea manovra estiva.

Con non minore sospetto si guarda agli avvenimenti germanici. Il tema degli accordi fra Regime Fascista ed Hitler ricorre con frequenza specie nella

stampa di Zagabria, mentre il Governo jugoslavo sente in quale pericolosa via esso sia sospinto dagli impegni diplomatico-militari verso la Francia. Egli è che la realtà è fatta di contemporanee contraddizioni e di opposte necessità. Vi è in Jugoslavia una non dissimulata simpatia per la Germania; la alimentano le vecchie correnti germanofile delle ex provincie austriache, la minoranza di 500 mila tedeschi, le necessità commerciali.

Ricordo, a prova di ciò, che fronte alla possibilità della unione economica austro-tedesca la Jugoslavia assunse in fatto un atteggiamento di benevola neutralità che molto seccò Parigi ed al quale fu di scarso rimedio il discorso di Marinkovic riscaldatosi a freddo.

Ma se questo è l'aspetto psicologico ed economico della questione, altro è il politico. Di una Germania che possa riprendere tutta la sua forza militare e politica, magari congiungersi all'Austria, qui fortemente si teme per la influente attrattiva che subirebbero Slovenia e Croazia, per il pericolo di una ripresa della spinta germanica verso l'Adriatico ed il Mare Egeo, cui finirebbe con l'unirsi l'Ungheria fatalmente attratta anche essa nell'orbita tedesca.

Questo timore non mi è stato mai celato, né contro tale pericolo la assicurazione francese è mai sembrata bastevole. Perciò Re Alessandro ha vagheggiato e vagheggia ancora la piena intesa con noi che è la sola che può garantirlo dal pericolo politico militare germanico poiché l'Italia sarebbe con la Jugoslavia solidale nello sbarrare la via all'Adriatico, mentre assicurerebbe buoni rapporti generali e lo sviluppo massimo economico-commerciale con il mercato germanico.

Mi sia permesso rammentare che proprio qui a Bled, due anni or sono, Marinkovich nel primo ampio discorso che ebbe con me, e col quale si iniziarono le conversazioni, mi disse: «La Francia si fa molte illusioni su di noi. Se in avvenire si riproduca il conflitto franco-germanico essa non ha che una sola via da seguire, noi ne abbiamo due». E seguitando: «Dati i rapporti attuali con l'Italia la alleanza con la Francia non ci garantisce dai pericoli dell'Anschluss. Questo è fatto storico inevitabile. Se quando si verificherà noi potremo preventivamente accordarci con l'Italia avendo con essa quei rapporti politici che abbiamo sempre vagheggiati può anche darsi che consideriamo con favore il verificarsi dell'Anschluss, che anzi la agevoliamo. E ne trarremo forse anche noi dei vantaggi se esisterà accordo fra Italia ed Jugoslavia» (1).

Riferisco pure parole dette da Nincich col quale ho sempre intrattenuto rapporti estremamente confidenziali e che conserva verso l'E. V. un senso di deferenza ed ammirazione mai smentito. Egli ebbe a dirmi circa tre mesi or sono: «La realtà dei rapporti jugoslavo-germanici è questa che la Germania preme su di noi con la sua enorme massa e dobbiamo temere la sua sempre più rapida ripresa perché difficilmente potremo contenderla nelle sue aspirazioni adriatico mediterranee. Tuttavia ne ammiriamo la civiltà nutriamo verso di essa ogni maggiore simpatia (Nincich è presidente della lega jugoslavo-germanica) ed abbisognamo del mercato germanico. Dall'Italia invece, con la quale ci troviamo in situazione geograficamente parallela, non abbiamo nulla da temere. Non vi sono e non vi possono essere da una parte verso l'altra che necessità comuni di

intesa e di collaborazione in ogni possibile campo. Non vi è in realtà che una sola cosa che ci divide: la retorica irredentista da ambo le parti. Ma che faremmo noi degli slavi della Venezia Giulia che non possono vivere se non con l'Italia e che farete voi di qualche diecina di Km. quadrati di Dalmazia con un retroterra popolato da milioni di slavi definitiv~mente ostili e pronti a riprenderli? Le frontiere sono sicure quando ben munite a difesa, ma lo sono ancora di più quando dall'altro lato non vi sono nemici. Questo dovrebbe essere il nostro obiettivo comune~.

E si verifica oggi che, su ispirazione francese, un accordo Italiano-Hitler è indicato spauracchio che metterebbe a soqquadro l'Europa mentre da questa Legazione di Germania sono state fatte partire voci (sono tendenziose o rispondono a realtà?) di un già esistente accordo fra lo Stato Maggiore Italiano e lo Stato Maggiore Germanico.

Tuttavia e di ciò non ho dubbio, la Jugoslavia resisterà quanto più possibile ad essere trascinata anche in una semplice dimostrazione antigermanica. Prova ne sia che, secondo informazioni assunte dal Colonnello Franceschini da fonte certa, è vero che è stato predisposto quanto necessario per una eventuale dimostrazione militare prevista dal piano di mobilitazione contro Austria-Germania ma al Ministro di Germania i preparativi si sono smentiti, creando equivoco sul fatto che essi non potrebbero avvenire alla frontiera germanica per ovvie ragioni.

Ed il Colonnello Franceschini ritiene quasi per certo che lo Stato Maggiore jugoslavo si sia finora rifiutato di accedere a maggiori richieste dello Stato Maggiore francese, fatte si crede alla riunione di Parigi, e che esigerebbero in caso di complicazioni germaniche (avvento di Hitler con programma di non riconoscimento del Trattato di Versaglia) uno schieramento ancora superiore a quello della divisione del Danubio.

Ed è nella linea di logica probabilità che se tale schieramento dovesse fatalmente essere imposto esso potrebbe provocare uno schieramento di nostre truppe alla frontiera Giulia mentre la Jugoslavia a sua volta dovrebbe essere costretta ad analoghi provvedimenti alla fronte italiana.

Di qui la non celata preoccupazione che guarda ai due possibili pericoli italiano-germanico, e nei quali la Jugoslavia è tratta dalla politica francese. Perciò un aumento di malumore di malcontento di insofferenze delle direttive che vengono da Parigi, una cresciuta volontà di sottrarvisi.

La Francia infatti fuori dell'oneroso aiuto alle condizioni finanziarie jugoslave con la serie di prestiti non ha recato nessun altro contributo utile alla sua alleata balcanica, la ha anzi condotta ad un non modificabile stato di ostilità con tutti i suoi vicini, a cominciare dal più forte italiano, e ad un aumento delle sue difficoltà politiche, mentre fa gravare su di essa tutti i pesi di un armamento sproporzionato alle forze economiche della nazione e che solo una guerra vittoriosa potrebbe pagare e compensare. I sintomi e, più che sintomi, i fatti che denotano il costante aumentare in ogni classe ed in ogni ceto del sentimento antifrancese in Jugoslavia sono stati da me segnalati a V. E. via via nel passato.

Né ciò sfugge a Parigi, ed è perciò che la politica francese segue in questo momento diverse parallele azioni. Concessa la moratoria sui debiti di stato la Francia si appresta probabilmente a premere sui portatori dei prestiti privati di ante guerra e dopo guerra perché la concedano a loro volta prima della prossima scadenza di settembre.

Le possibilità economiche jugoslave non consentono effettivamente il prossimo pagamento dei tagliandi. Prima che la Jugoslavia ponga essa il definitivo dilemma: o il vantaggio e l'interesse del capitale straniero, o 'la salvezza economica del paese (con tutte le sue conseguenze nella situazione interna), è la Francia che con apparente spontaneità vorrà venire incontro alle difficoltà jugoslave per apparente amore della grande sua alleata balcanica.

In pari tempo essa cerca rinvigorire le correnti commerciali di esportazione verso la Francia con accordi e sistemazioni con i produttori di legname e di bestiame. Non ho da esaminare adesso quali le possibilità concrete di simili trattative ma esse si propongono migliorare la bilancia commerciale francojugoslava cosi passiva per questa, dare cioè la sensazione al paese che la Francia non chiede soltanto il pagamento di interessi da parte dello spremuto contribuente jugoslavo ma vuole recare anche fonti attive di scambio e di ricchezza, creandosi una base di simpatie in larghi strati produttori.

Più interessante è l'attività militare francese con a capo l'Addetto Militare francese generale Lepetit. Con rapporto a parte indico i movimenti ed i fatti vari raccolti nella stampa o segnalatimi dai consoli dipendenti in questi ultimi giorni. Affermare che essa sia in dipendenza di temute complicazioni politicomilitari e voglia quindi accertarsi fino ad ora della efficienza e rispondenza all'appello dell'esercito jugoslavo sarebbe allarmista ed esagerato. Ma sarebbe anche malcauto non seguirla con ogni possibile attenzione per assicurarci se essa abbia o no di mira qualche non lontana ipotesi estrema.

La Francia deve anche preoccuparsi delle ripercussioni nell'esercito della situazione interna. La politica francese in ultima analisi considera la Jugoslavia soltanto in funzione del suo apporto militare, non può quindi non chiedersi se il materiale umano jugoslavo possa rispondere compatto ad una eventuale chiamata di domani. Perciò la opportunità di avere in sua mano anche quegli elementi direttivi della politica interna che esclusi oggi dal potere potrebbero riprenderlo con maggiore soddisfazione francese in rapporto alla funzione bellica che essa assegna alla Jugoslavia, e che oggi potrebbe essere minorata dalla scissione interna.

La permanenza di Pribicevic a Parigi, il partire da co.Jà di impulsi e preparativi per una modificazione del regime (ed anche -ed è questo un secondo aspetto dell'azione pribiceviciana -di incitamento ai croati di non coltivare simpatie italiane, di considerare in Europa sola forza determinante la Francia che tutti debbono seguire (rapporto del R. Console Generale in Zagabria n. 2825 del 13 luglio 1932) (l) e la campagna antijugoslava che appare regolarmente nell'Oeuvre -giornale disciplinato agli ordini del Quai d'Orsay -sono una valvola di sicurezza, una riserva, od una minaccia all'attuale regime?

Per l'Italia invece e lo ho sovente ripetuto a V. E. in questi ultimi mesi c'è in questo momento una universalità di simpatie quale non è mai esistita da

poi che mi trovo a questa missione e che la propaganda irredentista, le pubblicazioni menzognere od esagerate sul trattamento «inflitto crudelmente , agli allogeni, la riproduzione sistematica di quanto più menzognero e malvagio viene pubblicato dai fogli antifascisti di Brusselle e Parigi non vale a scuotere, neanche se si rievochi a questi sloveni il «martirio , di Gortan, Bidovic, Marusic.

Perciò il sentimento jugoslavo di questo periodo è in uno stato di nebulosa contraddizione e di contrastanti aspirazioni, mentre il governo guarda preoccupato ed incerto al domani, col serbismo sospettoso di perdere H frutto di 15 anni di guerre. E Re Alessandro preso dai suoi impegni diplomatico-militari con la Francia (e che dovranno essere rinnovati 1'11 novembre p.v.) legato alla Piccola Intesa dove la Rumania può condurlo ad uno stato di conflitto con la Russia cosa che egli non vuole assolutamente, e la Cecoslovacchia sempre più sfruttatrice del mercato jugoslavo cui non arreca nessun beneficio, spera in un solvente che chiarifichi e determini la situazione in una direttiva che gli assicuri per molti anni sicura pace e mezzi per la messa in valore delle sue molte ricchezze naturali e per lo sviluppo dei vari suoi popoli.

Il solvente sperato dal Re, non può essere messo in dubbio è ancora l'accordo con noi poiché esso risolve tutti i problemi jugoslavi politici ed economici.

La situazione interna? Questo è il maggiore interrogativo. Con separato rapporto riferisco su di essa da dopo l'ultimo mio che è del 26 luglio u.s. (1). Il bollore che si era tanto alzato nelb primavera ed al principio dell'estate appare in diminuzione assai forte, e debbo pur riconoscere che se accolsi il Ministero Srskié con ogni riserva estesa anche al risultato della politica sovrana decisa a tornare alla mano ferma, sta in fatto che, pur perdurando il grave stato d'animo croato ostile ai serbi, e dovunque una non celata animosità verso il regime, e la situazione economica non essendo gran che migliorata, l'enumerazione degli incidenti si allenta e la impazienza dei capi dei vari vecchi partiti e delle masse per la eventualità di nuove elezioni si arresta dinanzi alla decisa volontà di mantenere l'attuale Skuptcina fino alla sua prevista scadenza.

E guardando al passato devesi pur constatare che il paese era quieto fino alla costituzione del 3 settembre 1931, si accese improvvisamente dopo la promulgazione di essa fino a che la legge elettorale precisò che i ludi elettorali sarebbero stati commedia diretta dal Governo e riprese l'effervescenza col Ministero Marinkovic fino a raggiungere un pericoloso parossismo quando questi dichiarava che nuove elezioni sarebbero state inevitabili per decidere quale la base dello Stato (se unitario o federale). Esso sembra essersi acquetato d'improvviso allorché è stato detto ben chiaramente: niente nuove elezioni.

Tale tranquillità sarà essa durevole? Se l'esercito e la polizia continuino a rispondere appieno alla fiducia del Sovrano e del Governo, quali forze possono intervenire per modificar la? Solo la rivoluzionaria. Ma o sono cieco, o non ne esistono ancora di serie neanche nei croati.

È perciò che mi permetto ripetere quanto detto in più occasioni e per evitare equivoci sul mio pensiero: la Jugoslavia ha attraversato ed attraversa ancora una seria e grave crisi, la quale però non investe che la vita di un Gabinetto od il permanere di un regime, ha accennato ed accenna ancora a riso!

23 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

vere la convivenza delle varie popolazioni jugoslave sulla base federalista anziché sulla unitaria, e non si è finora seriamente estesa a più larghi cerchi ed a più profondi problemi della vita dello Stato.

(l) -Annotazione a margine: «Passato a Rosso 14 setteml:Jre ». (2) -Cfr. n. 178.

(l) Cfr. n. 34.

(l) SI fa forse riferimento al colloquio del 30 luglio 1930, su cui cfr. serle VII, vol. IX, n. 180, alle(:ato, dove però le frasi riportate non risultano.

(l) Non pubblicato.

(l) Non pubbllcato.

215

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DELLA CASA REALE D'ALBANIA, LIBOHOVA

APPUNTO. Roma, 24 agosto 1932.

Di ritorno da Marienbad, è passato a visitarmi. Venuto a parlare delle relazioni italo-albanesi, si è rammaricato che esse oggi non siano più ispirate alla buona fiducia di un tempo e ha espresso l'avviso che la definizione di qualche questione pendente potrebbe spianare la via a un ritorno a rapporti più intimi e cordiali. Ha perciò richiesto il mio intervento nella questione della definizione dei rapporti commerciali tra i nostri due Paesi (progettata unione doganale) e in quella della concessione di facilitazioni nel pagamento di quanto dall'Albania ci è dovuto in relazione al prestito di 100 milioni della Svea.

Ho tratto l'impressione che la sua visita sia stata voluta da Re Zog nell'interesse di provocare una pronta soluzione delle questioni. Ho risposto promettendo il mio volenteroso aiuto.

216

IL DIRETTORE DEL GIORNALE D'ITALIA, GAYDA, AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI

L. P. Roma, 24 agosto 1932.

A titolo informativo:

Il ministro Rakié (jugoslavo), parlando in questi giorni con un bulgaro, il quale figura di favorire il riavvicinamento serbo-bulgaro, ha dichiarato che la Jugoslavia e la Francia stanno svolgendo una intensa azione coordinata per raggiungere una formula di intima intesa economica e politica con la Bulgaria.

Parlando di questo problema e della situazione politica generale, il ministro Rakié, ad un certo punto, ha detto:

«L'Italia avrà una bella sorpresa».

L'informatore bulgaro non può precisare a quale specie di avvenimenti politici si riferisca precisamente la frase del ministro jugoslavo, il quale, dopo averla pronunciata, forse accorgendosi di essersi spinto troppo oltre, ha cambiato bruscamente discorso.

Il ministro Rakié ha anche soggiunto che, all'infuori della Jugoslavia e della Bulgaria, nessuno stato o popolo balcanico può essere preso sul serio. Ha detto che la gente albanese appartiene alla Jugoslavia e che tutta l'opera svolta dall'Italia in Albania è «fumo negli occhi».

217

COLLOQUIO FHA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI ETIOPIA A ROMA, WEULDE GABRIEL

APPUNTO. Roma, 25 agosto 1932.

L'Incaricato d'Affari di Etiopia è venuto a intrattenermi sulla questione della strada da Gondar al mare, per cui c'è stato il noto intervento del Barone Franchetti.

L'Incaricato d'Affari afferma che l'Imperatore non ha mal dato il consenso per la costruzione di questa strada al Barone Franchetti, ma che ha aderito soltanto a sottoporre la questione al Parlamento abissino che si riunisce il 2 novembre.

Mi ha mostrato anche una traduzione di una lettera del Ministro degli Esteri di Etiopia in cui si fa la stessa affermazione aggiungendo che, appena il Parlamento si sarà pronunciato, sarà data notizia al Barone Franchetti e che è inutile che lo stesso si incomodi di fare un viaggio in Abissinia.

Nella stessa lettera è detto ancora che se il Barone Franchetti ha costituito in Italia una società per la strada e ha già raccolto dei qenari, ciò avviene esclusivamente per sua iniziativa senza nessuna responsabilità da parte del Governo abissino.

L'Incaricato d'Affari mi ha aggiunto constargli che il Barone Franchetti è molto irritato per il modo come si svolgono le cose, che però la questione è assolutamente impregiudicata e che egli, Incaricato d'Affari, mette tutta la sua buona volontà, perché la cosa vada in porto.

Avverte però che si attende ancora una risposta, promessa a suo tempo dal Marchese Paternò sul gradimento ufficiale per la strada in parola.

Aggiunge che egli deve agire con molta circospezione perché dai circoli ufficiali abissini è tenuto in sospetto di eccessiva italofilia. Dice però che questo sospetto non è condiviso dall'Imperatore, che conta sinceramente sull'amicizia dell'Italia e che ha riportato dall'Italia il migliore ricordo, affermando che in nessun altro Paese ha avuto una accoglienza così cordiale e così spontanea.

Dice l'Incaricato d'Affari che quando l'Imperatore parla delle accoglienze avute in Italia è sinceramente commosso.

Inoltre mi ha raccontato il seguente episodio:

Quando si trattava di imbarcare degli ascari per andare a combattere in Tripolitania era sorta fra i capi indigeni una forte agitazione sostenendo che non bisognava permettere che dei connazionali andassero a morire in territorio straniero e per una causa straniera, che invec·e l'Imperatore è intervenuto personalmente troncando ogni esitazione e sostenendo che la sua amicizia con l'Italia gli imponeva di favorire ogni azione intrapresa dal nostro Paese.

Ritornando alla questione della strada da Gondar al mare fa un fuggevole accenno a difficoltà che vengono anche da parte di Consoli europei.

218

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, VASSIF BEY

APPUNTO. Roma, 25 agosto 1932.

È venuto a darmi la risposta alla mia ultima comunicazione che gli feci il giorno 11 corrente mese (l) circa la mancata accettazione da parte del suo Governo dell'accordo commerciale che la Commissione turca aveva qui parafrasato.

Mi ha espresso il rammarico del suo Governo per aver dovuto ricorrere a quella che è stata quasi una sconfessione dell'operato dei suoi delegati, ma esistevano ragioni che non concedevano altra alternativa e che egli teneva a comunicarmi: 1°) la clausola della nazione più favorita accordata in precedenza alla Francia e all'Inghilterra, avrebbe obbligato la Turchia a concedere anche a queste due nazioni i vantaggi che la delegazione turca aveva a noi prospettati. 2°) Gli accordi parafati, e poi non riconosciuti, si posavano su dati statistici che presentavano una bilancia commerciale favorevole per la Turchia, il che il Governo turco non crede corrisponda alla realtà per lo squilibrio arrecato da un elemento di cui i dati non tenevano conto, ossia di tutto il traffico di riesportazione che l'Italia fa da Trieste in transito. 3°) Per la misura del contingentamento da adottare si erano prese a base del calcolo le medie delle esportazioni e delle importazioni degli ultimi tre anni, senza tener conto della circostanza che le misure doganali adottate dalla Turchia nel 1929, provocando una forte richiesta di merci dall'estero, avevano artificialmente elevato la media del quantitativo normale di esportazione.

A parte le suesposte considerazioni, egli era lieto comunicarmi che il Governo turco aveva deciso in questi ultimi giorni l'adozione di nuove quote di contingentamento che riteneva favorevoli agli esportatori italiani.

Accomiatandosi, l'Ambasciatore ha tenuto a dirmi che il Governo turco è pronto a riaprire le trattative con la ferma fiducia che opportuni contemperamenti renderanno questa volta possibile il raggiungimento di un accordo.

219

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E MEHEMED BEY KONITZA

APPUNTO. Roma, 25 agosto 1932.

Mia vecchia conoscenza, è venuto a visitarmi prima di rientrare in Albania dopo un viaggio in Francia. Mi ha lungamente parlato della necessità di ristabilire relazioni di fiducia fra i due paesi. Probabilmente, come Libohova (l), egli è stato inviato da parte del suo Governo. Non ho mancato di dargli le assicurazioni del caso.

Mehemed Bey Konitza è ritenuto italofobo, ma per essere egli uno dei più scaltri politicanti albanesi e per godere ancora oggi di una notevole influenza nel suo paese, credo che sia un individuo che possa essere da noi convenientemente manovrato (1).

220.

IL MINISTRO GUARIGLIA (2) ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. 850/287 R. Roma, 26 agosto 1932, ore 23.

Suo telegramma 49 (3).

R. Ambasciatore Parigi, avendo preso contatto con ufficio competente Qual d'Orsay per conoscere pensiero Governo francese in merito interpretazione etiopica art. 7 trattato Kloboukowsky, riferisce che conte de St. Quentin ha affermato ignorare completamente la cosa, e non essere informato né della nota etiopica né della progettata riunione del corpo diplomatico. Essendogli stato fatto presente pensiero R. Governo in merito ed opportunità mantenere costi fronte unico fra Potenze interessate e studiare eventualità rappresaglie, conte de St. Quentin si è stretto in rigoroso riserbo, accennando solo a tendenza generale svincolarsi capitolazioni e che comunque Francia sente responsabilità di far rispettare trattato Kloboukowsky.

Quanto precede comunicasi ad ogni buon fine e per quell'azione che V. S. ritenesse poter svolgere presso codesto ministro di Francia onde questi illustri opportunamente questione al proprio Governo.

(l) -Cfr. n. 196. (2) -Cfr. n. 215.
221

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 26 agosto 1932.

Il Signor Dampierre è venuto a fare, da parte del suo Governo, la seguente comunicazione:

In conformità col Patto di fiducia del luglio scorso, il Governo francese tiene a mettere al corrente il Governo italiano delle trattative ufficiose svoltesi ultimamente a Berlino tra von Biilow e l'Ambasciatore di Francia, Signor Poncet, relativamente alla questione del disarmo. Queste trattative saranno seguite da proposte ufficiali che farà prossimamente il Barone von Neurath. Da queste stesse trattative risulta che la Germania subordina la propria partecipazione alla riunione per il disarmo del 20 del prossimo mese a conversazioni che le diano soddisfazione sui seguenti punti:

l) Préférence pour un désarmement général;

2) Substitutlon d'une convention finale élaborée à Genève à la partie 5 du Traité;

3) Droit de posséder des échantlllons d'armes et de matériel actuellement inte,rdits;

4) Légère augmentation de la Reichswehr;

5) Création d'une milice de 40.000 hommes, se renouvelant par trimestre;

6) Contròle international;

7) Renforcement de la sécurité.

Il Signor Dampierre ha aggiunto che nel corso delle trattative von BillowPoncet, von Btilow aveva «fait état du consentement donné à ce projet par d'autres Puissances ),

Il Signor Dampierre aveva incarico dal suo Governo di portare quanto precede a conoscenza del Governo italiano. Il Governo francese avrebbe gradito di conoscere se il Governo italiano aveva dato il suo consenso a quello tedesco nel senso indicato. Il Signor Dampierre non aveva maggiori elementi.

Il Signor Dampierre ha chiesto di conoscere la risposta italiana con ogni possibile sollecitudine, data la prossimità della data del 20 settembre.

Mi sono riservato di rispondere.

Circa i sette punti accennati di sopra, si può osservare:

Punto primo -(Préférence pour un désarmement général). È un'affermazione generica. Il suo valore più che in sé sta evidentemente nei punti che seguono;

Punto secondo -(Substitution d'une convention finale élaborée à Genève à la partie 5 du Traité). La Germania insiste evidentemente nel proposito di applicare al problema del disarmo la stessa procedura seguita per quello delle riparazioni. Come il piano Dawes e successivamente quello Young hanno sostituito la parte VIII del Trattato, la Convenzione in parola dovrebbe sostituire la parte quinta;

Punto terzo -(Droit de posséder des échantlllons d'armes et de matériel interdits). Il Signor Dampierre non ha detto a quali armi e materiali si riferisca questa richiesta della Germania;

Punti quarto e quinto -(Légère augmentation de la Reichswehr. Création d'une milice de 40.000 hommes se renouvelant par trimestre). Questi due punti, come quello che precede non sembrano conciliarsi pienamente col punto primo: «préférence pour un désarmement général ~.

Punto sesto -(Contròle international). Il Signor Dampierre non ha detto se il controllo internazionale si riferisca in particolare all'aviazione civile, o piuttosto all'adesione da parte della Germania al criterio di un organismo che sorvegli l'applicazione da parte di tutti i Paesi di quella che potrà essere una futura convenzione in materia di disarmo: tutte e due sono richieste francesi. (L'attitudine del Governo italiano è stata negativa al riguardo). Dalla comu

nicazione francese sembrerebbe che il Governo tedesco si preparerebbe ad aderire a questi due criteri, evidentemente, come contro partita alle concessioni da esso richieste e di cui ai punti precedenti;

Punto settimo -(Renforcement de la sécurité). Il Signor Dampierre non ha detto, ma pare ragionevole di ritenere, che tale aumento di sicurezza avverrebbe non secondo la tesi che si può dire tedesca e italiana che la sicurezza si aumenta col disarmo; ma piuttosto secondo la tesi francese che per aumento di sicurezza intende la. conclusione di nuovi accordi e la stipulazione di nuove garanzie. In tale caso allo stesso modo come l'accordo di Locarno ha accompagnato l'adozione del piano Dawes, nuovi accordi sulla sicurezza accompagnerebbero le richieste tedesche in materia di disarmo.

Si può ancora osservare:

a) che il Governo tedesco non ha informato quello italiano delle conversazioni von Biilow-Poncet. I giornali ne hanno parlato da una quindicina di giorni. La prima comunicazione in proposito è quella del signor Dampierre;

b) il Signor von Biilow avrebbe parlato di «consentement donné à ce projet par d'autres Puissances ». Il Governo italiano non ha dato, né poteva dare, un suo consenso a un progetto che non conosceva. Se le informazioni francesi sono esatte (e si dovrebbe ritenere che lo siano) il Governo tedesco si vale evidentemente di un atteggiamento italiano favorvo1e sia al disarmo (ma non già ad un aumento degli armamenti tedeschi e non certo al «controllo») e al riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti per la Germania anche nel campo del disarmo, per avvantaggiare la sua particolare situazione in questa questione nel modo che più si confà ai suoi interessi.

Si potrebbe rispondere al Governo francese, ringraziando della comunicazione, osservando che solo maggiori notizie ci potrebbero mettere in grado di apprezzare la portata specialmente di taluni dei punti avanzati dalla Germania, che non esiste, né può esistere, un consenso italiano a un progetto che il Governo italiano non conosceva finora (1).

Della comunicazione a Parigi si potrebbe informare il Governo di Londra. Non sembrerebbe invece il caso di fare per ora alcuna comunicazione a Berlino; ma di attendere eventuali comunicazioni da parte di quel Governo.

P. S. -Si allega l'appunto lasciato dal Signor Dampierre (2).

(l) -Annotazione a margine di Buvlch: «Visto da s. E. il Capo del Governo 28-8-1932 a. X~. (2) -Il 25 agosto Guariglia era stato destinato a Madrid che raggiunse al primi di ottobre Il 10 settembre fu promosso ambasciatore. (3) -Numero errato.
222

IL MINISTRO GUARIGLIA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE. Roma, 26 agosto 1932.

Gli avvenimenti che si sono svolti recentemente in Etiopia sembra abbiano determinato un ulteriore rafforzamento della posizione dell'Imperatore, il quale

liberatosi dalla minaccia che costituiva la prigionia in mano altrui dell'erede designato da Menelik, nonché da uno dei capi più potenti, Ras Hallù, potrà continuare a svolgere quella politica di accentramento e di abolizione dei poteri feudali dei Ras, che dal suo avvento al trono viene da lui con costanza, abilità e fortuna perseguita.

Tale politica imperiale, come è stato varie volte riconosciuto dai Ministeri degli Esteri e delle Colonie, non rappresenta soltanto per noi 11 pericolo di vedere irremissibllmente compromessi quegli scopi cui mirammo fino ad Adua, o meglio fino al prevalere del disfattismo interno che ad Adua seguì, ma può costituire anche una futura minaccia per le nostre colonie nel Mar Rosso, considerate quali paesi irredenti specialmente dal gruppo nazionalista dei giovani etiopici, al quale l'Imperatore sembra volere sempre più appoggiarsi.

L'Imperatore tende insieme a liberarsi, violando le disposizioni dei trattati, da quei privilegi sinora consentiti agli stranieri e che rappresentano una indispensabile garanzia per la tutela dei loro interessi in Etiopia e per la sicurezza della loro stessa vita. È di ieri la nuova interpretazione data ufficialmente dal Ministro degli Affari Esteri Etiopico alle disposizioni giurisdizionali contenute nel Trattato Kloboukowsky (Trattato franco-etiopico del 1908, le cui disposizioni per la clausola della Nazione più favorita sono a noi anche applicabili), interpretazione secondo la quale viene contestato alle Potenze straniere il diritto, finora senza obbiezioni riconosciuto, di arresto di propri connazionali e viene affermato 11 diritto del Governo etiopico di espulsione dall'Etiopia degli stranieri senza benestare del Console rispettivo.

Analogamente 11 Governo etiopico ha agito per quanto riguarda il trattamento economico e fiscale stabilito dal Trattato suindicato, emanando decreti interni in violazione delle disposizioni convenzionali vigenti.

Le Potenze maggiormente interessate (Italia, Francia e Gran Bretagna) hanno evidente interesse a costituire un fronte unico verso tali arbitri del Governo etiopico: ma alle proteste comuni del Corpo Diplomatico ad Addis Abeba il Governo etiopico oppone dei «fins de non recevoir »; ed è difficile concretare ed accordarsi su opportune rappresaglie.

La Gran Bretagna infatti non mira in Etiopia che ad ottenere la concessione delle acque del Lago Tzana, né sembra prendere a cuore la risoluzione del problema generale etiopico.

La Francia, pur avendo mostrato attraverso la rappresentanza locale di Addis Abeba qualche intenzione di meglio tutelare, che non con la continuazione della politica di amicizia finora seguita verso l'Impero, gli importanti interessi economici che possiede in Etiopia, primo fra tutti la ferrovia francese di Gibuti, pure avendoci fatto comprendere che l'Etiopia può essere la regione atta a soddisfare da un Iato le nostre possibilità espansionistiche attraverso una emigrazione italiana nel salubre e ricco altopiano etiopico e dall'altro il nostro bisogno di materie prime, non si è spinta molto sull'argomento.

L'Imperatore ha saputo abilmente sfruttare la reazione, provocata dalle intese anglo-italiane del 1925 per ottenere l'ammissione dell'Etiopia nella S.d.N. (malgrado la perdurante vergogna della schiavitù, praticata nonostante tutti gli editti imperiali), ha ottenuto successivamente da noi la garanzia del Patto di amicizia italo-etiopico, concluso nel 1928. A tale conclusione fummo indotti in quanto per ragioni di politica generale sembrò in quel momento conveniente riallacciare con l'Etiopia cordiali rapporti e cercare attraverso di essi lo sviluppo dei nostri interessi economici in Abissinia.

Seppure non è in nostro potere di fare diretta opera efficace onde impedire nettamente lo svolgersi della politica imperiale sembra convenga seriamente considerare se non sia giunto il momento di dare alla nostra politica verso l'Etiopia un carattere più dinamico ed attivo, onde nulla lasciare di intentato di quel che può essere ancora fatto prima che gli ultimi elementi di opposizione all'Imperatore ed in genere di disgregamento del paese abbiano ad essere soppressi ed a scomparire del tutto. Ciò porterebbe a regolare la nostra azione politica verso l'Abissinia sia al centro che alla periferia, in modo da suscitare per quanto possibile difficoltà alla politica dell'Imperatore, ed agire nel senso di dare localmente la sensazione che un movimento di opposizione a tale politica ci troverebbe sostanzialmente simpatizzanti e verrebbe da noi anche per quanto possibile aiutato.

La politica periferica, da svolgersi dall'Asmara, non potendo oggi più continuare sul vecchio schema dei contatti con i grandi Ras del nord, attualmente tutti o quasi riuniti ad Addis Abeba e più o meno intimoriti dai recenti fortunati successi dell'Imperatore, dovrebbe tendere a instaurare contatti con i sottocapi locali malcontenti, suscitare conflitti tra questi ed i funzionari imperiali, aiutare bande brigantesche e razziatori, coltivare insomma quello stato di latente anarchia che serpeggia nelle regioni settentrionali dell'Impero. Mezzo efficace a tal fine potrebbe essere anche il rifornimento di armi e munizioni che il Governo dell'Eritrea dovrebbe eventualmente, pure a ragion veduta, far pervenire accortamente a quei gruppi di popolazioni e quei sotto capi che sono comunque feriti nei loro interessi dalla politica imperiale, o dei quali siano note le intenzioni di creare dei torbidi.

Dalla Somalia dovrebbe essere ripresa e attivamente proseguita la politica di attrazione e di controllo delle tribù Ogadén d'oltre frontiera, e dovrebbe sfruttarsi il secolare odio dei Galla verso gli abissini, che solo di recente li hanno sottomessi.

Al centro, nel contempo, la R. Legazione dovrebbe adottare un contegno di fermezza nei riguardi del Governo Etiopico, non nascondendo il malcontento del Governo Italiano, ampiamente del resto giustificato, sia per le violazioni continue di vigenti Trattati da parte dell'Impero, sia per il mancato incremento di quella collaborazione economica itala-etiopica, che si prevedeva dovesse seguire alla conclusione del Trattato di amicizia del 1928. La strada da AssabDessiè, ad esempio la cui costruzione era stata stabilita da apposita Convenzione, stipulata contemporaneamente al Trattato anzidetto, è ancora da iniziarsi, malgrado tutta la buona volontà dimostrata da parte nostra. Se si eccettua la concessione data ad una Società italiana dell'impianto delle stazioni radiotelegrafiche etiopiche (concessione che non comprende del resto la gestione delle stazioni stesse, per la quale le trattative in corso sembrano urtarsi a notevoli difficoltà), nessun'altra attività economica italiana è stata favorita; né troverebbe del resto nelle condizioni generali del paese. nella inesistenza di

strade, nell'insicurezza delle comunicazioni, nella mancanza di imparziale giustizia, nella venalità delle autorità, ecc., le condizioni minime di un qualsiasi sviluppo.

Agli intenti suindicati si inspira anche il recente viaggio compiuto dal Barone Franchetti ad Addis Abeba, dove egli si è recato a nome di un gruppo economico italiano per richiedere all'Imperatore principalmente la concessione della strada Setit-Gondar la quale allaccerebbe la frontiera eritrea con la regione del Lago Tzana, costituendo una via di penetrazione per i nostri traffici molto più importante della strada Assab Dessiè. Franchetti ha ottenuto dall'Imperatore la promessa della concessione pur subordinatamente all'approvazione da parte del Senato etiopico. La R. Legazione in Addis Abeba ha preso formalmente atto di tali promesse. Il Barone Franchetti, d'intesa col Ministero degli Esteri e coll'appoggio finanziario che potrà da questo essergli concesso, sta dando opera per la costituzione di un ente apposito; e si proponeva di ritornare quanto prima ad Addis Abeba per ottenere la concessione in via definitiva.

Egli ha però recentemente ricevuto una comunicazione scritta da parte dell'Incaricato d'Affari etiopico in Roma, il quale, d'ordine del Ministro degli Esteri, gli ricorda che la di lui richiesta di concessione dovrà essere sottoposta al Parlamento etiopico, e che non è per ora consigliabile un di lui ritorno ad Addis Abeba. Evidentemente la promessa dell'Imperatore è stata a suo tempo fatta a Franchetti sotto la pressione dell'azione energica e personale da lui svolta; ma l'Imperatore non sembra avere alcuna sincera intenzione di mantenere la promessa, e si trincera dietro il pretesto dell'approvazione parlamentare, solo per poter rimandare la cosa e spiegare eventualmente un rifiuto.

In tali condizioni sembra che il ritorno di Franchetti ad Addis Abeba debba essere esaminato in relazione all'atteggiamento generale che si deciderà di adottare nei riguardi dell'Etiopia.

Se tale atteggiamento sarà quello sopra prospettato, l'azione energica che il Franchetti potrà svolgere a Addis Abeba sembra poter essere comunque utile ai nostri interessi, sia nel caso che si ottenga la concessione, sia nel caso contrario; in quanto un rifiuto del Governo etiopico ci darebbe nuovo argomento per dimostrare la sua cattiva volontà di sviluppare i tramci itala-etiopici; e potrebbe determinarci a considerare l'eventualità di una denuncia del trattato di amicizia del 1928.

Che se invece si dovesse continuare nell'attuale politica di indifferente amicizia, sembra non sia conveniente che Franchetti, col ritornare ad Addis Abeba, inasprisca inutilmente i rapporti itala-etiopici.

Concludendo, il problema etiopico merita di essere preso di urgenza in seria considerazione; il continuare nella stasi attuale e nella politica di indifferente amicizia senza scopi precisi finora seguita potrebbe non solo compromettere definitivamente le nostre tradizionali aspirazioni su una regione che può costituire lo sbocco della nostra soprapolazione e la fonte di numerose e per noi importanti materie prime, ma anche rendere precaria la situazione nelle nostre colonie del Mar Rosso.

È urgente che queste, sia per necessità di difesa che per dar modo di svolgere quella pressione politica militare che dovrebbe accompagnare un più

deciso atteggiamento italiano verso il Governo imperiale, siano rafforzate note

volmente nel loro attrezzamento bellico, specialmente dal punto di vista aero

nautico.

Il R. Ministero delle Colonie ha già da parte sua predisposto i provvedi

menti di maggiore urgenza in tal senso, come risulta dall'unito incarto: col

progetto di telespresso pure qui unito per l'eventuale approvazione e firma,

si esprimono alcune osservazioni circa i provvedimenti militari in corso di ado

zione (1).

(l) -Cfr. infatti n. 228. (2) -Non sl pubbllca !n quanto integralmente riportato nel testo.
223

IL MINISTRO GUARIGLIA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

RELAZIONE. Roma, 27 agosto 1932.

Da quando nel 1880 la Società Rubattino acquistò la baia di Assab il fine

ultimo cui tendeva e doveva tendere la politica coloniale dell'Italia Nuova non

era in realtà soltanto quello di metter piede sulle coste del Mar Rosso e succes

sivamente dell'Oceano Indiano, ma di iniziare la conquista di un vasto dominio

coloniale in quella parte dell'Africa.

Le nostre prima fortunate poi disgraziate imprPse africane, attraverso tutte le amarezze e gli errori, ci dettero in sostanza il battesimo di Potenza Coloniale e segnarono l'inizio di un destino storico per il nostro Paese cui dilllcilmente esso potrà sottrarsi nell'avvenire.

In sostanza Eritrea e Somalia, per quanto vasta sia venuta ad essere la

loro estensione e per quanto completo possa essere il loro fortunato sfruttamento

agricolo ed industriale, non possono considerarsi ancora che degli Scali marit

timi, delle punte avanzate verso il retroterra, verso il vero impero coloniale che

è l'Abissinia. Noi non avremo delle vere Colonie nell'Africa Orientale, fin quando

a quei due simulacri coloniali che si chiamano l'Eritrea e la Somalia non si sarà

aggiunta, sotto qualsiasi forma, la maggior parte dei territori che formano ora

l'Etiopia.

Il problema del nostro rapporto di potenza con l'Etiopia e della nostra

penetrazione pacifica o militare in essa, si impose, ripeto, fin dal momento del

nostro sbarco ad Assab. Tale problema assunse a volte un carattere attivo, a

volte invece un carattere passivo, a seconda delle forze e delle possibilità poli

tiche e militari dell'Italia. Ma il problema stesso incombe ed incomberà sempre

su di noi, se non altro nella sua forma passiva, poiché possedendo il nostro Paese

dei territori che l'Abissinia rivendica nascostamente od apertamente come suoi

(specie in Eritrea) dovremo sempre temere delle velleità aggressive etiopiche

Gll allegati mancano. Per 11 primo cfr. n. 66. Il secondo è con ogni probabilità un telespresso senza data, che non risulta spedito e che non si pubblica.

di carattere irredentistico, e quindi mantenere per lo meno in eiDcienza le nostre difese politiche e militari. Questi pericoli sono tanto più gravi quanto più l'Etiopia si civilizza, quanto più celere è il suo passaggo da Stato ad ordinamento feudale a Stato centralizzato sotto una forte Monarchia. Di qui la necessità di fare sempre una politica abissina.

Di qui anche la necessità di fare i conti colle altre Potenze Europee che hanno interesse in Etiopia, o per lo meno hanno l'interesse di fare di questa un punto vulnerabile nei riguardi dell'Italia, allo scopo di crearci imbarazzi e diiDcoltà ad esse vantaggiose, sia localmente, sia nella politica europea.

Liquidate alla meglio le nostre imprese militari in Abissinia, impotenti ad affrontare da soli una nuova politica attiva verso quello Stato e dovendo evitare ragioni di dissensi pericolosi con la Francia e l'Inghilterra, il Governo italiano si indusse a stipulare nel 1906 con questi due Stati il cosidetto accordo tripartito per l'Etiopia, il quale previde le zone in cui avrebbero potuto svilupparsi rispettivi interessi dei tre Paesi ed in cui tali interessi avrebbero potuto consolidarsi il giorno in cui fosse avvenuto un collasso dell'Impero Etiopico.

Questo accordo che fece della questione abissina una vera e propria questione europea, venne pure a costituire la magna charta dei nostri diritti e delle nostre aspirazioni.

Esso costituì in sostanza l'epicentro intorno a cui, da un lato, si intensificò il naturale gioco politico abissino di aizzare e sfruttare le rivalità delle tre Potenze firmatarie e di quelle non firmatarie (in un primo momento Russia, in un secondo Stati Uniti e persino Giappone), e, dall'altro, si scontrarono gli interessi dei tre Stati confinanti, consolidati come sempre, disgraziatamente in misura non favorevole all'Italia. Mediante l'Accordo del 1906 infatti la Francia aveva modo di fare di Gibuti, e della ferrovia che parte di là, la vera unica e grande strada di penetrazione in Etiopia, l'Inghilterra si assicurava le regioni in cui si trovano le sorgenti del Nilo (Lago Tzana) e l'Italia aveva sì una vasta regione ad ovest di Addis Abeba, in cui doveva penetrare dall'Eritrea, ma per essa era tutto un enorme e diiDcile lavoro da compiere!

Nondimeno la nostra politica vivacchiò sempre nella speranza che maturasse un giorno il frutto da cogliere, e si svolse più o meno assiduamente fino alla guerra europea su due linee obbligate (ferma restando la base dell'Accordo politico del 1906): l'una che cercava di affermare la nostra influenza presso il Governo centrale di Addis Abeba, l'altra che cercava di creare imbarazzi invece a tale Governo (sopratutto per impedirne il rafforzamento e mantenere nell'Impero uno Stato di anarchia), attirando verso di noi i più potenti capi periferici e confinanti coi nostri territori.

Mezzucci che mantenevano sempre su noi incombente e preoccupante il grande problema abissino.

Nelle trattative con la Francia che precedettero la nostra entrata in guerra, tentammo di risolverlo radicalmente chiedendo Gibuti, il cui possesso ci avrebbe permesso di eliminare dalla soluzione del problema stesso la Francia, e di possedere la grande via di penetrazione in Etiopia.

La nostra domanda non fu accolta e non fu nemmeno possibile ripresentarla a Versailles. Tra le nostre questioni e rivendicazioni coloniali presentammo però allora la proposta di rendere attivo l'accordo tripartito del 1906, cioè di cominciare a lavorare d'intesa con la Francia e l'Inghilterra, in comunità e lealtà di intenzioni, a rendere possibile la realizzazione pratica di tale accordo, provocando lentamente il collasso dell'Impero etiopico. Anche a questa proposta fu risposto negativamente.

Anzi cominciò da parte francese ed inglese tutto un lavoro a no! contrario. Si volle lavorare per fare entrare l'Etiopia nella Società delle Nazioni, si volle rendere possibile ivi l'importazione di armi, prima vietata. Si cominciò a dire, ciò che era più grave, che ormai l'Accordo del 1906 non aveva più valore. Noi cercammo far di tutto per far comprendere per lo meno agli inglesi (più interessati dei francesi a non aver come vicina una Abissinia forte) che tutto ciò avrebbe finito per riusc-ire utile soltanto all'Impero etiopico, che questa politica oltre ad essere ostile a noi avrebbe prodotto gravi danni agli interessi delle Potenze europee, ecc. Tutto fu vano, finché un bel giorno il Governo inglese, premuto dai suoi cotonieri, non sentì il bisogno di realizzare i diritti che gli venivano dall'Accordo del 1906 per i lavori di sbarramento del Lago Tzana, e sentì anche la necessità del nostro appoggio a questo scopo. Afferrammo allora l'occasione per rimettere in piedi (e migliorarlo nei riguardi dell'interpretazione dei diritti inglesi) il suddetto Accordo del 1906, unica -ripeto -carta diplomatica europea della questione abissina.

Di qui sorsero i malumori abissini contro di noi, specialmente sfruttati con abilità dalla Francia.

Era l'anno 1925. La situazione politica europea non ci permetteva di distrarre le nostre forze per affrontare eificacemente la questione abissina. Cercammo di addolcire ad Addis Abeba i malumori destati dal nostro accordo con l'Inghilterra, e poiché il Governo etiopico ci domandava una prova delle nostre pacifiche intenzioni, accettammo la sua proposta di concludere un trattato di amicizia e di non aggressione.

Nello stesso tempo però il Governo etiopico, sia per seguire il suo giuoco di aizzare e sfruttare le rivalità delle Potenze europee, sia perché è sua naturale aspirazione di avere uno sbocco libero al mare, e non essere schiavo unicamente del porto francese di Gibuti, ci domandò una striscia di territorio (in piena sovranità) che sboccasse ad Assab, per farne un porto abissino.

Dinanzi a tale domanda restammo in verità perplessi. Da un lato poteva per noi essere allettante l'idea di diminuire grandemente il valore del porto di Gibuti e l'influenza francese, dando all'Abissinia con un suo porto un suo sbocco territoriale al mare, che rimanesse però incuneato nella nostra colonia e quindi facilmente controllabile e vulnerabile da parte nostra. L'Abissinia divenuta marittima, avrebbe avuto verso di noi minore difesa, e noi avremmo avuto maggiore forza di penetrazione in essa: il retroterra abissino si sarebbe potuto cominciare a dischiudere meglio alle nostre Colonie.

D'altro lato però, mentre potevano prodursi anche degli innegabili pericoli per queste ultime (che avremmo dovuto mantenere in maggiore efficienza militare), sarebbe stato anche strano e doloroso che proprio il Governo fascista si fosse indotto ad alienare un pezzo del nostro territorio, e proprio quello da cui ebbe inizio la nostra storia coloniale. Tentammo di portare le mire abissine su altri punti della costa, ma non fu possibile. Ed allora ripiegammo su di una soluzione di rimedio: la concessione di un porto franco e la costruzione comune di una strada, escludendo ogni idea di cessione territoriale e di trasferimento di sovranità.

Fu questa la convenzione per la strada Assab-Dessié (1928) concomitante al patto di amicizia itala-etiopico e quasi parte integrante di esso. Fu un rimedio ineflìcace che poteva però presentare questi vantaggi:

l. -Posto che tanto noi quanto l'Etiopia non avevamo un reale interesse a costruire la strada ed il porto franco (l'Etiopia perché la consdderava soluzione insuflìciente, e noi perché il territorio che la strada attraversava non ha che scarso interesse economico), l'esistenza di una convenzione creava sempre un vincolo politico fra l'Italia e l'Abissinia.

2. -Potevamo in qualsiasi momento sfruttare questo vincolo, sia in senso positivo che negativo, avendo creato materia di discussione, di azione, di giuoco politico.

Infatti gli studi, i progetti dei lavori da compiere si trascinarono per qualche anno, costandoci sì qualche centinaia di migliaia di lire, ma dando modo al Governo abissino ed a noi di lanciarci vicendevolmente accuse di cattiva volontà, etc.

I nostri tecnici coloniali, che non vedevano il lato politico della questione e non ne conoscevano i veri precedenti, attaccarono, e con ragione, il progetto di una strada Assab-Dessié come non pratico e non economico. Fu allora che noi facemmo riprendere indirettamente dalla stampa, dai colonialisti, etc., l'idea di chiedere invece all'Etiopia una strada Setit-Gondar, che penetrando direttamente da regioni ricche dell'Eritrea in regioni ricche dell'Etiopia, offre ben maggiori vantaggi dal punto di vista economico, oltre ad avere un valore strategico assai più grande che non le altre vie di penetrazione, perché attraversa regioni che più facilmente si possono sottrarre all'influenza del Governo centrale di Addis Abeba.

Fu costituita pro-forma una società italiana. Venne inviato in Etiopia il Barone Franchetti per iniziare le trattative.

Il Barone Franchetti, per passione, per temperamento, ed anche per tradizioni famigliari ha fatto della nostra penetrazione e più ancora della nostra sognata conquista dell'Abissinia lo scopo della sua vita. Egli è dotato di scarso equilibrio politico, di carattere impetuoso, volitivo ed impulsivo, ma nello stesso tempo non manca di esperienza e di tenacia, di passione leale e sincera, di entusiasmo patriottico e coloniale fervidissimo. Bisogna sfruttare le sue molte qualità buone, e cercare di rendere il meno possibile nocive quelle cattive.

Recatosi in Addis Abeba, il Franchetti ha chiesto perentoriamente all'Imperatore la concessione della strada Setit-Gondar (sempre naturalmente per conto di una Società privata) e l'ha fatto con la maniera forte, attaccando abbastanza violentemente il Governo etiopico per il suo atteggiamento indifferente ed ostile nei riguardi dell'Italia, mostrando la necessità di collaborare ... etc.

Il Negus lo ha sostanzialmente menato per il naso. Ha finito per dirgli che egli era favorevole alla concessione della strada, ma che doveva sentire il parere del Consiglio dell'Impero, del Senato, etc.

Quando il Franchetti, tornato in Italia, dietro nostri suggerimenti, ha cercato con una lettera all'Imperatore di impegnarlo maggiormente, questi gli ha risposto cercando a sua volta di eludere le sue promesse, etc,, Ha sentito anche il bisogno di far fare in questo senso una comunicazione dal suo Incaricato d'Affari a questo Ministero (1),

Questi, in rapidissima sintesi, i punti salienti della nostra azione fino ad oggi.

Rimane ora da decidere come continuare il cammino perché, sia pure in termini ridottissimi, una politica abissina noi non ci potremo mai esimere dal farla; essa s'imporrà anche se vorremo metterla da parte.

Due sono i caposaldi della situazione attuale:

L -L'Etiopia si sta civilizzando, centralizzando, armando, solidificando per un processo storico ineluttabile e per l'abilità eccezionale dell'attuale Imperatore, ex Ras Tafari, che ha quasi distrutto l'antica struttura feudale del Paese e la potenza dei capi. Essa rappresenta quindi per noi un ostacolo di gran lunga più grave che non lo fosse soltanto cinque o sei anni or sono, e domani può rappresentare un pericolo imminente per le nostre colonie confinanti. Bisogna provvedere ad eliminare questo nostro punto vulnerabile, anche se non si consideri la necessità di una nostra espansione coloniale da quella parte.

2. -L'Italia non può affrontare da sola la questione etiopica, sia per la situazione europea generale ed i pericoli che ne derivano, sia per la insidiosa situazione politica e militare locale, Impossibile di farlo in contrasto con la Francia e l'Inghilterra, indispensabile di farlo d'accordo con esse.

Ciò ci induce a due ordini di considerazioni:

* a) Se noi vogliamo dare un'espansione coloniale al nostro Paese, anzi, per dire una parola grossa, formare un vero Impero Coloniale italiano, non possiamo cercare di fare ciò altro che in Etiopia. I posti al sole e specialmente al sole africano (che sono quelli che più ci interessano) sono tutti accaparrati. Per le colonie portoghesi bisogna fare i conti col Portogallo e non si riesce a vedere per ora con quale mezzo, con quale pretesto si potrebbe cominciare a farli, anche a prescindere dalle pretese dell'Unione Sud Africana e perfino degli impegni esistenti con questa. Per le colonie ex-tedesche bisognerà fare i conti con la Germania. Ma poi nessuno di questi territori si salderebbe cosi naturalmente con interessi nostri preesistenti, con sacrifici nostri già compiuti, con il filo logico di una conquista coloniale già iniziata, seppure interrotta per molto tempo. E le colonie bisogna conquistarle, non aspettare che ci cadano dal cielo come la manna.

Se è vero che nulla di grande si fa nel mondo senza imbrattarsi le mani di sangue, ciò è indiscutibilmente vero nella storia della colonizzazione. Tutti gli Imperi coloniali si sono formati attraverso lotte sanguinose, tanto più la colonia è intimamente ed indissolubilmente legata alla metropoli, quanto più

questa ha fatto sacrifici per essa e sacrifici sopratutto del sangue generoso dei propri figli. La storia coloniale inglese e francese ce lo insegna, fino alla recente conquista del Marocco, e lo insegna anche ora la nostra storia della Libia.

Il nostro d'altra parte non è più il tempo in cui ignavi poeti cantavano: «La nostra Patria è qui, non nei deserti dell'Abissinia orrenda». L'Italia tutta sentirebbe oggi H dovere del grande tentativo coloniale e farebbe il necessario per attuarlo felicemente.

Occorre infine non dimenticare mai che soltanto una auspicata futura conquista dell'Abissinia darebbe anche a noi la possibilità di formarci un vero e proprio esercito nero, della cui forza e del cui valore abbiamo del resto già sperimentato da lungo tempo i vantaggi, poiché proprio dall'Etiopia abbiamo tratto i migliori combattenti per la Libia.

b) D'altra parte noi commetteremmo, è vero, un grave delitto contro il nostro Paese se ci avventurassimo in una spedizione abissina di grande stile senza essere sicuri in casa nostra. Ma anche qui non bisogna esagerare. Pur essendo necessario di procedere previamente a seri studi di carattere militare e pur non volendo né anticiparne le conclusioni né esprimere dei pareri incompetenti, sembra che al giorno d'oggi una nostra spedizione militare in Abissinia non presenterebbe le difficoltà ed i pericoli delle nostre guerre passate, ove fosse fatta con la massima larghezza di mezzi umani e materiali.

L'Abissinia è armata in ampia misura, ma non di armi molto moderne; ha molto migliorato la sua organizzazione statale e militare, offre un territorio spiccatamente vantaggioso per la guerra difensiva ed ha soldati particolarmente adatti ad essa, ma la tecnica militare moderna europea ha fatto progressi tali da permettere di vincere rapidamente i nuclei maggiori di resistenza, salvo naturalmente a proseguire le operazioni per il molto tempo necessario ad assicurare il pacifico possesso di tutto quel vastissimo paese. Il grande mezzo offensivo che può darci subito ragione delle fondamentali resistenze è l'aeronautica, di cui l'Abissinia è completamente sprovvista, ma essa dovrà essere impiegata senza risparmio, su larghissima scala.

Naturalmente occorrerà pensare a coltivare i dissensi dei vari capi feudali fra di loro e con il Potere Centrale, occorrerà anche prevedere la convenienza

o meno di lasciar sussistere uno Stato abissino sotto il regime del Protettorato italiano. Ma tutte queste sono anticipazioni che servono solo ad illustrare la complessità del problema e la ponderazione con cui sarà necessario agire al mo· mento opportuno. Momento che noi dovremo poter scegliere a nostro arbitrio e secondo le nostre convenienze, ma le cui premesse politiche e diplomatiche dobbiamo stabilire e precisare in tempo debito. L'impresa di Libia fu cominciata a preparare politicamente una quindicina di anni prima, e nel 1902 ebbero luogo i primi accordi diplomatici precisi. È arduo pensare che altrettanto si debba fare ora per l'Etiopia, pur auspicando che la realizzazione degli impegni avvenga a scadenza meno lontana?* (1).

Uno spunto a tali trattative si è avuto nell'inverno scorso, nel corso delle varie conversazioni che hanno avuto, a titolo esclusivamente personale, il Marchese Theodoli ed il signor De Gaix.

Da tali conversazioni è apparso indubbiamente che si era fatto strada negli ambienti del Quai d'Orsay non solo il concetto di lasciar mano libera all'Italia sulla maggior parte dell'Abissinia, ma anche quello della cessione territoriale da parte della Francia di un territorio ad arco di ce~:chio intorno a Gibuti e della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, di guisa che in realtà Gibuti (ove opportuni e precisi accordi fosse stato possibile stipulare) sarebbe divenuto soltanto un punto d'appoggio francese per la navigazione nel Ma,r Rosso e verso l'Oceano Indiano, perdendo assolutamente il suo scopo di penetrazione francese in Etiopia e di punta avanzata contro ogni possibilità di espansione coloniale italiana.

Si dirà che il disinteressamento f,rancese per l'Etiopia ed una nostra conseguente azione colà hanno per scopo di distrarre la nostra attenzione ed il nostro peso politico e militare dal fronte europeo a tutto vantaggio della Francia.

Questo è esatto, come è anche esatta l'impossibilità per noi di accedere a tali lusinghe fino a quando non saremo sicuri delle porte di casa in Europa, ma bisognerà pure convenire che, allo stato attuale delle cose, un simile accordo con la Francia, che necessiterebbe un contemporaneo accordo con l'Inghhlterra, è l'unico indispensabile punto di partenza per risolvere radicalmente la questione abissina.

• * *

Ma se questi negoziati sono attualmente impossibili per noi, perché implicherebbero un mutamento completo e di lunga durata delle nostre direttive politiche in Europa, se dovremo ,rassegnare! a veder aumentare di giorno in giorno la potenza dello Stato abissino, senza poter far nulla di serio per diminuirla (giacché l'accentramento di tutto il potere nelle mani dell'Imperatore e la pratica distruzione dei grandi feudatari hanno reso, per ora almeno, illusorio ogni tentativo di ripresa da parte nostra della cosidetta politica periferica), è questa una ragione per continuare ancora la tisica politica abissina che abbiamo dovuto condurre finora?

Per continuare a blandire il nuovo Imperatore e fargli quasi ritenere che noi abbiamo di lui più timore di quello che egli non abbia di noi? O non sarebbe forse meglio di tentare una maniera forte, che sarebbe sì sfruttata dai francesi e dallo stesso Imperatore ai suoi fini accentratori, ma che potrebbe anche indurlo a più miti consigli in questo momento ancora delicato della sua opera politica, in cui non ha bisogno di aver molti nemici?

Questo nostro atteggiamento energico, oltreché ad avere sempre sicuro effetto sulla mentalità orientale, potrebbe inoltre portare una conseguenza importante per noi. Dare cioè alle popolazioni etiopiche malcontente ed ai capi locali (non ancora domi e rassegnati) l'impressione che vi è ancora un grande paese cui far capo, ancora uno Stato con cui l'Imperatore deve fare i conti: l'Italia. E sminuire quindi l'onnipotenza attuale del Negus e permetterei di riprendere quella politica periferica e disgregatrice che la forza delle circostanze ora non ci consente di attuare.

E dopo tutto, poiché abbiamo per tanti anni praticato una politica di amicizia, che non ci ha dato alcun importante frutto positivo (le concessioni ottenute e gli interessi da noi precostituiti in Etiopia sono in realtà ben piccola

24 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

e trascurabile cosa), perché non tentare la maniera forte e vedere quali ne sa

ranno i risultati?

Sta alla nostra abilità diplomatica di attuarla opportunamente e fino a

quel punto in cui non ce ne derivassero seri imbarazzi locali e non offrissimo

alla Francia serie possibilità di danneggiarci.

Il modus procedendi potrebbe essere offerto dalle attuali trattative Franchetti per la strada Setit-Gondar. Si dovrebbe cominciare a dar la sensazione al Governo etiopico che questo non è un semplice affare privato di cui il Governo italiano si disinteressa. Che l'Italia tiene molto alla concessione di tale strada, perché vede in essa, oltreché nell'Assab-Dessiè (rimasta in sospeso per malvolere abissino, su cui bisogna sempre insistere), l'unico modo di attuare quell'opera di amichevole e reale collaborazione economica itala-etiopica, che l'Imperatore auspica egli stesso, ma sempre soltanto a parole. Gradatamente si dovrebbero dare istruzioni al nuovo Ministro in Addis Abeba di giungere perfino, secondo il corso degli avnnimenti, a minacciare la denuncia del Patto di amicizia itala-etiopico, mantenendo un contegno freddo e misurato verso l'Imperatore.

I casi sono due: o questi cederà e avremo fatto un altro passo avanti nella politica abissina, dando ai capi e alle popolazioni un segno deUa nostra forza e del nostro riacquistato prestigio, in attesa di poter affrontare, in un'epoca che è da augurarsi non lontana, decisamente la questione abissina, previo accordo colle altre due Potenze interessate.

O l'Imperatore non cederà, e inaugureremo un periodo di tensione politica con l'Abissinia, che potrà presentare per noi inconvenienti, ma non di natura tale da non poter essere sopportati senza gravi sacrifici.

Naturalmente in ogni caso, occorre provvedere al graduale rafforzamento militare, e specialmente aeronautico, in Eritrea ed in Somalia. E dico in ogni caso, perché non bisogna dimenticare che l'Etiopia va continuamente rafforzandosi e che, se staremo inerti, essa potrà costituire domani ciò che non costituisce oggi: un pericolo aggressivo per le nostre due colonie.

Ove entrassimo in questo ordine di idee, occorre ricordare da ultimo che l'Imperatore, mesi or sono, ci ha fatto una proposta molto importante: quella di scambiare il territorio dell'Ogaden con uno sbocco territoriale al mare. Egli è ritornato quindi alla sua vecchia idea, come d'altronde era logico. Questa volta ci offre un compenso, mentre nel 1925 credeva che il compenso potesse essere per noi costituito soltanto dall'allettamento di una ipotetica concorrenza alla via Gibuti-Addis Abeba.

Tale proposta, al cui riguardo occorre per noi valutare le stesse considerazioni fatte nel 1925, non è in realtà accettabile, oltretutto perché troppo meschino è dl compenso offertoci (territorio dell'Ogaden) ma noi non abbiamo mai data una risposta aU'Imperatore ed abbiamo menato il cane per l'aia, profittando anche dell'assenza del nostro Ministro da Addis Abeba.

È evidente però che l'Imperatore vorrà riprendere le conversazioni a tal proposito, ed è sintomatico il fatto che l'Incaricato d'Affari di Ahissinia a Roma, nel recentissimo colloquio avuto con S. E. Suvich, ha cercato di mettere in relazione la questione dell'iniziativa Franchetti per la strada Setit-Gondar con le offerte dell'Imperatore per il detto scambio territoriale.

Ora sembra che se si desidera di seguire in Abissinia una linea di condotta più risoluta, si dovrà evitare una tale connessione, cercare di procrastinare ogni decisione sullo scambio territoriale, mettendo in evidenza l'assurda sperequazione di esso e puntando decisamente sulla strada Setit-Gondar.

Altrimenti anche le nuove conversazioni con l'Imperatore dovranno essere continuate con quel tal metodo di apatia e di dilazione che oltre ad ingenerare la sensazione della nostra debolezza, si risolve in realtà in un vantaggio soltanto per l'Etiopia (l).

(l) Questa relazione, preparatoria a quella successiva (cfr. n. 223) sembra fatta in base al seguente appunto di Suvich del 19 agosto: «Conviene fare un appunto organico su tutta la ·questione Abisslnla-Mar Rosso e presentarlo al Capo del Governo per le decisioni. Si potranno anche unire l telegrammi già predisposti».A margine di tale appunto la seguente annotazione di Guarnaschell1: «Fatto e consegnato al Ministro Guariglla 11 25 agosto ».

(2) Ed. in GuARIGLIA, Ricordi, pp. 763; vedi anche lvi, p. 180.

(l) Cfr. n. 217.

(l) Il brano fra asterischi già si trova identico nella precedente relazione di Guariglia del 18 febbraio 1932 (cfr. serie VII, vol. Xl, n. 226, pp. 398·399).

224

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 2984/404 R. Parigi, 27 agosto 1932 (per. il 29).

Il gruppo dei «giovani radicali 1> propugna, in materia di politica estera, il principio dell'astrarre dal regime interno degli altri Stati, e del decidere dell'atteggiamento della Francia in base ai suoi interessi di situazione estera e non con pregiudiziali dipendenti dal regime interno degli altri paesi. Partendo da questo punto di vista, questo gruppo è più facilmente degli altri gruppi portato a vedere con favore una politica di convivenza e magari di collaborazione con l'Italia, impostando la politica francese anzi raddrizzandola, come fece il signor Delcassé nel suo settennato, sulla base, oltre che dell'esistente alleanza .con la Russia, di un chiarimento con .l'Italia, e di un'intesa con l'Inghilterra, per arginare la politica espansionista della Germania. Oggi che non solo l'alleanza russa non c'è e non può esservi, ma che vi è tra Germania e Russia il trattato di Rapallo, a questa politica di chiarimento e di intesa con l'Italia e con l'Inghilterra si aggiunge la politica di collaborazione cogli Stati Uniti, e, per il settore dell'estremo Oriente, quella di simpatia con il Giappone che può essere utile a controbilanciare il trattato di Rapallo.

Questi giovani radicali hanno come principali loro organi di stampa La République e La Volonté e come loro principale pubblicista ed animatore il signor Emilio Roche, direttore deHa République. Il signor Roche è in ottime relazioni col signor Herriot e col signor Caillaux, cioè coi due grandi capi del radicalismo che non ammette legami di dipendenza, o legami di associazione

-o di cartellismo, col socialismo. Con questi giovani radicali si fonde ormai la situazione e l'azione politica del deputato Raymond Patenòtre, che per il. fatto di avere impegnato larghi capitali propri nella République, in molti giornali di provincia, di disporre del Petit Journal e di avere allacciato trattative che potranno dargli la disponibilità o prevalenza anche su altri importanti organi di stampa, come il Petit Parisien e l'Intransigeant, dà al gruppo di giovani radicali la possibilità di largamente influenzare l'opinione pubblica francese. Il R. Ministero conosce quali sono le idee del signor R. Patenòtre circa le relazioni fra Italia e Francia, ed avrà osservato che dacché egli le manifestò e specialmente dal suo viaggio a Roma nel gennaio u.s. queste idee non si sono mutate, ma hanno avuto una ripercussione precisa e conforme nell'atteggia

mento della Républiquc, sulla stessa redazione degli articoli del pubblicista Pierre Dominique, RUll'atteggiamPnto del Petit Niçoi.~ e di altri giornaJi di provincia.

Coi contatti che ho tenuto dal passato inverno in poi con il signor Roche ho potuto chiarire a lui, al Dominique, e a altri pubblicisti, molte situazioni di fatto dei rapporti e degli affari itala-francesi e, come V. E. avrà visto, dar motivo a varii articoli che hanno influenzato l'opinione pubblica francese nel senso di mostrarle l'opportunità ed anche la giustizia di un mutamento di atteggiamenti francesi verso l'Italia. Si è pure ottenuto un altro vantaggio; quello cioè di dar vita e rilievo circa la questione italiana a un contrasto nella stampa radicale, dove la République la Volonté hanno ormai una linea diversa da quella puramente massonica dell'Ere Nouvelle e dove la Oeuvre è ormai costretta a tenere un atteggiamento meno italofobo, e magari a stampare qualche volta un articolo non contrario a un'eventuale collaborazione coll'Italia fascista.

Premesso tutto quanto precede come precisazione e chiarimento di situazione, informo che si progetta (solo progetta per ora) un viaggio del signor Emilio Roche a Roma, ad anche un viaggio di diversi giornalisti francesi in Italia a Roma. Sono due distinti progetti.

Il signor Roche avrà nei primi di settembre un colloquio col signor Herriot e solo se questo approverà, egli preciserà il suo progetto di viaggio. Essendo stato addetto militare aggiunto a Roma nel secondo periodo della guerra egli conosce già bene l'Italia. Verrà costà per prendere contatti con uomini politici e pubblicisti, per rendersi conto dell'opinione loro, della situazione, e delle possibilità ed esigenze di un chiarimento politico tra Italia e Francia.

I giornalisti sarebbero in maggioranza di sinistra; comprenderebbero anche qualcuno del Populaire; visiterebbero l'Italia; si renderebbero conto personale dell'organizzazione data dal fascismo all'Italia, e prenderebbero contatto, per franchi e aperti colloqui, con i principali giornalisti italiani, allo scopo di chiarire e comprendere situazioni e di allacciare relazioni personali.

Io sono stato informato, molto confidenzialmente, di questi due progetti, con riserva di farmi conoscere se si concreteranno.

Ne scrivo a V. E. oggi a due scopi: uno puramente informativo; l'altro per pregarla di telegrafarmi qualora Ella preferisse che i due progetti, o solo il secondo, non si r,ealizzassero, o fossero ritardati. In caso diverso, ossia di silenzio di V. E., lascerò le cose correre come il Roche, e gli altri crederanno di progettarle, !imitandomi alle facilitazioni usuali e generiche.

(l) -Questa relazione ha evidentemente fornito la base per il n. 248 .
225

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. GAB. PER CORRIERE RR. 3016/552 R. Berlino, 27 agosto 1932 (per. il 1° settembre).

Il generale von Schleicher, ministro della Difesa Nazionale, l'uomo di fiducia del maresciallo von Hindenburg, da tempo mi aveva, a più riprese, fatto sapere, che mi avrebbe parlato volentieri. Vecchi rapporti d'amicizia, che datano da

quando egli era giovane ufficiale al III reggimento della guardia a piedi a

Potsdam, ed lo giovane segretario della R. ambasciata a Berlino, e rapporti di «camaraderie » con la prima famiglia dell'ambasciatrice, i quali datano da quando von Schleicher e von Holzig erano compagni nel Grande Stato Maggiore, hanno favorito tra noi due l'aff.ermarsi di una reciproca personale fiducia. E se lo ho intenzionalmente cercato di non approfittarne al di là di un certo limite, ciò è avvenuto per ragioni di riguardo e di tatto verso il ministero degli affari esteri, per il quale il generale von Schleicher, da vero militare, nutre non grande simpatia nè eccessiva fiducia -tanto che oggi, avendo in mano il bastone del comando, ha cominciato a porlo un po' sotto la sua tutela, con l'imporgli, come capo dell'ufficio stampa, l'uomo di sua fiducia, il maggiore Marcks.

Essendo nel punto di abbandonare quest'ambasciata, ho creduto, per ragioni di cortesia, rendermi alla fine all'invito, più volte rivoltomi: e sono stato stamani (l) a visitarlo. La conversazione improntata alla più amichevole fiducia, è durata circa un'ora. Cercherò qui sotto di riassumere quanto mi ha detto:

l) Con il mio telegramma n. 549 (2) ho informato V. E. di quanto egli mi ha dichiarato ·in merito alla condotta del Governo germanico nel presente stadio della dibattuta questione del disarmo e più particolarmente del riconoscimento a favore della Germania dell'uguaglianza di diritto. In sostanza, secondo quanto egli mi ha detto, a Berlino avranno luogo con il rappresentante francese conversazioni per conoscere se il Governo di Francia è disposto o no a entrare in negoziati per il riconoscimento dell'eguaglianza di diritto alla Germania -se il risultato delle conversazioni sarà positivo, la delegazione germanica si troverà a Ginevra per riprendere, insieme alle altre delegazioni, le trattative onde giungere ad un accordo generale. Secondo il generale von Schleicher il Governo tedesco non cerra, non vuole un accordo singolo con la Francia. Se questa continuerà invece nella sua attitudine negativa, di fronte alle domande germaniche, e non vorrà piegarsi al dettato dell'ora, che è anche un dettato dell'equità, il Governo di Berlino non è certo disposto a riprendere quel lavoro collegiale ginevrino, di cui i lunghi mesi hanno dimostrato l'inutilità per la Germania di fronte all'ostinatezza egemonica della repubblica francese -in nulla diminuita da quella dei Luigi XIV e XV.

2) Avendo egli accennato, smentendole, le voci messe ad arte in giro di eventualità d'accordi separati con la Francia, sia per il tramite degli Stati Maggiori dei due paesi, sia attraverso il Cancelliere von Papen e i suoi amici francesi del tempo passato, io gli ho domandato ma perché quelle voci non sono state mai formalmente ufficialmente smentite? Eppure esse all'estero avevano prodotto un effetto nocivo per la Germania, particolarmente a Mosca. Egli mi ha lasciato capire, che questi «artifizi » della diplomazia della Wilhelmstrasse non erano di suo gusto e che non li approvava. Egli è per una politica

diritta chiara e franca. Con il procedere tortuoso un paese non arriva alla meta prefissasi. Un paese deve sapere cosa vuole, ciò deve far conoscere chiaramente a tutti, e poi procedere risolutamente sulla linea diretta.

3) Il generale von Schleicher è entrato poi a parlare di sua iniziativa della situazione politica interna in Germania. Secondo lui, l'idea che l'estero si è fatta di Hitler e del nazionalsocialismo è assolutamente errata -non v'è errore di valutazione più grave, egli osservava, di quello che consiste nel paragonare Hitler a S. E. Mussolini, il fascismo italiano col nazionalsocialismo -le condizioni dell'Italia nel 1919 e quelle odierne della Germania. Io, diceva, sono un profondo, fanatico ammiratore di S. E. Mussolini, dei risultati fantasticamente grandi realizzati da lui, del bene prodotto .tn Italia dal fascismo -so anche apprezzare l'utile che il movimento nazionalsocialista ha arrecato alla rigeneratione nazionale della Germania, ma dalla conoscenza personale che ho di Hitler e dei suoi seguaci, sono tratto a dire che il giudizio che si porta all'estero su questi valori non è in armonia con l'ambiente germanico. Il Governo attuale è basato sulla volontà del maresciallo von Hindenburg e forte di questa base procederà oltre non curandosi del contegno del Reichstag. Procederà oltre, realizzando gradatamente quelle riforme, che il paese attende, e prendendo quelle misure che la situazione domanda urgentemente. Domenica il cancelliere parlerà a Munster ed esporrà il programma di lav ori, deciso in questi giorni in seguito al quale, con fiducia, il Governo si ripromette per i prossimi mesi una diminuzione di due milioni nel numero dei disoccupati. Questa diminuzione, secondo il generale, costituirà un reale successo e servirà a affrettare l'azione di rallentamento, oramai visibile, nell'ondata nazionale socialista. Per un Governo, il successo è la ragione, è la forza per vivere. <<Noi avremo il successo». Non ho voluto né avrei potuto aprire una discussione su quanto il generale veniva dicendo -è superfluo quindi che rilevi essere quanto precede soltanto la riproduzione più fedele del pensiero del generale von Schleicher che io riporto senza aggiunta né commenti, ma come scrupoloso informatore.

4) Il generale von Schleicher, passando a parlare dei rapporti tra l'Italia e la Germania, si felicitava con me dello sviluppo di questi rapporti, specialmente per quanto concernono l'aeronautica, la marina e l'esercito. Aveva ricevuto la visita dei due ufficiali germanici, che a bordo del «Giovanni delle Bande nere » avevano seguito le grandi manovre navali nel Mediterraneo. Erano rientrati entusiasti di quanto avevano veduto e delle cortesie ricevute dai camerati della marina da guerra italiana. Egli mi ha pregato di ringraziare V. E. dell'accoglienza amichevole fatta a quei suoi ufficiali.

Secondo il generale von Schleicher i rapporti tra i due Governi devono diventare più intensi e più fiduciosamente aperti, anche sul terreno della politica internazionale. Evidentemente su questo terreno il procedere è più lento per ragioni contingentali e intrinseche. La Germania ha ancora le mani legate -non è completamente libera nei suoi movimenti. Essa deve adoperarsi per conseguire questa autonomia. Quando l'avrà ottenuta, allora soltanto potrà segnarsi le direttive per la sua politica nazionale. Intanto però egli considera supremo interesse della Germania di mantenersi in contatto e in scambio d'idee con V. E. È perché egli ed i suoi colleghi hanno l'impressione che codesto ambasciatore tedesco von Schubert non sia riuscito a acquistare la personale simpatia e la fiducia di V. E. che qui si pensa seriamente a mettere il signor von Schubert a disposizione ed a inviare a Roma un'altra persona, come ambasciatore. Ciò avverrà non appena le difficoltà della situazione interna gli daranno un momento di tregua e gli permeteranno di provvedere ad alcune nomine di ambasciatori.

(l) -In realtà la visita ebbe luogo il 25 agosto. (2) -T. 2960/549 del 25 agosto, non pubblicato.
226

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 3356/388. Zagabria, 27 agosto 1932.

Mio t. posta n. 3331/382/ A/I/16 del 25 corrente.

Con riferimento al mio rapporto a margine citato, contenente la notizia che il 25 corrente una partita di armi avrebbe dovuto essere introdotta clandestinamente in Jugoslavia, mi onoro di informare che la stampa locale ha ieri riportato una notizia sotto il titolo «In servizio dello Straniero » -<< Interessanti arresti», da cui risulta che le autorità jugoslave di Sussak hanno arrestato Francesco Furlan e Stojan Tomljanovié, operai, latori di armi da Fiume, lvi ricevute da Matteo Devcié e da Luigi Servacci.

Di qui è difficile controllare l'attendibilità della notizia, che potrebbe essere più agevolmente verificata a Fiume. Qualora essa risultasse confermata, ciò che ritengo, proverebbe che la preoccupazione della opposizione croata circa le difficoltà del trasporto di armi oltre il confine, di cui al mio rapporto su riferito, è molto giustificata, come pure l'idea di sostituire tale trasporto con l'acquisto del materiale sul posto.

Su di ciò mi permetto richiamare nuovamente l'attenzione di V. E., qualora Ella creda che sia nel nostro interesse di interessarsi della questione in qualche modo.

227

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 2985/197 R. Vienna, 29 agosto 1932, ore 14 (per. ore 17,15).

Come risulta da mia precedente corrispondenza e da ultimo dal mio rapporto 1872 (1), mi sono molto adoperato per rafforzare il vago desiderio manifestatomi, mesi fa, dal ministro Industria Jaconcig di recarsi in Roma per prendere contatti con nostro Governo ed esaminare con esso possibilità più stretta collaborazione economica fra i due Stati.

Jaconcig ricevuta da me assicurazione che sua visita sarebbe stata particolarmente gradita e che egli avrebbe trovato in noi ogni migliore volontà per una più stretta collaborazione economica, ha accettato invito recarsi per inaugurazione fiera Bari cui anche Austria partecipa.

Nel viaggio di ritorno si proporrebbe fermarsi a Roma fra 10 e 11 settembre e chiede onore essere ricevuto da V. E. Desidera assicurazione che V. E. possa riceverlo nel giorno che le piacerà fissargli verso l'epoca su indicata.

Mi permetto raccomandare vivamente accoglimento desiderio. Jaconcig rappresentante Heimwehr nel Gabinetto è persona seria, energica, animata da ferma volontà lavorare con noi per più intimo legame economico. Devo solo a lui se Austria pur avendo rifiutato partecipazione altre esposizioni viene in quella di Bari ove era vivamente desiderata.

Sarebbe utile fossero fatte a Jaconcig calorose accoglienze pur evitando di dare ad esse troppo rilievo nella stampa e che egli potesse tornare qui con qualche utile risultato; ciò che rafforzerebbe situazione Heimwehr nel Parlamento e nel paese.

Prego sollecita risposta telegrafica.

(l) Del 25 agosto, non pubblicato.

228

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 29 agosto 1932.

Ho pregato Dampierre di passare da me. L'ho incaricato di ringraziare il Governo Francese per la comunicazione fattami il 26 corrente circa i punti delle trattative svoltesi a Be,rlino (l) tra il Ministro degli Esteri tedesco e l'Ambasciatore di Francia in materia di disarmo, facendogli osservare che solo notizie più particolareggiate, specialmente nei riguardi di alcuni dei punti delle proposte germaniche, ci potrebbero mettere in grado di apprezzare la po,rtata del progettato accordo. Gli ho detto poi che non esiste, né può esistere, il consenso del Governo italiano ad un progetto che esso ha finora igno.rato.

Dampierre ha ringraziato, assicurandomi che avrebbe subito trasmesso a Parigi questa mia comunicazione. Mi ha ripetuto che le proposte ufficiali di Berlino saranno fatte probabilmente in questi giorni e che, a suo modo di vedere, Parigi non vi risponderà subito, dovendole prima sottoporre ad un esauriente esame (2).

229

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 29 agosto 1932.

L'Incaricato di Affari di Francia aveva segnalato al Ministero un articolo apparso sul Popolo di Roma del 25 agosto circa la Conferenza di Stresa.

Me ne ha parlato stamane segnalando il disappunto del Governo francese perché, prima dell'inizio della Conferenza si mettesse cosi in rilievo il contrasto fra tesi francese e tesi italiana.

Gli ho detto che della questione delle polemiche di stamane fra i due Paesi avremmo avuto occasione di parlare più ampiamente altra volta. Gli segnalavo intanto il vivo disappunto del Governo italiano per la campagna che va facendo il Temps contro l'Italia. Dal corso della conversazione è risultato che il Signor Gentizon è assente da Roma in congedo da un mese e mezzo (l).

(l) -Cfr. n. 221. (2) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Capo del Governo».
230

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, MANZONI, E A WASHINGTON, DE MARTINO

T. 865 R. Roma, 30 agosto 1932, ore 6.

Questa ambasciata di Francia in conformità patto di fiducla ha informato questo ministero che nelle trattative ufficiose svoltesi ultimamente Berlino Germania ha dichiarato ambasciatore di Francia subordinare propria partecipazione riunione per disarmo 20 settembre p.v. a conversazioni preliminari che le diano soddisfazione sui seguenti punti (2):

l) preferenza per il disarmo generale;

2) sostituzione parte quinta trattato Versailles con convenzione finale elaborata a Ginevra; 3) diritto avere campioni armi e materiali attualmente proibiti; 4) piccolo aumento Reichswehr; 5) creazione milizia di 40.000 uomini rinnovabile ogni trimestre;

6) controllo internazionale;

7) rafforzamento sicurezza.

Queste trattative saranno seguite da proposte ufficiali che farà prossimamente Neurath.

Nel corso delle conversazioni con ambasciatore di Francia a Berlino von Biilow aveva parlato del «consenso» avuto da altre Potenze al «progetto» tedesco. Ambasciata di Francia ha chiesto di conoscere se R. Governo avesse già dato suo consenso nel senso indicato.

È stato risposto all'ambasciata di Francia che nessun progetto tedesco era stato comunicato al R. Governo. Non poteva perciò esistere consenso Governo italiano ad un progetto che esso ha finora ignorato. Ringraziando Ambasciata di Francia per comunicazione fatta è stato osservato che solo informazioni più particolareggiate specialmente per quanto riguarda punti 3-4-5-6-7 delle proposte germaniche avrebbero potuto mettere R. Governo in grado apprezzare portata progettato accordo.

(per Londra e Washington): V. E. vorrà mettere al corrente alla prima occasione e opportunamente di quanto precede codesto Governo.

(per Berlino): Informo V. E. di quanto precede solo per sua riservata conoscenza. Nessuna comunicazione dovrà essere fatta a riguardo a codesto Governo.

(per Parigi): Il R. ambasciatore a Londra e il R. ambasciatore a Washington sono incaricati portare a conoscenza Governo inglese e del Governo americano risposta data a questa ambasciata di Francia.

(l) -Annotazione a margine: «Visto da s. E. il Capo del Governo ». (2) -Cfr. n. 221.
231

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Roma, 30 agosto 1932.

Il 1° settembre ricorre il quarto anniversario della· proclamazione del regime monarchico in Albania. Negli anni scorsi S. M. il Re d'Italia e V. E. hanno inviato per l'occasione al Re Zog dei telegrammi augurali.

Per quanto riguarda quest'anno l'eventuale invio di un telegramma dell'E. V. è da tener presente che dalla mancata rinnovazione del Patto di Tirana è stato interrotto ogni scambio di corrispondenza personale fra V. E. e il Re degli Albanesi a seguito del rifiuto dell'E. V. a rispondere a un telegramma di Re Zog col quale questi, esaltando il valore dell'alleanza italo-albanese, cercava di costituirsi una sanatoria alla mancata promessa di rinnovare il Patto.

Successivamente Re Zog si astenne dall'inviare un telegramma di condoglianza a V.E. in occasione della morte di suo fratello Arnaldo.

L'invio pertanto di un telegramma a firma di V. E. potrebbe dare l'impressione che sia l'E. V. a prender l'iniziativa per il ristabilimento di personali rapporti.

Se si ritiene d'altro canto d'insistere sulla linea di rigidità seguita finora mancherà ogni partecipazione del Governo Fascista ai festeggiamenti del primo settembre, cosicché verrebbe a darsi rilievo a una situazione rimasta sinora nell'ombra (1).

232

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3006/513 R. Londra, 31 agosto 1932, ore 20,48 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 230 (2). Ho fatto opportune comunicazioni a questo Governo. Foreign Office da parte sua mi ha informato aver ricevuto analoga comunicazione da questo ambascia

tore di Francia al quale ha esso pure risposto che non aveva mai dato alcun consenso circa progetto che ignorava.

Ha inoltre fatto sapere al Governo di Berlino per mezzo questo incaricato d'affari di Germania che il Governo britannico giudica momento presente particolarmente inopportuno per sollevare difficoltà del genere e ritiene che sola sede indicata per qualsiasi obiezione o richieste sia quella della conferenza disarmo.

Nel pensiero Foreign Office qualsiasi trattativa separata in materia è soltanto destinata creare maggiori difficoltà.

(l) -A margine annotazione di Suvich del 31 agosto: «s. E. il Capo del Governo non intende Inviare Il telegramma». (2) -Cfr. n. 230 che aveva come protocollo particolare per Londra lo stesso numero 230.
233

IL CAPO DELL'UFFICIO IV DELLA DIREZIONE GENERALE EUROPA, LEVANTE ED AFRICA, GUARNASCHELLI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA (l)

TELESPR. 226540/405. Roma, 31 agosto 1932.

Telespresso di questo R. Ministero n. 225419/C del 19 c.m. (2).

Il R. Ministero delle Colonie ha comunicato a questo R. Ministero il seguente telegramma, in data 19 c.m., del R. Governo della Somalia concernente la nota conferenza di Argheisa, per la delimitazione del confine tra l'Etiopia e il Somaliland:

« Secondo voci non controllate, durante conferenza Argheisa sarebbero sorte divergenze tra delegati inglesi e abissini. Divergenze sarebbero provocate da preliminari accordi cessione zona territorio Uardere Ualual che abissini in un primo tempo avrebbero accettato e poi rifiutato. Inglesi avrebbero minacciato interrompere conferenza. Sembra intanto già iniziato, per consiglio autorità inglesi, lento spostamento Dolbahanta e Isak con famiglie e bestiame verso zone Uardere e Ualual. Disposto controllo notizie e riservomi conferma».

234

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. SS. 3341/1934. Vienna, 31 agosto 1932.

Ho fatto nuovamente una parziale rimessa di fondi a Starhemberg. Preferisco questo sistema del poco e spesso: serve a mantenere meglio i contatti con lui e a dirigerne l'azione. Si è parlato anche del prossimo viaggio del Ministro heimwehrista Jakoncig a Roma: se ne è rallegrato e ha convenuto nel vantaggio che il partito trarrebbe se Jakoncig potesse tornare qui con qualche favorevole risultato.

Mi ha pregato di avvertire V. E. che egli, accettando un invito degli Elmetti d'Acciaio, si reca per qualche giorno in Germania ove assisterà a una loro riunione. Non vorrebbe si desse dall'E. V. a tale viaggio un significato che non ha, e che invece si limita a quello del riconoscimento dell'antica fraternità d'armi. Gli ho raccomandato di essere molto guardingo nelle sue dichiarazioni se avrà da parlare. Mi ha promesso non avremo occasioni di malcontento: toccherà solo della comunanza dei ricordi di guerra. Gli ho detto che anche a un altro tema potrebbe accennare: quello delle attuali analoghe necessità del rafforzamento dell'autorità dello stato contro la democrazia e il socialismo: programma che in Germania è comune a Papen Hitler e Hugenberg e va attuandosi e che qui le «Heimwehren >> si propongono attuare (e, del resto, identicamente, i «nazi ~). Ma lasci da parte tutto quanto tocchi comechessia l'annessione.

Starhemberg, che sembra essersi reso finalmente conto della importanza di frenare la sua oratoria, della utilità di non suscitare di nuovo il nostro malcontento e della conseguente necessità di non trattare argomenti scottanti, mi ha promesso non avremo rimproveri da fargli.

Parte per Berlino stasera e tornerà fra una settimana.

(l) -Il telespresso venne inviato, per conoscenza, all'ambasciata a Londra . (2) -Cfr. n. 209.
235

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3030/498 R. Washington, 1° settembre 1932, ore 8,22 (per. ore 7,30 del 2).

Ho messo al corrente Castle della sostanza del telegramma di V. E. n. 380 (l) ed abbiamo discorso anche delle notizie di stampa qui pervenute sullo stesso argomento. Castle aveva avuto notizia del progetto germanico dall'incaricato d'affari di Francia.

Castle mi ha detto che se la Germania per conseguire una equiparazione di armamenti intraprende la creazione di un forte esercito come precisamente si prospetta nel punto n. 5, essa metterebbe praticamente in pericolo la prossima conferenza e la stessa causa del disarmo. In questo senso Castle si è espresso con l'incaricato d'affari di Germania aggiungendogli che se la Germania proseguisse una tale direttiva ne deriverebbe una amara impressione nella opinione pubblica americana.

Castle mi osservò inoltre che gli Stati Uniti non hanno nulla che vedere col trattato di Versailles e non se ne vogliono interessare, ma si interessano molto alla causa del disarmo la quale sarebbe agevolata immensamente se la Germania invece che armare se stessa potesse attendere che disarmino gli altri.

Finalmente Castle mi disse che gli avvenimenti interni della Germania, la mancanza di un Governo stabile nonché la minaccia dell'hitlerismo rendono malagevole una considerazione di proposte germaniche mentre non può negarst che quella situazione giustifichi sino a un certo punto gli allarmi francesi.

In quanto agli hitleriani. Castle disse che essi si chiamano fascisti, ma che ciò che manca a Hitler sono appunto le qualità di Governo e le vedute larghe costruttive di Mussolini. In sostanza Castle non ha alcuna fiducia né simpatia per Hitler.

(l) Cfr. n. 230 che aveva come protocollo particolare per Washington il n. 380.

236

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° settembre 1932.

In previsione della udienza che V. E. ha accordato all'Ambasciatore Schubert (l) mi onoro ripresentare l'appunto che contiene la esatta comunicazione fatta dall'Incaricato d'Affari francese (2). Aggiungo pure un telegramma pervenuto ora da S. E. Grandi (3).

237

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 1° settembre 1932.

Ho l'onore di sottoporre all'approvazione di V. E. l'unito progetto di istruzioni sulle direttive a cui dovrà informare la sua azione il nuovo ambasciatore ad Ankara S. E. Lojacono (4).

ALLEGATO

A base delle relazioni politiche con la Turchia è il Trattato di amicizia concluso nel 1928 e rinnovato anticipatamente nel maggio scorso, sulla linea da me tracciata nelle conversazioni di Milano con Ismet Pascià e Tewfik Rouchdy bey: linea di chiarificazione di rapporti verso la Turchia, di amicizia e di leale collaborazione politica, specialmente nel Mediterraneo Orientale. La fase 1928-1932 è stata di consolidazione di rapporti: rapporti italo-turchi da un lato e mercè la nostra azione, integrazione chiarificazione dei rapporti della Turchia con la Grecia e la Bulgaria: sopratutto con la Grecia.

La rinnovazione anticipata del patto dovrebbe marcare l'inizio di una fase di maggiore attività dopo che i malintesi che a più riprese hanno creato in passato l'equivoco nei rapporti nostri con la Turchia sono stati dissipati e chiariti. In occasione della rinnovazione ho dato personalmente a Ismet Pascià degli affidamenti per la concessione di un prestito di 300 milioni di lire da utilizzare per un terzo per lo smobilizzo dei nostri crediti in Turchia specie per quelli delle forniture navali, per un terzo per nuove forniture, per un altro terzo per aiuto diretto liquido alla Tesoreria turca.

È ora a Roma una delegazione per discutere le modalità del prestito, è ancora prematuro prevedere se e come in definitiva potrà essere concluso, ma direttiva del R. Ambasciatore ad Ankara è di valorizzare da un lato il significato e l'importanza di tale nostra collaborazione economica tanto più apprezzabile nella presente situazione e dall'altro rilevare la necessità da parte turca di corroborare meglio nei fatti la pratica efficienza del Trattato di amicizia concluso e testè rinnovato, di dare prova di correttezza e di voler veramente risolvere molte questioni economiche e varie questioni pendenti da tempo tra i due Paesi.

Per la parte strettamente politica non ha mancato di impressionarmi sfavorevolmente l'episodio della ammissione della Turchia alla S.d.N. avvenuta senza nè consultazione nè comunicazione preventiva a noi.

Il Governo turco è già a conoscenza di tali miei apprezzamenti. Occorre quindi tener presente l'episodio per vigilare e richiamare il Governo turco a maggiore comprensione dei rapporti che debbono legare i due Paesi.

Connesse con la questione del prestito, e della politica generale amichevole che deve regolare i rapporti scambievoli e da risolvere in conseguenza sono le seguenti questioni:

a) scambi commerciali, e concessione delle divise; * impegni recentemente presi a Roma da delegati turchi e sconfessati dal Governo di Ankara. Il governo turco si sarebbe... (l) della impressione sfavorevole da noi avuta, e tale sconfessione l'ha voluta giustificare e ha ora promesso di provvedere* (2);

b) forniture nuove alle nostre industrie;

c) buon fine dei crediti connessi con le vecchie forniture e con alcune imprese commerciali, bancarie, industriali, stabilite in Turchia;

d) situazione degli italiani che lavorano in Turchia costretti da nuove leggi xenofobe a dover abbandonare i posti che occupano spesso da anni, tutela delle istituzioni scolastiche ospitaliere, culturali italiane egualmente minacciate dalle tendenze xenofobe;

e) rapporti con il Dodecanneso (acque territoriali, beni dei dodecanesini in Anatolia sequestrati dai turchi e che dovrebbero essere pagati, usi civici di Castelrosso).

In linea generale occorre vigilare sopratutto i rapporti della Turchia con la Russia e tutta l'azione svolta nei riguardi dei paesi conflnanti di mandato o indipendenti quali Siria, Irak, Persia.

Nei riguardi della Grecia appoggiare in linea di massima qualsiasi azione che tenda a realizzare specie in un primo tempo nel campo economico una intesa a tre italaturca-greca.

(l) -Non si è rinvenuto il verbale del colloquio Mussollni-Schubert, che avvenne Il 2 settembre. Cfr. n. 273. (2) -L'allegato non si pubblica in quanto riproduce il n. 221. (3) -Cfr. n. 232. (4) -Annotazione a margine: «Rimesse da S. E. Il Capo del Governo a S. E. Lojacono ».
238

IL MINISTRO BUTI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO (3). Roma, 1° settembre 1932.

A meno che ragioni di politica generale non consiglino di assumere un diverso atteggiamento, sembrerebbe opportuno di scegliere per l'Italia in questa trattativa una posizione che ci dia la possibilità di un certo giuoco tra Francia e Germania.

La Germania in conformità dei propri interessi approfitta dell'attitudine italiana in materia di disarmo in generale e in particolare nei riguardi della Francia, per cercare di ottenere delle concessioni (che indirettamente possono anche giovarci fino a un certo punto) ma che soprattutto devono tornare utili -come è naturale -alla Germania.

Le richieste tedesche mirano infatti al disarmo, ma anche e soprattutto a riarmare la Germania. Inoltre la Germania offre in compenso delle concessioni alla Francia sul controllo «degli armamenti e sulla sicurezza'>. Nella richiesta tedesca esistono quindi elementi che dovrebbero consentirci di assumere un atteggiamento che, senza essere contrario, potrebbe essere di riserva, che è poi l'atteggiamento che risulta che assumerebbe l'Inghilterra.

Ce ne offrirebbe il destro la circostanza che la Germania che tratta da circa un mese ufficiosamente con la Francia, ce ne informa appena ora.

Ove tale atteggiamento fosse deciso, converrebbe evidentemente prendere contatto con l'Inghilterra per stabilire un punto di contatto tra noi e Londra nell'ulteriore sviluppo dei presenti negoziati (l).

(l) -Parola indecifrabile per Il deterioramento del documento. (2) -Il brano fra asterischi è stato aggiunto manoscritto su una seconda versione del documento. Questa contiene altre aggiunte, di cui però non si è potuto tenere conto perché illeggibili. (3) -Il titolo originale del documento é: «Disarmo. Conversazioni Françols Poncet -BU!ow. Passo di von Neurath ».
239

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3037/419-420-421 R. Parigi, 2 settembre 1932, ore 22 (per. ore 2 del 3).

Codesta ambasciata di Francia è stata incaricata comunicare subito sunto telegrafatole del riassunto conversazioni consegnato da von Neurath a François Poncet. Testo del riassunto viene spedito per posta all'ambasciata di Francia che ne rimetterà copia a V. E. (2).

Queste comunicazioni vengono fatte non in conformità così detto patto di fiducia, ma stesso titolo che a Londra, e cioè quali scambi diplomatici con paesi amici coi quali si vuole mantenere particolari contatti.

Governo francese non ha ancora preso posizione definitiva circa richiesta tedesca. Da informazioni sicure suo modo di vedere risulta essere seguente:

1°) Governo franc.ese disposto considerare liberalmente uguaglianza di diritti ma pensa che uguaglianza risulterà, e automaticamente, da accordo generale concluso conferenza disarmo.

2°} Domanda di riarmamento non può, per la contraddizione che non consente, venire discussa in conferenza disarmo ed in relazione ad essa. Domanda tedesca quindi turba gravemente conferenza disarmo, suo proseguimento, suo sperato esito finale.

3°) Turbando conferenza disarmo c sollevando problema revisione trattato

di Versailles, domanda tedesca compromette anche azione risanamento economico mondiale. Anche sotto questo punto di vista mossa attuale tedesca è deplorevole, fuori posto e fuori tempo.

4°) Domanda tedesca aumentare armamento navale, turba stato di fatto navale attuale tra la Germania e altri Stati, tra Inghilterra e America ecc.

5°) Francia non è disposta a che domanda tedesca sia oggetto negoziati particolari fra Berlino e Parigi. Intende ne siano investiti tutti gli Stati interessati. Francia da anni persegue politica solidarietà e di accordi generali tra Nazioni e non intende lasciarsi trascinare alla passata politica di alleanze particolari e di equilibri.

Impressioni generali di questi circoli governativi sono pure seguenti:

1°) Mossa Germania tende sondare stato solidarietà attuale tra antichi alleati e tende creare divisione tra essi: suo ulteriore corso dipenderà dal risultato questi sondaggi e queste manovre.

2°) Mossa viene fatta in momento di turbata situazione interna tedesca e da un Governo antico stampo, non rappresentante Germania democratica prevista anche nei punti Wilson.

Infine forma con cui è avvenuta comunicazione von Neurath è stata rilevata come assai maldestra. Von Neurath si è infatti fatto assistere da Schleicher nel far comunicazione Poncet e Schleicher ha fatto precedere seduta da noto articolo giornale tedesco e seguire nota intervista Resto Carlino.

Con corriere domani spedirò testo riassuntivo conversazione consegnato ambasciatore di Francia a Berlino.

(l) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Capo del Governo 2 sett. ». (2) -Cfr. n. 244.
240

IL MINISTRO GUARIGLIA AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA 226924/140. Roma, 2 settembre 1932 (1).

Nel corso di una recente intervista concessa alla Reuter, il Cancelliere germanico von Papen, ha, tra l'altro, dichiarato che la Germania non rinuncia a rivendicare parte del suo antico impero coloniale.

La Di·rezione Generale E.L.A. (Ufficio IV), riterrebbe opportuno che tale importante dichiarazione -che ha dato luogo a commenti specialmente sulla stampa francese -non venisse lasciata passare sotto silenzio dalla stampa italiana, e, ove l'E. V. concordasse in tale avviso, venisse quindi dato all'Ufficio Stampa l'incarico di interessare un giornalista adatto a pubblicare in un diffuso quotidiano del Regno o su qualche rivista politica un articolo nel quale potrebbero venire svolti i seguenti concetti:

l) dal punto di vista giuridico la Germania non può vantare alcun diritto a riavere le sue antiche Colonie;

2) ogni questione relativa a eventuali mutamenti di possesso delle ex colonie tedesche è di competenza delle Potenze ex alleate e associate alle quali la Germania le ha cedute;

3) qualora dovesse addivenirsi ad una redistribuzione dei mandati l'Italia farebbe valere un diritto di priorità:

a) per la sua posizione di Potenza vincitrice nei confronti della Germania;

b) per le particolari sue esigenze demografiche ed economiche. <Mancanza di materie prime sul territorio nazionale a differenza della Germania necessità di emigrare per la sua sovrabbondante popolazione mentre i tedeschi non hanno mai emigrato in notevole quantità nelle loro Colonie che pure si prestavano ad accogliere popolazione bianca).

4) Tale diritto di priorità è stato all'Italia riconosciuto in pm occasioni dalla stampa estera e dallo stesso Briand (V. anche l'articolo «La Tàche Coloniale» sul Temps del 2 giugno 1932) (l).

(l) Il documento fu mlnutato Il 31 agosto.

241

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO

TELESPR. 226883/202. Roma, 2 settembre 1932.

Col telespresso n. 4460 questo Ministero pregava codesta On. Presidenza del Consiglio dei Ministri di voler fornire cortesemente opportuni elementi di fatto circa gli incidenti verifìcatisi il 10 luglio a Torino in occasione dell'incontro di calcio tra le squadre «Juventus >> e « Slavia » (2), e ciò allo scopo di poter essere documentati in vista degli strascichi polemici che nella stampa dei due Paesi sono apparsi al riguardo.

Mentre si prega di voler favorire un cenno di riscontro al suddetto telespresso, questo Ministero crede di dover rappresentare a codesta On. Presidenza l'opportunità di evitare per un certo tempo nuovi incontri di calcio fra squadre italiane e cecoslovacche, o per lo meno di evitare che eventuali incontri abbiano, in prossima epoca, a disputarsi sia in territorio italiano sia in territorio cecoslovacco.

La polemica di stampa in occasione degli incontri di calcio italo-cecoslovacchi ha esorbitato infatti dal campo sportivo in quello politico ed essa è ancora troppo recente perché possa escludersi che il pubblico sportivo dei due Paesi abbia a dar luogo a nuovi violenti incidenti.

Esiste quindi un evidente nostro interesse a non fornire nuove occasioni per riaccendere una polemica che nel campo politico è indiscutibilmente inutile e dannosa.

z; -Documenti diplomatici • Serle VII • Vol. XII

Risulterebbe, d'altra parte, che la Federazione Nazionale del Calcio avrebbe previsto un nuovo incontro fra una squadra italiana e una cecoslovacca a Praga per il 28 ottobre prossimo, data che oltre a coincidere col xo Annuale Fascista, corrisponde anche ad una festa nazionale cecoslovacca.

A parte le considerazioni di ordine puramente sportivo, questo Ministero ritiene che in linea politica nulla suggerisce l'opportunità dell'incontro predetto. Se, infatti, il pubblico di Praga si manterrà corretto e cavalleresco, gli incidenti di Torino saranno stati gli ultimi, cronologicamente, e nessun vantaggioso chiarimento si avrà per il pubblico sportivo italiano. Se, invece, si verificheranno nuovi incidenti, si riaccenderà quella polemica di stampa, che, come sopra è detto, conviene evitare.

In tali condizioni questo Ministero prega codesta On. Presidenza di voler prendere opportuni accordi con i competenti enti sportivi nazionali, affinché l'incontro di Praga previsto pel 28 ottobre sia considerato con la masisma attenzione ed urgenza allo scopo di evitare le ripercussioni politiche cui esso può dar luogo. A .tal fine meglio sarebbe di evitare per il più lungo tempo possibile ogni incontro fra squadre italiane e cecoslovacche. Subordinatamente l'incontro dovrebbe ave·r luogo in ogni caso in un paese neutrale che non fosse né l'Italia né la Cecoslovacchia.

Si gradirà una cortese sollecita risposta in proposito.

(l) -Annotazione a margine di Suvich del 4 settembre 1932: «Il Capo del Governo ritiene che non valga la pena in questa occasione di rlsollevare la polemica ». (2) -Analoghi incidenti si erano avuti a Praga in luglio.
242

IL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. 62. Ginevra, 2 settembre 1932.

Ringrazio V. E. di avermi dato comunicazione delle notizie date dal signor Hambro a S. E. Anzilotti sulla possibile successione di una personalità norvegese a Sir Eric Drummond.

Ho motivo di ritenere che queste notizie non siano che una logica conseguenza della manovra fatta in un primo tempo dal Governo britannico, di far presentare cioè alla direzione del Segretariato dei candidati neutri, ma appartenenti a paesi ligi all'Inghilterra, per evitare una candidatura francese.

A tal proposito, e facendo seguito al mio rapporto n. 43 riservatissimo del 28 giugno (l), mi permetto attirare la particolare attenzione di V. E. su quanto ho appreso in questi ultimi giorni della mia permanenza a Ginevra.

Per quanto gli inglesi cedano a malincuore il posto di Segretario Generale, pure in seguito alla morte di Thomas, hanno dovuto piegarsi alla pressione francese di applicare quel «gentlemen's agreement » di una rotazione -tra Francia ed Inghilterra soltanto, beninteso -alla direzione delle due Organizzazioni Internazionali ginevrine. Il Governo Britannico ha finito con l'accettare in principio, la candidatura Avenol a condizione:

1) di una più efficiente distribuzione ed aumento di alcune funzioni essenziali, del personale inglese nel Segretariato; 2) dell'abbandono, da parte della Francia, del suo atteggiamento di resistenza alla soppressione dei posti di Sottosegretario. Il piano che, attualmente, si vorrebbe attuare sarebbe il seguente:

l) Per il Segretariato:

a> Segretario Generale: Avenol. b) Vice Segretario Generale: un Italiano. c) Soppressione dei sottosegretari generali. d) ulteriore aumento e determinazione costituzionale dei poteri del teso

riere britannico.

2) Per l'Ufficio Internazionale del Lavoro: a) Direttore inglese: Butler, già nominato. b) Vice direttore tedesco. Il Signor Butler si è di già messo in rapporto

diretto con von Papen per questa designazione.

Con questo piano Inghilterra e Francia spostano il problema dal campo dell'organizzazione a quello personale. Essi contano di sfruttare la concessione di un illusorio maggior prestigio all'Italia ed alla Germania, accordando loro due alti posti (un tempo ed in altre condizioni tanto ambiti) per raggiungere così quel vantaggio, di ben più reale portata, del consenso dell'Italia e della Germania alla soppressione dei posti di sottosegretario principale contrappeso ai poteri assoluti del Segretario Generale.

Alla vigilia di lasciar Ginevra credo mio imperioso dovere di sottoporre ancora all'apprezzamento dell'E. V. il mio subordinato parere, più che mai oggi sereno e disinteressato data la situazione in cui il R. Governo ha creduto di mettermi.

Affermo in tutta coscienza e nella mia dura esperienza quinquennale delle cose di Ginevra, che una simile soluzione, anche se apparentemente possa lusingare il nostro amor proprio e possa sembrare accrescere quasi il nostro prestigio è nettamente contraria agli interessi dell'Italia e del fascismo.

Per una più efficace tutela dei nostri interessi noi dovremmo, secondo il mio modesto avviso, insistere perché indipendentemente dagli uomini -si crei a Ginevra un sistema nella direzione di questa nuova burocrazia internazionale che garentisca un minimo di obiettività per tutti e dia all'Italia una partecipazione effettiva per quanto limitata, al comando.

Consentire alla soppressione dei Sottosegretari sarebbe, secondo me, gravissimo errore. Accettando il progetto anglo-francese il vice segretario generale italiano sarebbe condannato a servire di paravento alle decisioni deHe potenze egemoniche, e quel che è più grave, ad avallarle per la sua sola stessa presenza. Occorre tener presente che nell'Assemblea del 1930 si è lasciato votare quasi senza opposizione l'art. I dello Statuto del Personale che snazionalizzando com

pletamente la figura di tutti i funzionari del Segretariato, li sottopone esclusivamente alle autorità del Segretario Generale e li rende responsabili di fronte a lui soltanto.

Ormai è lasciato all'arbitrio del Segretario Generale di stabilire, mutare, ridurre le funzioni di ogni funzionario e quindi anche quelle del futuro Vice Segretario Generale. Ed ecco perché nella imminente Assemblea si vorrebbero costituzionalmente sottrarre all'arbitrio del Segretario Generale le funzioni di Controllo del tesoriere britannico. Non si parla naturalmente, di fissare costituzionalmente le funzioni del vice Segretario Generale, che dovrebbe:

l) dipendere interamente, come gli altri funzionari, dal Segretario Generale;

2) non poter più contare sul concorso del corpo collegiale dei colleghi di pari grado, che agli inevitabili e quotidiani contrasti, se non altro tentano a frenare l'arbitrio assoluto del Segretario Generale.

Il sistema che, ritengo, riuscirebbe a salvaguardare meglio i nostri interessi sarebbe quello propugnato sin qui dal R. Governo e prospettato nel mio rapporto n. 43 R. del 28 giugno scorso e cioè un «Consiglio Consultivo di Direzione» <vedi da pag. 8 a 11 del rapporto stesso).

Da ultimo è opportuno non dimenticare che Sir Eric Drummond, dimissionario, non ha ancora laseiato Ginevra e che non è escluso che possa subire delle cosiddette «pressioni» e continuare, sempre provvisoriamente, a tener per qualche tempo il suo posto. In previsione di ciò Drummond ha fatto sapere al Quai d'Orsay che, alla partenza del Sottosegretario giapponese signor Sugimura, il di cui contratto scade il 31 dicembre p.v., la direzione della Sezione politica potrebbe da lui essere affidata al francese signor Haas, attualmente direttore della Sezione Transito, mentre Avenol ha garantito agli inglesi che quando diventerà Segretario Generale affiderà la direzione della Sezione Politica all'attuale Capo Gabinetto di Drummond, signor Walters. La ripartizione francobritannica ha g~à preveduto ogni eventualità!

Del resto la quasi assoluta padronanza dell'organizzazione permetterà sino all'ultimo momento le combinazioni ed i giuochi più svariati ed imprevisti, che esigeranno, da parte di coloro che avranno l'onore di essere chiamati a difendere gli interessi italiani, una grande fermezza di carattere e molta duttilità di manovra in questa difficile missione.

(l) Non pubblicato.

243

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, ALOMAR

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1932.

L'Ambasciatore di Spagna ha premesso che faceva un passo da nazione amica a nazione amica.

Secondo alcune informazioni, non però controllate, risulterebbe che il Generale Barrera, che era il detentore dei fondi della insurrezione spagnuola, si sarebbe rifugiato a Roma.

Il Governo spagnuolo si preoccupa che a Roma possa sorgere un centro di cospirazioni còntro l'attuale regime in Spagna, favorito anche dal mondo vaticano.

L'Ambasciatore pensa che il centro di tale movimento si potrebbe formare intorno al Conte Rodriguez di S. Pietro, al Cardinale Segura e ai Gesuiti che si sono qui rifugiati.

Avrebbe anche qualche informazione che si intenderebbe fondare a Roma una nuova Casa de Espafia, che sarebbe il centro di queste cospirazioni.

Ho detto all'Ambasciatore di Spagna che per il momento non mi risultava niente, che le notizie non mi parevano molto verosimili; comunque avrei assunto delle informazioni e l'ho assicurato sul fatto che il Governo italiano non potrebbe acconsentire che il diritto di asilo sia sfruttato pe,r delle cospirazioni contro una nazione amica (1).

244

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1932.

Il Signor Dampierre mi ha pregato di portare a conoscenza di S. E. il Capo del Governo la comunicazione che il Ministro degli Esteri Neurath ha fatto il passo ufficiale già preannunziato presso il Governo francese.

Il Barone Neurath, in presenza del Generale von Schleicher, ha comunicato al Signor François Poncet un memoriale relativo alle ragioni della Germania per sostenere la parità di diritto nella questione degli armamenti. Egli ha detto che la parità di diritto si estende tanto nel campo dell'armamento terrestre quanto nel campo di quello marittimo.

Il Barone Neurath ha soggiunto che sapendo dell'assenza del Presidente del Consiglio francese, non attendeva una risposta immediata.

L'impressione del Governo francese è che il passo ufficiale sia mantenuto in termini più attenuati di quanto non fossero le richieste presentate dal Sottosegretario von Btilow.

Il Signor Dampierre mi ha letto il telegramma mandato da François Poncet al governo francese, con cui si dà relazione del passo e si ripetono i punti principali del memoriale che risulta essere quello stesso che abbiamo ricevuto anche noi.

Ho detto al Signor Dampierre che l'avrei chiamato oggi stesso per fargli la comunicazione sullo stesso oggetto, e l'ho informato del passo di Schubert, della risposta data da S. E. il Capo del Governo al governo germanico, nonché delle ragioni che hanno determinato il nostro atteggiamento (2).

Il Signor Dampierre mi ha chiesto, premettendo che manifestava soltanto un suo dubbio personale, se noi ritenevamo di poter fidarci della dichiarazione della Germania che sarebbe passata a una convenzione dopo il riconoscimento

Ol Il documento fu letto da Mussolini il 4 settembre.

della parità di diritti, mentre l'attuale governo tedesco manifesta così apertamente l'intenzione di liberarsi il più presto possibile delle clausole del trattato.

Ho risposto che il riconoscimento era una questione di principio, ma che secondo il nostro punto di vista l'applicazione pratica di questo principio era condizionata alla conclusione della convenzione.

Il Signor Dampierre ha ·ringraziato per la comunicazione che trasmetterà immediatamente al suo governo.

(2) Cfr. n. 246.

245

...AL CAPO GABINETTO, ALOISI (l)

APPUNTO. Roma, 3 settembre 1932.

Nell'unito appunto sono riassunti i risultati delle riunioni di questi giorni coi rappresentanti delle altre Amministrazioni interessate, circa i lavori della Conferenza di Stresa.

Queste conclusioni potrebbero valere come istruzioni per la nostra Delegazione -con esse concordano il Ministro Ciancarelli da un Iato, e dall'altro il Comm. Anzilotti e il Cav. Del Vecchio.

Ove V. E. concordi, l'unito appunto potrà venire inviato alla nostra Delegazione alla Conferenza di Stresa.

ALLEGATO

CONFERENZA DI STRESA

l. Si può dire che la Conferenza di Stresa sia stata voluta dalla Francia e, in subordinata, dalla Cecoslovacchia, per raggruppare tutti gli Stati danubiani sotto l'egida della Piccola Intesa e per garantire al primo dei due Paesi il godimento e il recupero delle anticipazioni creditizie da esso fornite.

Essa trova però consenzienti, anzi decisamente favorevoli, tutti gli Stati del Sud Oriente europeo che, assillati dalle necessità economiche e finanziarie del momento, sperano di ricavarne dei vantaggi. Il contrasto di interessi che è probabile si manifesti una volta di più fra gli Stati partecipanti a questa Conferenza, lascia molto perplessi sulla possibilità di risultati pratici. Questo non esclude anzi consiglia la massima circospe:t.ione nell'atteggiamento formale da assumere affine di salvaguardare i nostri interessi economici senza prendere tuttavia posizione antitetica a quella degli Stati danubiani.

2. La Conferenza di Stresa può considerarsi come una conseguenza od un prolungamento del piano Tardieu, sulla quale però, devono influire due fatti nel frattempo intervenuti e cioè: che non esiste più l'eccedenza di cereali invenduti della quale detto piano teneva soprattutto conto, e che nel campo più vasto dei rapporti economici

generali tra Stati si stanno manifestando delle tendenze a derogare dall'applicazione classica della clausola della Nazione più favorita, che non possiamo incoraggiare ma che d'altra parte non ci possono lasciare né indifferenti nè assolutamente negativi.

3. L'Italia si troverà a Stresa dinanzi a due questioni: una di merito ed una di

metodo.

Circa la prima (e partendo dalla constatazione che fra gli Stati partecipanti sembrano doversi individuare due ben distinti raggruppamenti di Stati: uno ad economia nettamente e prevalentemente agricola -Bulgaria -Jugoslavia -Romania -Ungheria, l'altro ad economia mista o prevalentemente industriale: Germania -Francia -Italia Cecoslovacchia -Austria -Svizzera ecc.) sembra che i nostri precipui scopi debbono essere i seguenti:

a) staccare in accordo in questo con la Germania -la Cecoslovacchia dal gruppo degli altri Stati danubiani, e ciò sia dal punto di vista politico che da quello economico, indebolendo così l'azione della Piccola Intesa e soprattutto impedendo la formazione di una Confederazione danubiana: all'uopo sarà da cercare di spostare la discussione dal concetto di «Stati danubiani » a quello di «Stati agricoli » del Sud Oriente-europeo.

b) non abbandonare l'attitudine da noi sinora seguita nei rispetti della clausola [della nazione più favorita] ma non rifiutarci di considerare la possibilità di adattamenti conciliabili con i nostri interessi: questo potrebbe facilitare eventuali speciali accordi con la Jugoslavia e attraverso la Jugoslavia più strette intese con l'Austria e lOn l'Ungheria.

c) escludere il riconoscimento del principio di dazi preferenziali mutui per prodotti industriali fra Stati danubiani.

d) considerare la situazione dell'Austria come particolare e suscettibile di un trattamento a parte.

4. Circa la questione di metodo non sembra dobbiamo seguire né il piano Tardieu né quello Lammers. Sembra invece che badando anche agli ultimi avvenimenti (e particolarmente alla Conferenza di Ottawa in cui si è rifuggiti dall'accettazione di formule generiche e dove si è dimostrato preferibile esaminare caso per caso e, quasi merce per merce, le peculiari situazioni di ogni Dominion) convenga di cercare che i lavori di Stresa si avviino naturalmente ad una indagine istruttoria, sia dal lato f.nanziario che economico, sulla situazione di ciascuno dei Paesi danubiani. in maniera che ci sia consentito presentarci alla Conferenza mondiale di Londra in situazione impregiudicata ma con uno studio utile della situazione di questi Stati.

4. -bis. Per la parte finanziaria, che è collegata intimamente con quella economica, converrà innanzi tutto affermare la necess:tà del risanamento monetario e del ripristino del gold standard in quei paesi che lo hanno abbandonato di diritto e di fatto. Dovranno essere prese le necessarie misure per eliminare le divergenze fra i corsi ufficiali delle valute e quelli effettivi di mercato (borsa nera) e dovranno altresì essere adottati gli opportuni mezzi per giungere al più presto all'atolizione delle misure restrittive dei cambi. 5. -In particolare converrà dal punto di vista finanziario prefiggersi la liquidazione del passato, studiando caso per caso la situazione di ogni Stato. Dovrebbe così risultare il peso sproporzionato che ormai rappresentano in molti casi gli interessi dovuti da questi Stati per prestiti internazionali; come pure l'esistenza di spese inadeguate alle possibilità degli Stati stessi (spese per armamenti, sperperi amministrativi ecc.). Si ;ndividuerebbero in tal modo alcune delle maggiori cause del dissesto esistente e automaticamente i rimedi da apportare: l'adeguamento cioè del carico degli interessi al valore della moneta, e la necessità di economie. Si dimostrerebbe pure la non rispondenza allo scopo di nuovi prestiti internazionali (jond commun, jond international) a cui tende la Francia.

Per procedere a siffatta sistemazione del passato sono auspicabili accordi diretti fra i creditori ed i paesi debitori. Le Banche centrali potranno esplicare un'azione molto utile per facilitare i contatti fra i rappresentanti delle due parti.

Per il periodo di transizione non si può non riconoscere la necessità di aiuti finanziari, che non dovrebbero servire a mantenere in piedi situazioni insostenibili o in sterili difese di particolari livelli monetari, ma costituire dei fondi di sicurezza, delle masse cioè destinate a rafforzare le riserve, dopo raggiunto un sano equilibrio nella bilancia di pagamento e nell'assetto monetario. Anche qui le banche centrali, attraverso la B.R.I., potrebbero esplicare una utile opera di collaborazione. La fonte di questi aiuti dovrebbe essere tratta sopra tutto da quei paesi (Francia, Inghilterra) che hanno maggiori interessi finanziari da salvare nella zona danubiana e dovrebbero in tal guisa costituire anche una contropartita degli aiuti economici che solo altri paesi possono efficacemente apportare (Italia -Germania -Svizzera).

6. Sia nel campo economico che in quello finanzi'lrio converrt. inoltre evitare affermazioni di principio in generale, e quindi in materia di clausola della Nazione più favorita o di trattamento preferenziale, insistendo invece sulla necessità di considerare e risolvere, per così dire in via sperimentale, e senza formule preconcette le situazioni particolari di ogni Stato.

Questo atteggiamento dovrebbe valere ad assicurare la necessaria libertà di movimento per la salvaguardia dei nostri interessi.

7. -È da ritenere che gli interessi francesi ed inglesi nel campo finanziario non siano per nulla armonici. Il programma francese di fare nuovi prestiti a questi Stati è stato anzi ostacolato finora dalla Tesoreria inglese che ha vasti progetti monetari in confronto di quelli della Tesoreria francese. Sarà da tener presente questo fatto per manovrare fra le due tendenze nell'interesse anche dell'azione da svolgere per le questioni più propriamente economiche. Per le quali ultime esistono come è noto punti di contatto fra noi e i francesi e tra noi e i tedeschi. Con i francesi abbiamo in comune l'interesse ad ostacolare l'Anschluss ed in genere l'allargarsi della penetrazione tedesca nei Balcani (Drang nach Osten). Con i tedeschi abbiamo in comune l'interesse ad impedire l'unione danubiana. Esiste così qui pure la possibilità di manovrare fra i due Stati. 8. -Più precise direttive potranno essere fornite a mano a mano che, procedendo i lavori, la delegazione riferisca sul loro andamento (1).

(l) Il testo che si pubblica è una copia priva di firma. A margine è scritto: «Originale presso S. E. Suvich ».

246

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, A TOKIO, MAJONI E A WASHINGTON, DE MARTINO, E ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI

T. 882 R. Roma, 4 settembre 1932, ore 2.

Comunico la risposta da me data, alla nota consegnatami dall'ambasciatore germanico a Roma e concernente la domanda del Reich per l'eguaglianza o parità di diritto:

«Potete comunicare al vostro Governo, che il Governo italiano, conformemente alle sue direttive, riconosce il vostro fondato diritto a reclamare l'uguaglianza giuridica, ma vi segnalo la opportunità di fare subito sapere alla Fran

eia, all'Inghilterra e al mondo che fa;rete di questa uguaglianza giuridica un impiego proporzionale e moderato, che dovrà essere oggetto di convenzione fra le Potenze interessate)),

Per norma di V. E. e per le conversazioni che V. E. avrà con cotesto Governo, significa che l'adesione data dall'Italia alla tesi germanica è determinata:

a) dalla conclusione negativa della prima fase della conferenza del disarmo;

b) dal diritto della Germania, quale risulta dallo stesso trattato di Versaglia;

È mia convinzione che la situazione sarà superata col riconoscere il principio della parità di diritto, e ciò per evitare la minacciata diserzione della Germania prima della riapertura della conferenza di Ginevra, col rinviarne l'applicazione alla fine della conferenza del disarmo e secondo i risultati della medesima, col farne, in ogni caso, una applicazione « moderata, proporzionale )) scaglionata nel tempo e per mezzo di una «convenzione» fra le maggiori Potenze interessate e col non escludere la possibilità di un ulteriore sistema che rafforzi la «sicurezza » di tutti gli Stati e quindi anche della Francia.

(Solo per Parigi) -L'incaricato d'affari di Francia ha avuto comunicazione di quanto precede (l).

(l) Sullo svolgimento della conferenza di Stresa non si sono rinvenuti documenti slgnificatlvl.

247

APPUNTO

... (2)

Il Governo Italiano ritiene che in via di princtplO non possa essere contestata la richiesta della Germania alla parità di diritto con le altre Nazioni nella questione degli armamenti.

Il Trattato di Versailles sanciva una posizione di inferiorità della Germania, in questo riguardo, ma sempre come situazione transitoria, nell'attesa che anche le altre Potenze arrivassero al disarmo.

Il risultato negativo della prima fase della Conferenza del Disarmo ha conferito alla questione dell'equiparazione di diritto per la Germania carattere di attualità: se viene meno la premessa del disarmo generale, anche la situazione della Germania deve essere riesaminata.

È opinione però del Governo italiano che nel momento attuale non convenga andare oltre il riconoscimento di principio in vista della ripresa dei lavori della Conferenza del Disarmo.

Se, com'è sperabile, si arriverà a dei risultati concreti, -sia pure applicabili con una certa gradualità -la richiesta tedesca potrà essere superata dai fatti.

Non pare quindi per tale ragione conveniente entrare ora in trattative conr.rete per un maggior armamento della Germania anche a prescindere dalla inopportunità di iniziare tali trattative proprio nel momento in cui si riprende la discussione sul disarmo generale.

Se poi la conferenza per il disarmo non dovesse dare i risultati sperati, si potranno allora iniziare i negoziati desiderati dalla Germania, negoziati che dovranno condurre a una convenzione alla quale partecipino tutte le potenze interessate.

È chiaro che anche quando si arrivasse a questa soluzione, essa dovrà essere informata sempre allo spirito della parte quinta del trattato di Versailles, che è quello di avvicinarci al disarmo e non di spingere alla lotta per gli armamenti. Saranno quindi da tener presenti in quella occasione tutti gli elementi che possano contribuire a salvaguardare la sicurezza generale e dei singoli paesi, condizione per poter instaurare tra i popoli dei rapporti di fiducia.

(l) -Cfr. 244. (2) -Il documento è privo di data e di firma. Si colloca sotto Il 4 settembre, giorno della seguente annotazione a margine di Suvich: «Il Capo del Governo ha approvato questo appunto per le indicazioni da dare al corrispondenti della stampa estera>>. Allegato è il seguente biglietto: «Rimesso all'Ufficio Stampa per l'On. Polverelli 4-9 ».
248

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE SEGRETA. ... (1).

Il Prof. Afevork Gavrejesus, nuovo Rappresentante etiopico a Roma, (il quale non gode a Addis Abeba di nessuna influenza ed è anzi sospettato per i suoi sentimenti italofili) ha fatto conoscere che, in occasione della presentazione a V. E. delle lettere che lo accreditano quale Incaricato d'Affari d'Etiopia, avrebbe desiderio di intrattenere l'E. V. sulle tre questioni seguenti:

0 ) -proposta dell'Imperatore per uno scambio di territori tra l'Italia e l'Etiopia;

2°) -richiesta, presentata dal Barone Franchetti all'Imperatore, onde ottenere la concessione della costruzione della strada Setit-Gondar;

3°) -questione della strada Assab-Dessié.

Prima di esaminare le questioni particolari anzidette, conviene riassumere l'attuale situazione generale dei rapporti itala-etiopici ed esaminare se convenga continuare nelle Unee generali della politica sinora da noi svolta.

L'Etiopia si sta civilizzando, centralizzando, armando, solidificando per un processo storico ineluttabile e per l'abilità politica eccezionale dell'attuale Imperatore, che ha quasi distrutto l'antica struttura feudale del Paese e la potenza dei Capi. Essa rappresenta oggi per noi un ostacolo ed una preoccupazione di gran lunga più gravi che non lo fosse qualche anno fa: e domani può costituire un pericolo per le nostre Colonie confinanti. Questo processo di rafforzamento non solo appare destinato naturalmente a contrastare sempre più quegli scopi cui mirammo fino ad Adua, o meglio fino al disfattismo interno

che ad Adua seguì, ma anche a gravitare e a premere sulle nostre Colonie del Mar Rosso, considerate quali Paesi irredenti specialmente dal gruppo nazionalista dei giovani etiopici, al quale l'Imperatore sembra volere sempre più appoggiarsi, ed alle idealità del quale egli manifestamente ispira la sua politica.

Non è oggi evidentemente possibile affrontare in modo definitivo il problema etiopico, alla soluzione integrale del quale dovrà ineluttabilmente un giorno giungersi. È indispensabile infatti andare in Etiopia (unica regione in Africa dove può pensarsi ad una seria espansione coloniale italiana, territorio ricco di materie prime e adatto ad una colonizzazione bianca su vasta scala), previe adeguate intese con la Francia e con la Gran Bretagna. Oggi manca una preparazione diplomatica; ed è deficiente la preparazione militare da parte delle due Colonie. Ma se per le suddette ragioni, nonché per la situazione generale europea (che consiglia di non lasciarsi Ipotecare per qualche tempo in Africa) e per la stessa insldwsa situazione politico-militare locale, appare prematuro indirizzarsi verso una soluzione radicale della questione etiopica, che non potrebbe tendere che all'annessione di buona parte dell'Impero, sembra che occorra far del tutto per cercare di ritardare in quanto è ancora possibile, il processo di consolidazione e di rafforzamento che l'Imperatore rapidamente ed intelligentemente prosegue.

Se pure non c'è da porre molte speranze sull'efficacia dei mezzi che potranno a tal fine essere da noi messi in opera, sembra urgente di nulla lasciare di intentato di quanto ancora possa essere fatto allo scopo suddetto.

Le linee direttive dell'azione sinora da noi svolta in Etiopia sono note a V. E.: a) politica periferica dell'Asmara, mirante a mantenere ed instaurare contatti con i grandi Capi del Nord, allo scopo di suscitare elementi di disgregamento nelle compagine dell'Impero e fomentare i germi di eventuali ribellioni; b) al centro, politica di amicizia con l'Imperatore in modo da attutire e parare gli effetti della nostra azione alla periferia, e di favorire la penetrazione economica Italiana.

I risultati della cosiddetta politica periferica, negli ultimi anni, non sono stati per vero rilevanti, in parte per deficenza dei mezzi messi in opera, ed in parte per effetto di circostanze avverse recentemente verificatesi, quale spe~lalmente la permanenza ad Addis Abeba di quasi tutti i grandi Ras.

D'altra parte, la politica di amicizia svolta al centro ha notevolmente giovato all'Imperatore, senza alcuna contropartita da parte nostra. È noto infatti che il trattato di amicizia itala-etiopico del 1928 doveva, sia per le disposizioni stesse contenute nel trattato, sia per la contemporanea conclusione della Convenzione per la strada camionabile Assab-Dessié, costituire l'inizio di un maggiore sviluppo dei rapporti economici e mercantili fra l'Italia e l'Etiopia. In questo campo, invece dal 1928 ad oggi, si sono fatti dei regressi anziché dei progressi. La strada camionabile, malgrado il nostro interessamento e l'invio di una missione speciale, è ancora in fieri, né si vede da parte etiopica al~una buona volontà di dare inizio ad una qualsiasi realizzazione. Nessuno incremento hanno avuto i traffici fra le nostre Colonie e l'Impero: anzi continue vessazioni ed ostacoli vengono posti al libero sviluppo dei commerci carovanieri. Se si eccettua la concessione data all' Ansaldo (nel nome) degli impianti radio

telegrafici per il Governo etiopico, nessuna altra iniziativa italiana ha avuto accoglimento, né, per le condizioni generali dell'Impero e per le cattive disposizioni dell'Imperatore e dei Capi, possibilità di sviluppo.

Ma vi è di più: il Governo Etiopico tende a liberarsi con atti unilateralt delle disposizioni giurisdizionali e doganali stabilite dal trattato franco-etiopico del 1908, disposizioni che per la clausola della nazione più favorita sono anche a noi applicabili. Esso ha, in violazione di tale trattato, instaurato dei monopoli (alcool e sale) distruggendo nostri fiorenti commerci, elevato arbitrariamente i dazi doganali, rifiutato di 'riconoscere taluni privilegi giurisdizionali dei Consoli che aveva sinora pacificamente ammessi, malgrado che nello stesso trattato di amicizia itala-etiopico del 1928 esso confermava l'impegno di mantenerli nei nostri riguardi.

Per riassumere, mentre il trattato itala-etiopico del '28 ha notevolmente giovato all'Imperatore sia dal punto di vista internazionale che dal punto di vista interno, non solo non è stata possibile da parte nostra realizzare alcuna contropartita, ma la nostra posizione in Etiopia è da allora notevolmente peggiorata.

Tale stato di cose sembra debba indurci da un Iato a riesaminare il nostro atteggiamento politico ad Addis Abeba, per cercare di procedere ad una messa a punto dei nostri rapporti con l'Imperatore; e dall'altro compiere quanto possibile per tentare di ritardare il processo di consolidazione e di rafforzamento dell'Impero.

Le linee generali politiche, che sembra in conseguenza conveniente siano adottate, possono essere così riassunte:

l) riprendere una politica periferica più dinamica ed attiva di quello che non sia stato finora fatto. Tale politica non può forse oggi continuare a svolgersi soltanto sul vecchio schema dei contatti con i grandi Ras del Nord, attualmente trattenuti quasi tutti ad Addis Abeba, e più o meno intimoriti dalla fortuna e dall'abilità politica Imperiale. La politica periferica dovrebbe battere anche nuove vie, tendendo ad instaurare contatti con i sottocapi locali malcontenti, suscitare conflitti fra questi ed i funzionari imperiali, aiutare banàe brigantesche o razziatori, promuovere o coltivare lo stato di anarchia che serpeggia in alcune regioni dell'Impero prossime alle nostre Colonie dell'Eritrea e della Somalia (particolarmente fra le popolazioni Galla). Occorrerebbe esser~:: in grado di rifornire, a ragion veduta, di armi e di munizioni quei gruppi dl popolazioni e quei sotto-capi che comunque sono nei loro interessi feriti dalla politica accentatrice imperiale, o dei quali sono note le intenzioni di creare dei torbidi.

2) al centro, non continuare nella vana politica di amicizia con l'Imperatore, seguita sinora senza utili risultati; ma procedere dignitosamente e fermamente ad un amichevole messa a punto dei rapporti itala-etiopici che valga a far sentire all'Imperatore la nostra delusione ed insoddisfazione per il fatto che al trattato di amicizia itala-etiopico del 1928, così vantaggioso per l'Imperatore, nessuna realizzazione di carattere economico è seguita a nostro vantaggio; che anzi la posizione economica e commerciale dell'Italia in Etiopia è andata da allora notevolmente peggiorando. Anche se non si possa considerare, data la sua durata ventennale, l'eventu<.tlità di una denuncia del trattato anzidetto, si potrà prevedere la opportunità di far comprendere all'Imperatore come noi consideriamo il trattato stesso ormai svuotato praticamente del suo contenuto, per inadempienza del Governo etiopico, manifestatasi sia con l'inesecuzione del contenuto economico del Trattato d'amicizia, sia per le espresse violazioni dei diritti italiani derivanti dal trattato stesso (privilegi giurisdizionali).

Tale azione di messa a punto dei reciproci rapporti può inserirsi parzialmente nell'azione comune che i Rappresentanti italiano-francese e britannico vanno svolgendo concordemente ad Addis Abeba per la difesa dei privilegi giurisdizionali consacrati dai trattati.

Un tale atteggiamento sembra più conforme al prestigio dell'Italia di fronte all'Impero; ed insieme mira a battere una strada nuova, la quale non potrebbe in ogni caso condurre a risultati peggiori di quelli praticamente nulli sinora ottenuti.

La politica suaccennata dovrebbe avere per presupposto un rafforzamento militare dell'Eritrea e della Somalia; e svolgersi a grado a grado, in relazione all'aumento dell'efficienza bellica delle due Colonie, specialmente dal punto di vista aeronautico.

Si resta in attesa di conoscere se tali linee generali della nostra politica verso l'Etiopia, ricevano l'alta approvazione dell'E. V.

In tal caso, verrebbe studiato d'accordo con il R. Ministero delle Colonie un programma di politica pc,riferica, per l'attuazione delle direttive generali sopraindicate.

In armonia con tali direttive generali vengono ora esaminate le particolari questioni, sulle quali l'incaricato d'Affari etiopico si propone di intrattenere l'E. V.

l0 ) Prima della partenza da Addis Abeba del R. Ministro Marchese Paternò, l'Imperatore ebbe a proporgli di scambiare il territorio etiopico dell'Ogaden (adiacente alla Somalia Italiana ed al Somaliland britannico) con un tratto di territorio eritreo comprendente Assab, in modo da fornire all'Etiopia un proprio sbocco al mare in piena sovranità.

Profittando dell'assenza da Addis Abeba del R. Ministro, non è stata data da parte nostra all'Imperatore nessuna risposta; né sembra nel momento attuale, conveniente di darla.

Per le ragioni che sono esposte nell'unito allegato A si sottopone a V. E. l'opportunità di rispondere al Prof. Afevork che la proposta imperiale si è prodotta in questi ultimi tempi, quando il trattato d'amicizia veniva da parte etiopica svuotato di qualsiasi contenuto. E che pertanto il R. Governo giudica che non sia il caso di parlarne, prima che i rapporti itala-etiopici siano rimessi a punto, e prima che l'imperatore abbia dato un contenuto reale alle relazioni itala-etiopiche quali erano previste dal Trattato di amicizia.

2°) Il Barone Franchetti recatosi recentemente in Addis Abeba ha chiesto all'Imperatore, per conto di un gruppo privato, la concessione per la costmzione di una strada collegante il Setit (frontiera eritreo-etiopica) con Gondar. Su tale questione si riferisce dettagliatamente nell'allegato B.

Ove il Prof. Afevork avesse ad btrattenere V. E. sull'argomento sembra opportuno che venga data al suddetto l'impressione che il Governo italiano vedrebbe con favore il successo della iniziativa privata del Barone Franchetti, e la considererebbe come una prova dei sentimenti di amicizia che l'Imperatore ha in più circostanze dichiarato di nutrire per l'Italia, nonché della volontà imperiale di dare incremento ai traffici fra l'Impero e le Colonie italiane confinanti.

E ciò in quanto tale questione potrebbe inserirsi fra quelle che, nel complesso dei rapporti itala-etiopici, meritano di essere messe a punto: al riguardo converrà anche considerare l'opportunità di far ritornare il Franchetti ad Addis Abeba, per sollecitare dall'Imperatore una decisione definitiva.

Nel suaccennato colloquio fra S. E. Suvich e il Prof. Afevork (l), quest'ultimo ha cercato di mettere in relazione la iniziativa Franchetti con la proposta dell'Imperatore dello scambio territoriale.

Trattasi evidentemente di due questioni che non possono essere poste sullo stesso piano: mentre la prima non esce fuori del campo delle iniziative private commerciali, anche se l'attuazione di essa può opportunamente essere favorevolmente considerata dal R. Governo e quindi inserirsi nel nostro giuoco politico ad Addis Abeba, la seconda ha portata e carattere nettamente politici.

Sembra quindi conveniente che venga declinato qualsiasi collegamento tra le due questioni.

3°) La questione della strada Assab-Dessié è succintamente trattata nell'allegato C.

Ove il Rappresentante etiopico avesse ad intrattenerne l'E. V. converrà far risaltare che tutto è stato da noi posto in opera per una sollecita realizzazione della strada, e che siamo sempre pronti a collaborare a tale scopo col Governo etiopico; al quale unicamente deve attribuirsi il ritardo di un'opera che venne proge-ttata su sua richiesta e nel suo prevalente interesse.

ALLEGATO I.

PROPOSTA PER LO SCAMBIO DI TERRITORI

Circa la proposta di scambio di territori sembra opportuno considerare:

a) da un lato potrebbe essere per noi di qualche convenienza il diminuire il valore del porto e della ferrovia di Gibuti, e conseguentemente l'influenza francese in Etiopia, procurando all'Abissinia un proprio sbocco al mare.

b) Dall'altro la cessione di Assab, aprendo all'Etiopia la possibilità di contatti diretti con il mondo intero, rafforzerebbe e consoliderebbe l'Impero Etiopico, il quale avrebbe maggiore facilità di liberarsi dall'eventuale pressione delle tre Potenze che oggi territorialmente lo circondano, svolgendo un giuoco politico più complesso e più vasto.

c) Il territorio dell'Ogaden, che ci viene offerto in contraccambio della cessione di Assab, pur essendo di qualche estensione territoriale, non ha nessun rilevante valore economico né politico.

d) Sarebbe inoltre doloroso che propio il Governo Fascista venisse indotto ad alienare un tratto del nostro territorio coloniale, e precisamente quello da cui ebbe origine la nostra storia coloniale.

Il R. Ministero delle Colonie ha espresso parere nettamente contrario allo scambio territoriale propostoci.

ALLEGATO II.

RICHIESTA FRANCHETTI PER CONCESSIONE DELLA COSTRUZIONE DELLA STRADA SETIT-GONDAR

L'esecuzione della strada Setit-Gondar sarebbe per noi :vantaggiosa -più ancora dt>lla Assab-Dessié -dal punto di vista sia economico che politico e militare, in quanto costituirebbe il prolungamento al di là della frontiera, della via di comunicazione ferroviaria e stradale che da Massaua per l'Asmara giunge fino al confine etiopico; ed insieme renderebbe agevole la penetrazione economico-politica nel cuore della vasta e ricca regione di Gondar.

È perciò che l'iniziativa del Barone Franchetti è stata aiutata dal Ministero degli Affari Esteri, e che la R. Legazione in Etiopia ha appoggiato la sua azione locale, facendo conoscere a quel Governo che seguivamo con simpatia la richiesta del Franchetti.

L'Imperatore rispose al Franchetti che egli era personalmente favorevole alla concessione, ma che gli occorreva sentire al riguardo il parere del Consiglio dell'Impero, del Senato ecc.

Tornato in Italia, il Franchetti fece sapere all'Imperatore, con l'idea di impegnarlo maggiormente, che egli stava procedendo alla costituzione della Società per l'esecuzione della concessione e che si proponeva di ritornare ad Addis Abeba quanto prima per ottenere il definitivo benestare.

In seguito a questa comunicazione l'Incaricato d'Affari etiopico a Roma ha ricevuto dal Governo etiopico istruzioni di far conoscere al Franchetti, e di comunicare al Governo italiano, che l'Imperatore non ha mai dato il suo consenso alla concessione tèella strada ma ha soltanto detto che avrebbe sottoposto la richiesta Franchetti agli organi competenti. Il Prof. Afework ha intrattenuto in questo senso S. E. Suvich. Il malvolere dell'Imperatore è, anche in questo caso, evidente.

ALLEGATO III.

QUESTIONE DELLA STRADA ASSAB-DESSIÈ

Circa la questione della strada Assab-Dessiè, sembra che l'Imperatore ha dato istruzioni all'Incaricato d'Affari etiopico in Roma di chiedere quali fossero le intenzioni del Governo italiano.

Con questa mossa il Governo etiopico tende a farci passare quali responsabili della non ancora avvenuta costruzione della strada, stabilita dalla Convenzione del 1928.

La realtà è ben diversa; noi eravamo e siamo pronti ad eseguire da parte nostra gli impegni assunti. Subito dopo la firma della Convenzione, abbiamo inviato ad Assab un'apposita missione di tecnici che doveva incontrarsi con i tecnici etiopici, che mai si presentarono: la nostra missione attese invano due mesi, rilevò e studiò il tracciato in territorio eritreo, e, nulla potendo far al di là del confine, rientrò in Italia. Successivamente l'imperatore ha fatto studiare da tecnici olandesi il tracciato in territorio etiopico. Alle nostre istanze perché si realizzasse l'iniziativa vennero opposti sempre da Addis Abeba indugi e rinvii. Nel 1930, S. E. Gasparini si recò all'Asmara, quale nostro delegato, con pieni poteri di stringere accordi in proposito: il Governo etiopico vi mandò due incaricati, senza potere alcuno, che si limitarono ad ascoltare e dichiararono avrebbero riferito all'Imperatore.

I tecnici olandesi, di cui questi soltanto dispone, sono stati ora inviati a delimitare il confine fra l'Etiopia ed il Somaliland britannico.

(l) La relazione, priva di data, fu presentata per la firma ad Aloisi il 6 settembre. Si colloca sotto questa data. L'B settembre Aloisi informò Buti che Mussolini ne approvava il contenuto.

(l) In realtà il documento non accenna al colloquio con Suvlch. C'è solo un riferimento generico nel primo capoverso.

249

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. CONFIDENZIALE 3089/431 R. Parigi, 7 settembre 1932, ore 13,30 (per. ore 15,13).

Secondo indizi assai appariscenti ed informazioni giuntemi la mossa tedesca per uguaglianza di trattamento avrebbe dato motivo a un riserramento alleanza franco-polacca ed alla decisione francese di firmare patto di non aggressione con Russia parafato anno scorso.

250.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. GAB. 3094/566 R. Berlino, 7 settembre 1932, ore 19,40 (per. ore 0,50 dell'B).

In questi ambienti politici diplomatici regna grande nervosità sia per voci che corrono secondo cui Francia si preparerebbe compiere qualche passo energico verso Germania, sia per contatto che agenti francesi cercano prendere con partito nazionale socialista e centro contro Governo Papen.

Ho trovato Neurath calmo deciso su strada sulla quale Governo tedesco oramai si è messo e riaffermato con intervista Wolf Bureau (1), e che << Stefani ~ non avrà mancato riprodurre.

Egli mi ha detto avere tollerato silenzio prima indiscrezione su memorandum compiuto a Parigi, ma di fronte sistematica azione Quai d'Orsay diretta a inquinare opinione pubblica europea americana con notizie tendenziose pregiudizio Germania e sopratutto domanda francese rivolta Potenze minori, aderenti patto fiducia, con le quali Germania non crede dovere, poter discutere propria parità diritti, egli si era deciso pubblicare memorandum e mettere al corrente opinione pubblica mondiale discussione, prima dell'odierna riunione a consiglio dei ministri a Parigi. Tesi tedesca non è mutata ed egli è deciso non inviare alcun delegato tedesco riunione 21 corrente conferenza. Egli mi ha detto poi, non risultando chiaro cosa V. E. aveva detto a Schtibert su attitudine Italia, aveva incaricato codesta ambasciata, nell'assenza Schubert in congedo, raccogliere maggiori delucidazioni. Gli ho risposto che stessa mancanza precisazione avevo rilevata nelle brevi parole questi giornali su contegno Italia. Per chiarire ciò gli ho letto telegramma di V. E. n. 203 (2). Egli mi ha ringraziato perché con ciò gli ho tolto penoso dubbio e gli ho dato modo assicurare pensiero V. E. è d'accordo quello Governo tedesco.

Neurath mi ha detto poi domani rientra Hindenburg e che ora decisiva si avvicina nei riguardi situazione politica parlamentare. Parlava però come persona sicura sua posizione.

(l) -Rilasciata lo stesso 7 settembre. (2) -Cfr. n. 246 che aveva come protocollo particolare per Berlino Il n. 203.
251

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINOJ. AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3110/509 R. Washington, 8 settembre 1932, ore 11,20 (per. ore 10 del 9).

Seguito miei telegrammi n. 498 (l) e 505 (2). Mi sono espresso col Segretario di Stato in conformità del telegramma di

V. E. n. 394 (3) illustrandogli i vantaggi che alla stessa causa del disarmo possono derivare dalle direttive dell'E. V. Ho insistito su questo punto anche perché ieri Castle mi espresse il timore che l'adesione italiana alla tesi tedesca poteva mettere in pericolo la stessa conferenza .

Stimson accolse la mia comunicazione senza alcun segno di quella intransigenza che aveva dimostrato Castle (mio telegramma n. 498). Stimson mi disse anzitutto che nutriva il più alto rispetto per le vedute di

S. E. Mussolini e che gradirebbe moltissimo uno scambio di idee su due punti:

Stimson disse poi che sopra un altro punto desiderava assai avere una risposta.

È nelle vedute del signor Mussolini che la equiparazione debba raggiungersi coll'incremento degli armamenti tedeschi, ovvero colla diminuzione degli armamenti delle altre nazioni? Stimson dice di avere appreso che la Germania cerca in alcuni importanti particolari di accrescere il suo armamento (milizia, Reichswehr e riserve allenate).

Risposi a Stimson che non avrei mancato di comunicare a V. E. queste sue domande e frattanto attirai la sua attenzione sulla dichiarazione di Neurath, pubblicata oggi, secondo la quale non si tratta se la Germania debba avere facoltà di riarmarsi, ma è questione del suo diritto all'eguaglianza. Ma Stimson ebbe l'aria di non dare molta importanza a tale dichiarazione.

Per mio conto dissi a Stimson che desideravo conoscere, sopra tutto dopo le mie due conversazioni con Castle, se la posizione del Governo f,ederale è di drastica opposizione al passo germanico ovvero se considera aperta la possibilità di un lavoro comune con lo scopo di condurre la Germania alla moderazione, secondo l'espressione del Capo del Governo. Aggiunsi che da quanto sembrava risultare il Governo britannico contemplerebbe l'opportunità di un'azione diplomatica moderatrice.

Z6 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Stimson mi rispose che certamente egli non ha alcun desiderio di assumere un atteggiamento di drastica opposizione. Noi, egli disse, non siamo parte del trattato di Versailles e riconosciamo le difficoltà e le molte complessità che sono involte in questa situazione. Noi certamente desideriamo di lavorare con l'Italia o con qualunque altra nazione per prevenire una situazione senza uscita e per ottenere una politica di moderazione da parte della Germania. In questo senso siamo interessati. Noi siamo profondamente interessati al disarmo, proseguì Stimson, e crediamo sarebbe fatale alla causa del disarmo se la Germania cercasse l'eguaglianza, aumentando il suo armamento in modo da renderlo eguale a quello delle nazioni vicine.

Quello che cerchiamo è la diminuzione degli armamenti. Stimson mi pregò di portare quanto precede alla conoscenza di V. E.

Durante la mia discussione di ieri con Castle avendomi egli detto non sembrargli che dal trattato di Versailles risulti il diritto della Germania all'eguaglianza, feci leggere a Stimson il preambolo alla parte quinta del trattato stesso e la nota degli alleati alla Germania del 16 giugno 1919.

Stimson mi disse che conosceva quei testi, non mi fece obiezione alcuna ma evidentemente non volle esplicitamente contraddire il suo sottosegretario di Stato.

Avverto che le cose sopra riferite, dettemi da Stimson, sono esatte alla lettera sulla base di appunti presi.

Mi permetto segnalare a V. E. l'opportunità di darmi una qualunque risposta telegrafica ai due quesiti posti da Stimson in quanto questi scambi d'idee col segretario di Stato possono utilmente fruttificare.

Il telegramma di V. E. ne ha offerto una occasione singolarmente importante. Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (1).

l 0 ) Quando il signor Musso lini accenna a « applicazione moderata, proporzionale, scaglionata nel tempo» intende egli che la discrepanza che esiste ora tra gli armamenti tedeschi e quelli di Francia, Polonia e Italia debba essere interamente «curata » subito, ovvero è egli disposto a sottoscrivere un trattato che faccia un lungo passo in quella direzione, ma che riconosca che tali cambiamenti fra nazioni sono ordinariamente oggetto di lento processo che prende tempo? Circa la prima parte di questo quesito attirai l'attenzione del mio interlocutore sulle parole «scaglionate nel tempo».

(l) -Cfr. n. 235. (2) -T. 3079/505 R. del 6 settembre, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 246, 11 cui numero di protocollo particolare per Washington era 394.
252

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3122/510 R. Washington, 9 settembre 1932, ore 17,05 (per. ore 6 del 10).

Il presente telegramma fa seguito a quello avente il numero di protocollo precedente (2).

Quindi il segretario di Stato disse che riteneva del caso aggiungere alcune considerazioni, le quali egli sarebbe molto felice fossero portate a conoscenza di S. E. Mussolini. Esse si riferiscono alla precedente affermazione di Stimson che gli Stati Uniti non fanno parte del trattato di Versailles, affermazione che tutti i giornali hanno ripetuto in questi giorni. Tali considerazioni, di cui ho appunti precisi, sono abbastanza estese per cui le riassumo qui appresso inviando il testo a V. E. per corriere.

Stimson disse in sostanza che gli Stati Uniti sono profondamente interessati ai trattati che mirano a promuovere la pace e a prevenire conflitti armati. Di alcuni di tali trattati, come quello delle 9 Potenze e il patto di Parigi gli Stati Uniti fanno parte. Non fanno parte del covenant né del trattato di Versailles, ma Stimson mette in evidenza l'obbligo fondamentale che essi contengono nel senso che qualunque modificazione ai medesimi nell'interesse della giustizia e della equità (in inglese fairness) deve avvenire non mediante violenza né minaccia né rottura dei patti, ma mediante consultazione conciliante fra le nazioni interessate.

Ho risposto come segue:

«Noto con grande interesse quanto avete detto perché in principio voi ammettete la possibilità di revisione dei trattati di Versailles purché nell'interesse della giustizia e della equità. Noi riteniamo che il trattato di Versailles non è equo verso l'Italia. Nella conferenza di Parigi l'Italia fu trattata appunto senza giustizia e senza equità. Perciò l'Italia è in favore della revisione del trattato come fu dichiarato pubblicamente.

Che il trattato di Versailles non sia perfetto è affermato anche nel discorso del presidente Hoover dell'll agosto scorso laddove dice che sorgenti velenose di instabilità politica risiedono nei trattati che chiusero la guerra».

Quindi ricordai a Stimson che sulla questione della revisione abbiamo avuto lui ed io varie volte scambi d'idee a titolo personale e non ufficiale e che una volta egli mi rispose: «se fossi europeo sarei per la revisione del trattato di Versailles ». Aggiunsi però subito che trattandosi in quell'occasione di colloquio del tutto personale non lo avevo riferito al mio Governo.

Accenni indiretti alla revisione si trovano tuttavia in vari miei telegrammi e rapporti e in ultimo nel mio telegramma n. 463 dell'll agosto (l).

(l) -Cfr. n. 252. (2) -Cfr. n. 251.
253

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3114/536 R. Londra, 10 settembre 1932, ore 1,35 (per. ore 6).

Mio telegramma n. 526 (2).

Al Foreign Office nel darmi copia comunicato che sarebbe stato diramato pubblicamente qualche ora dopo che trasmetto con telegramma in chiaro n. 535 (3) mi è stato precisato che esso è inteso soprattutto a smentire notizie provenienti da Parigi e circolate nella stampa in questi giorni relative ad una pretesa preventiva consultazione francese con Inghilterra in merito risposta nota germanica.

Capo dipartimento competente ha aggiunto che sir John Simon si è limitato naturalmente a prendere atto della comunicazione francese che gli veniva fatta dall'ambasciata, ma nel corso della conversazione col signor De Fleuriau parlando in termini generici ed a titolo personale ha osservato che gli veniva

fatto di pensare se non fosse giunto adesso il momento in cui la cooperazione dell'Inghilterra e dell'Italia avrebbe potuto dimostrarsi utile. Accettazione di tale idea renderebbe naturalmente [necessari] altri aggiornamenti della riunione bureau della conferenza disarmo che dovrebbe avere luogo 20 corrente.

Capo dipartimento competente ha tenuto ripetutamente ribadire che non si tratta assolutamente di una proposta formale, ma di un semplice suggerimento avanzato come espressione di una idea personale del Segretario di Stato, Foreign omce augurasi per altro che idea fruttifichi ed attende con interesse di conoscere reazioni che essa sarà per avere in Francia.

Capo dipartimento ha aggiunto che forse non era il caso informarne ancora il R. Governo in attesa che idea adesso appena ventilata si precisi. Per altro lord riteneva per certo che presso R. Governo eventualità di una tale cooperazione non potrà, una volta assicuratone la pratica attuazione, che incontrare simpatia.

Analoghe comunicazioni sono state fatte all'incaricato d'affari di Germania.

(l) -Non pubblicato. (2) -T. 3077/526 R. del 7 settembre, non pubblicato. (3) -T. 3113/535 R. del 9 settembre, non pubblicato.
254

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. 912/411 R. Roma, 10 settembre 1932, ore 16.

Telegramma di V. E. n. 509 (1).

Voglia recarsi da Stimson e gli precisi quanto segue:

lo -Italia desidera che la parità di diritto tra Germania e Francia si realizzi attraverso una diminuzione degli armamenti quale dovrà risultare dalla conferenza del disarmo.

2° -Nel caso di un fallimento della conferenza del disarmo, l'applicazione della formula «eguaglianza di diritti» dovrà avvenire con un processo moderato, a lunga scadenza, risultato di una convenzione fra le Potenze interessate così, del resto, come propone la Germania nella sua nota già resa di pubblica ragione.

Nella ripulsa della domanda tedesca sono contenuti pericoli infinitamente più gravi e cioè la secessione della Germania dalla conferenza di Ginevra, quindi il fallimento della conferenza stessa, nonché il riarmamento pratico e rapido della Germania, contro cui non si sa quale azione potrebbe essere svolta dalla Francia. In conclusione e per tradurre in termini semplici la questione: allo stato degli atti è mia convinzione che l'accoglimento del principio dell'uguaglianza di diritti è equo ma sopratutto rappresenta il mezzo per uscire da una situazione intricata che può peggiorare.

Come il signor Stimson, anche noi desideriamo lavorare con gli Stati Uniti e con qualunque altra nazione per prevenire una situazione senza uscita e per ottenere una politica di moderazione e di collaborazione.

(l) Cfr. n. 251.

255

. . . AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 10 settembre 1932.

Le caratteristiche della risposta francese possono così riassumersi:

lo -il tentativo di rinviare la questione alla Società delle Nazioni attraverso il Patto di fiducia;

2° -il fatto che la Francia evita di pronunciarsi esplicitamente in merito alla parità giuridica degli armamenti;

3° -la negativa opposta alla sostituzione di un accordo contrattuale alla parte V del Trattato, per evitare che avvenga per gli armamenti quello che è avvenuto per le riparazioni, e cioè che attraverso successive modificazioni spariscano anche per gli armamenti gli obblighi di Trattato;

4° -la Francia nella sua risposta si richiama al criterio del disarmo «par étapes » attraverso la Conferenza del Disarmo, e riafferma la teoria della « sicurezza » come necessaria contropartita per ogni diminuzione dei suoi armamenti: «sicurezza» (secondo la presentazione francese) non per la Francia sola ma per tutti, nel senso del Protocollo del 1924;

5° -per quanto non lo dica esplicitamente, la teoria francese è questa: la Germania non deve riarmarsi. Invece la Francia disarmerà, disarmerà «par étapes ». Ma per contro la Germania e gli altri Stati devono fornire nuove garanzie di sicurezza;

6° -mentre la comunicazione tedesca parla di armamenti terrestri, la risposta francese, con abile richiamo alle questioni navali, allarga deliberatamente il problema anche a questo campo, per chiamare direttamente in causa, anche sotto questo aspetto tutte le Potenze navali;

7° -mentre infine la Germania ha cercato di negoziare da sola a sola con la Francia, isolando gli altri, la Francia segue la tattica completamente opposta, investendo tutti gli Stati della questione;

8° -nella situazione che si determina per il fatto della posizione francese e di quella tedesca, l'atteggiamento italiano è suscettibile di acquistare particolare importanza.

L'Italia riconoscendo l'equità della richiesta dell'uguaglianza giuridica, ma non accettando le conseguenze che ne deduce la Germania, e cioè il diritto di

riarmare, si imposta tra le due opposte tendenze: più vicina alla tedesca ma non in opposizione a quella francese. Inghilterra e America sembra assumano posizioni analoghe alla nostra.

Data la gravità dell'attuale momento, politico, economico e finanziario, -il senso che si va diffondendo in Francia della necessità di assumere atteggiamenti meno rigidi di quelli tenuti dai precedenti Governi (è interessante di ricordare quello che è avvenuto a Losanna per le ripa:razioni), -la pressione sulla Francia esercitata dall'opinione pubblica mondiale (dichiarazioni del Capo del Governo, dichiarazioni Hoover), la situazione attuale si può paragonare a quella che ha preceduto Locarno. Pertanto le dichiarazioni fatte dal Capo del Governo all'Ambasciatore Schubert (1), -quelle fatte fare a Stimson in risposta alle sue «avances » (2) e infine la comunicazione datane a Londra in risposta alle «avanr.es » di auel Governo, sembrano rappresentare la migliore impostazione di un uossibile ne~oziato in materia coi Governi di Londra e di Washington ed eventualmente con altri Governi.

(l) Il documento è privo di firma.

256

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3151/577 R. Berlino, 12 settembre 1932, ore 14,25 (per. ore 16,45).

Avendo avuto occasione incontrarmi iersera cancelliere, l'ho messo al corrente, sulla base del telegramma di V. E. n. 208 (3), situazione che si delinea per quanto riguarda rapporti di commercio economici italo-tedeschi sotto la minaccia denuncia accordo divise. Gli ho detto che conosco bene pressione partito agrario tedesco su Governo tedesco e difficoltà che a questo procurano altri Stati valendosi accordo italo-tedesco.

Ma problema per il momento non è tanto economico quanto [politico] e prevalentemente di politica generale, conviene alla Germania in questo momento in cui lotta contro alcune altre Potenze per riconoscimento parità diritti, urti Potenze che lealmente e disinteressatamente la... (4) non esporsi insuccessi diplomatici, vedere con ciò ribadite catene trattato di Versailles?

Cancelliere pur riconoscendo pressioni da parte agrari ha francamente riconosciuto giustezza mie osservazioni e mi ha promesso che oggi avrebbe conferito con von Neurath per trovare via accomodamento, desiderando assolutamente non compiere atto sgradito V. E. verso il quale, mi ha detto, nutre profonda ammirazione, gratitudine e non disturbare quel graduale avvicinamento all'Italia che è nei suoi proponimenti.

(2} Cfr. n. 254.
(l) -Cfr. n. 246. (3) -T. 908/208 R. del 9 settembre, non pubblicato. (4) -Gruppo indecifrato.
257

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3167/581 R. Berlino, 13 settembre 1932, ore 14,05 (per. ore 16,20).

Von Neurath mi ha pregato informare V. E. che nota francese non ha soddisfatto Governo tedesco e che già fin da ora poteva assicurare V. E. che, allo stato attuale delle cose, e se avvenimenti imprevisti non verranno cambiarle sostanzialmente, Germania non parteciperà ulteriore conferenza disarmo. Governo tedesco non intende per ora compiere indipendentemente alcun atto positivo nel senso aumentare proprio armamento e assume attitudine attesa per vedere cosa faranno altri Stati. Domani farà comunicare V. E. da codesta ambasciata pensiero Governo tedesco su nota francese che ritiene già a conoscenza V. E. e direttive tedesche per l'avvenire. Mi ha assicurato non aver finora notizia circa suggerimento avanzato da Segretario di Stato Foreign Office R. ambasciatore a Londra di cui al telegramma di V. E. n. 211 (1). Ha anche evitato pronunciarsi in alcun modo su medesimo.

258

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3194/447 R. Parigi, 13 settembre 1932 (per. il 15).

La risposta francese al documento tedesco circa la parità di diritto della Germania, risposta consegnata 1'11 corrente dall'ambasciatore di Francia al ministro degli esteri del Reich, è stata pubblicata nei giornali di stamane. Essa è accolta favorevolmente da tutte le classi francesi e da tutta la stampa, come sostanza, come stile, come abilità. Non è una negativa, non lega la Francia ad una soluzione rigida, non esclude possibili soluzioni avvenire, lascia aperta la porta a maggiori evoluzioni nel senso del disarmo e della cooperazione tra Potenze firmatarie del trattato di Versaglia e del patto della S.d.N. Il Gabinetto Herriot fa fare alla Francia con questa risposta un notevole passo innanzi nella politica di collaborazione e di adattamento alle condizioni odierne dell'ordine politico creato dal trattato di Versaglia. Bisogna pensare che il compito di far evolvere la politica francese, dopo l'atteggiamento assunto dai Gabinetti Poincarè,. Tardieu e Lavai, non può venir assolto in un solo movimento, ma deve esser graduale.

Se la risposta alla Germania produce buona impressione tra francesi le notizie degli eventi parlamentari tedeschi di ieri creano invece sensazione di aggravamento della situazione interna tedesca.

(l) T. 916/211 del lO settembre, ore 24: rltrasmissione del n. 253.

259

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. CONFIDENZIALE PER CORRIERE 448 (1). Parigi, 13 settembre 1932.

Sir Austin Chamberlain è oggi a Parigi e va in Corsica. Apprendo in via confidenziale e sicura che se S. E. il Capo del Governo gli facesse sapere che volentieri lo vedrebbe, egli è disposto a recarsi su qualche punto del litorale tirreno italiano, come già fu a Livorno. Un cenno in tal senso potrebbe eventualmente venirgli a conoscenza a mezzo di codesta ambasciata d'Inghilterra.

Quanto precede ha carattere strettamente confidenziale (2).

260

COLLOQUIO CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GERMANIA A ROMA, BULOW (3)

APPUNTO. Roma, 14 settembre 1932.

L'Incaricato d'Affari germanico ha espresso, a nome del proprio Governo, i più vivi ringraziamenti per l'articolo di S. E. il Capo del Governo che ha esposto con tanta oggettività la giustificazione del punto di vista germanico. Mi ha pregato di portare questa dichiarazione a conoscenza di S. E. il Capo del Governo.

Ho assicurato l'Incaricato d'Affari che avrei corrisposto alla sua richiesta e gli ho fatto osservare che l'articolo di S. E. il Capo del Governo non è che lo sviluppo delle dichiarazioni fatte dallo stesso Capo del Governo all'Ambasciatore Schubert ( 4).

Mi ha esposto poi il punto di vista del Governo germanico nei riguardi della nota francese di risposta, punto di vista che si riassume nei cinque punti contenuti nell'annesso, che non ha nessun carattere ufficiale, ma che mi è stato consegnato in forma del tutto privata.

L'Incaricato di Affari ha aggiunto che la Germania non si presenterà alla prossima riunione del Bureau, ma che tuttavia seguirà con interesse i lavori di questo Ufficio per vedere la posizione da prendere.

A mia domanda mi ha chiarito che l'assenza dai lavori del Bureau non rappresenta ancora un ritiro della Germania dalla Conferenza del Disarmo.

(-4) Cfr. n. 246.

Sulla questione dell'accordo per le valute, l'Incaricato di Affari mi comunica che con tutta probabilità domani si troverà nella necessità di darne la disdetta: verrà personalmente perché vuole spiegare ancora una volta le ragioni di assoluta necessità -difesa della valuta -che hanno indotto la Germania a questo passo. Ha detto che il Ministro Neurath ha molto insistito per fare desistere il Governo da questa intransigenza, ma che i Dicasteri tecnici hanno dichiarato di non poter cedere a queste premure.

Ho fatto presente all'Incaricato di Affari le conseguenze di questo atteggiamento della Germania e la necessità nostra di reagire, e ho fatto anche un accenno allo spirito diverso con cui potremmo considerare la domanda tedesca per il ribasso del tasso di sconto, per cui si era chiesto il nostro appoggio.

ALLEGATO

l. -In considerazione che la futura convenzione del disarmo non soltanto resterà molto indietro al regime di Versailles, ma che si distinguerà essenzialmente da questo anche in quanto al modo ed alla maniera del disarmo, la questione diventa acuta, se il futuro regime sarà applicato anche per la Germania o se per essa deve rimanere in questa materia il Trattato di Versailles. Questa è la questione dell'uguaglianza e parità di diritto; e questa questione deve essere decisa adesso.

2. --La Germania chiede che il futuro regime degli armamenti della Germania -a prescindere dalla sua formazione materiale -venga in tutti i casi fissato dalla convenzione del disarmo come tale, e che questa legalmente venga a sostituire la parte V del Trattato di Versailles. La Francia respinge questo punto di vista. Con ciò che la Francia poco chiaramente s'è dichiarata disposta a collaborare, nel corso delle trattative della conferenza, all'esame del problema, nulla è adeguato per la decisione della questione dell'uguaglianza di diritto ora trovantesi in prima linea. 3. --La Francia vuol far dipendere nuovamente il suo atteggiamento nella questione del disarmo dalla soluzione della questione di sicurezza e chiede dalla Germania delle proposte.

La Germania non ha da fare delle nuove proposte e può ripetere soltanto la vecchia tesi che cioè il disarmo è l'elemento più importante per la sicurezza. Il diritto germanico alla parità deve essere riconosciuto indipendentemente da eventuali ulteriori desideri di sicurezza francesi.

4. -La conferenza del disarmo ha il compito, come dall'art. 8 dello Statuto della Società delle Nazioni, di fare un passo decisivo sulla via del promesso disarmo generale. Se la conferenza ora non è in grado di poter soddisfare a questo compito e se essa può raggiungere soltanto una soluzione insufficiente, essa almeno, per conseguenza, deve trovare per l'effettuazione della richiesta germanica una soluzione provvisoria nel senso delle da noi desiderate modificazioni. In quanto alla misura di queste modificazioni, la Germania è rimasta nei più modesti limiti ed ha appositamente sottolineato che questo punto lascia margine per delle trattative. Quindi non è possibile di parlare, come lo fa la nota francese, di tendenze germaniche di riarmarsi. 5. --Fintanto che il Governo francese come sembra dalla nota insiste su questo insostenibile punto di vista di non riconoscere il diritto giuridico, politico e morale della Germania ad un disarmo generale ed alla pretesa che ne deriva che alla Germania sia concessa la parità di diritto e fintanto la Francia tratta tutta la questione del disarmo nella maniera come se questa fosse un problema del tutto indipendente dalla Germania e dal suo disarmo, problema di cui risolvimento più o meno soddisfacente

non possa essere di nessuna influenza sulla Germania e sul suo stato di armamento, non è possibile pensare ad una intesa ragionevole e pratica sul problema stesso. A nulla serve per la Germania il riconoscimento da parte della Francia del diritto della Germania sulla sicurezza, se d'altra parte nega alla Germania la parità di diritto nella questione degli armamenti e se lascia inconsiderato il pericolo che l'enorme discrepanza negli armamenti reca alla sicurezza stessa.

(l) -Il telegramma è privo di numero di protocollo generale perché come risulta dal registro del telegrammi In arrivo, fu trattenuto dal Gabinetto del Ministro. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «l) sentire le impressioni di Londra; 2) sentire quanto tempo si trattiene in Corsica. Ritrovo all'isola d'Elba? ». (3) -Non si è identificato l'estensore del documento.
261

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3206/526 R. washington, 15 settembre 1932, ore 8,12 (per. ore 8 del 16).

Mio telegramma n. 519 (1). Ho avuto due colloqui con Stimson, uno avantieri e uno stamane. Mi espressi in conformità del telegramma di V. E. n. 411 (2).

Stimson mi disse subito che il punto di vista dell'E. V. attirava tutta la sua più seria attenzione e che desiderava considerarlo con ogni cura. La sua prima impressione era di vivo compiacimento. Stamane Stimson mi ha detto che prima di esprimere il suo proprio modo di vedere, doveva intrattenere il presidente di tutta la questione in generale e che desiderava riparlarmene dopo Ottawa. Avverto qui che durante questi tre giorni ebbero luogo alla Casa Bianca movimentate riunioni del Gabinetto in seguito alla votazione dello Stato del Maine la quale ha gettato allarme e confusione nelle file repubblicane e seria preoccupazione nel Governo. Questo spiega i ritardi.

Stamane, parlando a titolo personale, Stimson mi disse che stava studiando tutta la questione con capi servizio. Dopo la mia comunicazione di avantieri egli aveva avuto una comunicazione dall'incaricato d'affari di Germania ed era sorto il dubbio a prima vista che la Germania potrebbe in date circostanze applicare la parità attraverso un aumento dei suoi armamenti, il che avrebbe complicato le cose. Questo egli diceva tuttavia in via personale e preliminare riservandosi comunicarmi il suo giudizio. Dopo uno scambio di idee su questo punto chiesi a Stimson se egli fosse di avviso che tutta la questione venga deferita alla Lega delle Nazioni. Stimson, sempre sotto la riserva di consultare il presidente, mi spiegò a lungo che gli pareva una consultazione preventiva tra It.alia. Francia e Inghilterra potrebbe essere utile. Avendomi Stimson detto che la risposta francese alla Germania gli sembrava molto conciliante, gli ricordai, sempre parlando a titolo personale, che la sola grande Potenza la quale ha dimostrato sincera disposizione al disarmo fu l'Italia e che a Ginevra l'Italia fu abbandonata da tutti, compresi gli Stati Uniti. Quindi gli suggerivo di guardare ai fatti più che alle parole. Egli mi rispose che il torto della Francia è stato di tirare troppo in lungo l'applicazione delle disposizioni del trattato di Versailles e che ora la Germania sta approfittando di tale errore.

Durante il colloquio rilevai che l'Inghilterra, Francia e Germania hanno dato al Dipartimento di Stato comunicazione della corrispondenza tra loro intercorsa.

(l) -T. 3143/519, dell'H settembre, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 254.
262

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3214/589 R. Berlino, 16 settembre 1932, ore 13,35 (per. ore 16,50).

Von Neurath iersera mi ha detto che riceverà oggi ambasciatore di Francia per ripetergli che, data ostinazione suo Governo questione parità diritto e contrarietà ogni tentativo mediazione da altra parte Germania non prenderà parte lavori Bureau, li seguirà con grande interesse e vi parteciperebbe se commissione gliene [desse] possibilità con una decisione che riconoscesse alla Germania in principio quello che desidera legittimamente.

Neurath ha aggiunto aver affidato a Schubert che parte oggi per Roma messaggio per V. E. con il quale mentre si informa V. E. stato negoziati parità diritto, si fa conoscere che Governo tedesco sarebbe grato a V. E. se riunione bureau commissione provocasse discussione e voto relativo su tale argomento.

Von Neurath parte prossimamente per Ginevra ma mi diceva che ne sarebbe ripartito subito vedesse che cosa relativa parità diritto non va secondo desiderio o se si sentisse troppo stretto da tentativo pressione francese.

263.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 8833/249 P. R. Roma, 16 settembre 1932, ore 20,30.

Questo ministero viene informato confidenzialmente che Chatnberlain, attualmente in crociera fra la Corsica e la Sardegna, sarebbe disposto a recarsi su qualche punto litorale italiano Tirreno se S. E. il Capo del Governo gli facesse sapere che lo vedrebbe volentieri (1).

Prego V. E. telegrafare urgenza suo parere circa l'opportunità di un incontro fra S. E. il Capo del Governo e Chambe,rlain.

264

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3258/533 R. Washington, 17 settembre 1932, ore 11,17 (per. ore 9,45 del 18).

Mio telegramma n. 526 (2). Stimson mi pregò di passare da lui oggi. In relazione alla comunicazione che gli avevo fatto in base al telegramma di V. E. 411 del 10 corrente (3) Stimson mi disse quanto appresso:

Sono stato lieto di conoscere le vedute del signor Musso lini. L' [opinione] del signor Mussolini è in sostanza che il riaggiustamento della discriminazione negli armamenti che la Germania lamenta può soltanto essere effettuato mediante passi successivi nel processo graduale che ogni disarmo tra nazioni sembra richiedere; ed anche che tale processo dovrebbe prendere forma di revisione verso il presente livello della Germania piuttosto che di revisione da parte della Germania verso gli altri livelli intorno ad essa.

Se la mia interpretazione delle vedute del signor Mussolini è corretta io sono lieto perché, come egli senza dubbio si rende conto, interesse e preoccupazione prevalenti del Governo americano nella situazione che è derivata dalla posizione tedesca si riferiscono al possibile effetto della posizione stessa sul disarmo mondiale, che il nostro Governo desidera così vivamente.

Su tale punto tuttavia io non posso che ritenere che il cessare della Germania dal cooperare al lavoro della conferenza del disarmo ed il suo insistere al momento presente sul riconoscimento teorico delle sue domande, anziché praticamente giovare all'opera dei negoziati e della riduzione, non farebbe che complicare e rendere più difficile la soluzione del problema che è d'importanza sostanziale per tutte le nazioni interessate, compresa la Germania; e cioè il movimento mondiale verso la generale riduzione degli armamenti. In sostanza, osservò Stimson, siamo d'accordo su due dei tre punti.

A questa risposta di Stimson che ho riferito nei suoi termini precisi, seguì uno scambio di idee a titolo di colloqui personali che riassumo.

Dopo avere ancora precisato il punto di vista di V. E., gli dissi che il riconoscimento della formula giuridica è secondo noi inteso a raggiungere un effetto non, ripeto non, teorico bensì eminentemente pratico, cioè di evitare i pericoli che furono segnalati dal Capo del Governo. Stimson mi fece una spiegazione nel senso che gli anglo-sassoni hanno la tendenza a fare fronte alle difficoltà caso per caso, giorno per giorno, evitando posizioni di principio.

Mi venne subito l'idea di domandargli se egli si era inteso con Londra e Stimson, dopo qualche esitazione, mi disse francamente che il punto di vista che mi aveva esposto era piuttosto quello di Londra. Ciò beninteso a titolo confidenziale.

Quindi Stimson tornò sulla sua idea circa i vari trattati intesi a promuovere la pace del mondo, di cui al mio telegramma 510 del 9 corrente (1), e circa la necessità di eventualmente modificarli con metodi di conciliazione. La posizione assunta dalla Germania sarebbe in contrasto con tale necessità.

Ho risposto che su questo punto speciale non avevo avuto istruzioni di V. E. e che avevo riferito all'E. V. per corriere (ciò che ho fatto col mio rapporto confidenziale n. 2939 partito ieri). Gli ho ricordato che spesso abbiamo avuto conversazioni circa il trattato di Versailles a titolo assolutamente personale non avendo istruzioni in merito ma gli ho confe'rmato che, a mio modo di vedere, poiché l'altro giorno egli aveva parlato in generale di giustizia e di equità, io dovevo fare una riserva per quanto riguarda Italia e non potevo ammettere che l'Italia nell'anno 1919 sia stata trattata con giustizia ed equità. Quindi mi sono esteso a dimostrare la politica di pace e conciliazione costantemente perseguita dal Governo italiano, del che Stimson ha convenuto.

Quindi ho detto a Stimson che, a mio personale giudizio, nella questione del disarmo due punti fermi, due basi pratiche non teoriche furono messi avanti nell'ultima riunione di Ginevra, i seguenti: ... (l) italiano e... (l) Hoover e che per raggiungere un risultato pratico via da seguire è la cooperazione italo-americana.

Dopo di che il colloquio si estese sui discorsi di Henderson e Cecil a Londra e in proposito riferisco per corriere, per quanto siano cose d'interesse secondario.

A due riprese durante l'odierno colloquio Stimson ebbe parole di evidente sincera deferenza verso l'E. V.

Richiamo l'attenzione dell'ufficio competente di codesto Ministero su quanto informavo con mio telegramma 526 del 15 corrente, cioè avere i Governi di Londra, Parigi e Berlino comunicato al dipartimento di Stato la corrispondenza tra loro intercorsa.

I telegrammi per corriere arrivano dopo tre giorni alle R. ambasciate di Londra e Parigi ma qui giungono dopo due o tre settimane.

(l) -Cfr. n. 259. (2) -Cfr. n. 261. (3) -Cfr. n. 254.

(l) Cfr. n. 252.

265

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 6568/552 P. R. Londra, 17 settembre 1932, ore 14,42 (per. ore 18).

Telegramma di V. E. 249 (2).

Incontro può essere qualche utilità, però esprimo parere contrario che Duce si sposti appositamente per questo. Al massimo, incontro potrebbe aver luogo Ostia, dove Duce si reca spesso e dove Chamberlain potrebbe recarsi far visita.

266

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 935/251 R. Roma, 17 settembre 1932, ore 24.

Il R. ambasciatore a Berlino telegrafa quanto segue (3).

Nell'interesse lavori disarmo siamo favorevoli a quanto d'accordo con gli altri Stati (Francia compresa) possa continuare ad assicurare partecipazione

(-3) Cfr. n. 262.

Governo tedesco «Bureau». Ove codesto Governo prendesse iniziativa a tal fine saremmo pronti ad associarci. Prego V. E. intrattenere in tal senso codesto Governo e telegrafarmi (1).

(l) -Gruppo lndeclfrato. (2) -Cfr. n. 263.
267

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. CONFIDENZIALE PER CORRIERE 3265/461 R. Parigi, 17 settembre 1932 (per. il 19).

La riunione delle due Camere ha risvegliato l'attività politica. La situazione estera ne è uno dei principali se non il principale soggetto.

Le prime informazioni che ricevo non sono tranquille, tutt'altro. Quel che mi diceva stamane l'abate Desgranges rimane confermato. Si sta cioè formando in molti uomini politici francesi l'idea che le cose in Germania vengono portate verso un movimento nazionale antiversagliano cosi organico e così manovrato da farne come una mistica creatrice di un ambiente che correrà verso lo sfogo della guerra. Gli atteggiamenti internazionali dell'Italia sono ritenuti germanizzanti, antifrancesi: combinati con l'idea preconcetta della issue quasi fatale per una dittatura, si vede anche nell'Italia un pericolo di guerra; e non solo questo, ma si va più in là; si accenna che la scintilla della guerra verrà dall'Italia e, date le teorie esposte in alcune pubblicazioni italiane, si parla nel senso che la guerra scoppierà improvvisamente, brutalmente, senza dichiarazione, con un'aggressione dell'Italia sulla Francia.

Pochi giorni fa mi fu data come circolante la notizia che una ditta francese affermava essere stata consigliata da alti funzionari di Stato* a non firmare nuovi contratti con l'Italia perché lo stato delle relazioni con l'Italia non lo consentiva. La notizia non è stata confermata ma ha circolato in ambienti politici e giornalistici producendo allarme o preoccupazione* (2).

È bene, per quanto si tratti di notizie verosimilmente esatte soltanto come impressione generica di ambiente, che il R. Governo le conosca, affinché possa tenerne conto nel giustificare, nel formarsi un'idea dell'atmosfera politica che qui esiste, e nei suoi atteggiamenti.

In mezzo a queste sensazioni e preoccupazioni, diventa ancora più spiccato l'atteggiamento di calma, cosciente e vigilante, del presidente del consiglio signor Herriot. La sua personalità ha molto, ripeto molto, aumentato nella considerazione generale dei francesi oltreché nel parlamento e nel suo partito. Si dice di lui che mostra di avere tratto molta esperienza e di aver molto maturato colla presidenza nel 1924 prima, e col successivo Ministero di unione nazionale. Egli si prospetta oggi ai francesi come l'uomo che più raccoglie in questo momento la fiducia dell'intero paese.

(l) -Lo stesso telegramma fu rltrasmesso a Mosca, Parigi e Toklo e alla delegazione Italiana a Ginevra con t. 943 R. del 20 settembre. (2) -Il passo fra asterischi è stato segnato a margine da Mussollnl. Allegato al documento c'è Il seguente appunto di Jacomonl: «S. E. Il Capo del Governo ha avuto già notizie da Plrelll di un caso analogo a quello segnato nel terzo capoverso dell'unito telegramma. 20 settembre X».
268

L'AMBASCIATORE ROSSO (l) AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 18 settembre 1932.

Accludo un appunto sulle direttive date dal Capo dei Governo nell'udienza di sabato 17 corrente.

Non escludo di aver omesso od inesattamente interpretato qualche punto della conversazione e sarò riconoscente di essere aiutato a fare le eventuali rettifiche.

ALLEGATO

DIRETTIVE IN TEMA DI DISARMO (2)

APPUNTO. Roma, 17 settembre 1932.

Dopo aver chiesto all'ambasciatore Rosso di esporre lo stato dei lavori della Conferenza e di precisare i termini delle questioni che si presenteranno alla discussione nella prossima riunione del Bureau, S. E. il Capo del Governo ha così riassunto le direttive che dovranno seguire i rappresentanti italiani:

l) In linea di massima rimangono ferme per noi le proposte Grandi in tema di limitazione qualitativa. Esse presentano il vantaggio di dare un principio di soluzione al problema della uguaglianza di diritto sollevata dalla Germania.

2) Aviazione: Mantenere ferma la tesi della riduzione del tonnellaggio massimo degli apparecchi a quella cifra (Kg. 650) che permetta l'impiego degli apparecchi stessi soltanto a scopo di esplorazione e di caccia.

Si può ammettere -per gli apparecchi ridotti a tale peso -che essi facciano anche l'uso di piccole bombe contro le forze nemiche nella zona di battaglia.

Il divieto di bombardamento contro le popolazioni civili deve essere applicato nel modo più esteso, escludendo la possibilità di bombardamento di tutte le località che si trovano fuori della zona di battaglia, anche se di interesse militare (come centri ferroviari, caserme, porti ecc.).

Si possono accettare le proposte che venissero fatte per ammettere delle eccezioni circa l'uso del bombardamento aereo nei territori coloniali.

3) Internazionalizzazione dell'aviazione civile: Non si sa ancora in che modo essa possa venire effettuata. Opporsi a quei progetti che implicassero un controllo reale dell'aviazione nazionale da parte di terzi e la possibilità quindi di ostacolarla.

Qualora si trattasse di progetti a fondo puramente commerciale (come la Compagnia Internazionale dei Vagoni Letto) riservarne l'esame.

4) Artiglierie terrestri: Cercare di ottenere l'abolizione delle artiglierie di grosso calibro, ammettendo la conservazione di quelle di medio calibro con un limite massimo fra i 149 m/m ed i 155 m/m.

È stato fatto osservare al Capo del Governo che fìnora la Delegazione italiana aveva mantenuto fermo il limite massimo di 100 prima e poi di 105 m;m. Ha osservato a sua volta essere tale limite fuori delle possibilità pratiche. « Ogni soluzione massima ha la sua subordinata».

5) Carri d'assalto: Stessa osservazione che al punto precedente. Direttiva: Sostenere in linea principale l'abolizione totale, ed in via subordinata la riduzione del tonnellaggio massimo.

6) Armamenti navali: Sostenere l'abolizione delle navi di linea o quanto meno una riduzione del dislocamento massimo delle navi da guerra ad un tonnellaggio molto basso, p. es. 12.000 tonnellate.

Chiedere l'abolizione dei sottomarini soltanto se questa sia necessaria per ottenere l'abolizione delle grandi navi di linea.

7) Effettivi S. E. il Capo del Governo ha osservato che sarà difficile giungere ad accordi in questo campo, viste le gravi questioni che sono già state sollevate (Calcolo degli effettivi legali o reali ed istruzione premilitare). Cercare quindi di mettere il problema in secondo piano.

È stato fatto rilevare che probabilmente la Conferenza insisterà sul piano Hoover, nel quale la riduzione degli effettivi rappresenta una parte importante del progetto americano.

Il Capo del Governo ha indicato in tale caso la seguente direttiva: Adoperarsi perché non ne risulti modificata di tatto la nostra situazione attuale.

8) Limitazione dei bilanci: È un sistema di limitazione che per se stesso non offre garanzie effettive di riduzioni di armamenti. Si può accettare però come misura complementare di limitazione, ad esempio per garantire che le riduzioni effettuate mediante abolizione di certe categorie di armi non vengano frustrate coll'aumentare gli armamenti nelle categorie non limitate.

9) Controllo: «Bisogna essere coerenti»: Se si accetta una limitazione di armamenti, bisogna essere disposti ad ammettere che si cerchi di impedire la violazione degli impegni presi. Si può quindi accettare una certa misura di controllo purché non venga costruito con intenti vessatori e colla presunzione -come regola -della mala fede delle parti contraenti. Il Delegato italiano non deve fare una opposizione di principio, ma soltanto adoperarsi perché il sistema di controllo venga contenuto nei limiti del necessario. «Quando è volontariamente accettato ed universalmente applicato, il controllo non implica nessuna menomazione della sovranità. Del resto, avremo forse maggiore interesse noi a controllare gli altri di quel che possiamo temere ad essere noi stessi controllati».

10) Circa le discussioni che potranno aver luogo in seno al Bureau in merito alla comunicazione tedesca al Presidente della Conferenza per la questione dell'uguaglianza di diritto, S. E. il Capo del Governo ha impartito all'Ambasciatore Rosso le seguenti direttive:

Ove venga aperta una discussione sull'argomento, il Delegato italiano dovrà confermare l'attitudine italiana favorevole all'accoglimento del « principio » di uguaglianza. Dovrà far presente che il riconoscimento di tale principio da parte di tutti gli Stati è necessario -per indurre la Germania a continuare la sua collaborazione e quindi a permettere un lavoro utile e la possibilità di risultati concreti. Il fallimento della Conferenza creerebbe una situazione grav1ss1ma che tutti i Paesi hanno interesse di evitare.

n Delegato italiano dovrà cercare di indurre la Delegazione britannica ad assumere analogo atteggiamento.

11) Concludendo S. E. il Capo del Governo ha detto all'Ambasciatore Rosso: «Mi tenga al corrente di tutto quello che succede ed io le farò sapere come dovrà regolarsi. Si ricordi che il disarmo è una questione essenzialmente politica e che a.!la Conferenza si fa della politica. I militari devono, quando necessario, dare il loro parere sulle questioni tecniche ma la direttiva la dà il Ministro degli Esteri. Lei non riceve istruzioni che da me. Scriverò in questo senso ai Ministri militari».

(l) -Rosso era stato nominato ambasciatore a Washington fin dal 25 agosto ma raggiunse la sede solo dopo varll mesi poiché rimase a Ginevra quale delegato alla XIII Assemblea e alla sessione straordinaria della Società delle Nazioni. (2) -L'appunto si riferisce ad una udienza data da Mussollnl a Palazzo Venezia a Suvlch. Alolsl e Rosso.
269

IL MINISTRO BUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO 228406/1712. Roma, 19 settembre 1932.

In relazione all'unito appunto di V. E. relativo al colloquio avuto con l'Ambasciatore di Spagna in data 3 corrente (l) l'Ufficio I della Direzione Generale

E.L.A. ha l'onore di render noto che ha già provveduto ad interessare hl R. Ministero dell'Interno perché vengano compiuti riservati accertamenti sulla presenza ed, eventualmente, sull'attività svolta dal Generale Barrera a Roma.

Richiamandosi poi al passo compiuto al riguardo dall'Ambasciatore di Spagna, l'Ufficio ritiene opportuno far presente all'E. V. come, in seguito all'avvento del regime repubblicano, le R. Autorità abbiano rilevato che tra gli elementi sovversivi e contrari al Regime Fascista vi sia una tendenza sempre più rimarchevole a recarsi in Spagna dove troverebbero un ambiente particolarmente favorevole allo svolgimento della loro attività.

L'Ufficio si onora trasmettere in allegato un esposto (2), redatto dal Servizio Corrispondenza ed Archivi di questo Ministero, dove vengono precisati fatti e circostanze circa l'attività degli elementi antifascisti e la protezione goduta dai medesimi da parte delle Autorità spagnole.

270

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Londra, 19 settembre 1932.

*Non appena ricevuto il Tuo ordine sono ripartito per Londra dove sono giunto venerdì. Nella giornata ho chiesto di vedere il Segretario di Stato. Simon mi ha fatto rispondere che stava partendo insieme al Primo Ministro per essere di ritorno lunedì mattina, ma che, se lo desideravo avrebbe ritardato la sua partenza per vedermi * (3). Non ho creduto il caso di insistere, tanto più che alcuni giornali avevano pubblicato la notizia del mio «improvviso ed inaspettato» ritorno. Non era il caso di drammatizzare oltre il bisogno. D'altro parte la giornata di venerdì e quella di sabato sono state piuttosto difficili per il GabinettCl MacDonald. La crisi latente acutizzatasi dopo le decisioni di Ottawa è scoppiata nuovamente e Sir Herbert Samuel, leader del gruppo liberale-liberista, ha nuovamente minacciato di dimettersi. Le dimissioni di Samuel potrebbero trascinare quelle di Simon e conseguentemente quelle di MacDonald. La scomparsa dei liberali farebbe perdere infatti all'attuale Gabinetto che si

27 --Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

chiama di «Unione-Nazionale » la sua apparente fisionomia di governo di coalizione, unica circostanza che giustifica la presenza di MacDonald come Primo Ministro. Il week-end sembra avere portato consiglio e le decisioni sono state rimandate a mercoledì prossimo. Anche se il gruppo Samuel si deciderà ad accettare la politica di Baldwin ad Ottawa è certo tuttavia che la posizione dell'attuale Gabinetto è tutt'altro che stabile, e ciò ha dirette ripercussioni sul carattere di indecisione ed incertezza che rivestono in questo momento gli atteggiamenti del Governo britannico sugli avvenimenti di politica estera. Il gruppo Samuel rappresenta nel Gabinetto MacDonald la tendenza più accentuata per una stretta collaborazione colla Francia.

Sabato sera Simon mi ha fatto avere confidenzialmente il testo della Nota britannica che sarebbe stata consegnata domenica mattina a Roma e a Parigi. Stamane ho fatto la mia visita al Segretario di Stato.

*La mia intervista con Sir John Simon è durata un'ora e mezza*. Come ho telegrafato oggi (l), subito dopo il colloquio, ho cominciato col domandare a Simon precisazioni sul contenuto della nota britannica, la quale, come tutti i documenti redatti con stile curialesco, non è chiara, specie nei punti essenziali. Essa rappresenta inoltre un documento preliminare e interlocutorio, e non contiene alcuna indicazione precisa sul seguito che il Governo della Gran Bretagna suggerisce di dare alla delicata questione posta sul tappeto dalla Germania, (senza possibilità di evasione da parte di chicchessia), colla richiesta ufficiale della uguaglianza dei diritti e colla comunicazione di non intervento della Delegazione germanica alla prossima riunione dell'Ufficio di Presidenza della Conferenza del Disarmo. Simon invece di rispondermi mi ha domandato a sua volta quali erano le mie impressioni sulla Nota e quale era il punto di vista del Capo del Governo fascista sull'intera questione. * Circa le mie impressioni sul contenuto della nota britannica ho detto a Simon * che alla prima lettura essa mi aveva arrecato una certa sorpresa. Così come un'innegabile sorpresa essa aveva recato all'opinione pubblica britannica indirizzata sino a ieri apertamente in senso favorevole alle richieste tedesche. Ad una seconda e meditata lettura la Nota britannica mi aveva dato una impressione diversa. Sotto l'apparenza di un serio rabbuffo dato alla Germania (untimely, unwise and unfortunate) il Governo britannico giunge in sostanza alle stesse conclusioni cui giunge l'ormai famoso articolo del Duce. Le argomentazioni non sono esattamente le stesse, ma identiche ,sono le conclusioni. * «Amo credere*, ho continuato dicendo a Simon, *che le apparenze siano state scritte per la Francia e la sostanza per la Germania. La nota britannica contiene una lunga dissertazione per spiegare che la Germania non ha diritto in base al Trattato di Versailles di dichiararsi svincolata dagli obblighi militari della parte V, ma finisce col dichiarare che qualunque convenzione, buona o cattiva, che verrà fuori da Ginevra dovrà necessariamente includere l'abolizione della parte V, cioè riconoscere alla Germania l'eguaglianza dei diritti, salvo discutere beninteso di comune accordo quali e quanti dovranno essere gli armamenti tedeschi. Il ragionamento è contorto, ma coincide esattamente col pensiero espresso dal Duce e cioè: la Germania ha il diritto morale all'eguaglianza di trattamento e questo diritto deve essere rico

nosciuto, ma nello stesso tempo 1a Germania deve impegnarsi ad usare di tale diritto con moderazione e con saggezza e secondo le clausole di una convenzione che sarà stabilita di comune accordo».

Simon mi ha detto avere io interpretato esattamente il senso della Nota britannica *. L'attitudine del Governo britannico non ha mutato. Se la Nota contiene un giudizio duro sulla intempestività del gesto tedesco essa contiene parimenti un giudizio duro a proposito dei Paesi esageratamente armati (Vedi Francia), e contiene altresì l'opinione (per la prima volta espressa dal Governo inglese) che i Paesi più armati debbono ridurre di molto i loro armamenti e quelli meno armati impegnarsi semplicemente a non aumentarli. Il Governo britannico sta adoperandosi con ogni mezzo a Parigi per vincere Je riluttanze del Presidente Herriot e persuaderlo ad essere meno intransigente ed accettare che un Comitato composto delle quattro Grandi Potenze: Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania procedano ad un esame della questione e alla sua risoluzione. Sinora Herriot ha rifiutato di accettare questa procedura, ma egli Simon farà del suo meglio per convincerlo a Ginevra.

A questo punto Simon mi ha domandato se il Capo del Governo fascista aveva a guisa del Governo tedesco, francese e britannico, esposto il punto di vista italiano in un documento. *Io avevo con me l'articolo del Duce e glie l'ho tradotto letteralmente. Simon ha mostrato il più grande interesse 'alla traduzione dell'articolo, che egli non conosceva se non imperfettamente. Leggendo egli abbastanza correntemente l'italiano, mi ha pregato di !asciargli la copia del giornale. « È molto importante, egli ha detto, e desidero molto riflettervi sopra. Sono molto lieto di constatare che il pensiero del Duce coincida in sostanza col mio pensiero» *.

« Visto che siamo d'accordo, ho proseguito, sulla linea generale, si tratta ora di vedere quale è la migliore via da adottarsi negli imminenti negoziati di Ginevra per dare alla questione una rapida e soddisfacente soluzione. Che cosa ha in mente di fare il Governo britannico? Quali sugg,erimenti? Quali preposte? La Nota tace su questo punto». Simon mi ha risposto piuttosto imbarazzato confessandomi che egli avrebbe esaminato a Ginevra, insieme con Henderson, quale è la migliore via da seguire, e che intanto aveva pregato Herriot di recarsi egli pure a Ginevra insieme con Boncour. Von Neurath si sarebbe egli pure trovato a Ginevra alla riunione del Consiglio, per cui l'assenza della Germania dall'Uftlcio di Presidenza non ,avrebbe rappresentato, da un punto di vista pratico, un inconveniente insuperabile. Simon mi ha domandato se avevo una via da suggerire.

Gli ho risposto che esaminando attentamente l'articolo del Duce e la Nota tedesca, la Nota britannica e perfino la Nota francese, ero venuto alla conclusione che non sarebbe stato impossibile trovare una formula che potesse soddisfare l'amor proprio e le legittime aspirazioni tedesche nel senso di un riconoscimento del principio della eguaglianza dei diritti, salvo poi rimettere alla Commissione Generale della Conferenza del Disarmo l'esame pratico degli armamenti tedeschi. Ho ricordato a Simon che durante la Conferenza di Losanna, il Cancellie,re von Papen presentò un memorandum confidenziale al Presidente della Conferenza MacDonald contenente le richieste tedesche nel campo politico-finanziario e degli armamenti. A proposito di quest'ultimo von Papen

dichiarava limitarsi la Germania a domandare una eguaglianza di trattamento

dal punto di vista del principio salvo impegnarsi a non eccedere per la durata

della Convenzione da stabilirsi gli attuali armamenti concessHe dalla parte V

del Trattato di Versailles (1).

Così praticamente significa seppellire la parte V dei Trattati e dare, almeno

per un certo periodo, garanzia alla Francia che la Germania non aumenterà

l'attuale livello degli armamenti. È chiaro che a tale impegno dovrebbe corri

spondere un analogo impegno francese di ridurre i propri armamenti. « Mi pare,

ho proseguito con Simon, che il Memorandum di Von Papen opportunamente

ripreso potrebbe formare oggetto di una proficua discussione a Ginevra fra i

rappresentanti delle Grandi Potenze e condurre all'accettazione di una formula

che un Ministro degli Esteri tedesco abile e ragionevole ad un tempo, dovrebbe

essere ben lieto di accettare. Se io fossi tedesco, cosa che sono ben felice di

non essere, accetterei senz'altro una formula di questo genere · che significa

dare alla Germania il diritto ad avere completa libertà di armamenti allo spi

rare dell'attuale Convenzione che presumibilmente sarà fissata per 5 anni».

Simon ha trovato il suggerimento molto interessante ed insieme, col lapis in

mano, abbiamo abbozzato alcuni schemi di risoluzione che potrebbero essere

presentati a Parigi e a Berlino, rimanendo d'accordo di studiare ciascuno per

conto proprio la formula più conveniente e di continuare direttamente attra

verso il Foreign Office o le nostre delegazioni a Ginevra lo scambio di vedute

inviandoci tutti gli eventuali utili suggerimenti.

Riprendendo a parlare con Simon della politica estera di Mussolini ho insistito su un passaggio dell'articolo del Duce riferentesi esplicitamente al Trattato di Locarno e alla funzione non solo di garanzia ma di equilibrio e moderatrice che Gran Bretagna e Italia hanno assunto per tutto quanto riguarda il problema dei rapporti franco-tedeschi. «È intenzione del mio Capo di continuare in questa politica e di sviluppare l'azione della diplomazia italiana secondo tali linee. Il Trattato di Locarno, secondo il mio avviso, oltreché fissare i compiti delle due Potenze garanti nei riguardi del problema francotedesco, fissa i compiti e i doveri delle due Potenze garanti tra di loro rispettivamente. L'Italia fascista è stata sinora sempre fedele, nella sua azione diplomatica, agli impegni assunti a Locarno nei riguardi della Gran Bretagna. Essa domanda che il Governo britannico mantenga nella sua azione diplomatica uguale linea di solidarietà ai fini di una azione comune circa i grandi problemi europei. Il Governo fascista non ha potuto fare a meno di considerare l'intesa preliminare franco-britannica relativa al cosiddetto «accordo di fiducia >> come un atto non consono agli impegni che le due Potenze cogaranti Gran Bretagna e Italia hanno preso col Trattato di Locarno rispettivamente tra di loro. Il risentimento italiano è stato quindi più che giustificato».

Simon mi ha ringraziato della franchezza con cui gli parlavo, franchezzza che, se anche un po' rude, tuttavia eviterà spiacevoli malintesi nel futuro. Egli è perfettamente d'accordo sulla necessità che l'azione diplomatica della Gran Bretagna e quella dell'Italia procedano di comune accordo con reciproche frequenti consultazioni. Simon ha ammesso che durante le ultime trattative

internazionali talvolta la fretta di giungere a conclusioni, la necessità di approfittare di alcuni determinati momenti psicologici della politica francese, la non perfetta organizzazione di alcuni servizi di collegamento, la consapevolezza dei negoziatori britannici di agire secondo le linee comuni, hanno potuto dare al Governo italiano, e non a torto, l'impressione che il Governo di Londra avesse modificato la sua attitudine nei riguardi della collaborazione italo-britannica. «Voi non potete immaginare, ha proseguito Simon, come talvolta abbia importanza il fatto che Parigi si trova sulla strada fra Londra e Ginevra, e questa circostanza, di mero carattere geografico, e di cui Roma non può profittare, è stata spesso la spiegazione di molte decisioni, favorite, non c'è dubbio, dal fatale continuo contatto fra uomini di Stato inglesi e francesi. Anche sotto questo rispetto considero la vostra presenza qui come assai fortunata. Ci consulteremo e ci vedremo spesso scambiandoci i nostri punti di vista». Simon mi ha domandato chi avrebbe rappresentato l'Italia alle prossime riunioni di Ginevra. Gli ho risposto che il Capo del Governo aveva designato l'Ambasciatore Aloisi, suo Capo di Gabinetto, come Capo della Delegazione italiana. Ho assicurato Simon che avrebbe trovato in Aloisi la stessa lealtà, lo stesso desiderio di sincera collaborazione che egli ha trovato sempre in me. Simon mi ha detto da parte sua che non appena a Ginevra egli cercherà di mettersi in contatto con lui.

Questo, sommariamente, il mio colloquio di oggi col Segretario di Stato, il Corriere parte fra poco ed io desidero Ti raggiungano subito queste frettolose cartelle per darti, assai più che non lo possa un prudente telegramma, il resconto di questo scambio di vedute col Ministro degli Esteri inglese, prima della sua partenza per Ginevra, onde Tu abbia gli elementi per dare o confermare alla nostra Delegazione a Ginevra le istruzioni che crederai opportune. Ti sarei parimenti riconoscente se Tu volessi farmi sapere se la linea da me seguita nel colloquio con Simon corrisponde alle Tue direttive e interpreta fedelmente le Tue istruzioni. Ciò sopratutto per potermi regolare nei futuri contatti.

Varrebbe ora la pena di descrivere più a fondo l'ambiente psicologico e politico, estremamente interessante, in cui maturano in questo momento le decisioni del Governo britannico. L'incertezza dell'azione di Governo non è soltanto il risultato del carattere indeciso degli attuali uomini politici che guidano il Paese, ma è anche il risultato di una situazione obiettiva più generale. Il Governo britannico è un Governo di pubblica opinione, e la pubblica opinione britannica si forma assai lentamente. Essa è oggi perplessa, incerta, assai preoccupata del domani. Le masse popolari sono contro la Francia e contro la Francia è parimenti la City, le classi industriali, i ceti finanziari e la maggioranza dei giornali. Gli ambienti militari sono stati sino a ieri anti-francesi. Oggi l'eventualità di un risorgere della potenza militare tedesca incomincia a introdurre un elemento nuovo, non valutabile nella situazione. Gli uomini più autorevoli del partito conservatore vorrebbero una Francia diminuita di potenza ma solidale ed amica. A questo sentimento contribuisce il raffreddamento delle relazioni con l'America, dovute alle simpatie, sia pure abilmente mascherate, che la Gran Bretagna nutre per il Giappone, e che hanno fatto perdere gran parte dei frutti guadagnati dal passato Governo laburista quando ebbe a realizzare felicemente una nuova era nelle relazioni anglo-americane. Le recenti proposte Hoover per il disarmo erano di fatto, dirette a creare nuovi imbarazzi all'Inghilterra. Il Governo di von Papen e del Generale von Schleicher soddisfa i banchieri della City perché la dittatura dei «Junkers prussiani » dà agli investitori di denam una garanzia di un ordine sociale maggiore di quello che non potesse dare la dittatura di Hitler, dittatura di carattere squisitamente rivoluzionario e pertanto ricca di imprevisti e possibili sorprese. Ma la maggioranza degli uomini politici inglesi guarda con certa diffidenza il Governo dittatoriale dei Junkers prussiani che furono i dominatori della vecchia Germania Imperiale. Sugli avvenimenti tedeschi di questi ultimi mesi regna un certo disorientamento. Gli inglesi aspettano per vederci un po' più chiaro. A tutto ciò aggiungasi l'avventura dell'irlandese De Valera il quale parte per Ginevra per presiedere come Presidente di turno, il Consiglio della Società delle Nazioni. La Presidenza toccherà nel mese di gennaio prossimo all'Italia.

Certo che le imminenti riunioni di Ginevra saranno interessanti ed il giuoco diplomatico fra i rappresentanti delle Grandi Potenze molto serrato. L'Italia ha buone carte. La nostra Delegazione è composta di gente in gamba.

Il Tuo articolo sulla «Parità dei diritti» è stato indubbiamente un avvenimento di somma importanza nella formazione della pubblica opinione internazionale in questi ultimi dieci giorni. Sobrio, scultorio e magistrale, come sempre, esso riproduce i caratteri del Tuo spirito che io amo definire con un appellativo di sapore classico «spirito essenziale». Esso mi ha fatto ricordare una esclamazione di Napoleone: «J'ai fai t trembler l es vieux pantalons de la diplomatie » (1).

(l) -Cf. n. 243. (2) -Non si pubblica. (3) -Questo e l successivi passi fra asterischi sono editi nel Borghese del 28 aprile 1966.

(l) T. 3273/564, non pubblicato.

(l) Fra i nostri Atti della Conferenza di Losanna deve trovarsi il documento che mi fu rimesso a titolo personale confidenziale da von Neurath a Losanna [Nota del documento]. n documento non è stato pubblicato. Cfr. n. 110, allegato II.

271

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3314/470 R. Parigi, 20 settembre 1932 (per. il 23).

Avendo saputo che il signor Herriot partirà stasera per Ginevra e che probabilmente non tornerà che dopo il 25 corrente, ho chiesto di prendere congedo da lui oggi.

Domani 21, alle ore 16.30, presenterò al presidente della repubblica le mie lettere di richiamo. Il signor Herriot mi ha ricevuto stamane. Nel pomeriggio è venuto a restituirmi la visita.

Riferirò ancora sul colloquio di stamane e su quello che avrò domani col presidente della repubblica. Dico intanto l'impressione generale del colloquio di stamane. Il signor Herriot ha inteso negare ed annullare ogni voce, ogni affermazione, che egli abbia, ora o durante la sua precedente presidenza (19241926), fatto qualche favore, concessione, trattamento speciale a dei fuorusciti

antifascisti; ha inteso mostrare di essere animato da disposizioni di simpatia per l'Italia, riconoscendo esplicitamente che certamente nella parte morale, se non anca su quella materiale l'Italia non era stata trattata equamente alla pace o nel dopo guerra; ha inteso riconoscere che lo stato cattivo delle relazioni italo-f,rancesi è dovuto più a malintesi, a equivoci, a manovre, ad incomprensioni che ad altro; ha inteso riconoscere i grandi progressi fatti dall'Italia dall'avvento del Governo fascista; ha inteso far comprendere che egli è personalmente disposto (ed ormai ha su questa linea la maggioranza del suo partito) a fare quel che dev'essere fatto per un giusto chiarimento di situazione coll'Italia. Egli aveva già iniziati i primi colloqui con S. E. l'on. Grandi a Ginevra ma furono interrotti dagli eventi.

(l) Non si pubblica una succes!va Lp. di Grandi per Mussolini, del 21 settembre, circa un colloquio col banchiere americano Morgan, conservata !n ACS, Carte Grand!, ed. parzialmente nel Borghese, c!t.

272

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3299/540 R. Washington, 21 settembre 1932, ore 9,39 (per. ore 8 del 22).

La dichiarazione del presidente Hoover è interpretata come una attenuazione della posizione, piuttosto Intransigente, assunta dal Dipartimento di Stato nella controversia sollevata dalla Germania.

Come risulta dai miei telegrammi, in primo tempo, il facente funzioni di Segretario di Stato Castle, condannò in termini severi la domanda tedesca. Poi Stimson, tornato dal congedo, mi disse che «non intendeva assumere aloun atteggiamento di drastica opposizione » ma poi, in ultimo tempo, lo stesso Stimson adottò sostanzialmente il punto di vista del Governo britannico col quale era stato in contatto.

Essendo note le opinioni personali del presidente Hoover, e tenendo presenti le chiare parole del suo discorso dell'll agosto relative ai trattati che chiusero la guerra, faceva meraviglia di vedere Castle, noto per essere al Dipartimento di Stato il portavoce di Hoover, assumere un tale atteggiamento reciso. ma oggi mi viene assicurato che Castle agì di sua personale iniziativa.

Aggiungo ai miei recenti telegrammi che il 17 corrente Stimson mi confidò che aveva sostenuto discussioni sul problema in questione, le quali lo avevano molto conturbato.

È da ritenere che l'iniziativa di Stimson circa il rispetto ai trattati fra i quali menzionò quello delle 9 Potenze (mio telegramma n. 510) (1) sia connesso colla nota sua tesi relativa alla Manciuria. Alcuni dicono che sia stato tentato con la Francia qualche specie di non formale abbinamento in relazione alla presentazione della questione mancese alla Lega delle Nazioni. Ma d'altra parte si oppone che la Francia non potrebbe impegnare la sua politica in Estremo Oriente.

Viceversa la nuova intonazione della dichiarazione Hoover si deve spiegare oltre che colle sue note opinioni personali, con considerazioni di carattere elettorale quali ho accennato nel mio telegramma n. 502 del 2 corrente (1).

Inoltre H presidente col dichiarare il suo disinteresse dalla questione giuridica della equiparazione, che esclude una attitudine di opposizione sul punto medesimo, ha voluto rassicurare le apprensioni germaniche e al tempo stesso dare opera al salvataggio della causa del disarmo la quale anche forma per lui una piattaforma elettorale della sua politica estera.

Prego comunicare a Ginevra (2).

(l) Cfr. n. 252.

273

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT (3)

APPUNTO. Roma, 21 settembre 1932.

L'Ambasciatore Schubert, dopo avermi espresso il suo profondo e sincero dispiacere per dover abbandonare il nostro Paese e per rimanere assente dall'attività diplomatica della Germania in un momento così delicato e importante, mi ha dichiarato di essere stato incaricato ufficialmente dal Governo tedesco di fare delle dichiarazioni confidenziali a S. E. il Capo del Governo.

Le fa a me in assenza del Capo del Governo, pregandomi di trasmettergliele al più presto possibiJe. L'Ambasciatore Schubert mette in rilievo che queste dichiarazioni vengono fatte soltanto al Capo del Governo Italiano ed a nessun altro.

L'Ambasciatore si riferisce alla conversazione avuta con S. E. Mussolini il 29 luglio, in cui il Capo del Governo gli aveva detto che conveniva attuare la parità dei diritti col disarmo degli altri e non col proprio armamento, e che conveniva altresì mettere in esecuzione il principio soltanto quando si fosse perduta ogni speranza che il disarmo degli altri potesse essere effettuato.

In una successiva conferenza in data 2 settembre, il Capo del Governo ha sollevato questi tre punti:

0 ) Ha detto che l'Italia riteneva equo e giustificato che la Germania sollevasse la questione della parità dei diritti, dovendosi tuttavia evitare l'impressione che questo fosse un pretesto per armare;

2°) Ha consigliato di non presentare le cose in modo che si potesse ritenere che la Germania ha .interesse a far fallire la conferenza del disarmo;

3°) Riferendosi alla dichiarazione contenuta nella nota tedesca, di essere disposti a collaborare ad un progetto per rafforzare la sicurezza, ha detto che di sistemi di sicurezza ce ne sono anche troppi e che era inutile crearne degli altri.

In seguito a questi colloqui col Capo del Governo, l'Ambasciatore Schubert ha avuto quattro interviste col Ministro Neurath, che a sua volta ha parlato <'on altri Rappresentanti del Governo e le raccomandazioni italiane sono « cadute in un terreno fruttifero».

Nel frattempo sono intervenuti, influenzando la situazione, alcuni elementi nuovi, e precisamente l'articolo del Capo del Governo, la nota francese, la dichiarazione tedesca di assentarsi dai lavori del Bureau.

n Governo tedesco vuole oggi dare alcuni chiarimenti al Capo del Governo italiano sul proprio punto di vista nel momento attuale.

Anzitutto il Governo tedesco ringrazia il Capo del Governo per l'atteggiamento preso a favore della tesi tedesca e per il consiglio dato. Osserva che le intenzioni del Governo tedesco corrispondono al punto di vista italiano. Afferma che il Governo germanico è disposto fin da ora a tutte quelle riduzioni che saranno accettate dagli altri.

Il Governo tedesco ha dovuto prospettare alcune misure di armamento soltanto in considerazione della distanza dei livelli di armamento fra le altre potenze e la Germania. Ciò è stato chiarito anche all'America e all'Inghilterra. Ma il Governo tedesco vuole affermare in modo preciso la sua intenzione di ottenere la equiparazione mediante il disarmo e non mediante l'armamento.

Rendendosi conto della situazione attuale dei vari Paesi e delle esigenze di tempo di una politica del disarmo, non chiede neanche che in una prima fase della conferenza si arrivi a una parità. Perciò si accontenterebbe per ora della affermazione di principio.

Poiché la convenzione arriverà probabilmente ad un «tipo di organizzazione degli armamenti, consentito agli Stati aderenti, la Germania intende che tale «tipo» debba essere consentito anche a lei.

Poiché però fino a che si potrà arrivare ad una sistemazione finale, tutti gli altri Stati hanno una grande libertà nella questione degli armamenti, la Germania chiede qualche modificazione nel suo sistema attuale che non deve essere considerato come un aumento di armamento.

Il Governo tedesco sarebbe anche disposto di stabilire in forma per lui vincolativa, la misura nella quale intenderebbe fare uso pratico, durante tutto il periodo di validità, della conferenza sul disarmo della sua « Gleichberechtigung » nel campo degli armamenti.

A proposito della sicurezza, i francesi hanno sempre fatto comprendere che non avrebbero potuto entrare in discussione sulle questioni della parità dei diritti, se non si fosse provveduto anche in qualche modo ad aumentare la sicurezza.

Questo legame fra la idea del disarmo e un aumento di sicurezza è così radicato nella opinione pubblica francese che il Governo germanico ritiene che non sia possibile, se non si accede a questo junctim discutere con i francesi.

Il Governo germanico avrebbe volentieri evitato di parlare di questo punto della sicurezza. Può ad ogni modo assicurare che non si prende in considerazione alcun sistema di sicurezza che possa rafforzare la situazione politica attuale sulla quale si basa la egemonia francese.

Il Governo germanico si mante11rebbe volentieri stabilmente in contatto col Governo italiano per poter seguire i nostri desideri in questo campo.

n Governo germanico ritiene che anche fra il proprio punto di vista e le dichiarazioni fatte dal Governo germanico (l) a Schubert non ci sia divario.

Sulla particolarità può non apparire al primo momento l'effettiva unità di vedute; anche a questo riguardo il Governo germanico pensa che sarebbe utile un contatto costante col Governo italiano.

Non è desiderio della Germania di ritirarsi stabilmente dalla conferenza degli armamenti o di volerla far naufragare.

Il Governo germanico era nella necessità di scrivere la nota lettera a Henderson pur rendendosi conto che l'Italia avrebbe preferito che la Germania non si fosse assentata dai lavori del Bureau. Ma è chiaro d'altra parte che la Germania non può discutere delle misure nel campo degli armamenti, se non è sicura che queste misure si applichino anche alla Germania.

La Germania riteneva come buon sistema per superare questa difficoltà una conversazione a quattro ed aveva cominciato a prendere contatti con la Francia, come il paese col quale esisteva il maggior divario di vedute, ma ciò non è riuscito per l'opposizione francese, e quindi la Germania ha dovuto assumere il noto atteggiamento.

Ora la Germania non può mantenere altro che un atteggiamento di attesa disposta ad approfittare delle possibili occasioni che potessero presentarsi per discutere la sua tesi.

Fin qui le dichiarazioni dell'Ambasciatore Schubert che raccomanda ancora siano mantenute strettamente confidenziali.

In via di conversazione gli ho chiesto se era impressione del suo Governo che i francesi sarebbero disposti a discutere la questione per trovare una soluzione che consentisse alla Germania di riprendere il suo posto nei lavori del disarmo.

L'Ambasciatore Schubert non ha nessuna notizia né impressione precisa al riguardo.

Ritiene però che con la Francia si sia già discusso ripetute volte sulla tesi di principio. Non gli risulta neanche se l'Inghilterra si sia dichiarata disposta ad una opera di moderazione.

Gli chiedo se la Germania fa condizione assoluta per rientrare del riconoscimento di principio o se potrebbe accontentarsi della dichiarazione che si sarebbe discusso il principio della «Gleichberechtigung >> nelle riunioni del Bureau.

Dice evidentemente di non poter fare nessuna dichiarazione ufficiale. Nella fase antecedente, secondo la sua impressione, forse la Germania si sarebbe accontentata della dichiarazione di discutere il principio della parità. Oggi però è avvenuto un maggiore irrigidimento nelle proprie posizioni, per cui questa dichiarazione forse non sarebbe più sufficiente.

Alla mia domanda come egli vedesse la soluzione pratica della cosa, egli risponde che qualche altra Potenza potrebbe farsi iniziatrice ora a Ginevra di nuove conversazioni per risolvere il punto controverso.

Passando ad altro argomento, l'Ambasciatore mi espone le ragioni per cui la Germania sostiene di essere perfettamente autorizzata a costruire la corazzata C., ragioni che sono esposte nell'unito appunto.

L'Ambasciatore afferma che la nave ha più o meno le caratteristiche comuni di quelle altre navi dello stesso tipo, e che quanto si è voluto vedere di eccezionale in detta costruzione è parto di pura fantasia.

Infine, l'Ambasciatore viene a parlare della nota inglese. La Germania non risponderà a questa nota. Rimarrà però come ha detto, in attesa di eventuali conversazioni quando gliene fosse offerta la possibilità. Gli pare superfluo osservare che il tono della nota è apparso quanto mai sgradevole e ha suscitato reazioni in Germania.

Sugli argomenti portati dalla nota inglese, il governo germanico avrebbe da fare le seguenti osservazioni: l'inopportunità del momento, rimproverata dalla nota inglese, non esiste. L'argomento della parità è stato sempre sostenuto dalla Germania (1). Ha chiesto che se ne facesse un accenno nelle deliberazioni di Ginevra e non avendo ciò ottenuto, doveva sollevare la questione prima della ripresa delle discusioni, altrimenti avrebbe compromesso la propria causa (2).

La nota inglese sostiene che l'atteggiamento della Germania pregiudica il risanamento economico mondiale. Anche questo argomento è infondato. La Germania ritiene invece che se non si eliminano questi argomenti di disparità e non si porta perciò un contributo alla fiducia di tutti gli Stati, sarà difficile ottenere un risanamento economico.

Per quanto riguarda la interpretazione che l'Inghilterra dà del preambolo della parte V e dell'art. 8 del Trattato, può darsi che da un punto di vista strettamente letterale, si possa trovare qualche ragione a sostegno della tesi inglese: certamente non secondo lo spirito delle dette disposizioni. Del resto l'Inghilterra stessa riconosce che la Germania non si è basata tanto su ragioni di diritto, quanto su ragioni di carattere morale e di equità.

Certamente la seconda parte della nota inglese è migliore dal punto di vista tedesco, ~n quanto vi si parla della necessità di trovare una sistemazione che potrà costituire una nuova base convenzionale di rapporto in sostituzione di quelle del trattato.

Tuttavia in Germania si ha l'impressione che in Inghilterra si sia fatto un passo notevole indietro di fronte all'atteggiamento assunto antecedentemente da Mac Donald, che era andato molto avanti nel riconoscimento del diritto tedesco, e di fronte all'atteggiamento della stampa e della opinione pubblica inglese.

I tedeschi devono deplorare che la nota inglese possa servire a rafforzare la intransigenza della Francia. Sperano tuttavia che la posizione presa dall'Inghilterra non la metta completamente dalla parte francese, mentre fino ad ora la Inghilterra aveva tenuto un atteggiamento intermedio quasi da mediatrice.

L'Ambasciatore mi avverte ancora che le questioni trattate negli ultimi due punti della nostra conversazione (corazzata C e nota Inglese) saranno comunicate anche a altre potenze, mentre insiste sul carattere strettamente confidenziale della prima parte, destinata soltanto all'Italia.

(l) -T. 3040/502, non pubblicato. (2) -Il telegramma fu ritrasmesso il 23 settembre a Berlino, Londra e Parigi. (3) -L'appunto venne inviato da suvich ad Aloisi a Ginevra in pari data con la seguente lettera: <<Ti unisco copia di un appunto su un colloquio avuto con Schubert. Può interessarti per le discussioni di costà. Schubert prega vivamente di tenere la prima parte riservatissima. Spero che l'orario di Ginevra non assomigli neanche lontanamente a quello di Roma».

(l) Sic, evidentemente per italiano.

(l) -Annotazione a margine di mano non identificata: «Sono usciti fuori tempo». (2) -Annotazione a margine di mano non identificata: «perché?».
274

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL SEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, DRUMMOND

APPUNTO. Ginevra, 21 settembre 1932.

Ho visto oggi Sir Eric Drummond. Primo argomento toccato è stato quello della eguaglianza giuridica. Dato che la continuazione della collaborazione germanica alla Conferenza del disarmo è condizione indispensabile del suo successo, egli spera che domani, alla venuta di Neurath, sia possibile trovare d'accordo con lui una formula di compromesso, ma nello stesso tempo egli non si dissimula che da una parte le esigenze della situazione interna tedesca e dall'altra la circostanza che attualmente il Governo tedesco deve avere netta la sensazione che premurose sollecitazioni gli verranno fatte da tutte le parti, contribuiranno piuttosto ad aumentare anziché a diminuire la sua intransigenza. C'è da temeire che, profittando del momento favorevole, esso voglia elevare le sue pretese al di là della semplice eguaglianza giuridica richiesta in passato. Drummond ha aggiunto che, comunque, pur di ottenere il ritorno della Germania a Ginevra, egli sarebbe disposto a concedere, oltre l'eguaglianza, anche qualche soddisfazione accessoria, che potrebbe essere rappresentata da un aumento di quota in qualcuna delle categorie di armi, come tanks ecc.; la quale concessione si potrebbe fare ingoiare anche alla Francia accompagnandola con un protocollo di garanzia e di controllo firmato dalle altre quattro grandi Potenze.

Passato a parlare della richiesta fattagli dal Marchese Paulucci di voler procedere alla nomina di Auriti a suo successore, Drummond mi ha ripetuto quanto il Marchese Paulucci ha già riferito a V. E. e cioè che, in pendenza della riforma del Segretariato, egli non crede di aderire a questa nostra richiesta. Ha aggiunto che tanto della questione della riforma del Segretariato quanto di quella della nomina di Auriti egli si propone di discutere personalmente con

V. E. in una sua prossima venuta a Roma a Conferenza chiusa. Al che io non ho potuto fare a meno di fargli notare la impossibile conciliazione dei due scopi che egli proponeva al suo viaggio. Se egli veniva per perorare presso V. E. la causa della riforma, con ciò solo veniva ad escludere la possibilità di accedere alla nostra richiesta della nomina.

A questa obiezione egli ha confessato di essere ancora disorientato sull'argomento e mi ha detto che solo fra qualche giorno sarà in grado di darmi qualche informazione precisa sull'una e sull'altra questione. Questo suo disorientamento sembra causato, da quanto mi è stato riferito, da opposizioni alla riforma che egli troverebbe da parte francese e tedesca (1).

(l) Il documento reca l'annotazione: «Visto da S. E. il Capo del Governo 24-9 >>.

275

APPUNTO DEL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI

Roma, 21 settembre 1932.

Il Comm. Sebastiani mi ha rimesso ieri l'unita lettera di Sir Eric Drummond per S. E. il Capo del Governo (1), dopoché già nell'udienza concessami ieri mattina S. E. il Capo del Governo mi aveva accennato all'arrivo di questa lettera aggiungendo che egli era d'accordo che Paulucci restasse ancora un paio di settimane oltre al periodo stabilito per il servizio del Marchese Paulucci, come è detto nella lettera di Sir Eric Drummond.

Ho ritenuto opportuno portare senz'altro stamane a S. E. il Capo del Governo un progetto di risposta che S. E. ha firmato. Coll'occasione ho fatto presente a S. E. il Capo del Governo che della sostituzione del Marchese Paulucci a Ginevra Sir Eric Drummond avrebbe potuto frattanto essere intrattenuto dal barone Aloisi il quale, fra l'altro, nei lavori dell'Assemblea doveva trattare anche la riforma del Segretariato. Ho aggiunto, e S. E. ha approvato, che la lettera avrebbe potuto essere consegnata dal Barone Aloisi. La consegna di essa potrebbe così essere spunto a conversazioni sugli argomenti di cui Sir Eric Drummond desidera intrattenere a Roma S. E. il Capo del Governo.

276

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3304/542 R. Washington, 22 settembre 1932, ore 20,06 (per. ore 7,30 del 23).

Mio telegramma di ieri n. 540 (2).

Ho avuto col Segretario di Stato un colloquio che conferma il vacillamento della politica estera americana. Abbiamo discorso della dichiarazione presidente Hoover e gli ho detto interrogativamente disinteressamento dal trattato di Versailles significa nel caso presente disinteressamento dalla domanda tedesca per la equiparazione e quindi affermazione di non fare opposizione alla medesima. Questa è una interpretazione corrente.

Stimson mi rispose che il ragionamento è logico ma non interamente esatto e che «talvolta avviene che le dichiarazioni pubbliche del presidente sono redatte in fretta». Prego V. E. considerare come strettamente confidenziali tali parole dettemi a titolo personale.

Stimson volle anzitutto premettere che oggi la questione che interessa fon

damentalmente gli Stati Uniti d'America è il disarmo. Tutta la nostra attività,

egli disse, è diretta a questo scopo.

Quindi Stimson a proposito della dichiarazione del presidente volle spiegarmi, a titolo personale, che le clausole della politica del trattato di Versailles potrebbero in date circostanze mettere in pericolo la pace del mondo e che gli Stati Uniti d'America per quanto non siano parte del trattato stesso si riservano la facoltà di rappresentare alle Potenze europee che tali questioni dovrebbero essere risolute con metodi di conciliazione. Perciò egli è contrario alla domanda germanica di equiparazione e la giudica pericolosa essendo convinto che, ottenuto questo scopo, la Germania avanzerà continue ulteriori pericolose pretese, e ciò mentre alla Germania stessa furono ultimamente accordate così considerevoli concessioni.

Ispirando mi al telegramma del R. ambasciatore a Londra (l) comunicatomi da V. E. (433) ho detto a Stimson che leggendo attentamente la nota britannica non vi si ravvisa una folle intransigenza e che essa lascia aperto l'adito a compromessi. Ma Stimson lasciò cadere l'allusione e rilevai che egli ha personalmente preso una vera e propria impuntatura.

A questo punto osservai che la proposta di V. E. la quale dopo tutto consiste nel riconosce,re alla Germania quello che è scritto nel trattato di Versailles, avrebbe evitato la presente incresciosa situazione dell'astensione germanica. Tanto più, aggiunsi, è necessaria la cooperazione di tutti e gli chiesi se egli aveva dato a Wilson speciali istruzioni di tenersi in contatto colla delegazione italiana. Ho fatto questa domanda perché non sono molto convinto dei sentimenti di Wilson verso il nostro paese.

Stimson, in risposta, prese un appunto e mi disse che sarà fatto.

(l) -Non si pubblica perché ripete sostanzialmente quanto detto nel n. 274 circa la questione del sottosegretario generale della Società delle Nazioni. (2) -Cfr. n. 272.
277

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. RR. 3605/2090. Vienna, 22 settembre 1932.

Riassumo il più brevemente un mio lungo colloquio odierno con Starhemberg, cui ho fatto una nuova somministrazione.

Il Presidente della Repubblica lo ha ricevuto in udienza e gli ha detto che così non si può più andare avanti. O il parlamento dà modo al governo di lavorare, o invocando una certa legge economica del 1917 rimasta in vigore si potrà attuare una dittatura: «una dittatura di durata limitata è misura che non contrasta con i sani principi democratici». È contento delle « Heimwehren » e del loro contegno. Dice che l'eventuale avvento dei socialisti al potere dipende in ultima analisi dalle «Heimwehren », poiché egli consentirebbe a quelli di far parte di un ministero soltanto ove questo fosse di concentrazione, ove cioè tutti i partiti parlamentari vi fossero rappresentati se perciò le «Heimwehren » non consentissero a collaborare con i socialisti rimarrebbe esclusa l'unica possibilità per questi ultimi di venire al governo. Starhemberg lo ha incoraggiato, gli ha dato ragione, ha ammesso che la dittatura di durata limitata è concezione schiettamente democratica, gli ha inviato uno studio sulla legge del '17 che

prova tutto quello che Miklas vuole, e sta facendo fare ricerche nelle altre antiche leggi rimaste in vigore che qui sono infinite -ve n'è che risalgono al 1860 -per dare armi legali al presidente qualora effettivamente voglia servirsene. Se non conoscessi la lealtà di Starhemberg direi che queste dichiarazioni del presidente se le è inventate di sana pianta. So bene che più i propositi degli austriaci sono recisi ed energici meno bisogna credervi; così che non mi meraviglierebbe che in seguito Miklas si rimangiasse tutto. Ma è già straordinario che il timoratissimo costituzionalissimo democraticissimo signor presidente parli come mai finora. Si vede che gli avvenimenti di Germania lo rendono almeno verbalmente audace e che rumina come il pio bove. Certo né Miklas è Hindenburg, né Dollfuss von Papen, né l'esercito austriaco è il tedesco, né infine le «Heimwehren » sono gli Elmetti di acciaio. Ma è sempre meglio che niente. Qualche settimana fa il nunzio mi diceva: che c'è da sperare da un presidente il quale non vuol decidersi a mandar a casa il parlamento? Quando rivedrò il nunzio gli rammenterò che la speranza è virtù teologale. Dunque speriamo.

E passo al Cancelliere. Anche Starhemberg ammette che Dollfuss non è Papen e che non riesce a decidersi. Tuttavia Dollfuss gli ha ripetuto che vuol mantenere la promessa e dare il ministero della Pubblica Sicurezza a un altro membro delle «Heimwehren »: sarebbe il maggiore Fey capo delle «Heimwehren >> di Vienna. Gli stessi deputati dell'ala sinistra cristiano sociale non sono contrari, ma si tratta di trovare il modo di sbarcare decentemente l'attuale ministro della Sicurezza Pubblica che ama il quieto vivere e civetta con i nazional-socialisti. C'è molto malcontento contro Dollfuss a cui si rimprovera di occuparsi solo dei contadini e dell'agricoltura a danno dei cittadini nonché dell'industria e del commercio. Starhemberg si sta adoperando affinché però gli si lasci ancora qualche settimana. Ora è il momento di agire se ne ha voglia; se no potrà pensarsi alla sua sostituzione: non vi sarebbero pericoli per i partiti di destra se il presidente della repubblica perseverasse nelle sue lodevoli intenzioni; perché, come ho già detto, egli in caso di crisi non intenderebbe chiamare i socialisti al potere né, aggiungo ora, sembrerebbe disposto a sciogliere il parlamento. Intanto Starhemberg cerca persuadere Dollfuss a rimandare la convocazione della camera che dovrebbe avvenire verso la metà di ottobre, e a addurre come pretesto l'opportunità di attendere le elezioni germaniche durante le quali può darsi che deputati cosi sociali come socialisti vogliano recarsi colà ad aiutare i rispettivi compagni di partito nella loro propaganda elettorale: se Papen si rafforzasse e Hitler si indebolisse ciò sarebbe doppiamente vantaggioso per le « Heimvehren », osserva Starhemberg. Egli intanto nota qui un diffuso desiderio di unione di tutte le forze conservatrici, effetto forse anche esso degli avvenimenti di Germania e dell'esempio da questa offerto. Se ne ripromette vantaggi per le « Heimwehren » di cui vanno ricominciando le iscrizioni mentre comincia a vedersi qui gente che, dopo l'avvento di Papen, si ritira dai «nazi ». La vendita del suo giornale testé comprato va bene e gli abbonati che al momento del suo acquisto erano appena ottomila sono in pochi giorni ascesi a dodicimila.

A metà ottobre avrà luogo in Vienna l'adunata di tutti i dirigenti provinciali delle «Heimwehren ».

(l) Cfr. n. 270, nota l, p. 370.

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IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3329/6 R. Ginevra, 23 settembre 1932, ore 0,45 (per. ore 3).

Stamane ho veduto von Neurath il quale mi ha lasciato comprendere che sua attitudine nei riguardi questione uguaglianza dei diritti rimarrà ferma secondo le linee delle note richieste tedesche. Egli non intendeva prendere nessuna iniziativa di conversazione o negoziati.

Delegazione inglese si mostra preoccupata di questa attitudine intransigente. Temo che detta attitudine sia effetto di una decisione presa ormai dal Governo di Berlino di non accettare compromessi. Qualora invece risultasse possibile iniziare negoziati per soluzione di transazione, Simon vede fasi successive che dovrebbero essere superate per soluzione del problema nel modo seguente:

0 ) Ottenere accordo di tutti gli interessati nel senso che obbligazioni derivanti alla Germania dal trattato di Versailles vengano trasferite nella cornice di una convenzione generale del disarmo;

2°) Stabilire la dumta di tale convenzione;

3°) Fissare la misura con cui verrà applicata alla Germania uguaglianza di diritto nel campo del disarmo qualitativo;

4°) Fissare stessa misura per disarmo quantitativo.

Mi è stato confidenzialmente riferito che mentre linea di condotta britannica aveva potuto essere stabilita sul primo punto, (come appare dal memorandum inglese) esistono ancora fra ministri britannici gravi divergenze circa eventuali concessioni da fare alla Germania in materia di disarmo qualitativo e quantitativo. Che soltanto nel corso della prossima settimana verrà fissata eventualmente linea di condotta britannica. Pel momento dissidio sussiste sempre in seno a Gabinetto Londra.

Simon ha preso egli stesso iniziativa di andare a vedere von Neurath questa sera. Egli si propone di chiedere ragione per la quale stampa tedesca continua ad alterare il memorandum inglese quando detto documento contiene invece nella sua ultima parte una proposta sostanzialmente favorevole alle domande tedesche. Intende anche spiegare come Governo britannico non possa in alcun modo ammettere che la Germania si consideri di suo arbitrio liberata dagli obblighi del trattato di pace.

Vedrò Simon domani mattina e non mancherò riferire.

Delegazione francese si mantiene in attitudine di grande riserbo come quella che non intende prendere alcuna iniziativa. Essa ha l'aria di pensare che assenza della Germania non deve impedire alla conferenza del disarmo di continuare propri lavori.

Aggiungo che Simon ha prospettato a Boncour le linee generali della soluzione che egli intenderebbe dare alla questione e che ministro francese si è schivato da un esame approfondito.

È evidente che di fronte a un'attitudine di assoluta intransigenza delle due parti in questa fase iniziale non convenga a noi di prendere qualsiasi iniziativa che sarebbe inutile e potrebbe essere male interpretata.

Prego comunicare presente telegramma a S. E. H Capo de·l Governo.

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IL MINISTRO BUTI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 23 settembre 1932.

In relazione al contenuto del telegramma in data 20 settembre n. 5688 del

R. Governo della Colonia Eritrea (1), la Direzione Generale E.L.A. (Ufficio IV) ha il pregio di esporre quanto segue:

Il Saied Hussein el Dabbag è il capo del così detto « partito liberale higiazeno » di opposizione a Ibn Saud re dello Higiaz Neged. Questo partito si agita da qualche tempo per rovesciare il regime saudiano nell'Higiaz-Neged e dare un nuovo assetto politico territoriale a questi paesi, ma la sua azione, non appa·re sinora né guidata da capi aventi la capacità e la forza di combattere il re Wahabita, né sostenuta da mezzi finanziari e militari sufficienti.

Dopo l'insuccesso della incursione nello Higiaz settentrionale ad opera di beduini ribelli comandati da Ibn Refada, H partito liberale higiazeno sembra ora voler tendere ad organizzare una rivolta nelle zone meridionali dei possessi di re Ibn Saud; e precisamente nello Assir: secondo notizie precedenti fornite dal Saied Hussein El Dabbagh il partito liberale higiazeno avrebbe a tal fine concluso un patto di amicizia con la famiglia idrissita (già regnante nello Assir), patto secondo H quale gli idrissiti si impegnerebbero ad aiutare la ribellione e consentirebbero a porre praticamente lo Assir alle dipendenze del futuro eventuale nuovo sovrano dell'Higiaz. A quanto risulta dal telegramma 5688 di S. E. Astuto il Saied El Dabbagh avrebbe ora anche ~riferito che il Re Faisal dell'Irak e l'Emiro Abdullà di Transgiordania (entrambi hascemiti e fratelli dell'ex Re Ali dello Higiaz, detronizzato da Ibn Saud), avrebbero promesso il loro appoggio al movimento anti-saudiano tuttavia «nei limiti nei quali sarà possibile di eludere la vigilanza inglese ». L'atteggiamento dell'Imam dello Yemen di fronte a tale movimento non è ancora noto.

Dal testo del telegramma 5688 di S. E. Astuto sembra infine doversi dedurre che i capi anti-saudiani, non attenderebbero che il nostro aiuto per potere por mano alla rivolta nello Assir la quale dovrebbe determinare, secondo essi assicurano, una rivolta generale contro Ibn Saud nella maggior parte dei suoi attuali dominii.

A parte la considerazione che l'eventuale ritorno sul trono dell'Higiaz di un Hascimita (quale appare essere nelle intenzioni del partito liberale higiazeno) tenderebbe a facilitare il formarsi in Arabia di quella federazione panaraba

28 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(hascimiti sono come sopra accennato il re dell'Irak e l'Emiro di Transgiordania) che è, per ovvie ragioni di caxattere politico locale e generale, contraria ai nostri interessi, e a parte la considerazione che gli esponenti attuali del cosidetto movimento liberale hegiazeno, come risulta daJ documenti allegati al rapporto di S. E. Astuto n. 2185/5517 del 9 settembre (l) qui unito in visione, non sembrano essere all'altezza del compito che si sono assunti (già essi si addossano reciprocamente la colpa del fallimento dell'insurrezione di Bin Refada e dichiarano apertamente di mancare di capi e di mezzi), sta anche di fatto che non sembra conveniente nelle attuali condizioni delle nostre relazioni con Ibn Saud, il quale sovrano fu da noi recentemente riconosciuto ed ha recentemente firmato con noi un trattato di amicizia e di commercio, che proprio ad opera nostra e dietro vaghe quanto ipotetiche promesse di futura amicizia, si determini, col nostro appoggio al partito anti-saudiano una rivolta, di esito per anco assai incerto, contro il sovrano Wahabita al quale, anche in occasione della recente incursione dei beduini di Ibn Refada, gli stessi inglesi hanno prestato il loro aiuto contribuendo indirettamente alla sconfitta degli insorti.

Già in precedenti occasioni S. E. Astuto nel comunicare che i capi del movimento anti-wahabita gli avevano richiesto aiuti di armi e munizioni, aveva fatto presente che secondo notizie fornite dal Saied el Dabbagh gravi rivolte erano scoppiate nello Assir; tali notizie si dimostrarono di poi inesatte (telegrammi del Governo dell'Eritrea n. 5164, 2135, 4928, 5172 del 29, 20, 30 agosto); circostanza questa che, unitamente alle considerazioni sopra esposte, aveva indotto il R. Ministero a dare istruzioni al Governatore dell'Eritrea di mantenere per ora di fronte agli avvenimenti higiazeni atteggiamento di riserva e di neutralità.

È d'altra parte in questi giorni in viaggio per raggiungere la sua sede il Comm. De Peppo R. Ministro Plenipotenziario a Gedda, il quale avrà modo di rendersi personalmente edotto, in loco, circa la situazione nell'Higiaz e di riferirne al R. Ministero.

Allo stato degli atti la Dir. Gen. E.L.A. (Umcio IV) non ravvisa ragioni sumcienti per cambiare la linea di condotta finora tenuta e secondo la quale nell'attuale fase della lotta del partito liberale higiazeno contro Ibn Saud il Governatore dell'Eritrea ha mantenuto e dovrebbe quindi continuare a mantenere per ora atteggiamento di neutralità e di osservazione (2).

(l) T. s. 3290/5688 del 20 settembre. non pubbllcato.

280

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 23 settembre 1932.

Stamane, prima che il consiglio iniziasse i suoi lavori, ho visto von Neurath, giunto a Ginevra iersera. Abbiamo parlato della questione della parità di

diritto ed egli, pur ricordando le sue idee contenute nel memorandum consegnato testè a Roma dall'Ambasciatore Schubert (1), mi ha detto che qui intende assumere un fermo atteggiamento di attesa. Il Ministro degli Esteri del Reich è disposto, cioè, a trattare solo se gli verranno fatte proposte che rientrino nel quadro delle note domande tedesche. Ha soggiunto che la Francia, con la sua risposta, ha dimostrato di non aver capito la tattica che egU voleva adottare, quale era quella di aprire negoziati diretti fra le quattro Potenze interessate. Il Quai d'Orsay invece, rendendo pubblica la discussione, ha impedito una soluzione esasperando i nazionalismi dei due Paesi e facendo sì che le due opinioni pubbliche si irrigidissero quindi sulle posizioni assunte.

Successivamente ho poi incontrato 'alcuni dei delegati tedeschi da me conosciuti i quali, più o meno, mi hanno ripetuto le stesse argomentazioni del loro Capo.

Ne deduco, come impressione d'insieme, che von Neurath e la sua delegazione siano venuti qui soltanto per ascoltare mantenendo, come prima tattica, una posizione di intransigenza assoluta. Tale loro attitudine è facilmente spiegabile se si pensa che essi si rendono perfettamente conto delle difficoltà che dovrà sormontare ogni giorno di più, a mano a mano che i lavori avanzeranno, il Burean del Disarmo.

Ieri ho pot_uto pure constatare, in conversazioni con Paul Boncour, Ministro della Guerra di Francia, e con giornalisti francesi, l'intransigenza non meno decisa assunta anche dal Governo di Parigi.

Ci troviamo cosi di fronte, al momento attuale, a due tendenze che, in principio, sembrano del tutto inconciliabili.

Non sembrandomi opportuno in queste condizioni di prendere una iniziativa, sia perché essa potrebbe essere male interpretata, sia anche perché sarebbe destinata a sicuro insuccesso, mi limito pel momento a mantenere stretti contatti con le varie delegazioni, per intervenire efficacemente qualora ne vedessi la possibilità.

(l) -Non pubblicato. (2) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. Il Capo del Governo Il 26-9 ».
281

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3342/7. R. Ginevra, 24 settembre 1932, ore 13,55 (per. ore 17).

Von Neurath mi ha messo al corrente della visita fattagli iersera dal ministro affari esteri inglese nei seguenti termini: «Ho richiesto a Simon spiegazioni circa le argomentazioni contenute nel memorandum inglese, ed egli mi ha dimostrato che la seconda parte di esso contiene delle proposte che rientrano nel quadro delle richieste tedesche.

Ciò constatato, Simon si è offerto come intermediario nella soluzione della questione, Ministro affari esteri britannico mi ha poi esposti i principi secondo i quali egli crederebbe poter conciliare le due tesi (vedi mio telegramma n. 6

di ieri) (l), ma io non (ripeto non) credo che essi siano oggi sufficienti. È l'esplicito riconoscimento dell'uguaglianza che solo a noi importa. In ogni modo continuerò le conversazioni col ministro affari esteri inglese».

Le conversazioni sono così cominciate.

Oggi vedrò Simon e riferirò.

Prego comunicare presente telegramma a S. E. il Capo del Governo.

(l) Cfr. n, 273,

282

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3344/9 R. Ginevra, 24 settembre 1932, ore 22 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 7 (2).

Questo pomeriggio ho avuto lungo colloquio con Simon che mi ha a sua volta fatto un resoconto molto particolareggiato delle sue conversazioni di ieri con von Neurath.

Simon considera come risultato soddisfacente fatto che ministro degli affari esteri germanico avrebbe ammesso buon fondamento della tesi di diritti sostenuti nel memorandum britannico relativa alla validità delle clausole militari del trattato di Versailles le quali non potranno venire modificate se non con previo consenso di tutti i firmatari.

Neurath avrebbe anche riconosciuto vantaggio per la Germania deHa soluzione pratica prospettata nell'ultima parte del memorandum inglese cioè trasposizione in una convenzione del disarmo delle clausole militari del trattato di pace. Pex raggiungere tale risultato Simon ha fatto presente necessità che la Germania riprenda sua attitudine di collaborazione onde permettere negoziati fra principali potenze interessate.

Von Neurath ha posto come condizione riconoscimento preventivo del principio di uguaglianza di diritti e Simon mi ha quindi prospettata ragione seguente due problemi:

l} Trovare formula che dia sufficiente soddisfazione alla Germania per indurla a entrare in negoziati;

2) Trovare una base d'accoxdo circa applicazione pratica del principio della paxità.

Per risolvere prima difficoltà Simon ha avanzato idea di una dichiarazione da parte delle delegazioni britannica, italiana, francese ed americana, con la quale vengono affermati seguenti principi:

A) che si giunga ad una soluzione attraverso riduzione anziché attraverso aumento degli armamenti;

B) che impegni di limitazione vengano fissati anche per Germania mediante convenzione da essa liberamente accettata alla scadenza della quale anche Germania riacquisterebbe propria libertà.

Per risolvere seconda difficoltà occorrerà accordarsi circa durata della convenzione, circa eventuale estensione alla Germania delle disposizioni deHa convenzione in materia di disarmo qualitativo e circa quantità degli armamenti che Convenzione potrà fissare per la Germania.

Simon mi ha pregato di fargli conoscere modo di vedere del Governo italiano sui diversi punti insistendo sul grande valore che attribuiva al parere di V. E. al riguardo ed in generale alla stretta collaborazione fra I due Governi.

Ho risposto a Simon che tesi di V. E. la quale riconosceva fondatezza della richiesta tedesca per uguaglianza di diritto, ma affermava necessità di applicazione moderata e scaglionata nel tempo mi sembrava corrispondere sostanzialmente ai concetti da lui esposti. Si trattava appunto di regolare diversi elementi in modo equo. Ho aggiunto che difficoltà maggiore sarebbe risultata forse dalla pretesa francese di ulteriori garanzie di sicurezza che non vedevo come avrebbero potuto essere fornite alla Francia.

Simon ne ha convenuto osservando a sua volta che Inghilterra avrebbe difficilmente potuto fornire garanzie specifiche di sicurezza e che Francia avrebbe dovuto cercare tali garanzie principalmente col guadagnare consenso opinione pubblica mondiale mediante attitudine moderata ed equa:nime.

Simon mi ha sollecitato di vedere Boncour per accertare sue disposizioni ciò che farò oggi o domani.

Herriot giungerà Ginevra lunedì prossimo. Von Neurath intende partire per Berlino martedl. Anche Simon deve recarsi a Londra al principio della settimana prossima per riunione del Gabinetto.

Intanto sembra che Henderson abbia intenzione convocare per lunedì pomeriggio ufficio di presidenza per sottoporgli proposta di convocazione della commissione generale entro un mese. Pareri su opportunità di tale misura appaiono piuttosto discordi.

Prego comunicare presente telegramma a S. E. il Capo del Governo.

(l) -Cfr. n. 278. (2) -Cfr. n. 281.
283

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3362/478 R. Parigi, 24 settembre 1932 (per. il 26).

Mio telegramma per corriere n. 470 (1).

Il presidente Herriot, in merito all'antifascismo fuoruscito in Francia, insiste soprattutto nell'affermare del tutto contrario alla verità che egli abbia mai dato loro appoggio e favore. Smentì pienamente di averlo fatto nel 1926 col gio

vane Garibaldi. Egli lo ricevette, per riguardo al nome ed alla famiglia, di cui era membro; ne riportò una impressione non buona: declinò di dare il chiestogli aiuto in danaro.

Le mie opinioni politiche personali sono conosciute, disse il signor Herriot; non ho ragione di mutarle né intendo mutarle; ma è pure conosciuto che non mi mischio delle cose politiche interne degli altri paesi, ed è pure conosciuta la mia simpatia personale per gli italiani. Ne ho dato prove nel mio sindacato di Lione e in varie manifestazioni nel parlamento francese.

(l) Cfr. n. 271.

284

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3358/10 R. Ginevra, 25 settembre 1932, ore 18,55 (per. ore 21,45). Mio telegramma n. 9 (1).

Ho veduto iersera Paul Boncour e ho avuto con lui uno scambio di idee sulla situazione. Egli mi ha detto che aveva avuto una conversazione con Simon ma che non aveva tratto alcuna idea concreta sulla maniera pratica con la quale potere giungere ad una soluzione.

Gli ho risposto che a me pareva fosse anzitutto necessario fissare dei principi i quali, a mio avviso, dovevano essere i seguenti:

l) Non libertà di riarmare per la Germania. 2) Abbassamento del livello generale degli armamenti attuali. 3) Riconoscimento del principio della parità.

Paul Boncour mi ha risposto che egli naturalmente concordava subito sul punto primo. Circa il secondo la Francia era disposta a fare delle concessioni ma non poteva spingersi fino ad un radicale disarmo. Egli mi ha aggiunto che il disarmo tedesco, come è fissato nella parte 5• del trattato, era stato calcolato in base alla situazione del 1919, e in base alla stessa situazione sarebbe stato equo calcolare il disarmo degli altri paesi. Si sarebbero potute cosi calcolare tutte le misure di disarmo già adottate dagli Stati durante questi ultimi anni. Questo, secondo Paul Boncour, è per la Francia una condizione sine qua non.

Circa il terzo punto, Paul Boncour mi ha detto che egli poteva essere disposto ad entrare in questo ordine di idee, ma mi ha chiesto come in pratica io credevo che il principio della parità potesse essere realizzato. Gli ho risposto che sistema più pratico era quello di una convenzione tra le grandi Potenze, convenzione la quale sostituisse la parte V del trattato, stabilisse il livello massimo degli armamenti tedeschi, e fissasse i periodi entro i quali tale livello potesse essere raggiunto. Paul Boncour si è mostrato favorevole ad una soluzione di questo genere, ma mi ha fatto due riserve:

l) La Germania non dovrebbe avere facoltà di denunziare la convenzione.

2) Sarebbe irregolare modificare il trattato di Versailles senza il consenso di tutti i firmatari. Gli ho risposto che sulla prima riserva non potevamo essere d'accordo, poiché non si poteva immaginare un impegno eterno, e che un tale impegno avrebbe riprodotto gU inconvenienti del trattato di Versailles. Gli ho fatto inoltre osservare che... (l) gradualmente gli armamenti tedeschi si costituiva a favore delle altre Potenze una garanzia di un grandissimo valore pratico. Egli ha convenuto con me sulla giustezza delle mie osservazioni.

Quanto alla seconda riserva, egli stesso ha riconosciuto che essa non aveva una portata pratica, poiché una volta d'accordo tutte le grandi Potenze, le altre non avrebbero potuto fare alcuna resistenza. Egli ha tenuto poi a felicitarmi per l'articolo di V. E. sulla parità di diritto, e soprattutto per la conclusione dell'articolo.

Nel corso del colloquio egli non mi ha fatto cenno del problema della sicurezza, nonostante che io, pur senza sollevare la questione, avessi cercato discretamente di conoscere il suo pensiero su questo argomento. Nel colloquio che avrò oggi con Simon lo pregherò di volere accertare se questa reticenza di Paul Boncour deve attribuirsi o meno ad una modificazione nell'atteggiamento della Francia.

Avrò stamane un nuovo colloquio con von Neurath.

Prego comunicare presente a S. E. il Capo del Governo.

(l) Cfr. n. 282.

285

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3357/11 R. Ginevra, 25 settembre 1932, ore 21,07 (per. ore 24 del 26).

Seguito mio telegramma n. 10 (2). Ho veduto stamane Neurath e l'ho messo al corrente della mia conversazione con Paul Boncour.

Egli ha trovato assai interessante mia proposta e si è mostrato disposto prenderla in considerazione alla condizione che sia, nella convenzione, consentito alla Germania qualche riaggiustamento nei suoi armamenti (abbassamento della ferma, autorizzazione alla cavalleria e ad avere qualche carro armato e qualche batteria antiaerea).

Ho poi visto Simon al quale ho riferito mio colloquio con Paul Boncour; e l'ho pregato di accertare vere disposizioni di Paul Boncour, soprattutto circa sicurezza.

I colloqui continueranno domani.

Prego comunicare presente [telegramma] a S. E. il Capo del Governo.

(-2) Cfr. n. 284.
(l) -Gruppo indecifrato.
286

COLLOQUIO FRA L'AMBASCIATORE ROSSO E IL CAPO DELL'UFFICIO SOCIETA DELLE NAZIONI DEL MINISTERO DEGLI ESTERI FRANCESE, MASSIGLI

APPUNTO. [Ginevra,] 26 settembre 1932.

Avendo ieri sera pra;nzato da solo a solo con Massigli, ebbi col mio collega francese una conversazione molto confidenziale nel corso della quale egli mi disse alcune cose che non mi sembrano prive di interesse. Riferisco gli spunti principali del colloquio.

In tema di rapporti itala-francesi vennero ripetute da una parte e dall'altra le solite considerazioni. Ad un certo punto Massigli disse: « Posso assicurarvi nel modo più assoluto che Herriot è animato verso l'Italia dalle migliori disposizioni. Egli si trova però, combattuto in questo momento fra due sentimenti: il desiderio di trovare un terreno d'accordo per una collaborazione franco-italiana ed il sospetto che l'Italia si sia già legata con la Germania con dei patti precisi».

Ho osservato che quest'ultima è l'opinione dell'italofobo Wickham Steed, ma che non vedevo su quali fatti concreti potesse fondarsi il sospetto del Presidente Herriot. Al che Massigli ha risposto con una interrogazione: «E il viaggio di Federzoni a Berlino?».

Ho trattato questo dubbio come cosa poco seria, ma ho avuto l'impressione che il sospetto sia abbastanza radicato. Parlando della questione dell'« uguaglianza dei diritti», Massigli ha insistito sul tema dello «chantage » tedesco.

Ho osservato che, anche se si ammette lo «chantage », non è meno vero che ci troviamo di fronte al dilemma: O dare alla Germania certe soddisfazioni morali e farle certe concessioni per indurla a partecipare ad una Convenzione che per un certo periodo di tempo limiterà la sua libertà in fatto di armamenti; oppure prepararsi a vederla libera da qualsiasi legame. Non è più saggio di scegliere, fra i due mali, il male minore?

Massigli ha ammesso che il ragionamento è giusto in teoria. In pratica, però, la Francia ha ragione di temere che le concessioni che verranno fatte non serviranno che ad incoraggiare la Germania a reclamare qualche cosa di più. In realtà, oggi essa ha già messo in atto quello che chiede di vedersi riconosciuto. Per esempio ha già effettuato per proprio conto l'organizzazione di un tipo di milizia di frontiera, come ha già ridotto in pratica la durata del servizio della Reichwehr mediante congedi anticipati ecc. La Germania tende adunque alla legalizzazione di uno stato di fatto già esistente, sebbene illegale. Ma appena raggiunto questo scopo, troverà altri sistemi per sottrarsi a mano a mano alle restrizioni cui sarà ancora soggetta. «Noi non ci facciamo illusioni; -ha soggiunto Massigii -la Germania ha un programma ben preciso ed è quello di ricostituirsi "une armée de choc" con la quale attaccare al momento favorevole». Ho chiesto a Massigli quale altra soluzione egli vedesse. Mi ha risposto: « Perché non si cercherebbe di concludere una convenzione pel disarmo anche senza la Germania, ma con una «clausola di salvaguardia» che ci permetta di riacquistare la nostra libertà d'azione il giorno in cui la Germania riprenda a riarmarsi in modo minaccioso?».

Ho osse.rvato che una Convenzione del genere non avrebbe avuto alcun valore effettivo. Mi sembrava poi che non convenisse alla stessa Francia di assumere di fronte al mondo la responsabilità di denunciare la convenzione. Ho insistito invece sulla necessità di far rientrare la Germania nella Conferenza e di giungere poi a delle misure serie di riduzioni specialmente nel campo del disarmo qualitativo.

Massigli ha detto che certamente si deve tentare questa via, ma che le difficoltà saranno enormi. Comunque, egli sperava che nelle discussioni che avranno luogo circa gli effettivi, le artiglierie, il controllo, ecc. le nostre Delegazioni non sarebbero state portate a polemizzare troppo vivamente.

In tema di riorganizzazione del Segretario, Massigli si è pronunciato in favore-del mantenimento dello statu qua, cioè per la conservazione delle cariche di Sottosegretario Generale. Egli crede che si arriverà a tale conclusione anche per non dare alla Germania il pretesto di considerarsi trattata in modo ingiusto.

Massigli crede sarebbe inopportuno di insistere sulla proposta di creazione di un «Consiglio direttivo» che non avrebbe nessuna probabilità di essere accettata e che del resto non potrebbe in pratica dare i risultati che ne speriamo. Se sarà nominato Segretario Generale, Avenol, desidera avere come suo collaboratore principale, con la carica di Segretario Generale Aggiunto, un Italiano col quale lavorare di pieno accordo. La questione importante non è quella delle attribuzioni specifiche, ma della fiducia personale che potrà esistere fra Avenol ed il suo collaboratore italiano.

287

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3379/12 R. Ginevra, 27 settembre 1932, ore 13,20 (per. ore 15).

Ho veduto ieri Simon il quale mi ha detto che Boncour era entrato nel nostro ordine di idee, ma credeva che bisognava esigere dalla Germania l'impegno a rinnovare la convenzione una volta che questa fosse scaduta.

Ho veduto quindi Boncour e gli ho ripetuto che non (dico non) potevamo essere d'accordo. Nessun impegno di carattere eterno poteva essere imposto alla Germania, ma quello che si poteva chiederle era di spaziare i suoi armamenti secondo idee espresse da V. E. nel suo articolo sulla pa.rità.

Stamane ho avuto un ·lungo colloquio con Henderson, il quale mi ha detto che egli studiava una formula che mi avrebbe sottoposta. Henderson parte domani per Londra e tornerà il 9 ottobre. Intanto egli si incontrerà con Herriot ed avremo dopo un'altra conversazione. Anche Simon è partito per Londra. Questa partenza come quella di Henderson sono qui attribuite alla situazione politica interna inglese. Prego comunicare presente telegramma a S. E. il Capo del Governo.

288

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3389/14 R. Ginevra, 27 settembre 1932, ore 23,45 (per. ore 4 del 28).

Seguito mio telegramma 14 (1). Ho rivisto oggi Henderson il quale aveva avuto preannunziato colloquio con Herriot.

Egli mi ha detto che Herriot gli aveva risposto che avrebbe preso in considerazione con il suo Governo i tre principi progettati e lo aveva pregato di preparare una formula.

In seguito a questo colloquio Henderson aveva preparato un progetto di dichiarazione sul quale egli desiderava conoscere il mio pensiero. Tale progetto, egli mi ha avvertito, non aveva un carattere definitivo e me lo comunicava a titolo personale e confidenziale. Dopo averne preso conoscenza, io gli ho detto che per conto mio mi pareva buono ed ero pronto, quando esso fosse stato redatto in una forma più precisa, di sottometterlo all'E. V. Intanto, prima di sottoporlo a Herriot, io lo consigliavo di parlarne a Neurath, in modo da presentare poi a Herriot una formula che i tedeschi considerassero come accettabile da parte loro. Henderson ha seguito mio consiglio e si recava da Neurath.

Conoscerò domani esito colloquio, che ho suggerito specialmente in vista della eventualità che Neurath voglia fin da ora ottenere assicurazioni circa riaggiustamento armamenti tedeschi. Appena Henderson mi avrà consegnato testo formula mi affretterò comunicarlo all'E. V.

Tra le cose che Henderson mi ha riferito, cito osservazione fatta dallo stesso Herriot essere stato egli il primo ministro francese che in un discorso pubblico ha spontaneamente citato lettera di Clemenceau del 1919 con impegno riduzione degli armamenti, e ciò evidentemente per dimostrare sua buona volontà. ",..,

Prego comunicare presente telegramma S. E. il Capo del Governo.

289

...AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH (2)

APPUNTO.

Roma, 27 settembre 1932.

Le trattative per l'uguaglianza di diritto si svolgono a Ginevra e, a quanto appare dai rapporti della nostra Delegazione, in modo abbastanza difllcile e lento. Non dovrebbero certo risolversi tutte in una volta, ma durare, se anche non quanto quelle per le riparazioni.

L'atteggiamento italiano, fissato con le note direttive, può evidentemente spostarsi con utilità un po' più dalla parte francese o un po' più dalla parte tedesca, a seconda dei punti particolari in discussione e dalla nostra convenienza, come sembra stia già avvenendo. Le direttive fissate lasciano molto opportunamente larga libertà di manovra.

Circa la nostra convenienza, parrebbe che si dovesse lasciar giudice la nostra Delegazione se non sia possibile abbordare fin d'ora, nel modo più rispondente, con le altre Delegazioni (e all'uopo quella francese e forse quella inglese sembrerebbero le più indicate) talune questioni che a noi interessano (effettivi, questione navale ecc.) che verranno successivamente sul tappeto, in vista di amdamenti e risoluzioni a noi favorevoli.

Non occorrerebbe affrontare il più vasto quadro dei rapporti italo-francesi

o italo-tedeschi; ma restando anzi in ogni caso, per ora, deliberatamente nel quadro del disarmo.

In ,relazione si potrebbe pure esaminare l'atteggiamento della nostra stampa, amne di renderlo meno contrario all'una o all'altra parte.

(l) -Riferimento errato: potrebbe essere n. 12 del 27 corrente (N. 3378 R.) [Nota del docu· mento]. Cfr. n. 287. (2) -Il documento è privo di firma.
290

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 18/16 (1). Ginevra, 28 settembre 1932, ore 12.

Ho visto stamane di nuovo Henderson il quale mi ha consegnato testo suo progetto che qui accludo (2). Come V. E. vedrà esso consta di una dichiarazione che fissa tre principi:

« 1°) Dato che la convenzione del disarmo risulterà dalle decisioni di una conferenza mondiale, alla quale tutte le nazioni avranno preso parte liberamente e su un piede di completa uguaglianza, è giusto che le sue condizioni debbano governare in eguale misura gli armamenti di tutte le nazioni, e che nelle norme che essa venga a stabilire e nel sistema di difesa nazionale e di controllo internazionale che essa venga a istituire non vi debba essere alcuna speciale o eccezionale discriminazione contro qualsiasi Potenza o gruppo di Potenze firmatarie.

2°) L'uiDcio di presidenza raccomanda inoltre che questo principio sia praticamente applicato senza aumento dell'attuale livello degli armamenti ora posseduti da una qualsiasi nazione, ma mediante quella sostanziale riduzione degli armamenti già esistenti, sulla quale la commissione generale ha già raggiunto l'accordo.

3°) L'ufficio di presidenza riconosce che per realizzare praticamente tale posizione di uguaglianza giuridica fra tutte le nazioni per quanto riguarda loro armamenti, gli Stati debbono essere in condizione di poter fare affidamento per la loro sicurezza non solo sui loro armamenti nazionali, nella misura dei limiti fissati dalla convenzione internazionale, ma anche sulla determinazione collettiva e organizzata delle nazioni del mondo intero a prevenire il reato di aggressione».

Tale progetto è stato consegnato anche a Herriot e a Neurath. Henderson mi ha detto che, per amore di chiarezza, egli stesso aveva tenuto a far cenno con He.rriot della questione della sicurezza, e che aveva ritenuto utile richiamarsi ad essa nel punto terzo del suo progetto. Richiamo che del resto è assai vago e di carattere più che altro retorico. Herriot parte oggi per Parigi e sottoporrà progetto al suo Governo. Quanto a Neurath, Henderson mi ha detto che progetto non gli aveva fatto buona impressione (l). Egli comunque partiva per Berlino e lo avrebbe sottomesso al suo Governo.

Progetto non è conosciuto che da me, da Herriot, e da Neurath ed è tenuto segretissimo.

(l) -Privo dl numero di protocollo generale perché non inserito nel registri del telegrammi in arrivo. (2) -Non sl pubblica.
291

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 19/17 (2). Ginevra, 29 settembre 1932, ore 12.

Ho avuto una lunga conversazione con Herriot, che Paul Boncour aveva già messo al corrente su i tre punti che gli avevo fatto prospettare (3).

In generale egli non ha nessuna obiezione di principio, salvo beninteso la riserva di un più approfondito studio della questione da parte degli altri membri del suo Governo. In particolare, sul terzo punto egli si dichiara d'accordo e sul secondo si dice disposto a far compiere alla Francia il maggiore possibile sforzo verso il disarmo dopo che, beninteso, sarà stato eliminato ogni pericolo che la sicurezza francese possa venir compromessa. Ma il punto cruciale è il primo. La maggiore difficoltà non è data dalla questione della eguaglianza dei diritti sulla quale egli non esclude che sia possibile trovare una via per intendersi, ma da quella del riarmamento della Germania, che viene oggi presentato sotto la formula del riaggiustamento delle attuali forze del Reich.

«Io ho la profonda convinzione, ha detto Herriot, che la Germania, la quale ha finora seguito una politica negativa per la Ruhr, riparazioni ecc., inizi ora una politica positiva, aggressiva, che oggi mira alla eguaglianza e che domani mirerà ai mandati, alle colonie ecc.

(-3) Cfr. n. 284.

Per iniziare questa fase di politica positiva, essa ha assoluta necessità di riprendere tutta la potenza militare di un tempo. Non mi baso, ha soggiunto Herriot, su tutti i rapporti che ho sugli armamenti segreti, che so benissimo potrebbero facilmente venir contestati, ma ciò che mi colpisce è che le richieste attuali per il riaggiustamento coincidono esattamente coi piani del generale von Seeck. Allorché questi, nel suo famoso libro, dichiarava che la guerra futura si farà con una limitata armata di assalto, propugnava appunto la costituzione di un corpo opportunamente addestrato di 200 mila uomini, che è proprio quello che oggi la Germania otterrebbe qualora le si concedesse la :riduzione del servizio militare ouale essa la richiede. Alle stesse teorie rispondono le altre richieste relative alla meccanicizzazione del corpo di cavalleria, alla concessione di alcuni specimen di tanks e di cannoni etc. -Questi specimen non sono infatti altro che il prototipo di armi da servire alla istruzione di un numeroso personale che è reso così pronto ad avvalersi di tutte le altre grandi quantità di armi dello stesso tipo che potrebbero essere eventualmente costruite in Russia.

Il grosso pericolo sta quindi appunto nel concedere oggi i mezzi per attuare le teorie di von Seeck al servizio della nuova fase di politica positiva.

Aggiungete, ha continuato Herriot, altre considerazioni di ordine storico e politico. Io sono convinto che tra poco assisteremo in Germania alla nomina di un cancelliere militare -probabilmente von Schleicher -e con verosimiglianza in una monarchia. Questa mia convinzione è profonda e tanto più mi conturba ~n quanto che al momento di dover decidere su quanto mi chiedete, io sento di aver dietro di me una Francia turbata ed allarmata. Constatatelo: dietro di me, uomo di estrema sinistra, si ammassano solidarmente tutti i partiti francesi. Il che è indice di un profondo sconvolgimento».

Tutte le dichiarazioni di Herriot sono state improntate a un profondo pessimismo.

Ho risposto: non discuto l'evidenza della tendenza tedesca al riarmamento, per quanto mi appaia alquanto esagerata l'importanza data agli aumenti oggi richiesti. Ma il vero nocciolo del problema a me sembra il seguente; questo processo storico di riarmamento e di politica aggressiva lo credete fatale o siete di opinione che sia in vostro potere di arrestarlo? E, in quest'ultimo caso, in che modo arrestarlo? Con una azione violenta, ossia con una guerra immediata? O come altrimenti?

Forse se non arrestarlo, potremmo contenerlo con la sicurezza, mi ha risposto Herriot. Allora ho colto l'occasione per chiedergli di definire la formula concreta che la Francia intenderebbe dare a questa mai precisata sicurezza. «Una qualsiasi formula generale di mutua garanzia di assistenza», mi ha precisato Herriot.

Ma avendomi egli in fondo ammesso la ineluttabilità del movimento di riarmamento tedesco, gli ho esposto la profonda opportunità politica del concetto del Capo del Governo di cercare almeno di incanalare questa forza insopprimibile, tentando di scaglionarla in lunghi periodi di tempo; imbrigliare, cioè, l'ineluttabile e distanziarne nel tempo le tappe del suo processo. Comunque, guardarsi dall'errore di tenere adesso i tedeschi lontani dalla Conferenza del

Disarmo, proprio nel delicato momento in cui questo processo di nuova fase della politica germanica sembra avere il suo inizio, ciò che finirebbe per lasciare la Germania in piena libertà di riarmarsi a suo comodo, esentandola per giunta dall'obbligo di assumere responsabilità di fronte al mondo.

La concezione politica del Capo del Governo di dilazionare il riarmamento offre invece il vantaggio, oltre che di frenarlo e in certo modo di controllarlo, anche quello di guadagnare un tempo prezioso per tutti, durante H quale l'Europa potrà superare l'attuale stato di sbandamento e di crisi e trovarsi poi meglio in g.rado di affrontare gli eventuali pericoli.

Herriot mi è sembrato profondamente colpito da questi argomenti, che ha detto di intendere in tutto il loro vasto significato. Mi ha assicurato che si proponeva di esaminare quanto prima coi suoi colleghi quelle soluzioni concrete che potessero impostare il problema nel quadro della concezione politica del Capo del Governo.

La conversazione dal tono molto amichevole e improntata a grande franchezza si è chiusa con l'augurio, espressomi da Herriot di continuare qui a Ginevra la collaborazione tra Italia e Francia iniziatasi a Stresa.

Da tutto quanto precede V. E. potrà rilevare che le trattative odierne vanno spostandosi dal problema della eguaglianza dei diritti a quello del riarmamento della Germania. Prevedo quindi trattative laboriose e prolungate che prevedo mi obbligheranno a spostare, secondo l'opportunità del momento, il mio intervento da una all'altra parte, secondo la nostra convenienza.

Credo che in questo periodo sarebbe opportuno che l'atteggiamento della stampa italiana si ispirasse a una attitudine di stretta obiettività.

(l) -Cfr. n. 303. (2) -Privo di numero di protocollo generale perché non inserito nel registri dei telegrammi !n arrivo.
292

IL MINISTRO BUTI ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 995/177 R. Roma, 29 settembre 1932, ore 24.

Il R. incaricato d'affari a Londra telegrafa in data 28 corrente quanto segue (l):

«Da fonte di solito bene informata mi viene riferito, in via strettamente confidenziale, che Herriot avrebbe oggi fatto a Ginevra ad una agenzia americana dichiarazione da diramare Stati Uniti ma con patto esplicito che non venga menzionato suo [nome]. Egli avrebbe affermato:

"l) -Che la Germania ha inviato altra nota all'Inghilterra in relazione " memorandum " britannico su questione parità diritti, ciò che Foreign Office, interpellato da questo rappresentante stessa agenzia, avrebbe smentito.

2) -Che esiste effettivamente trattato segreto italo-tedesco "».

(l) Con t. r. 3399/597 R.

293

IL MINISTRO BUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

PROMEMORIA. ... (1).

Con recenti disposizioni il Ministero dell'Istruzione Pubblica in Malta ha dato esecuzione alle norme legislative emanate dal Governo Britannico che aboliscono l'insegnamento obbligatorio dell'Italiano nelle Scuole Elementari dell'Isola.

n Ministro dell'Istruzione Pubblica accompagna questo suo atto con parole di viva deplorazione per il provvedimento in questione ed emana disposizioni atte a favorire l'insegnamento facoltativo dell'Italiano.

Il Governo Nazionalista sembra disposto a fare quanto sia in suo potere per dare allo studio della lingua italiana la massima diffusione possibile. Sembra opportuno che il Rappresentante Italiano a Malta faccia sentire al Governo Maltese che il Governo Italiano è a suo fianco in quest'opera di difesa della lingua e della cultura italiana.

Converrebbe però che il R. Console Generale esercitasse nello stesso tempo opera di moderazione nei riguardi del Governo Nazionalista per impedire che sue eventuali intemperanze di parola o di azione possano fornire al Governo Britannico un pretesto per sospendere la costituzione.

Il R. Console Generale a Malta potrebbe continuare a svolgere la sua opera fiancheggiatrice, concentrando almeno per il momento la sua particolare attenzione su quelle istituzioni ed iniziative nostre, come l'Istituto Italiano di Cultura, che particolarmente si riferiscono alla classe media per la quale la nostra lingua è tuttora quella principale di cultura.

Sembrerebbe però opportuno che questa azione del R. Console Generale a Malta si svolgesse, per quanto è possibile al di fuori della politica locale: il legare troppo strettamente le sorti della lingua italiana al programma di un Partito ci esporrebbe a sentire il contraccolpo di ogni oscillazione della instabile politica locale.

La R. Ambasciata a Londra ha, a suo tempo, segnalata la incomprensione, da parte dell'opinione pubblica britannica del nostro punto di vista nella questione della lingua italiana a Malta. Sebbene oggi le speranze di potere ottenere una revisione delle recenti disposizioni legislative sembrino assai problematiche, si riterrebbe opportuno confermare alla R. Ambasciata a Londra le precedenti istruzioni, e cioè di svolgere tra gli inglesi ed a mezzo di inglesi un'opera abile e discreta di chiarificazione del nostro punto di vista.

Il R. Console Generale a Malta ha segnalato la violenta campagna antitaliana ed antifascista che va svolgendo a Malta l'organo di Strickland, il

Malta Chronicle. Questo giornale porta il titolo di Imperial Gazette ed ha la Sede della sua redazione al Palazzo del Governo. Il R. Console Generale ha rilevato che il Malta Chronicle è l'unico giornale che venga letto dai 60.000 uomini delle forze di terra e di mare britanniche di guarnigione a Malta. Dato il frequente avvicendarsi dei componenti la guarnigione, l'azione del Malta Chronicle può avere una ripercussione non indifferente sull'opinione pubblica britannica. Sembrerebbe opportuno impartire istruzioni al R. Ambasciatore a Londra di attirare su questo punto l'attenzione del Governo Britannico.

(l) Privo di data. SI colloca sotto Il 29 settembre, data del seguente appunto di Buti allegato al documento: «s. E. Grand! è probabilmente In Italia. Sarebbe forse utile presentlrlo innanzi di mandare a Londra e a Malta le Istruzioni conseguenti all'Appunto allegato». A margine appunto di suvlch del 30 settembre 1932: «S. E. Il Capo del Governo è d'accordo. Parlarne anche a S. E. Grandi ».

294

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3420/21 R. Ginevra, 30 settembre 1932, ore 0,30 (per. ore 3 del 1° ottobre).

Telegramma di codesto Ministero n. 177 (1).

Ho fatto far subito indagini circa dichiarazioni Herriot ad agenzia americana. Da tali indagini risulta confermato che Herriot ha effettivamente detto a giornalisti risultargli da indizi diversi che esiste un trattato di alleanza militare tra Italia e Germania. Questa voce, del resto, ha circolato a Ginevra da vari giorni e, come ho riferito, Massigli ne ha fatto cenno a Rosso (2).

Si è anche detto che alleanza sarebbe stata conclusa in occasione viaggio Federzoni a Berlino, mentre eminente personalità tedesca si sarebbe incontrata con V. E. durante suo recente viaggio in Romagna.

Appunto in seguito tale voce io ho durante il mio colloquio con Herriot smentito opportunamente esistenza alleanza militare itala-tedesca. Tale mia smentita fu accolta da Herriot con visibile soddisfazione. Essa ha tuttavia continuato a circolare.

In realtà i fatti sono questi. Da una parte i francesi mostrano di essere assai preoccupati dei rapporti itala-tedeschi, dall'altra essi fanno su di me ogni amichevole pressione per iniziare uno scambio di idee sui rapporti itala-francesi. Io mi sono sottratto a queste pressioni delle quali riferirò a voce a V. E.

Intanto contemporaneamente alle voci di una alleanza itala-tedesca, si diffondono anche voci riavvicinamento itala-francese. Queste hanno destato preoccupazione in ambienti Piccola Intesa, e mi risulta che ministro degli affari esteri jugoslavo ha chiesto a Herriot che cosa vi fosse di vero, e se Francia intendesse far accordo con l'Italia a spese della Jugoslavia. Non escluderei però che Herriot esageri ad arte sua preoccupazione per eventuali accordi militari itala-tedeschi, e, richiamando attenzione opinione pubblica francese già assai allarmata su di essi, voglia preparare terreno per conversazioni con noi, che egli giustificherebbe con minaccia di una nostra alleanza con la Germania.

(l) -Cfr. n. 292. (2) -Cfr. n. 286.
295

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

APPUNTO. Roma, 30 settembre 1932.

Il signor De Beaumarchais. che non avevo ancora visto. è stato a trovarmi per una visita di cortesia.

Nella conversazione mi ha detto che egli era più che mai deciso a fare tutto quanto stava in lui per arrivare ad un'intesa. Egli è persuaso che se si potesse mettere un freno alla stampa --dalle due parti -per tre mesi, si riuscirebbe a disintossicare l'atmosfera.

Ha soggiunto che egli non sollevava nessuna questione specifica sull'atteggiamento della stampa italiana nei riguardi del suo Paese perché si rendeva conto che io avrei potuto fare altrettanto nei riguardi della stampa francese.

Venendo a parlare della situazione attuale della Germania, egli mi ha detto che in Francia si aveva l'impressione di una resurrezione della Germania del '14 con tutti i suoi pericoli.

Parlando della questione del disarmo, ho potuto chiarirgli il punto di vista di S. E. il Capo del Governo, che a mio modo di vedere in Francia non è stato sufficientemente compreso nella sua vera portata e nel suo valore pratico.

L'Ambasciatore mi ha detto di rendersi conto di tutte queste ragioni, ma ha soggiunto che la Francia aveva nei riguardi della Germania, per le invasioni sofferte, una sensibilità particolare che la tiene in uno stato di allarme.

L'Ambasciatore ha conchiuso dicendo che egli poteva assicurare che il signor Herriot è animato dal più sincero desiderio di una intesa con l'Italia, ciò che risponde anche al suo spirito eminentemente latino, e che tratta questo argomento con larghezza di idee e senza preconcetti.

Ha soggiunto che è un momento particolarmente favorevole per tentare qualche cosa di serio e di sostanziale nei riguardi di una intesa (1).

296

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3425/22 R. Ginevra, 1° ottoòre 1932, ore 0,20 (per: ore 3).

Rappresentanti vari piccoli Stati stanno da tempo lavorando ad elaborare dei progetti di patti di sicurezza che dovrebbero rappresentare contropartita dell'accettazione da parte della Francia della parità dei diritti in favore della Germania. A questi progetti si interessano particolarmente Benès e Politis.

Per mio incarico Pilotti ha parlato due volte con Benès che gli ha spiegato di aver pensato ad un patto generale di consultazione da presentare anche agli S.U.A., e ad un patto particolare di sicurezza tra Nazioni europee.

29 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

In questo ultimo patto si conterrcU:ero garanzie di mutea assistenza e ài applicazione di sanzioni colletive per il caso di aggressioni.

Tuttavia nulla vi è di concreto fino a questo momento. Pilotti ne ha parlato anche con la delEgazione inglese, che non vede favorevolmente il tentativo di precisi casi di aggressione e le sanzioni da applicare: tentativo al quale essa finora è stata t2nuta estranea.

Un altro progetto viene studiato da Munch (Danimarca) d'accordo con gli Stati scandinavi, Belgio e Svizzera: ma anche per questo non sembra che finora vi ~iano favorevoli disposizioni da parte della G:mnania.

Pilotti seguirà anche ulteriori svolgimenti di tali tentativi.

(l) Buti minutò il seguente telegramma per Parigi: «Per sua opportuna personale conoscenza si rimette a V.E. copia di un riassunto della conversazione avuta da questo ambasciatore d! Francia con S. E. il sottosegretario di stato». Appunto di Buti del 1° ottobre per il Gabinetto: «Chiedere a S. E. il Sottosegretario se crede di fare l'acclusa comunicazione a Parigi». A margine: «Sospesa».

297

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1006 R. Roma, 1° ottobre 1932, ore 17.

(Per Mosca e Berlno). Ho telegrafato alla delegazione italiana a Ginevra quanto segue:

(Per tutti). Questa ambasciata di Germania ha informato R. Governo che alla riunione commissione del consiglio per la conferenza economica mondiale che si riunirà 3 ottobre prossimo venturo rappresentanza germanica si propone valersi facoltà di cui al punto tre d) della decisione del consiglio del 15 luglio u.s. per proporre che U.R S S. venga invitato partecipare ai lavori del comitato degli esperti.

Ha chiesto di conoscere se R. Governo è disposto appoggiare proposta.

È stato risposto all'ambasciata di G:::rmania che il R. Governo è favorevole alla partecipazione dell'U.R.S.S. ai lavori del comitato degli esperti e che nostro rappresentante riunione commissione appoggerà proposta germanica.

(Per Ginevra) Prego V. E. di volere prendere opportuni accordi con codesta delegazione germanica. (Per Mosca). Questa ambasciata dell'U.R.S S. è stata informata di quanto precede.

298

IL MINISTRO BUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 1° ottobre 1932.

Con l'unita lettera (l) viene richiesto l'interessamento di V. E. per un viaggio in Italia di elementi hitleriani che si intenderebbe organizzare in occasione del Decennale Fascista.

Al riguardo l'Ufficio ha l'onore di comunicare che non avr0bbe nulla da obbiettare a che venissero accordate facilitazioni per un viaggio di elementi hitleriani qualora l'iniziativa presentasse carattere esclusivamente turistico. Sem

bra però evidente che un viaggio di gruppi hitleriani compiuto in occasione del Decennale Fascista e col preciso scopo di assistere alle più significati':e cerimonie del Decennale, non possa sfuggire a considerazioni ed a ripercussioni di carattere politico. A tale proposito l'U11ìcio si richiama all'Appunto, qui allegato cl2ll'll ago::;to u s. (l) con cui, in occasione di analoga iniziativa ebbe a far presente come, l'attuale situazione politica intern& della Germania, renda consigliabile astenersi da manifestazioni che possano comunque compromettere l'atteggiamento italiano verso uno dei gruppi politici che attualrr.ente si contendono il Potere in Germania.

(l) Non si pubblica.

299

CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 2 ottobre 1932.

È venuto a visitarmi il Ministro di Ungheria, di ritorno da Budapest dove ha avuto un colloquio col nuovo Presidente del Consiglio il quale lo ha incaricato di assicurare V. E. che la politica estera ungherese rimarrà essenzialmente basata sull'amicizia italiana e lo ha pregato di presentare a V. E. un suo messaggio in cui queste intenzioni vengono riconfermate. Il Ministro chiede quindi un'udienza a V. E. per poterLe presentare il messaggio e per prendere accordi circa una visita che il Presidente del Comiglio Gbmbos avrebbe in animo di rendere a V. E. nel prossimo mese di novembre.

Prima di congedarsi, mi ha accennato alle voci di trattative tra l'Italia e la Rumenia per il rinnovamento del Patto di amicizia, pregandomi di tenerlo al corrente. Gli ho risposto che finora non v'era stato altro che la semplice proroga semestrale del trattato esistente dal luglio u s. al gennaio del prossimo anno.

300

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI. MUSSOLINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS

T. 1015. Roma, 3 ottobre 1932, ore 23.

Ringrazio sentitamente V. E. del cortese e gradito messaggio che ell;;>" mi ha inviato nell'atto di assumere la presidenza del consiglio dei ministri e desidero di porgerLe le più vive felicitazioni per l'altissima carica confidataLe da

S. A. Serenissima il Reggente d'Ungheria. I sentimenti di profonda amicizia e di simpatia da lei espressi a nome suo e della nazione ungherese trovano piena e cordiale rispondenza nel Governo e nel popolo italiano.

V. E. troverà sempre in me e nel Governo fascista lo stesso sincero proposito di rafforzare maggiormente i legami che uniscono i due paesi e di collaborare con V. E. nell'opera che ella svolgerà a vantaggio del suo paese.

(l) Cfr. n. 198.

301

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO Roma, 3 ottobre 1932 (1).

I. Mia impressione è che questa prima fase dei lavori ginevrini possa riaddursi a due punti fermi: l) La politica del Capo del Governo italiano costituita dai tre principi esposti a Herriot e a Lord Ceci! (2), si è rapidamente imposta e oggi è accettata come la piattaforma su cui vanno impostate le possibili soluzioni del problema; 2) ferme restando le direttive segnate da quei principi, vi è uno slittamento dalla questione della eguaglianza di diritto a quella del « raggiustamento » delle quote e dei tipi di armi delle forze militari tedesche.

Su questo ultimo punto ho saggiato le disposizioni dei due antagonisti francese e tedesco e, almeno in questa fase, li ho trovati irreducibilmente intransigenti. Von Neurath pretende la concessione del << raggiustamcnto » come condizione sine qua non della rientrata della Germania alla Conferenza del Disarmo e Herriot pretende qualche solida garanzia di sicurezza come condizione sine qua non di qualunque concessione di « raggiustamento ». A questo riguardo Herriot è stato esplicito e deciso: il « raggiustamento » è null'altro che il riarmamento della Germania secondo le teorie ùi von Seeck, e tale riarmamento è alla sua volta il trampolino per riprendere la politica «positiva», aggressiva, che deve tendere a ridare alla Germania, attraverso la risoluzione del problema dei mandati, delle colonie ecc., il suo slancio espansionistico non solo continentale europeo, ma oceanico e mondiale.

Questa, la mia sensazione della situazione generale.

11

RELAZIONI DELL'ITALIA CON LA FRANCIA, L'INGHILTERRA E LA GERMANIA

Dai contatti con Herriot, con tutti gli altri membri della Delegazione e coi giornalisti francesi traspariva una chiara e decisa tendenza ad un accordo con l'Italia. Mi è parso opportuno non prestarmi al giuoco e lasciare cadere ogni accenno. Mi è bastato accertarmi che in questo momento la Francia avverte di traversare un momento estremamente pericoloso e che in tale gravità di situazione essa non ritiene sufficiente alla sua vera sicurezza un qualsiasi protocollo del genere di quelli che Politis e Benès si stanno affannando a cucinare in collaborazione con qualche Stato neutrale, e non potrebbe condurre ad altro che a qualche dichiarazione generale sprovvista di ogni valore pratico, ma che ritiene risolvibile il problema della sua sicurezza solamente attraverso un accordo diretto con l'Italia.

Ho già detto di aver creduto opportuno di lasciar cadere la cosa perché qualunque accordo del genere, anche in un quadro di adesione generale di tutti gli Stati, mi sembra immaturo. Oggi la Francia è spinta a ricercare l'Italia dal solo bisogno impellente, ma non da una adeguata preparazione spirituale. In tali condizioni un accordo non potrebbe dare tutti i suoi frutti.

Le relazioni con la Delegazione inglese sono state improntate a un reciproco desiderio di buona collaborazione. Però finora incombeva sulla condotta di Simon il disagio della situazione ministeriale inglese, che non lo faceva sentire sufficientemente sorretto alle spalle. Egli aveva l'aria di cercare di inquadrare la richiesta di Neurath in una formula filotedesca a tutto scapito degli interessi francesi, al punto da spingere Herriot a dirmi di non comprendere come gli inglesi si limitassero a discutere delle forze terrestri e non mostrassero alcuna sollecitudine nel patrocinare un analogo « raggiustamento » delle forze navali tedesche. Avvenuto ora il rimpasto ministeriule inglese con prevalenza delle forze conservatrici, ho il dubbio che ci sia da attendersi una ripresa delle tendenze filofrancesi, con in vista una terza edizione, del tipo di quelle del '24 e ultimamente di Losanna, di quelle combinazioni franco-inglesi con esclusione di terzi che sono di scarso contenuto pratico, ma di momentaneo significato politico, e che servono all'Inghilterra per blandire e illudere il Governo francese tutte le volte che ci sia da fargli ingoiare qualche pillola amara.

Ottime anche le relazioni personali coi delegati tedeschi. Poco sviluppate però le conversazioni politiche, dato che l'assoluta intransigenza di von Neurath nei riguardi del « raggiustamento >> delle forze tedesche sbarrava la via a ogni discussione sui « tre punti » della politica del Capo del Governo italiano.

(l) -L'appunto si riferisce ai lavori ginevrini del settembre. (2) -Cfr. nn. 284. 285 e 291.
111

CONCLUSIONE

Di fronte a tale situazione che --ripeto -è tutta imperniata sul pericolo del riarmamento tedesco, malamente camuffato sotto la formula del « raggiustamento », è evidente che non v'è altra soluzione se non quella, che ho prospettata a Herriot, di dare piena attuazione alle direttive esposte nel suo recente articolo dal Capo del Governo italiano. c cioè quella di dilazionare nel tempo, a partire da oggi, le tappe del riarmamcnto tedesco (meccanizzazione della cavalleria, adozione di « specimen » di tanks e di antiaerei e riduzione della leva) sì da prolungarne il processo in un numero di anni tale da permettere anche a noi di essere politicamente e militarmente pronti a ogni evenienza.

Come già è avvenuto in questi primi colloqui privati, a me pare che a tempo opportuno anche in forma pubblica, questa iniziativa debba partire da noi, sotto la forma di una mediazione itala-inglese. Con essa noi. oltre all'occasione di riaffermare il nostro prestigio, a) guadagneremmo tempo, b) sventeremmo ogni pericolo di ripetizione della manovra anglo-francese alle nostre spalle, c) conserveremmo intatta, nel duello fra i due antagonisti. quella politica di indipendenza che abbiamo iniziata

I vantaggi sono evidenti Ma l'occa;:;iune è propizi:.l c c'ò da chiedersi :,e non si:l pof;~itilc sfrut~arla r;iù a fondo. Perché rcndc:r;:: grJ:~:J.i',amcntc queste

servizio, a cui la Francia aspira con ansia evidente? Dato che la politica « positiva» della Germania, come la chiama Herrìot, dovr:ì fatalmente condurre in un non lontano futuro alla discussione dei problemi che tanto interessano anche noi, come quello dei mandati e delle colonie, perché non cercare dì ottenere su questi problemi una qualche forma di ipoteca in pagamento del servizio?

Rimanendo ben fermo che noi eviteremo qualunque accordo dì carattere generale con la Francia, a me pare che noi potremmo forse come corrispettivo di questo sìneolo servizio dì mediazione cercare di pretendere dalla Francia che posi essa stessa la questione dei mandati sotto quella forma che possa apparirci più conveniente. Ci apriremmo così a tempo una via in una direzione che ci interessa, pur conservando inalterata la nostra posizione di forza indipendente che ci consente dì disimpegnarci diplomaticamente a nostro agio nella eventualità di un conflitto tra la Francia e la Germania.

È questa una idea che potrà, se V. E. lo ritiene opportuno, divenire una iniziativa. La lunghissima esperienza passata mi ammonisce però a non sottovalutare le difficoltà che sono da affrontare tutte le volte che ci tocca trattare con la Francia.

P. S. -La presente relazione è stata redatta prima dell'arrivo della proposta inglese (1), la quale peraltro non ne intacca lo spirito.

302

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 345. Roma, 3 ottobre 1932.

His Majesty's Embassy present their compliments to the Royal Ministry of Foreign Affairs, aEd havc the honour to makc the following communication

His Majesty's Government in the United Kingdom have given most careful consideration to the situation whìch has ::trisen through the withdrawal of Germany from the disarmament dìscussìons at Geneva. It is clear that consequences of utmost gravity to the future of the disarmament conference and to the prospects of European concord may result if this situation remains unchanged. A heavy responsabìlity would rest on any who are not prepared to do their utmost to find a remedy.

His Majesty's Government therefore desìre to draw the attention of the Royal Italian Government to the applìcabìlity to this situation of the Declaratìon of Mutuai Consultatìon of July 13th last to which the Italìan, French, German, and United Kingdoe.1 Governments are all parties. That Declaratìon expressed resolve to exchange views with complete candour concernìng questìons of a class whìch may affect the Europcan régime and in particular pledges the parties to seek beneficiai and equitable solutious in regard to disarmament questìons.

In the spirit of this Declaration His Majesty's Government have the honour to propose a meeting betv1een Ministers of Italy, France, Germany and the United Kingdom in London on an early date -Tuesday October 11th is suggested -for an exchange of views with the object of overcoming the ditlìculty which has arisen from this situation.

(l) Cfr. n. 302.

303

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 3472/28/27 R. Ginevra, 3 ottobre 1932 (per. il 5).

Il Signor Frohwein, della Wilhelmstrasse, che copre la carica di segretario generale nella delegazione tedesca alla conferenza del disarmo, è rimasto a Ginevra anche dopo la partenza del signor von Neurath. Senza naturalmente partecipare ai lavori, egli tiene dei contatti con gli ambienti della conferenza frequentandone i corridoi.

Ieri mi ha cercato per precis2.rmi l'attitudine del suo Governo nei riguardi dei tre punti contenuti nella nota formula Henderson (telegramma di S. E Alaisi n. 18/16 del 28 settembre u s.) (1). Mi ha detto che tale formula è giudicata a Berlino come assolutamente inadeguata. La rivendicazione tedesca della « uguaglianza di diritti>> non può considerarsi soddisfatta dal riconoscimento teorico del semplice principio dell'uguaglianza giuridica, riconoscimento che Henderson ha suggerito con la proposta di trasferire le clausole militari della parte V del trattato di Versailles in una convenzione liberamente accettata dalla Germania. Ciò che il Governo tedesco crede di avere il diritto di reclamare è l'uguaglianza effettiva per quel che concerne il «metodo). Esso non pretende di ottenere l'uguaglianza qu.antitativa ma reclama quella qu.alitativa, nel senso che la Germania debba essere liberata da tutte quelle restrizioni che la conferenza non avrà fissato per la generalità degli altri Stati.

Soltanto quando gli sarà assicurato che il principio di uguaglianza di diritti verrà interpretato ed applicato in tale senso, il Governo tedesco potrà tornare a Ginevra a discutere.

Senza contestare la logica di questa attitudine, ho fatto osservare al collega tedesco che in questo momento non sembra probabile che la Conferenza sia disposta a dare al Governo tedesco ur>::t assicurazione preventiva nel senso desiderato; per cui mi chiedevo se non convenisse alla delegazione tedesca di incominciare a prendere atto del riconoscimento del «principio >> e tornare in seno alla conferenza per farvi valere. nei negoziati privati o nelle discussioni pubbliche, il suo punto di vista circa l'applicazione del principio stesso.

Pàreva a me che, politicamente, il Governo tedesco avesse tutto da guadagnare accettando il dibattito a Ginevra.

Frowhein mi ha lasciato capire che ragioni di politica interna rendono difficile al signor von Neurath di dipartirsi per ora dall'attitudine intransigente assunta con le sue ultime dichiarazioni.

(l) Cfr. n. 290.

304

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 3484/29/28 R. Ginevra, 3 ottobre 1932 (per. ore 20,20 del 6).

Il signor Norman Davis è tornato ieri sera da Wasbington.

Nell'assenza dell'ambasciatore Gibson egli funge ora come capo della delegazione americana.

Ho avuto stamane con lui una conversazione nel corso della quale si è parlato in generale dei lavori del disarmo e della futura conferenza economica e finanziaria.

Tra le cose dette da Davis segnalo le seguenti:

l) Nella questione della uguaglianza di diritti occorre essere «fair » tanto con la Germania quanto con la Francia. A Berlino si manca di tatto e di senso politico, mentre a Parigi si hanno delle preoccupazioni esagerate.

2) Il Governo di Washington continua a ritenere che la chiave del disarmo sia nelle mani dei Governi italiano e francese. Se fra Roma e fra Parigi si giungesse ad una intesa, tutte le altre difficoltà potrebbero venire eliminate con relativa facilità.

3) Avendo osservato che da parte francese non era certamente stata giujicata con la dovuta equanimità l'azione conciliativa del Governo italiano e che l'Italia non poteva essere soddisfatta dell'attitudine sistematicamente sospettosa. della stampa parigina, Davis riconobbe che la Francia ha preso la cattiva abitudine di considerare come nemici quelli che non condividono sempre ed in tutto il punto di vista francese. Poteva però dirmi confidenzialmente che Herriot, eh~ egli aveva veduto la sera prima. si era mostrato soddisfatto e fiducioso nei riguardi di un miglioramento delle relazioni itala-francesi.

4) Parlando della conferenza economica e finanziaria Davis ha detto che il Governo americano era favorevole a scegliere Londra come luogo di riunione, non soltanto perché il Governo inglese era forse quello meglio equipaggiato per organizzare una grossa conferenza del g~?nere. ma anche perché il fatto di tenerla nella sua capitale avrebbe aumentato la responsabilità e l'interesse dell'Inghilterra al successo della conferenza.

Circa la data, il Governo americano ritiene prefcrilJile di non fissarla troppo presto, perché «certe grosse questioni non potranno essere utilmente trattate se non dopo l'inizio del nuovo periodo presidenziale in America>>. (Davis è fiducioso nel successo del candidato democratico e lascia capire che egli dovrebbe diventare il segretario di Stato in una amministrazione Roosevelt).

Davis ritiene che la personalità inglese che avrà maggiore peso nei lavori della conferenza economica sarà Runciraan Ha insistito sulla necessità che la conferenza sia preC'edut.::~ d::J. un::1 prep~lr::J:zione c.rri:t. che potrà essere fatta appunto dalla commis~ionf prPp:l.ratori:J

Davis mi h3-invit'lta CJd èm pro~~lnw :.;ul~oquiJ !JCT di:::cutcL in modo più rrpprvfondiio la ques~ionc del disanno.

305

IL REGGENTE IL GOVERNO DELLA SOMALIA, CAROSELLI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

T....(1) Mogadiscio, 3 ottobre 1932.

Seguito dispaccio odierno n. 19022. Secondo notizie fornite aut confermate da ingegneri De Wries e A. Van Lutsemburg Maas a nostro ufficiale recatosi Madaghegno risulta quanto segue:

l) Capi abissini ripetono loro pretese di territori oltre linea da noi occupata e intendono in seguito chiedere delimitazione confini e se necessario respingerei con la forza da territorio che ritengono da noi arbitrariamente occupato (si riferiscono ad zona Curmis-Ualual). Ingegneri sono del parere che delimitazione sarà lontana mancando al Governo Etiopico mezzi finanziari necessari. Per Amhara. Madè Ghegno è considerato punto provvisorio e secondo loro intendimenti linea dovrebbe passare al sud di detto punto e naturalmente al sud Domo.

2) È già sanzionato con accordo fra le due parti che sornglianza nuova frontiera e manutenzione strada normalmente verrà cosi divisa due punti. Da Madè Ghegno (che abissini chiamano Darchen Ghegno) ad incrocio fra quarantaquattro e nono, ove passa precisamente battuta, sarà devoluta ad inglesi. mentre da questo punto a incrocio tre frontiere francese-inglese-abissina ad Etiopici.

3) Il punto incrocio tre frontiere francese-inglese-abissina è stato già convenuto e sarà località Gelelo che dovrebbe essere quella segnata Iellelo carta Carcoforo, che, probabilmente, potrà errare di poco nel precisarla in detto punto.

4) Da Gig-Giga ad Escia (è stata indicata da ingegneri stessi con precisione su carta Carcoforo che trattasi di Aicha a sud 11 e 42 e 43) vi è già costruita una camionabile e ad Escia vi è fermata della ferrovia di Gibuti.

5) Che i lavori di delimitazione della delegazione inglese che ha molto lavorato, da Bohotle sono stati approssimativamente portati a altezza di Uarabagot (Carta Carcoforo) con l'andamento comunicato con mio 6·136 in data lo aprile e/a cioè intera sezione go con 44°.

6) Che delegazioni inglese e Amhara ad Argheisa decideranno nuova divisione lavoro delimitazione che partirà da altezza di Uarabagot e giungerà come si è detto Gelelo. Andamento approssimativo è quello quasi diretto.

7) Circa probabilità costruzione ferrovia Zeila, tapografi confermano soltanto di avere udito che si doveva giungere a qualche accordo per quella zona e che questo mancato accordo devesi mettere in relazione anche alla mancat3 costruzione piP.ta Madè-Ghrgno-La~ Anod. È prrò crrt.o chP se7.ione topografi hn

già l'ordine giunta a Gelolo, di portarsi a riconoscere terreno fino a Zeila e effettuare un << livellamento » da poter conguagliare con quello fatto da iDgle:::i per Bender Ziada. Non sanno di più.

8) La Rivière, caduto ammalato. è rientrato a Addis Abeba. Pare che lavori delimitazione non siano stati sospesi come invece ha riferito legazione Addis con telegramma 691 data 20 agosto. Avranno breve sosta solo i lavori per risoluzione incidenti frontiera.

In proposito ingegneri che credono poco a serietù Governo etiopico hanno riferito che da Addis Abeba erano stati inviati ad Argheisa due delegati per definire questioni Isak-Ogaden. Questi giunti destinazione sono stati respinti dai delegati britannici Plowman, console Harrar. Par:<::e c Barry perché sprovvisti di d-:lega e non autorizzati alla firma. Ritornati i due delegati ad Addis Abeba furono sostituiti da altri due muniti dei richiesti documenti. A Gig-Giga però uno di essi fu imprigionato da quel Governatore di provincia.

9) Frontiera che è stata precedentemente già fotografata nelle sue parti generali sarà fotografata ancora particolarmente nella battuta e cippi da appa-· recchi inglesi. Mancando di opportune macchine fotografiche, tale lavoro non sarà espletato da abissini.

10) Numerazione cippi e m continuazione del n. 71 portato dall'ultimo cippo anglo-americano. Ogni cippo ha 2 blocchetti cemento indicanti parte inglese e parte abissina e numero in iscrizio!1e araba e abissina. Quelli secondari hanno anche lettera.

11) L'agente abissino Zaudè Abaienè conversando col Capitano Cimmaruta ha fatto la seguente dichiarazione sulle voci corse circa la costruzione della ferrovia Zeila-Giggiga: <<si è parlato di questo ma nulla di fatto; credo che la cosa non sarà attuabile ».

(l) Il testo chn si pubbliea, prlvJ ,u nur:.<~ru di protc;collo, èo una copia conservata nel fondo dell'a,mbasciata di Lond;a.

306

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 230030/149. Roma, 4 ottobre 1932.

Il R. Ministero degli Affari Esteri hll l'onore di riferirsi alla Nota Verbale dell'Ambasciata di S. E. Britannica n. 3'-5 in data 3 ottobre u s. (J), con la quale il Governo Britannico, richiamandosi alla Dichiarazione di Consultazione reciproca del 13 luglio 1932, propone una riunione a Londra per 1'11 ottobre p.v. del rappresentanti della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e dell'Italia per uno scambio di vedute relativo all'attuale fase della ques~ione del Disarmo.

Il R. Governo condivide il pensiero del Governo britannico circa la gravità delle conseguenze che potrebbero derivare per la sorte stessa della questione del Disarmo qualora la situazione presente non riuscisse ad essere superata.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di informare che il R. Governo, desideroso di non lasciar niente di intentato di quello che possa servire a superare l'attuale difficoltà, accetta di buon grado di partecipare alla proposta riunione a Londra per la data suggerita (1).

(l) Cfr. n. 302.

307

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. R. 1022/186 R. Roma, 5 ottobre 1932, ore 13,40.

Governo britannico ha espresso al R. Gover:1o il suo proposito di riunire a Londra per 1'11 corrente i rappresentanti dei Governi francese, tedesco e italiano per discutere della domanda tedesca della parità di diritto e del riassestamento della sua organizzazione militare (2). Iniziativa è presa in base dicl1iarazione di consultazione del luglio scorso.

Il R. Governo ha fatto conoscere all'ambasciata britannica che accetta di partecipare alla proposta riunione a Londra per la data suggerita (3). Ambasciata britannica è stata informata verbalmente che, se la riunione avrà luogo, l'Italia sarà rappresentata da S. E. Grandi.

Come risulta dalle comunicazioni di codesta delegazione, la discussione sollevata dal memorandum tedesco va ormai slittando da questione dell'uguaglianza di diritto a quella del riaggiustamento della organizzazione militare tedesca. Quest'ultima parte potrà costituire punto centrale discussione in riunione di Londra.

Principi enunciati da S. E. il Capo del Governo costituiscono al rigEardo piattaforma su cui può essere utilmente impostata possibile soluzione problema: e cioè lo scaglionamento nel tempo del riaggiustamento tedesco.

Sulla base delle direttive di S. E. il Capo del Governo, valendosi delle informazioni avute nei contatti con le varie delegazioni e dell'opera dei nostri esperti tecnici, ritengo conveniente che V. E. provveda sollecitamente e riservatamente, allo scopo di studio, alla preparazione di possibili formule, intese a conciliare in differenti misure:

1°) la richiesta formulata nei paragrafi G e 7 del <' memorandè'm » tedesco;

2°) il punto di vista francese in fatto di armamenti;

3°) gli interessi italiani. tenendo presente che ogni decisione che potrà essere presa a Londra circa la domanda tedesca del riaggiustamento delle forze militari avrà necessariamente sua ripercussione sulla soluzione sia qualitativa che quantitativa del problema del disarmo.

Aggiungo riservatamente che le formule preparate da V. E. potranno poi servire di utile base per eventuale azione della delegazione italiana alla riunione di

quella britP.nnica alle ambasciate a Londra, Parigi, Berlino e Washington.

Londra. V. E. vorrà anche tener presente possibilità che delegazione italiana a Londra possa servirsene per suoi contatti col Governo e la delegazione britannica ai fini di una eventuale analoga o concorde azione dei due Governi.

(l) Con t. 1020 R. del 4 ottobre. ore 17, Suvich comunicò 'n sosinnza di questa nota e di

(2) -Cfr. n. 302. (3) -Cfr. n. 306.
308

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3475/489 R. Parigi, 5 ottobre 1932, ore 20,40 (per. ore 0,30 del 6).

Telegramma di V. E. 490 (1).

Ho fatto la comunicazione al presidente del consiglio che mi ha restituito la visita che gli ho fatta ieri. Herriot mi ha detto non avere ancora preso una decisione. Forse andrà egli stesso a Londra o più probabilmente vi manderà un suo rappresentante che potrebbe essere ministro della guerra Boncour. In ogni caso, ha soggiunto con decisione il presidente del consiglio, la Francia non assumerà impegno alcuno a Londra.

Herriot è convinto che la Germania è decisa ad armarsi sul serio e che, se consegue lo scopo, l'Ungheria, Bulgaria, Turchia e Austria esigeranno un trattamento analogo. In queste condizioni egli non si sente di assumere la grave responsabilità di decisione che pregiudicherebbe in primo luogo il Belgio e gli Stati della Piccola Intesa i quali a suo avviso debbono essere posti in grado fare sentire la loro voce.

309

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3477/609 R. Londra, 5 ottobre 1932, ore 20,42 (per. ore 4,30 del 6).

Telegramma di V. E. n. 281 (2).

Mi è stata data stamane al Foreign Office comunicazione istruzioni telegrafate iersera a codesta ambasciata d'Inghilterra per informare V. E. sviluppi proposte inglesi e mi è stato ripetuto profondo compiacimento questo Governo per pronta adesione V. E.

Situazione permane oggi invariata. Mancano tuttora risposte Germania. Francia e America.

Foreign Office ha precisato che per ciò che concerne Germania notizie pubblicate da giornali (mio telegramma-stampa n. 608 (2)) sono inesatte. Btilo>7 ha detto semplicemente a incaricato d'affari britannico a Berlino che Neurath era assente e che occorreva attendere il suo ritorno dovendo essere proposta inglese esaminata da Gabinetto.

Da accenni fattimi, difficoltà sollevate dalla Francia verterebbero su programma discussione e su luogo riunione. Sugli stessi punti anche Stati Uniti d'America avrebbero incertezze.

Circa luogo riunione Foreign Office si rende conto difficoltà che sembrano opporsi Londra. Non credo d'altra parte vi siano probabilità per Parigi; e poiché per Roma vi sarebbero difficoltà distanza, non esclude che si possa arrivare al solito di scegliere Ginevra.

Non sembra probabile che allo stato delle cose neppure prima data suggerita dell'll corrente possa essere mantenuta.

In conclusione pensiero Foreign Office è che per quanto ritardata o in altra sede riunione finirà con l'aver luogo. poiché pensa che nessuna Potenza vorrà assumere grave responsabilità respingere proposta britannica.

(l) -Cfr. n. 306, nota L p. 411. I numeri 400 c 2Bl co•1o i pro:ocolli rnrtko!.1rl con cui .l :_,_;lt)~rflnunJ. v·:nre ll"!Yiato r~Lpt.:ttl~/.snrent;:; :1 Parigi c J1 ...n.l:·.l. (2) -D0l 5 corr.cn~~ n. 23C2 R.S. [Nota dvl dv~umcntuj.
310

IL MINISTRO BUTI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 5 ottobre 1932.

Domenica prossima, 9 corrente, ricorre il genetliatico di Re Zog. L'Ufficio Albania ritiene di interpretare il pensiero di S E. il Capo del Governo astenendosi dal proporgli l'abituale invio di telegramma augurale.

Trattandosi infatti di festa personale del Re degli Albanesi, ricorrono a più forte ragione gli stessi motivi per cui, or è un mese, in occasione dell'anniversario della proclamazione della Monarchia, S. E. il Capo del Governo ha voluto sottolineare nei confronti di quel Sovrano l'interruzione di un'amichevole consuetudine (1).

311

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3497/626 R. Berlino, 6 ottobre 1932, ore 21,20 (per. ore 23,45).

In assenza ministro degli affari esteri, Neurath, ho comunicato Biilow telegramma di V. E. n. 237 (2). Egli mi ha ringraziato comunicazione ricevuta aggiungendo che fino al momento mia visita non gli era noto atteggiamento italiano per proposito inglese riunione Londra.

Biilow mi ha detto che incaricato d'Affari Inghilterra gli ha rimesso nota verbale e promemoria accompagnamento. In nota verbale si parla solo necessità superare difficoltà derivanti allontanamento Germania discussioni disarmo ma non di patto consultivo. Di questo patto si parla invece promemoria accompagnamento. Su questa differenza Biilow ha richiamato attenzione incaricato d'af

fari Inghilterra. Inoltre in pro-memoril, mentre si fa riferimento patto consultivo, non si parla riorganizzazione difensiva secondo termini telegramma di V. E. predetto. I3lilow mi ha detto che, secondo pensiero Forcign Office, nel caso presente, è applicabile solo numero lo patto fiducia, altri tre punti riferentisi solo relazioni franco-inglesi.

Governo inglese ha fatto sapere a quello tedesco essere suo desiderio ottenere partecipazione americana riunione Londra e per facilitarla pensava inoltrare invito facendo presente si sarebbe trattato a Londra continuare convusazioni Ginevra aprile scorso cui già intervennero Stimson e Davis. BC:low mi ha detto avere obiettato non essere più possibile adoperare tale formula di invito, essendo intervenuti frattanto due fatti nuovi, cioè nota francese c memorandum inglese circa domanda tedesca parità diritto in materia disarmo che impedivano considerare eventuale riunione Londra come diretta continuazione predette conversazioni Ginevra.

Biilow ha chiesto infine ambasciata d'Inghilterra maggiori schiarimenti circa pensiero del Foreign Office per conferenza di Londra, facendo presente pericolo riunione senza preparazione alcuna. Occorre, secondo BiUoH, evitare peggioramento situazione attuale col compromettere prossime discussioni ginevrine circa questione parità per effetto proposta conversazioni londinesi.

Neurath travasi attualmente a caccia in montagna Baviera e precisamente in località distante circa tre ore da allacciamento telefonico con Berlino. Btilow ha fatto presente di non potere anche per tale motivo comunicare subito linea di condotta politica che adotterà Governo tedesco.

Domani avrà luogo consiglio dei ministri che non è stato possibile riunire prima per assenza molti ministri da Berlino. Se non vi saranno fatti nuovi sarà messa all'ordine del giorno questione riunione di Londra.

Intanto è da sperare giungeranno Berlino schiarimenti richiesti Foreign Office. Bi.ilow nel frattempo farà conoscere suo pensiero in proposito a colleghi del Gabinetto. Ma Btilow pensa che probabilmente Governo tedesco dichiarerà essere disposto ogni discussione ponendo come sola riserva che essa non avrebbe luogo sulla base nota primiera e memorandum inglese. BUlow dicevami tale riserva essere necessaria per il fatto che Germania non ha, come è noto. mai risposto né all'una né all'altra.

Seconda notizia p:;rvenuta ambasciata di Germania a Londra e non ancora controllata, Governo inglese avrebbe dichiarato iersera a rappresentanti stampa che esso considera come fallito tentativo riunione Londra a causa difficoltà frapposte da Francia e esitazioni tedesche. Se ciò fosse esatto, come sembra almeno in certo modo confermato da contenuto telegramma di V. E. n. 299, Biilow mi diceva ne sarebbe preoccupato e spiacente per insuccesso che Mac Donald e Simon riconoscerebbero aver riportato in loro iniziativa.

Circa data eventuale riunione a Londra, Biilow mi ha detto avergli Neurath fatto sapere che egli preferirebbe vederla rinviata 17-18 ottobre. Data più vicina non sembra qui accettabile per necessità preparazione, sia pure superficiale, ora impossibile compiere perché si discute ancora a Ginevra e perché esperti non sono ancora di là ritornati.

Delegazione tedesca sarebbe intanto composta Neurath, Nadolny, qualche esperto e segretari.

(l) -Cfr. n. 231. Annotazione a margine di Suvich del 7 ottobre. «Il Capo del Governo è d'accordo». (2) -Cfr. n. 306, nota l, p. 411. Il numero 237 è il protocollo particolare con cui il telegramma venne inviato a Berlino.
312

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLlNI

T. 3487/31 R. Ginevra, 6 ottobre 1932, ore 21,56 (per. ore 23,45).

Cadogan mi ha detto s~amane che Simon non tornerà a Ginevra che nel corso della prossima settimana e quasi certamente non prima di mercoledì 12. Data precisa dipenderà daJle circostanze.

Anche Boncour esclude che possano aver luogo conversazioni politiche fra capi delegazione prima di 4 o 5 giorni.

Ambienti francesi affettano di non vedere ragioni per preoccuparsi dell'assenza della Germania dalla conferenza e rimproverano all'Inghilterra di incoraggiare intransigenza tedesca mostrando eccessiva premura per la ripresa dei contatti e dei negoziati sulla questione della uguaglianza di diritto.

Collega americano Wilson mi ha detto che Norman Davis partito ieri per Londra, si è fermato a Parigi per rendersi conto delle disposizioni francesi nei riguardi della questione navale. Scopo del viaggio di Davis è di cercare di conciliare proposte britanniche per riduzione degli armamenti navali con proposte americane contenute nel piano Hoover e nel tempo stesso di indurre Francia ad accordarsi con l'Italia sulla base dell'accordo del l o marzo. Wilson mi ha assicurato che mi terrà al corrente dei risultati di questo viaggio.

Anche da molti altri indizi appare evidente che delegazione americana intende fare massimo sforzo per regolare questione navale. Nella mente di Davis, intesa in tale campo dovrebbe condurre verso accordo di massima fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia e Francia anche nei riguardi della questione della uguaglianza di diritto.

Sembra ormai escluso che ufficio di presidenza possa essere convocato per 10 corrente. Si ritiene sarà rinviato di almeno una settimana.

313

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLlNI

T. 3517/631 R. Berlino, 8 ottobre 1932, ore 14 (per. ore 16,40).

Ministero degli affari esteri tedesco mi ha comunicato il testo della nota di risposta all'incaricato d'affari d'Inghilterra a Berlino circa accettazione invito conferenza a quattro.

Riassumo testo e invio per corriere martedì copia.

Governo tedesco si dichiara sempre pronto entrare scambio di idee con i Governi elencati nella nota inglese invito (Francia, Inghilterra, Italia e Germa

nia). Dichiara appoggiarsi su dichiarazione finale Losanna e cita -trascrivo qui appref.w testo -«trovare nuovo ordinamento che renda possibile ristabilimento e aumento fiducia popoli in spirito comune conciliazione collaborazione e giustizia.».

Aggiunge che se tali idee costituiscono punto partenza riunione proposta, Governo tedesco spera in soluzione che renda possibile nuova partecipazione lavori conferenza disarmo di cui desidera esito favorevole. Conclude che non può però dissimulare che conversazioni su basi note francese ed inglese 11 e 18 settembre difficilmente condurrebbero scopo intesa su questioni contestate.

Per data riunione Governo tedesco preferirebbe data posteriore quella proposta in considerazione assemblea Ginevra.

314

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3521/616 R. Londra, 8 ottobre 1932, ore 17,05 (per. ore 22,30J.

Mio telegramma n. 609 (1).

Sottosegretario permanente Foreign Office mi ha stamane convocato per comunicarmi che è giunta a questo Governo risposta Governo tedesco, il quale accetta proposta riunione, ma fa conoscere che non potrebbe parteciparvi prima del 17 corrente.

Governo francese ha accettato «in principio», ma preferirebbe che riunione fosse tenuta a Ginevra.

Luogo e data rimangono quindi tuttora incerti.

Poiché apertura Parlamento britannico cade tuttavia proprio 17 corrente, Vansittart prevede che in definitiva riunione non potrà tenersi prima del 20 corrente. Circa luogo, questo Governo preferirebbe naturalmente Londra ma non si opporrà, purché riunione avvenga, alla scelta di Ginevra, benché preveda che colà si potranno incontrare maggiori difficoltà e complicazioni.

Questo Governo non ha ancora avuto risposta dagli Stati Uniti circa loro partecipazione con un osservatore. Vansittart mi ha pregato far conoscere a V. E. che Governo britannico è sicuro che R. Governo concorda nel ritenere tale partecipazione altamente desiderabile e che contribuirà quindi validamente ad attenerla.

Ripetutamente Vansittart ha detto quanto pronta accettazione V. E. proposta britannica fosse stata apprezzata da questo Governo. Ambasciata d'Inghilterra in Roma è stata già incaricata rendersi interprete tali sentimenti; egli mi ha tuttavia pregato di ringraziare ancora una volta V. E. Ha aggiunto che stretta collaborazione due Governi «che hanno gli stessi principi in tale grave problema>> è considerata da Governo britannico di immensa importanza. * Ha

accennato a questo proposito, in via confidenziale, come idea francese di estendere invito ad altre Potenze non sia considerata da Governo britannico opportuna. È sicuro Governo italiano concorderà in questo punto di vista. Gli risulta anche il Governo tedesco è di tale opinione* (1).

(l) Cfr. n. 309.

315

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3531/633 R. Berlino, 8 ottobre 1932, ore 20,22 (per. ore 22,30).

Ko.epke mi ha detto che ambasciatore di Francia si è recato da lui per chiedere, non per incarico proprio Governo ma a scopo informativo, se Governo tedesco acconsentirebbe eventualmente che progettata riunione avesse luogo Ginevra anziché Londra.

Koepke ha risposto ad ambasciatore di Francia che Governo tedesco avrebbe preferito Londra per ragioni vicinanza ma che ad eventuale trasferimento a Ginevra non avrebbe opposto obiezione sostanziale, a condizione che non abbia luogo a Ginevra nel medesimo tempo delle riunioni della conferenza disarmo del bureau conferenza stessa o riferentisi ad ogni modo quell'argomento. Ciò, mi ha spiegato Koepke, per evidente ragione di riguardo opinione pubblica in seguito reciso atteggiamento Governo tedesco non partecipare qualsiasi discussione disarmo se prima non fosse riconosciuta Germania parità diritti in materia armamenti.

Per quanto si riferisce partecipazione Belgio, Stati Piccola Intesa, Koepke mi ha detto che Governo tedesco non ha anco.ra deciso suo definitivo atteggiamento, ma essere sicuro che esso non si sarebbe opposto a eventuale proposta francese in tal caso. Tuttavia da parte tedesca si sarebbe fatta riserva in tal caso su possibilità allargare oggetto discussioni stesse: non più motivo allontanamento Germania da Ginevra, cioè questione riconoscimento parità diritti, ma tutta materia disarmo in genere.

Koepke aggiungeva infine che se la Francia voleva chiamare suoi amici a discutere, probabilmente Germania avrebbe fatto altrettanto con proporre convocazione Austria, Ungheria, Turchia e, sia detto fra noi, mi diceva sempre Koepke, anche Russia.

Koepk.e mi ha detto non avere finora notizie ufficiali circa atteggiamento francese. Per America è sua opinione personale finirà con mandare osservatore.

(per Parigi, Berlino) -E' stato risposto al R. incaricato d'affari In Londra che Il R. Governo non ha difficoltà acchè riunione abbia luogo Ginevra e che condivide punto di vista Governo britannico circa opportunità partecipazione Stati Uniti ».

30 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Circa voci sparse ieri l'altro che Governo inglese aveva rinunciato suo progetto (mi rife.risco mio telegramma n. 626) (1), Koepke mi ha detto essere indiscrezioni funzionari Foreign Office a giornalisti inglesi rispecchianti pessimismo prevalente in quel momento. In seguito è prevalsa invece a Foreign Office opinione possibilità continuare tentativi.

(1) Questo telegramma, ad eccezione del brano fra asterischi, venne rltrasmesso con t. 1044 dell'H ottobre a Washlngton, Berlino, Ginevra e Parigi, con l'aggiunta seguente: «(per Washlngton) -Informo V. E. che anche noi vedremmo con piacere se a codesto Governo fosse possibile di partecipare alla conferenza proposta dal Governo britannico.

316

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3522/582 R. Washington, 8 ottobre 1932, ore 22,05 (per. ore 0,30 del 9).

Sottosegretario di Stato mi ha detto iersera che la visita di Norman Davis a Londra ha per iscopo di stipulare possibilmente un compromesso nella nota divergenza sorta tra gli Stati Uniti e l'Inghilterra sul terreno del disarmo navale e ravvivata in occasione della proposta del presidente Hoover.

Egli mi confermò quanto mi disse Rogers il 29 settembre scorso (mio telegramma n. 560) (2) circa l'interesse specifico americano che la questione navale ha messo in opera. Rammentò anche quanto lo stesso Castle mi dichiarò il 18 agosto scorso (mio telegramma n. 476) (2) circa la necessità di preliminari scambi d'idee conclusivi .fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

Durante la conversazione si è anche accennato alla risposta americana alla proposta britannica per la conferenza a Londra, e Castle mi ha ripetuto quanto mi disse Stimson (mio telegramma n. 576 (2) cioè che tale risposta è motivata dal desiderio di non essere coinvolti in discussioni relative al trattato di Versailles.

castle lasciò cade.re le mie allusioni a possibili diverse motivazioni della presente attitudine americana.

Nonostante queste reticenze sia di Castle che di Stimson (mio telegramma confidenziale n. 479) (2) si può ritenere confermato che tra Parigi e Washington sono avvenuti contatti sulla base di reciproco appoggio nella questione di Estremo Oriente da un lato e della parità germanica dall'altro. Mi riferisco ai miei telegrammi nn. 540 del 21 settembre (3) e 448 del l o agosto (2).

Strumento di tali contatti sarebbe stato tra altri il senatore Reed a Parigi. Ma non sfugge a qualche acuto osservatore, anche americano, che questo Governo, preoccupato della necessità elettorale di evitare uno scacco diplomatico nella questione di Manciuria, va incontro ad un amaro disinganno, con inevitabile reazione in questa opinione pubblica.

Una continuata collaborazione da parte della Francia alla politica americana in Estremo Oriente non è prevedibile quando si tenga conto degli esistenti accordi franco -giapponesi.

(l) -Cfr. n. 311. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. n. 272.
317

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY

APPUNTO. Roma, 10 ottobre 1932.

Il Ministro di Ungheria mi ha confermato che la politica del nuovo Presidente GombOs è assolutamente nella stessa linea di quella del conte Bethlen, se mai di fronte all'estero la politica di intesa con l'Italia può apparire ancora accentuata.

Mi ha chiesto di riprendere le trattative per gli accordi del Semmering che si erano rimandate a dopo Stresa, e se il 17 corrente può venire a Roma il delegato ungherese.

Ho risposto affermativamente, avvertendolo delle difficoltà che c'erano per la ripercussione sul nostro mercato agricolo, ma dandogli assicurazioni della nostra buona volontà di venire incontro al desiderio dell'Ungheria.

318

L'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

R. R. 1833/948. Madrid, 10 ottobre 1932 (per. il 20).

Ho fatto oggi la mia prima visita a questo Ministro degli Affari Esteri, Signor Zulueta, recentemente ritornato da Ginevra.

Intellettuale e incapace di dissimulare la propria mentalità letteraria come la maggior parte degli uomini politici spagnuoli del momento, ad eccezione forse del Capo del Governo Azafia, egli mi ha parlato subito della sua ammirazione per Dante. E ciò mi ha dato occasione, dopo il solito scambio di cortesi espressioni, di dirgli come gli stranieri dovrebbero cercare di comprendere ed amare non solo i grandi spiriti dell'Italia antica ma anche gli italiani di oggi, i quali, rinnovando secondo le esigenze dei tempi idealità ed opere, sono inspirati dalla volontà di non mostrarsi indegni dei Padri.

Ho detto al Signor Zulueta che fin dal primo giorno del mio arrivo a Madrid sono rimasto dolorosamente impressionato nel constatare quali ingiusti ed assurdi sentimenti nutre una gran parte dell'opinione pubblica spagnuola repubblicana e della stampa nei riguardi dell'Italia Fascista. È ben vero che occorre tener presenti le attuali condizioni della Spagna, nata si può dire ieri alla discussione ed alla realizzazione di idee e di principi che altri popoli europei hanno vagliati, esperimentati e superati da tempo. È pur vero che i nemici del Fascismo hanno trovato qui un terreno vergine e disposto a favorire inconsciamente la cultura dei germi che essi vi hanno inoculati. Ed è vero infine che le forze sociali che in un primo tempo hanno collaborato

efficacemente al successo della rivoluzione ed ora possono esercitare un'influenza grandissima sulla stabilità del nuovo ordine di cose, hanno imposto alla giovane Repubblica spagnuola un'etichetta ed un programma che specialmente dal punto di vista formale debbono mettersi per forza in antitesi col Fascismo. Ma fatta la debita tara della malafede o almeno del «partito preso», rimane pur sempre una gran dose di ignoranza, e di malvolere nel mettersi a studiare serenamente ed imparzialmente il contenuto ideale e le realizzazioni pratiche del Fascismo.

Sopratutto, qui non si vuole comprendere come, quali che siano gli ordinamenti che ciascun popolo intende dare alla sua vita politica, gli interessi fondamentali dell'Italia e della Spagna non cessano di avere dei molteplici ed importanti punti di contatto per il solo motivo che l'Italia Fascista ha mantenuto cordiali rapporti con la decaduta Monarchia e con la sedicente dittatura del Signor Primo de Rivera. Ai tempi di quest'ultimo i suoi oppositori non potendo apertamente attaccarlo credevano di colpirlo attaccando il Fascismo. Ed ora par quasi che continuino in questo sistema, per esercitare vendette contro gli errori ed i mali che si attribuiscono alla Monarchia ed alla Dittatura.

La stampa spagnuola ancora in questi ultimi giorni rimette a nuovo le frottole (di cui il Governo di Madrid non può ignorare la falsità) circa i pretesi accordi segreti tra il Governo Fascista ed il Governo De Rivera, e quasi quotidianamente si lanciano allarmi ed insinuazioni sui propositi e sugli atteggiamenti bellicosi dell'Italia Fascista « sovvertitrice della pace europea». Ciò rassomiglia alle esplosioni che si verificarono in alcuni paesi esteri nei primi anni del Fascismo e che ora, dopo dieci anni, si sono dappertutto calmate, mentre persino in Francia non restano che quelle determinate dalla esclusiva mala fede o dai contrasti immanenti della politica mondiale. In !spagna, paese anacronistico per eccellenza, continuano ancora, ma la vernice nuova che si mette su questi vecchi luoghi comuni non potrà certo servire per molto tempo a dar loro freschezza.

Molto diversi invece sono i sentimenti dell'opinione pubblica italiana, giacché da noi si assiste tranquillamente a queste viete elucubrazioni spagnuole, si considera che la Spagna attraversa un periodo di trasformazione sociale necessario alla sua più intensa partecipazione alla vita delle Nazioni moderne, e sopratutto si è convinti dell'utilità per il nostro Paese che lo Stato spagnuolo si consolidi e si fortifichi per affermare la propria indipendente volontà nazionale. I repubblicani spagnuoli seri riconoscono del resto anch'essi che né l'Inghilterra né sopratutto la Francia possono desiderare una Spagna veramente forte e veramente autonoma, mentre il solo Paese che può avere interessi in questo senso è proprio l'Italia.

Io dunque -ho aggiunto al Signor Zulueta -sono venuto a Madrid colle migliori intenzioni di lavorare ad un riavvicinamento spirituale fra i nostri due Paesi, cercando di neutralizzare prima e trasformare poi quelle artificiose correnti contrarie che si sono determinate negli ultimi tempi. Mi rendo conto delle difficoltà contro cui mi urto ed anche della necessità di procedere con calma e con prudenza per evitare nei primi tempi sospetti, diffidenze e ostilità, ma conto sulla buona volontà dell'attuale Governo spagnuolo e specialmente sulla amichevole collaborazione del Ministro degli Affari Esteri per aiutarmi in quest'opera che mi sembra utile non solo all'Italia ma anche alla Spagna.

Il Signor Zulueta mi ha risposto che riconosceva in massima il giusto fondamento di quanto io gli avevo esposto, che mi prometteva la sua collaborazione cordiale, ma che io dovevo aver molta pazienza nello svolgimento del mio lavoro giacché le divergenze di politica sociale ed interna pesavano ed avrebbero continuato a pesare per molto tempo ancora sui rapporti fra i nostri due Paesi. Che il problema della stampa preoccupava moltissimo il Governo spagnuolo anche agli effetti interni, ma che questo non era ancora in grado di affrontarlo decisamente, e che infine pur convenendo che in molte occasioni i Governi italiano e spagnuolo potevano trovarsi in pieno accordo sulle questioni di politica estera, era ancora necessario non mettere ciò in evidenza dinanzi al pubblico perché le solite correnti contrarie avrebbero potuto intralciare la nostra opera.

Siffatte dichiarazioni del Ministro degli Affari Esteri dimostrano quali e quante siano ancora le preoccupazioni di politica interna dell'attuale Governo spagnuolo nonché la coscienza persistente della scarsità delle sue forze, pur sembrando che queste tendano ad aumentare.

Ho risposto al Signor Zulueta che io preferivo lavorare in profondità e non alla superficie e che egli avrebbe trovato in me la maggior possibile comprensione e persino la buona disposizione ad esercitare in certi limiti la virtù della pazienza. Avrei voluto dargliene anzi una prova evitando di parlargli nella mia prima visita di un fatto che mi era riuscito molto sgradevole. Ma poiché i nostri contatti si erano iniziati in modo così cordiale era meglio che io gli dicessi francamente come un Ministro dell'attuale Gabinetto, il Signor Largo Caballero, Ministro del Lavoro, avesse fatto recentemente cosa poco conforme alla correttezza delle relazioni internazionali presentandosi nella pubblica riunione del Congresso Socialista al braccio di un rinnegato italiano quale il Signor Modigliani, ed assistendo impassibile in tale amena compagnia ad una dimostrazione contro il Fascismo improvvisata dai presenti in onore dello stesso modigliani, a base delle solite grida di morte e di abbasso.

Io comprendevo molte cose e sopratutto la situazione dell'attuale Governo di fronte al partito socialista, quale si era palesata anche nel seguito delle discussioni del Congresso, ma non potevo fare a meno di rilevare la scorrettezza insita nel contegno del Signor Largo Caballero (di cui forse questi non si rendeva neanche conto) nonché le reazioni che esso poteva determinare presso di noi. Sapevo che l'Ambasciatore di Spagna a Roma, Signor Alomar, aveva fatto recentemente un passo amichevole per segnalare la pretesa presenza a Roma del Generale Barrera, implicato nel fallito complotto del Generale Sanjurjo, e che aveva lasciato quasi comprendere il desiderio del Governo spagnuolo che non gli si desse ospitalità in Italia (1). Che cosa si sarebbe detto in !spagna se un Ministro del Governo italiano si fosse presentato in pubblico al braccio del Generale Barrera ed avesse assistito ad una manifestazione contro la Repubblica spagnuola? Il Signor Zulueta ha mostrato di convenire nelle mie considerazioni.

Ritornando al tema della politica estera, ho detto poi a questo Ministro degli Affari Esteri di aver rilevato con piacere il suo desiderio generalmente affermato di prendere una parte attiva ai lavori di Ginevra. A mio parere egli avrebbe avuto modo a poco a poco di rendersi meglio conto dei punti di vista del Governo italiano e constatare come nelle grandi questioni europee che si vanno attualmente discutendo i veri interessi della Spagna troverebbero nelle nostre tesi una maggiore corrispondenza.

Se effettivamente il Signor Zulueta persevererà nei suoi desideri di rappresentare a Ginevra una parte più attiva, pur adoperandosi piuttosto a curare anche in quella sede le manifestazioni di solidarietà ibero-americana, mi sembra che i Delegati italiani troverebbero vantaggio a mantenere più stretti contatti con lui, specialmente quando occorra guadagnare i voti dei Paesi sudamericani. Col dovuto accorgimento si potrà forse modificare gradatamente in questo Ministero degli Affari Esteri quella supina totale acquiescenza alla Francia che informava a Ginevra l'atteggiamento del delegato della Spagna monarchica, Signor Quifiones de Leon. Il timido risvegliarsi dello spirito nazionalista non ha mancato infatti di provocare nell'opinione pubblica spagnuola qualche acerba critica contro il contegno di questo ex diplomatico monarchico, assolutamente francesizzato (1).

(l) Ed. In GuARIGLIA, Ambasciata in Spagna e primi passi in diplomazia, pp. 188-191.

(l) Cfr. n. 243.

319

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3550/619 R. Londra, 11 ottobre 1932, ore 1,20 (per. ore 8).

Mio telegramma n. 616 (2).

Avevo chiesto stamane appuntamento a Selby per intrattenerlo notizia visita Herriot a Londra di cui Vansittart non mi aveva affatto parlato durante conversazione sabato. Poco dopo aver saputo che colloquio era stato fissato per il pomeriggio di oggi, ricevevo comunicazione che Simon stesso desiderava parlarmi.

Simon mi disse che si era preoccupato, in seguito pubblicazioni giornali durante la visita di Herriot a Londra, che a Roma si potesse avere impressione che il Governo britannico stesse procedendo a qualche cosa di decisivo d'accordo con Governo francese all'insaputa di quello italiano. Impressione del genere si era già avuta -e gli rincresceva profondamente -dopo Losanna. Era suo fermo desiderio che ciò non avvenisse una seconda volta e specialmente dopo pronta adesione di V. E. invito inglese.

Dopo aver chiesto formale autorizzazione primo ministro e pienamente d'accordo con lui, mi aveva quindi chiamato per espormi esattamente la situazione e pregarmi di riferire ora a V. E., mentre dava istruzioni a codesta ambasciata britannica fare altrettanto dal canto suo.

Dopo avere riassunto situazione in termini analoghi a quelli di Vansittart sabato scorso Simon mi ha precisato che le esitazioni tedesche furono vinte dopo ripetute pressioni da parte del Governo britannico. Egli è sicuro che altrettanto ha fatto Governo italiano e di ciò è grato a V. E.

Da parte francese furono fin da principio e continuano ad essere sollevate difficoltà. Simon mi accennò al colloquio da lui avuto con Herriot a Parigi. Herriot gli disse che Boncour gli aveva presentato un suo piano che egli stava ancora esaminando. Di tale piano Simon non ha avuto particolari né ulteriori notizie, ma se, come viene pubblicato giornali (mio telegramma-stampa di ieri e di oggi) è una specie riesumazione del progetto Tardieu, non si augura molto da esso.

Contrariamente a quanto stampa ha pubblicato, Simon mi ha quindi affermato che Herriot di sua iniziativa aveva fatto conoscere a questo Governo suo desiderio venire a Londra. Simon prevede che visita possa aver luogo giovedì prossimo; presume che scopo visita di Herriot sia duplice:

lo -Esporre ragioni per le quali preferisce che riunione abbia luogo a Ginevra.

2° -Comunicare le linee generali del nuovo piano francese.

Simon mi ha espresso e ripetutamente pregato di assicurare V. E.:

l) -Che nessuna decisione sarà presa nei colloqui di Londra con Herriot.

2) -Che egli terrà prontamente informato il Governo italiano dello svolgimento di tali colloqui.

3) -Che il primo ministro ed egli stesso « consiglieranno fermamente » Herriot a riconoscere «in principio» la parità di diritti; circa luogo di riunione Simon mi ha ripetuto che, purché essa avvenga, Governo britannico non si ostinerà su Londra, ma ha intenzione negoziare proprio consenso alla scelta di Ginevra contro rinunzia francese ad estendere invito ad altri Stati minori.

Circa data, poiché 17 corrente si apre Camera dei Comuni e 24 corrente avrà luogo discussione su accordi Ottawa, Simon prevede che riunione non possa avvenire prima 25 ottobre.

Riguardo alla partecipazione americana Simon mi ha detto di avere avuto durante «week-end » lunghi colloqui con Norman Davis. Ciò significa -ha chiarito Simon -che americani invieranno osservatore solo se riunione sarà tenuta a Ginevra.

Simon ha infine lungamente insistito su concetti collaborazione ideale già espressi da Vansittart a Davis, attualmente a Londra. Opinione questo ultimo è che Stati Uniti d'America del Nord invieranno osservatore alla riunione qualora essa sia tenuta nell'ambito di un semplice incidente della conferenza del disarmo. Se invece assumesse carattere di qualche cosa di nuovo, difficilmente prima elezioni Hoover potrebbe decidere partecipazione, aggiungendo che è interesse e dovere dell'Italia e dell'Inghilterra di agire di comune accordo per comporre controversia franco-tedesca.

(l) -Il documento reca Il visto di Mussollni. (2) -Cfr. n. 314.
320

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1043 R. Roma, 11 ottobre 1932, ore 16,30.

(Per Londra): Suo 616 (1).

(Per Ginevra): Ho telegrafato a Londra quanto segue:

(Per tutti): Alla prossima occasione V. S. potrà ringraziare codesto Governo per sue simpatiche espressioni nei nostri riguardi. Consideriamo cooperazione itala-britannica attuale fase conferenza disarmo come continuazione politica collaborazione dei due paesi che da lungo tempo si adoperano per pacifica soluzione questioni dopoguerra. In questo ordine di idee qualunque ulteriore scambio di vedute che codesto Governo crederà di avere con noi per questione disarmo ci troverà volenterosi a collaborare con esso per superare nel miglior modo attuali serie difficoltà.

V. S. potrà inoltre far conoscere: l) che R. Governo non ha difficoltà acché riunione abbia luogo a Ginevra piuttosto che a Londra. 2) Che R. Governo condivide parere Governo britannico circa opportunità partecipazione Stati Uniti e ne informa in relazione R. ambasciatore a Washington. 3) Per quanto riguarda proposta francese partecipazione altre Potenze ove gliene venga parlato

V. S. potrà accennare telegramma da Berlino che le comunico a parte (2) dal quale risulterebbe che questione sarebbe già superata nel senso di estendere gll inviti.

321

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL MINISTRO DELLA GUERRA FRANCESE, PAUL-BONCOUR

APPUNTO. Ginevra, 11 ottobre 1932.

Stasera, appena giunto, ho avuto un colloquio con Paul Boncour che ·aveva manifestato il desiderio di vedermi. Egli è rimasto a Ginevra per attendere la mia venuta ed è .ripartito questa sera stessa per Parigi per partecipare a un Consiglio dei Ministri e per curare la sua rielezione a Senatore del Dipartimento di Lot-et-Cher.

Mi ha parlato della questione della riforma del Segretariato della Società delle Nazioni. Gli ho detto che pur non facendo alcuna opposizione di principio ai desiderata delle Piccole Potenze, tendenti all'ottenimento di una rappresentanza negli alti posti del Segretariato, non potevo ammettere che questa rappresentanza fosse concessa a spesa di quelle già esistenti. Pertanto se si potesse risolvere il problema mediante una semplice aggiunta di uno o anche di due nuovi posti di vice-segretari generali da riservarsi alle Piccole Potenze,

lasciando intatto lo statu quo per quanto riguarda la situazione delle grandi Potenze e concedendo, beninteso, il posto di Segretario generale aggiunto all'Italia, noi saremmo disposti a dare il nostro consenso. Boncour, che si è rivelato molto conciliante verso il nostro atteggiamento in questa questione, e che ha tenuto a esprimermi la speranza che anche intorno ad altre questioni ci sia dato di lavorare in buon accordo, mi ha assicurato che darà tutto il suo appoggio a questa nostra soluzione del problema della riforma del Segretariato, pur non dissimulando le difficoltà del suo compito.

Quanto al disarmo, mi ha detto che il contro-progetto francese di sicurezza è tuttora in faticosa gestazione e che ci verrà subito comunicato non appena avrà assunto la sua forma definitiva. In questo frattempo non vi sarà alcuna discussione di carattere politico a Londra dove Herriot si reca, ha tenuto a farmi rilevare Boncour, «a titolo puramente amichevole». Secondo Boncour non vi è dubbio che la Conferenza di Londra non avrà più luogo e che la trattazione del disarmo sarà fatta a Ginevra.

Stando così le cose, a me sembra conveniente che questa discussione venga rimandata a dopo le elezioni tedesche ed americane, le quali potranno forse portare a una chiarificazione della situazione o, per lo meno, a quel minimo di libertà di movimenti delle rispettive delegazioni che oggi manca e senza di cui è vano tentar di trattare (1).

(l) -Cfr. n. 314. (2) -Si tratta probabilmente del n. 315.
322

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL DELEGATO CECOSLOVACCO ALLA SOCIETA DELLE NAZIONI, OSUSKY

APPUNTO. Ginevra, 11 ottobre 1932.

È venuto a parlarmi della questione della riforma del Segretario Generale della Società delle Nazioni. Ho esposto a lui quanto avevo già detto a Boncour (2), dimostrando una certa intransigenza verso la soluzione che egli veniva a propormi. Ciò ho fatto per potermi eventualmente riservare in un secondo tempo l'accettazione dell'altro progetto ventilato in questi ambienti relativo alla istituzione di due posti di Segretario generale aggiunto da riservarsi uno all'Italia e uno alle piccole Potenze, lasciando invariato il numero dei Vice-Segretari generali. Osuski, che evidentemente aveva avuto in precedenza da Boncour l'incarico di sondare la mia linea di condotta, mi ha promesso di far tutto il possibile per aiutare a varare una soluzione che riuscisse gradita all'Italia, cercando di superare i non lievi ostacoli che frappongono le piccole Potenze.

Si è infatti verificata in questi ultimi tempi a Ginevra una vera ondata di demagogia delle piccole Potenze. Capeggiate dal noto delegato spagnuolo Madariaga, che mirerebbe ad assicurarsi la direzione del movimento, esse tendono a profittare del momento politico per rinforzare la loro posizione in

seno alla Società delle Nazioni. Questa tendenza va di giorno in giorno accentuandosi e io credo perciò che sia opportuno cercar di liquidare al più presto la questione della riforma del Segretariato per evitare che con l'ingrossarsi dell'ondata abbiano a crescere anche gli appetiti e le pretese.

(l) -Il documento reca 11 visto di Mussolinl. (2) -Cfr. n. 321.
323

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 11 ottobre 1932.

His Majesty's Embassy have been instructed to inform the Italian Government of the substance of the replies which have been received from the German and French Governments to the invitation to attend a meeting in London to discuss the situation arising from the German withdrawal from the Disarmament Conference.

The Germany Government have declared themselves ready at any time to enter into a frank exchange of views. They feel conftrmed in this attitude by the declaration of Lausanne, according to which, in addition to results then achieved a soiution of other outstanding questions shall be sought with the intention of creating « a new order promoting the establishment and development of conftdence between the nations in a mutuai spirit of reconciliation, collaboration and justice ». If these guiding principles of the declaration of Lausanne are taken as the starting point of the meeting proposed by His Majesty's Government, the German Government hope that it will be possible to find a solution which will enable Germany to resume participation in the Disarmament Conference. The German Government cannot conceal, however, their convinction that a conversation on the basis of the French and English notes of September 11th and September 18th las t would be unlikeiy to Iead to an understanding. As regards the date of the proposed meeting, the German Government, having regard to the Assembly of the League in Geneva, would prefer a somewhat Iater date than that suggestd by His Majesty's Government.

His Majesty's Chargé d'Affaires in Berlin, on reading the text of the German repiy, enquired of the Secretary of State whether the German acceptance might be regarded as « unconditionai or conditionai ». The Secretary of State replied: « unconditionai », but drew attention to the words « with Governments mentioned » in the British invitation, and said that if there were an aiteration in this respect the German Government might desire to consider their reply further. As regards the date of the meeting he did not think that a date earlier than October 17th would be convenient. He finally said that he had just Iearnt from a member of the French Embassy at Berlin that the French Government might prefer Geneva as a meeting piace. His Majesty's chargé d'Affaires asked the German Secretary of State whether an alteration in the meeting piace might affect the German repiy. The Secretary of State answered that London would be preferred, but .if necessary Geneva couid be considered.

The substance of the reply of the French Government to the invitation

i<> as follows:

The French Government are not unfavourable to conversation between the

powers in accordance with the procedure suggested. But as these conversations

can only be of a semi-official and preliminary nature, the French Government

request that they should take piace at Geneva in the framework of the League

of Nations, which can alone take a final decision, with the collaboratlon of

all parties concerned.

324

IL MAGGIORE RENZETTI A ...

Berlino, 11 ottobre 1932.

Ho fatto oggi colazione con Géiring al quale ho raccontato le prodezze della Commissione tedesca a Roma 0). Géiring mi ha risposto che non si meravigliava affatto del contegno di quei tedeschi i quali sono gli stessi di quelli di anteguerra: essi finiranno col rovinare la Germania, con l'isolarla e cacciarla in una guerra. Gli ho detto che se conosceva il nuovo ambasciatore tedesco a Roma, avrebbe dovuto raccomandargli di non fare come il precedente che così nel caso «Zollunion 1;, come in quello della nota degli armamenti, aveva commesso l'errore -gravissimo non solo politicamente ma anche psicologicamente -di non darne alcuna notizia al Duce. Il nuovo Ambasciatore deve agire con tutta sincerità, ascoltare il parere ed i consigli del Duce il quale non pensa solo all'Italia, ma alla Germania e all'Europa intera. Egli, si capisce, difende gli interessi italiani, ma li pone sempre in relazione a quelli delle nazioni amiche e del continente nel quale viviamo. Géiring mi ha risposto che Hassel sarebbe andato domani a trovarlo e che naturalmente egli gli avrebbe detto quanto io gli avevo segnalato: che inoltre avrebbe desiderato che anch'io avessi avuto un colloquio con il partente (lo vedrò giovedì 13) (2).

Goring mi ha detto che Hitler vorrebbe recarsi a Roma in occasione delle manifestazioni per il Decennale per ossequiare il Duce e nello stesso tempo per osservare le mostre e le manifestazioni stesse. Gli ho risposto -e io ho avuto buon gioco adesso -che in luglio la visita non avrebbe suscitato alcun scalpore dato che non esisteva il dissidio noto tra Governo e nazionalsocialisti: che ad ogni modo io avrei riferito del desiderio stesso, di intervenire cioè al Decennale della Marcia su Roma, e che avrei dato una risposta non appena ricevute istruzioni.

«Oggi ho avuto un colloquio con il Ministro per l'alimentazione von Braun. Gli ho subito ed esplicitamente detto del contegno arrogante tenuto a Roma dalla Delegazione tedesca incaricata di risolvere la questione delle divise: della offerta fattaci di accordarcene per l'uva dichiarando con ciò di voler favorire l'Italia mentre la stessa concessione, e noi lo sapevamogià, era stata fatta prima di noi alla Francia. Ho insistito motto su questo argomento e ho dichiarato al Ministro che i tedeschi debbono abituarsi a trattare con gli italiani di oggi in maniera ben diversa da quella usata nell'anteguerra, a comportarsi secondo quelle regole di educazione che noi italiani costantemente seguiamo. Il fatto, ho aggiunto poi, è da deplorare anche per un altro motivo: perchè avendo favorito In tutti l modi la Germania l'Italia attendeva da questa un altro contegno In cambio contegno sincero e cordiale, arrendevolezza nello studio della questione che se è importante per l'Italia, non lo è di meno per la Germania ».

Goring mi ha anche detto di desiderare di partecipare al Congresso accademico del novembre. Seldte, Hugenberg interverranno: dei nazi, tolto la quantità trascurabile Rosenberg, non vi è alcuno. Goring ha aggiunto di non voler tenere conferenze o discorsi, ma di desiderare un invito per ragioni di prestigio. La domanda mi pare ragionevole (egli rinuncia a rimborsi di spese ecc. ecc.) tanto più poi che Goring è realmente un sincero e provato amico del nostro Paese, per cui si è sempre battuto qui, e che sono stati invitati dei capi partito tedeschi.

Le previsioni per le prossime elezioni sono sempre vaghe. Da parte dei nazi si ammette una certa stanchezza elettorale e si ritiene possibile la perdita di alcuni mandati. Si dà per certo un notevole aumento dei voti comunisti.

Ad ogni modo finora non vi sono dati certi su cui esprimere dei giudizi: bisognerà attendere qualche settimana ancora prima di formulare delle previsioni serie.

(l) Allude alle trattative commerciali !taio-tedesche. Sulla questione cfr. il seguente brano di un'altra relazione di Renzetti dello stesso 11 ottobre:

(2) Cfr. n. 331.

325

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3570/586 R. Washington, 12 ottobre 1932, ore 5,06 (per. ore 2,40 del 13). Mio telegramma di ieri n. 585 (1).

Castle mi ha detto che questo Governo non aveva avuto alcuna comunicazione circa il programma di Herriot, esposto nelle corrispondenze telegrafiche dall'Europa, consistente in cinque punti. Egli propende anzi a ritenere che il proposito di Herriot sia sostanzialmente diverso, in quanto Herriot ha detto che il programma che si proponeva di mettere avanti è in armonia con la proposta Hoover. Castle non mi disse a chi Herriot avrebbe espresso tale concetto. Castle però osservò che una parte del programma esposto dalle corrispondenze è completamente estranea alla proposta Hoover e che qualunque progetto di abbinare la questione del disarmo con impegni per l'uso della forza contro i trasgressori sarebbe in contraddizione con tutte le direttive politiche americane.

326

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3567/504 R. Parigi, 12 ottobre 1932, ore 13,35 (per. ore 17,30).

Boncour, esponendo oggi al consiglio dei ministri piano costruttivo francese, comunicherà adesione, eventualmente di massima, Belgio, Piccola Intesa, Polonia e Grecia, ottenuta in una riunione che ha avuto luogo Ginevra con rappresentanti anzidetti Stati. Progetto che Herriot presenterà domani a MacDonald non è dunque soltanto piano francese ma quello di 7 delegazioni.

(l) T. 3557/585 R., non pubblicato.

327

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3575/622 R. Londra, 12 ottobre 1932, ore 21,30 (per. ore 22,40).

Telegramma di V. E. n. 292 (1).

Durante conversazioni con Selby e Sargent, ho fatto comunicazioni prescrittemi da V. E. Nostra risposta alle dichiarazioni di Simon è stata accolta con evidente soddisfazione. Selby mi ha detto: «Dal Governo italiano riceviamo sempre pronte e ottime risposte ».

Entrambi mi hanno insistentemente confermato che Governo britannico desidera appunto continuare amichevole collaborazione con quello italiano per soluzione pacifica difficili problemi dopoguerra e che in tale spirito ci terranno informati svolgimento colloqui con Herriot che arriva questa sera a Londra.

Sargent stesso mi ha parlato idea francese estendere inviti riunione. Secondo le istruzioni di V. E. gli ho allora accennato le notizie da Berlino. Sargent, mi ha risposto che Foreign Office aveva ricevuto analoghe informazioni e che ritiene naturalmente molto probabile che se la Francia vorrà invitare suoi amici conferenza, Germania esigerà fare altrettanto. Ma nel pensiero del Governo britannico questione non è affatto superata e ha sempre intenzione tentare negoziare limitata partecipazione contro scelta Ginevra, secondo quanto mi disse Simon lunedì.

Netto pensiero questo Governo è che scopo immediato da raggiungere sia di arrivare a fare recedere Germania da atteggiamento assunto, per poter progredire nella causa del disarmo, e ciò potrà molto più facilmente attenersi in una riunione limitata alle quattro Grandi Potenze, più eventuale osservatore americano. Se in essa si potrà raggiungere ·decisione si penserà allora se del caso, ad estendere partecipazione ad altre Potenze minori interessate.

Infine Sargent ha smentito che esista, come alcuni giornali hanno pubblicato (mio telegramma stampa odierno n. 621) (2) un nuovo controprogetto britannico per disarmo.

328

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA DEL DISARMO, HENDERSON

APPUNTO. Ginevra, 12 ottobre 1932.

L'ho trovato molto irritato contro la linea di condotta del Governo inglese nella questione del disarmo. Egli era stato a Parigi, dove aveva avuto conversazioni con Herriot e con l'Ambasciatore inglese, ma nessuno dei due aveva creduto di confidargli l'intenzione del Governo inglese di invitare a Londra le quattro Potenze. Ha definito la condotta del Governo inglese: «it is neither correct

nor fair ». Adesso egli è ritornato a Ginevra per attendervi la visita di Neurath, promessagli per il giorno 11. Ieri sera ha invece ricevuto un telegramma di Neurath in cui questi lo informava che avendo la Germania accettato l'invito inglese alla Conferenza di Londra, egli non riteneva più opportuno di venire a Ginevra. Evidentemente Neurath cerca di districarsi dagli impegni ginevrini.

Henderson mi ha poi confermato che oggi Herriot va a Londra. Da notizie non ufficiali gli risulta che, dopo quello di Herriot, sarà il turno di Neurath a conferire con MacDonald. Henderson ha criticato questo modo di procedere dicendo che, secondo lui, unico modo di risolvere il problema è quello di convocare qui Herriot e Neurath in conversazioni preliminari, a cui invitare a partecipare anche le altre Potenze interessate.

Intanto egli ha intenzione di convocare prossimamente una riunione privata del Bureau del disarmo. In ultimo mi ha informato che lo schema francese è pronto e sarà esaminato dal Consiglio dei Ministri e dal Consiglio Supremo della Difesa (1).

(l) -Cfr. n. 320, che aveva li protocollo particolare per Londra 292. (2) -2442 R. s. [Nota del documento].
329

L'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

TELESPR. RR. 1846/958. Madrid, 12 ottobre 1932.

In occasione della decisione presa dal Governo f.rancese di internare a 600 Km. dalla frontiera spagnuola i fuorusciti monarchici spagnuoli, si parla in questi ambienti giornalistici della possibilità che il Re Alfonso abbandoni il territorio francese, e si cerca di insinuare che egli troverebbe amichevole ospitalità in Italia.

Ignoro se Sua Maestà abbia fatto o fatto fare qualche apertura al R. Governo in proposito, ma ho il dovere di prevenire V. E. che nell'attuale fase acuta di ostilità, di diffidenza e di incomprensione che attraversa l'opinione pubblica spagnuola nei riguardi dell'Italia e del Fascismo, il soggiorno di Re Alfonso nel nostro Paese darebbe qui facile pretesto ad una esplosione di recriminazioni e di attacchi, destinati a vieppiù favorire il distacco che a molti interessa approfondire fra l'Italia e la Spagna.

La Francia poteva ben permettersi di ospitare l'ex Sovrano, come prima aveva ospitato molti governanti repubblicani di oggi, senza che ne soffrissero menomamente le sue relazioni con questo Paese. Il substrato economico e finanziario di tali relazioni è rafforzato oggi dalla sostanziale fratellanza massonica e dalla superficiale comunanza delle ideologie.

A noi invece un simile gesto non solo non porterebbe alcun vantaggio, ma potrebbe gravemente compromettere quella difficile opera di risanamento spirituale delle relazioni italo-spagnuole a cui V. E. mi ha dato istruzioni di accingermi e che è certo nostro interesse di affrontare come meglio si potrà.

Senza contare che si potrebbe dare anche pretesto ad una recrudescenza di immigrazione di fuorusciti italiani in !spagna (l).

330.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. 3580/35 R. Ginevra, 13 ottobre 1932, ore 23 (per. ore 3,05 del 14).

Discussione in seno a comitato per la riforma del Segretariato procede tra grandi difficoltà. Siamo riusciti a fare approvare in massima istituzione di due segretari generali aggiunti di cui uno dovrebbe essere italiano e l'altro di un piccolo Stato. Si è poi discussa questione direttori, nella quale noi siamo interessati, perché avendo noi due direttori italiani, siamo naturaJmente ostili a qualunque limitazione sia pure per l'avvenire. Seduta continuerà domani mattina. Durante tutta la discussione ci siamo incontrati con aperta opposizione della Germania.

Delegazione tedesca non ha trascurato occasione od argomenti per cercare di limitare nel tempo e nell'importanza la carica che ci dovrebbe essere assegnata e noi abbiamo dovuto resistere con ogni fermezza contro i suoi tentativi.

In conversazioni private tedeschi giustificano questo atteggiamento poco amichevole per noi con argomento che nella combinazione generale noi siamo più avvantaggiati della Germania. Aggiungo che mentre noi abbiamo tenuto la delegazione tedesca al corrente delle nostre idee essa ha evitato qualunque iniziativa di contatti con noi.

Nel segnalare quanto precede all'E. V. mi domando se V. E. non ritenga opportuno di far conoscere d'urgenza al Governo tedesco come atteggiamento di questa delegazione contrasta apertamente con quanto l'Italia sta facendo per la Germania in altri campi e come inoltre in questo ambiente politicamente assai sensibile essa dia sensazione di una minore cordialità dei rapporti itala-tedeschi, cosa che alla Germania non può riuscire che di danno.

(l) -Il documento reca Il visto d! Mussollnl. (2) -Ed. !n GuARIGLIA, Ambasciata in Spagna, clt. pp. 191-192.
331

IL MAGGIORE RENZETTI A ...

Berlino, 13 ottobre 1932.

Ho avuto oggi un colloquio con il nuovo Ambasciatore tedesco a Roma il quale raggiungerà la sua nuova residenza solo ai primi di novembre. Il diplomatico mi ha fatto le consuete dichiarazioni di simpatia verso l'Italia: io gli ho fatto presente gli errori commessi finora dalla Germania nei nostri riguardi e gli ho spiegato altresì tutto quanto aveva tratto alle trattative in corso e a quelle così infelicemente condotte dalla delegazione tedesca per le divise (1). Gli ho poi detto che a mio parere Egli potrebbe rimediare a tutto qualora agisse con la massima sincerità. Non si fa una politica incerta con l'Italia, ho sog

giunto. L'Italia si rende conto della debolezza attuale della Germania e ha fatto e fa di tutto per aiutarla a risollevarsi, a diventare una nuova grande Nazione: ciò occorre sia tenuto presente nelle relazioni diplomatiche.

L'Ambasciatore mi ha detto che da parte tedesca si teme che l'Italia non segua la Germania allorquando si tratta di agire decisamente: gli ho obiettato che probabilmente in Italia si è del parere che la condotta politica tedesca non sia la più indicata per raggiungere quegli scopi per cui non solo la Germania, ma anche l'Italia si batte. Non si fa una politica realistica con atti quali la Zollunion, la pubblicazione delle Memorie di Stresemann, con minacce, con note violente: la politica si fa in altre guise adatte alle situazioni e ai tempi. Del resto la Germania potrebbe chiedere all'Italia il parere nelle varie questioni prima di iniziare una campagna o di compiere un atto politico. L'Ambasciatore mi ha dato ragione: mi ha detto che egli non è un diplomatico come altri Ambasciatori: una parte della sua attività l'ha svolta all'interno della Germania, in questioni di politica interna e non estera: pertanto ritiene di potere instaurare in Italia una politica della sincerità e della chiarezza. Gli ho ripetuto poi quanto ho detto a Stiilpnagel, Von Braun, Gtiring.

Il nuovo Ambasciatore stima Hitler ma naturalmente non lo ritiene affatto un Mussolini: è d'accordo nel ritenere von Papen compromesso con i francesi (io ho solo sfiorato tale questione e gli ho detto che l'Italia è al corrente di tutto quanto avviene all'estero): stima Gtiring e il nazionalsocialismo ma naturalmente non appartiene a tale partito. Egli spera che tra i gruppi nazionali si riesca ad addivenire ad un accordo.

Alla fine del colloquio durante il quale l'Ambasciatore più volte mi ha dichiarato di dissentire dalle linee di politica seguite dal ministero da cui dipende, Egli mi ha detto che farà di tutto per chiarire in Italia la situazione della Germania che non è oggi in grado di porgere aiuti e di essere una « potènza alleata»: per sgombrare il terreno da preconcetti e da diffidenze, per avere poi modo di costruire convenientemente e saldamente un edificio italo-tedesco.

L'Ambasciatore mi ha poi ricordato le questioni della guerra e dell'i1lto Adige: su questo terreno non ho ritenuto dire neppure una parola allo scopo di fargli intendere che per noi tali questioni non esistono più.

(l) Cfr. n. 324, nota l.

332

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3585/626 R. Londra, 14 ottobre 1932, ore 0,35 (per. ore 8).

Mio telegramma 622 (1).

Sir John Simon mi ha convocato questa sera per mettermi al corrente conversazioni odierne con Herriot. Contemporaneamente codesta ambasciata lJritannica ha avuto istruzioni di far analoghe comunicazioni V. E.

Segretario di Stato mi ha detto che conversazioni si sono svolte su luogo, data, numero partecipanti e oggetto conferenza. Herriot ha insistito per Ginevra. Governo britannico pur preferendo Londra è disposto accettare Ginevra. come si.r John mi aveva già detto, purché conferenza avvenga, tanto più che Ginevra eliminerebbe difficoltà per partecipazione osservatore americano.

Ha telegrafato questa sera ambasciata d'Inghilterra in Berlino di interpellare quel Governo se accetta Ginevra, e mi ha chiesto domamdare con ogni urgenza pensiero V. E. al riguardo.

Ho risposto che avevo comunicato ieri a Sargent in base alle istruzioni di

V. E. che noi non avevamo difficoltà per Ginevra. Tuttavia, trattandosi ora di prendere decisioni, Simon mi ha chiesto domandare per telefono risposta definitiva, ciò che ho fatto questa sera.

Governo britannico è rimasto fermo sul punto di vista che conferenza comprenda soltanto rappresentanti 4 grandi Potenze, più eventualmente, osservatore americano, e Simon crede che Herriot finirà per ripiegare purché riunione abbia luogo Ginevra.

MacDonald e Simon, che entrambi andrebbero a Ginevra, si sono resi conto, in vista loro impegn! parlamentari, che non potrebbero lasciare Londra fra il 15 ottobre e il 4 novembre. Simon prevede quindi che riunione possa avvenire in una data da stabilirsi d'accordo verso i primi del prossimo mese.

Circa oggetto discussione conferenza a 4, Simon mi ha detto d'avere insistito affinché discussioni stesse abbiano carattere conversazioni preliminari e apertura per cercare di risolvere situazione creata da domande tedesche, dar modo Germania tornare conferenza disarmo e fare proseguire lavori quest'ultima. Alla causa del disarmo Governo britannico intende portare ogni possibile contributo ed è sicuro che in questo avrà la più cordiale collaborazione di quello italiano.

Simon non mi ha fatto alcun cenno che Herriot abbia parlato del nuovo piano francese. Egli mi ha detto che, per evitare ogni malinteso e perché ognuno sappia come le cose si svolgono avrebbe detto a Herriot che ci avrebbe subito informato dell'andamento delle presenti conversazioni. Herriot non ha sollevato obiezione alcuna.

Partenza Herriot da Londra è fissata venerdì pomeriggio.

(l) C!r. n. 327.

333

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3588/ 627 R. Londra, 14 ottobre 1932, ore 14,21 (per. ore 19).

Mio telegramma n. 626 (1). Questo incaricato di affari di Germania mi ha confermato che, secondo quanto mi aveva detto Simon iersera, incaricato di affari britannico in Berlino

31 --Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

ha chiesto nelle prime ore di stamane a quel Governo se accettava scelta Ginevra per conferenza a quattro. Governo ha rifiutato escludendo Ginevra e Losanna e proponendo l'Aja o altro posto del genere.

Stamane stesso Simon ha convocato Bernstorff e l'ha pregato di insistere molto personalmente in suo nome presso il Governo tedesco perché accetti, facendo presente che scelta Ginevra rappresenta transazione per ottenere che francesi rinunzino idea estendere inviti conferenza.

Incaricato d'affari di Germania è in attesa risposta suo Governo.

(l) Cfr. n. 332.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3592/630 R. Londra, 14 ottobre 1932, ore 16,58 (per. ore 21,30). Mio telegramma n. 627 (1).

In questo momento primo ministro m'informa che nelle dichiarazioni che sta per fare alla stampa sull'esito conversazioni con Herriot, menzionerà adesione italiana scelta Ginevra, avendo stamane Foreign Office avuto conferma in proposito.

Foreign Office non ha ulteriori notizie sull'atteggiamento tedesco. Se richiesto da qualche giornalista su tale punto, MacDonald, pur accennando possibilità che il Governo tedesco sollevi obiezione, cercherà evitare dare impressione allineamento tre Potenze contro Germania, anche nella speranza che effettivamente Governo tedesco riconsideri sue decisioni.

335

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3587/36 R. Ginevra, 14 ottobre 1932, ore 17,55 (per. ore 19).

Comitato per riforma segretariato non ha potuto stamane riunirsi, perché non si è riuscito a trovare formula conciliatrice per questione direttori, che interessa particolarmente francesi e noi. Si è quindi accentuata impressione che la Germania agisca sopra tutto per impedire nomina candidato italiano e si è formata situazione incresciosa sulla quale ho creduto dover richiamare subito l'attenzione del delegato tedesco signor Von Rosenberg.

Nel colloquio che ho avuto stamane stessa con lui, gli ho fatto presente come questione segretariato non potesse essere considerata isolatamente, ma nel quadro delle nostre relazioni generali e in corrispondenza anche ad altri problemi, nei quali la Germania ha avuto il più cordiale e costante appoggio dell'Italia.

Quali che fossero le ragioni tecniche dell'atteggiamento tedesco nella questione, io ritenevo che impressione che la Germania aveva prodotto risultava in un danno ad essa stessa, ed era assai poco incoraggiante per noi.

L'ho poi avvertito che di tutto questo io dovevo informare V. E. Von Rosenberg mi ha pregato di lasciargli tempo per studiare la situazione e che mi avrebbe risposto oggi.

(l) Cfr. n. 333.

336

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3593/632 R. Londra, 14 ottobre 1932, ore 19,05 (per. ore 24).

Mio telegramma n. 627 (1).

Apprendo da questo incaricato d'Affari di Germania che suo Governo ha confermato a quello britannico che non (ripeto non) accetta Ginevra come luogo riunione conferenza a quattro, e persiste nel proporre l'Aja od altro posto analogo.

337

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 7674/1060. Budapest, 14 ottobre 1932.

Onoromi comunicare all'E. V. d'essere stato ricevuto stamani, per la prima volta, da S. E. il Generale Gombos, Presidente del Consiglio dei Ministri d'Ungheria.

Nell'accogliermi molto cordialmente, il Generale Gombos ha tenuto a dirmi subito d'aver voluto, al momento d'assumere la direzione di questo Governo, inviare il noto telegramma all'E. V. (2), non soltanto per esprimere i suoi sentimenti di personale deferenza, ma anche per confermare le direttive a cui egli intende inspirare l'opera sua per quanto concerne le relazioni fra l'Italia e l'Ungheria.

A tale proposito, egli mi ha fatto presente come non gli era stato possibile

di enunciare nettamente alla Camera, in occasione della presentazione del nuo

vo Gabinetto, quali sono effettivamente le sue intenzioni in materia di politica

estera.

Ha aggiunto che per altro non lo hanno menomamente turbato alcune cri

tiche mosse da qualche deputato dell'opposizione e «segnatamente dai rappre

sentanti del partito legittimista », circa le tendenze che sono comunque tra

sparse dalle sue prime manifestazioni.

Le sue intenzioni in proposito, ha dichiarato il Generale, sono decise, ed

egli ha tenuto a farle conoscere al più presto all'E. V. Approfittando anzi della

presenza qui, negli scorsi giorni, del Ministro d'Ungheria a Roma, signor de Hory, egli stesso gli ha dettato personalmente quanto desiderava fosse riferito esattamente all'E. V.

A tale riguardo, il Presidente del Consiglio mi ha dichiarato di essere convinto fautore di una politica di sempre più stretta cooperazione tra l'Italia, l'Ungheria e l'Austria, cooperazione basata su di una opportuna intesa economica che convenga ai tre Paesi, pur tenendo conto naturalmente dei loro diversi caratteri e delle particolari condizioni di ognuno di essi.

Riferendosi evidentemente alle difficoltà che eventualmente possono sorgere alla realizzazione di tale intesa da parte dell'Austria, il Generale Gombos ha affermato che è essenziale, oggi, di far convergere gli sforzi concordi dell'Italia e dell'Ungheria sulla vicina Repubblica. «Bisogna risolvere -ha detto testualmente il Generale -la questione dell'Austria. Essa è ora orientata verso un falso indirizzo politico, tendente a portarla all'unione con la Germania. Il popolo austriaco è male guidato da un Governo che non è schietta espressione delle vere tendenze nazionali. Per me, -ha aggiunto -la questione dell'Anschluss, non è per lo meno di attualità in Austria. A mio avviso, questa non avrebbe nulla da guadagnare da una eventuale unione al Reich. L'Austria deve invece appoggiarsi all'Italia ed all'Ungheria, tanto più che essa non ha oggidi particolari scopi politici, mentre sono vitali per lei le questioni economiche che le suggeriscono una più intima collaborazione con voi e con noi».

Venendo a parlare del possibile raggiungimento di questa intesa da lui così vivamente auspicata, S. E. Gombos ha affermato che, a suo parere, l'attuale Cancelliere Austriaco Dollfuss, essendo un agrario, intende svolgere una politica agraria. È per questo che per risolvere qualsiasi intesa con l'attuale Governo Austriaco, occorre anzitutto risolvere le questioni economiche. A tale proposito il Generale Gombos ha espresso la speranza che il Governo italiano esamini la possibilità di addivenire ad una intensificazione dei rapporti economici italaaustriaci, allo scopo di facilitare la cooperazione itala-austro-ungherese, con la quale non si mancherebbe di realizzare una costruzione di indubbio valore politico, raggiungendo nel contempo, una soluzione della grave crisi che attraversano tanto l'Ungheria quanto l'Austria.

Per ciò che concerne particolarmente l'Ungheria, S. E. Gombos ha richiamato la mia attenzione sulla rilevante sovraproduzione agraria di questo Paese, tanto aggravata dall'attuale mancanza di sbocchi sufficienti. A tale riguardo, egli ha manifestato il suo vivo desiderio di un possibile maggiore sviluppo degli scambi itala-ungheresi, soprattutto per ciò che concerne i più importanti rami della produzione ungherese, quali cereali e bestiame, per cui si augurerebbe che l'Italia potesse concedere un aumento nelle rispettive quote d'importazione. D'altra parte, ha aggiunto, ci sono alcuni importanti articoli di produzione italiana che l'Ungheria potrebbe importare o di cui potrebbe aumentare l'importazione dall'Italia; fra gli altri, a mo' d'esempio, il Presidente ha accennato al riso che ultimamente l'Ungheria ha acquistato nell'India.

Passando poi all'orientamento generale che egli intende seguire nello svolgimento della sua politica estera, Gombos mi ha dichiarato essere sua ferma intenzione di controbilanciare, per quanto possibile, la politica della Piccola Intesa, tendente, fra l'altro, a concretare una intesa tra l'Ungheria e la Cecoslovacchia. (A questo proposito, il Generale mi ha accennato al fatto che la prospettiva di trovare uno sbocco in Cecoslovacchia, non manca di allettare qui, nella grave crisi dell'agricoltura ungherese, alcuni ambienti interessati).

Su questa sua determinazione di voler controbilanciare la politica della Piccola Intesa, il Presidente, ha usato espressioni marcatamente decise. A conferma, anzi, di quanto diceva, ha aggiunto che se la Francia non verrà a mostrarsi animata da una amichevole comprensione degli interessi dell'Ungheria e delle naturali tendenze della sua politica estera, egli intenderebbe assumere ove se ne presentasse la necessità -una posizione più precisa.

Come sembrerebbe doversi ritenere, l'idea enunciata da S. E. Gombos, circa l'eventuale cooperazione Itala-Austro-Ungherese, si richiama a quanto il Conte Bethlen ebbe a prospettare a V. E. nel colloquio avuto a Roma nel mese di gennaio scorso (1), circa la creazione, cioè, di una unione doganale fra i tre Paesi (di cui al Telespresso Ministeriale n. 773 E.L.A. -Uff. 2 -del 31 gennaio u.s.).

In occasione del nostro colloquio odierno, il Generale GombOs non ha fatto alcuna allusione all'idea enunciata dal Conte Bethlen, né io, in mancanza di istruzioni di V. E. al riguardo, ho creduto opportuno di accennarvi.

Nel pregarmi di riferire a V. E. quanto egli mi aveva detto, il Presidente del Consiglio mi ha espresso il desiderio che la comunicazione avvenisse a mezzo di Corriere di Gabinetto, anziché per telegramma, ritenendo egli che i telegrammi vengano frequentemente intercettati in Jugoslavia.

Mentre prendevo congedo, S. E. GombOs mi ha manifestato la speranza di avere meco frequenti contatti, allo scopo di essere tenuto quanto più possibile al corrente del pensiero dell'E. V. di cui altamente apprezza, con sentimento di viva gratitudine, l'appoggio così efficace accordato sinora all'Ungheria.

(l) -Cfr. n. 333. (2) -Cfr. n. 299.
338

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3590/37 R. Ginevra, 15 ottobre 1932, ore 0,15 (per. ore 1,30). Seguito mio telegramma 36 (2).

Rosenberg è venuto a vedermi ed ha tenuto a spiegarmi atteggiamento tedesco, ma io ho evitato di entrare in polemiche. Rosenberg mi ha detto che delegazione tedesca rinunziava definitivamente ad avvicendamento dei vice-segretari, misura che ci avrebbe particolarmente colpito.

Ma per ordine di Berlino doveva essere intransigente nel chiedere che nessuno Stato potesse avere più di un direttore quando avesse un altro membro dell'alta èlirezione. Tale misura colpisce noi e la Francia.

Rosenberg mi ha aggiunto che avrebbe cercato di frenare linguaggio della stampa tedesca facendomi notare che attacchi di questa erano diretti contro delegazione tedesca.

(l) Cfr. serie VII, vol. XI, n. 166. (2} Cfr. n. 335.

339

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3600/512 R. Parigi, 15 ottobre 1932, ore 13 (per. ore 15,30).

I risultati del convegno di Londra sono accolti qui con apparente soddisfazione. Si osserva che alla metà di novembre si troveranno riuniti a Ginevra i rappresentanti di tutti gli Stati interessati alla questione del disarmo e sarà possibile tenerli esattamente informati circa andamento conferenza quattro grandi Potenze che perderà quindi carattere confidenziale.

D'altra parte però tende sempre più a prevalere in questi ambienti politici opinione che Inghilterra si disinteressa in fondo alla tesi della sicurezza francese mentre la parità di diritti reclamati da Germania incontra, in Inghilterra, autorevoli sostenitori nel mondo politico e largo consenso fra persone appartenenti a ceti e partiti diversi.

Fra le voci che circolano qui, vi è anche quella della possibile riunione conferenza a quattro a Losanna, anziché a Ginevra, per assicurare partecipazione Germania.

340

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3606/643 R. Berlino, 15 ottobre 1932, ore 20,15 (per. ore 24).

Biilow mi ha detto che Governo tedesco è stato costretto rispondere negativamente invito recarsi a Ginevra in vista dell'attitudine del Governo francese quale risulta da discorso Massigli tenuto Società Nazioni e da comunicato Havas miranti far rientrare riunione a quattro in quadro conferenza disarmo.

Biilow ha osservato che nessuna disposizione patto Ginevra può prescrivere che presente riunione a quattro debba rientrare in discussione relativa disarmo e che finalmente iniziativa inglese è ben differente di quella conferenza disarmo.

Ho obiettato che direttore ministeriale Koepke mi ha raccontato qualche giorno fa conversazione avuta con ambasciatore di Francia dalla quale risulta che Govemo tedesco avrebbe anche accettato Ginevra qualora colà, durante riunione a quattro, non avessero avuto luogo contemporaneamente riunioni conferenza disarmo oppure bureau oppure qualsiasi altra riunione che avesse per oggetto disarmo. Avrei voluto muovere tale obiezione a Koepke stesso, ma mi è stato detto che egli è ammalato.

Biilow ha replicato che anche da ambasciatore di Francia gli erano state fatte ieri medesime osservazioni in base conversazioni Poncet-Koepke.

Egli mi ha risposto a tale riguardo argomenti relativi atteggiamento Governo francese innanzi indicati, aggiungendo che preconcetti ostili francesi inglesi a tesi tedesche non garantiscono che durante eventuale soggiorno delegazione tedesca a Ginevra non si sarebbe discorso in altre riunioni questione disarmo e che infine, pure scartando Londra, vi siano molte altre città su cui potrebbe cadere utilmente scelta. Da parte tedesca è stato per esempio proposto Aja, aggiungendo che non sarebbe respinta neppure proposta Losanna, quantunque si consideri questa città quasi sobborgo di Ginevra.

Concludendo, Bulow osservava che se si vuol sostenere necessità fare riunione a quattro in quadro conferenza disarmo, Governo tedesco era costretto riproporre pregiudiziale parità diritto.

Circa notizia francese secondo cui riunione potrebbe avere luogo Ginevra nonostante rifiuto tedesco, Bulow osservava che Governo tedesco non avrebbe nulla da obiettare. Germania si considera creditrice in materia disarmo e però può ben attendere che maggiori Paesi debitori si riuniscano tra loro per farle poi delle proposte.

Bulow mi ha detto infine che nulla gli risulta finora circa eventuale rinvio novembre progettata riunione e circa eventuale accenno Herriot a nuovo piano francese durante conversazioni londinesi secondo le notizie diramate da alcuni giornali. Egli è tuttora attesa resoconto dettagliato conferenza Londra da parte ambasciata d'Inghilterra Berlino ed ambasciata di Germania Londra.

341

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3601/41 R. Ginevra, 15 ottobre 1932, ore 21,35 (per. ore 24).

Accordo circa alto segretariato è stato raggiunto oggi.

Validità contratti esistenti è stata riconosciuta.

Noi avremo così oltre che segretario generale aggiunto anche due direttori, e solo tra due anni dovremo cedere un posto di direttore.

La Francia dovrà invece cederlo subito.

In seduta odierna è stato rinnovato da parte del delegato irlandese ten

tativo già compiuto dai tedeschi di far passare avanti al nostro segretario aggiunto quello di una piccola Potenza. Delegato tedesco, secondo impegni che Rosenberg aveva presi con me, ha dichiarato che egli considerava tale sua proposta come ritirata. È stato quindi deciso che per vice segretario si sarebbe seguito regola comune anzianità servizio. Consiglio è convocato per stasem e assemblea per lunedì. Io parto per Roma domani.

342

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO DESTINATO AD ATENE, DE ROSSI

IsTRUZIONI. . .. (l)

I rapporti itala-ellenici hanno raggiunto ormai da qualche anno, dopo i precedenti equivoci e malintesi e dopo un periodo di chiarificazione, uno studio di cordialità e correttezza assai soddisfacente. Il atto di amicizia del 1928 ne è stata la consacrazione formale ed il Governo greco, e per esso particolare i signori Venizelos e Michalacopoulos hanno mostrato di tenere all'intesa politica e all'appoggio di Roma e di voler integrare la tradizionale amicizia ellenica con le Potenze occidentali Francia e Inghilterra con l'amicizia italiana.

La politica di Milano ha reso possibile l'accordo tra Grecia e Turchia che ha iniziato un nuovo regolamento mediterraneo. Liquidato l'ellenismo microasiatico e la contesa storica tra Grecia e Turchia, abbiamo potuto meglio concepire e valorizzare la Grecia come elemento essenziale dell'equilibrio balcanico e mediterraneo-orientale, tendendo anche eventualmente fino alla conclusione di un patto a tre itala-greco-turco di nostra ispirazione e riaffermando comunque un preminente interesse italiano alla situazione del Mediterraneo orientale.

La concessione di un prestito di 300 milioni di lire alla Turchia nel giugno scorso in occasione della visita a Roma di Ismet Pascia e Rouchdy bey e la necessità di regolare meglio i rapporti commerciali itala-turchi, ci ha offerto l'occasione di istituire una Commissione economica mista itala-turca che possa studiare direttamente le possibilità di maggiori e più correnti scambi tra i due Paesi, tenendo anche conto dell'apporto di capacità tecniche e di prodotti industriali che l'Italia può dare allo sviluppo della Turchia.

Tale intesa economica rientra nel quadro dell'intesa politica; la appoggia, la completa e la perfeziona. Per gli stessi motivi quindi per cui abbiamo perseguito l'idea di una intesa politica a tre, Italia, Turchia, Grecia, è sorta ora l'idea di fare possibilmente entrare anche la Grecia nella Commissione Mista economica itala-turca.

La R. Ambasciata ad Ankara ha già avuto istruzioni di sondare le disposizioni turche in tale senso, e una volta note queste sarà il caso di informarne Atene.

Vi sono nel campo politico due punti delicati di possibile attrito con la Grecia: Albania e Dodecanneso.

Occorre, al caso, rammentare che la situazione attuale albanese è una difesa e una garanzia anche ellenica contro lo slavismo. Un'Albania vitale con una Italia forte in Albania e amica della Grecia toccano da vicino la sicurezza ellenica.

Per il Dodecanneso, la questione è per noi politicamente diplomaticamente chiusa. Non v'è possibilità di riaprirla.

Vi sono zone dell'opinione ellenica che vi si interessano sentimentalmente ma sarà bene tener presente come tale interesse non possa oltrepassare certi limiti e certe estensioni senza reazioni sterili e dannose.

Ma ciò non ha impedito che i buoni rapporti con l'Italia siano divenuti programma comune di tutti i partiti politici di governo e di opposizione: la convenienza, anzi necessità, di tale direttiva è entrata nella coscienza comune.

Attiro l'attenzione del R. Rappresentante ad Atene sulla propaganda culturale: la Grecia è un campo che può essere utilmente coltivato. Parecchio è stato fatto, ma molto ancora si può fare. Vi sono in Grecia scuole italiane: esse si volgono sopratutto ai figli delle nostre collettività e si limitano ai corsi elementari e al massimo secondari. Ma bisogna anche pensare alla cultura superiore e ad attirare gli stessi greci con borse e senza borse nelle nostre Università. Medici, ingegneri, studiosi ellenici che sortano dalle nostre scuole di alta cultura saranno domani i migliori propagandisti della nostra scienza, delle nostre industrie e i migliori sostenitori della nostra politica.

Raccomando di seguire da vicino le missioni archeologiche, specialmente quella di Creta, che ha dato così notevoli risultati scientifici ed ha saputo creare nell'isola un centro di viva simpatia per la vita e la cultura italiana.

Non è dato prevedere se le prossime elezioni potranno riservare sorprese per la maggioranza venizelista: naturalmente noi siamo e ci manteniamo di massima estranei alle lotte della politica interna greca.

Richiamo solo in particolare l'attenzione sulla partecipazione greca al cosidetto movimento panbalcanico. Il movimento va seguito non tanto per i risultati pratici che possono essere raggiunti attualmente, quanto come indice di una tendenza alla formazione di un'opinione pubblica balcanica e come occasione ad intrighi sopratutto jugoslavi in senso a noi ostile.

In questi ultimi mesi il Governo greco ha spesso ricorso a noi per aiuto nelle gravi contingenze finanziarie ed economiche in cui si trova. L'Italia è rappresentata con Francia e Inghilterra in seno alla Commissione Finanziaria Internazionale di Controllo di Atene e fa naturalmente parte dei Comitati di Ginevra. Essa ha così potuto svolgere in entrambe le sedi una azione di moderazione, contemperando la sua posizione di Paese creditore e controllare e quindi formalmente solidale anche per ragioni politiche con le altre Grandi Potenze con una larga comprensione delle possibilità e delle necessità elleniche. Continueremo il nostro appoggio per un raddrizzamento e risanamento della situazione.

Dal lato economico, il mercato greco tende anche esso a chiudersi e raggiustarsi alla sua molto diminuita capacità di pagamento. È un mercato vicino e per noi molto interessante. È bene vigilare perché le nostre pos1z10ni non peggiorino più di quelle dei nostri concorrenti. V'è poi anche da seguire la situazione dei nostri crediti divenuti per moratoria irrealizzabili, e il cui lento smobilizzo non potrà avvenire che con un ritmo che gioverebbe vedere per quanto possibile accelerato.

(l) Le istruzioni, prive di data, furono, come risulta da un appunto allegato, rimesse da Mussolini a De Rossi il 15 ottobre. Si pubblicano sotto questa data. A margine un altro appunto: «Visto dal Ministro Buti 14 ottobre 1932 X».

343

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL SENATORE FRANCESE BÉRENGER

APPUNTO. Ginevra, 15 ottobre 1932.

Il Senatore Bérenger, Presidente della Commissione degli Esteri e secondo Delegato francese all'Assemblea di Ginevra, noto italofilo di antica data, aveva fatto già durante la mia prima permanenza a Ginevra vive premure per avere con me uno scambio di vedute sui rapporti itala-francesi. Allora cercai di evitare il colloquio, ma questa volta ho dovuto cedere alle sue rinnovate insistenze.

In linea preliminare, egli ha tenuto a espormi tutta la lunga storia della sua attività fllo-italiana. Specialmente interessante, l'aneddoto che mi ha raccontato del suo viaggio in Italia all'indomani di Caporetto, allorché fu inviato fra noi a rendersi conto del morale della Nazione e dell'Esercito italiano. Tornato in Francia a riferire a Clemenceau quanto aveva constatato di solido e di indomito presso l'una e presso l'altro, trovò tanto malanimo a nostro riguardo nel Capo del Governo francese che a mala pena poté riferirgli qualche parola sulla situazione.

Venuti allo scambio di idee sulle relazioni fra i nostri due Paesi, io ho tenuto per prima cosa a fargli ben presente che avendo egli mostrato tanto desiderio... (l) di rispondergli, ma che non avendo... di sorta, quanto gli dicevo era a titolo strettamente personale.

Mi ha detto che era venuto perché teneva ad assicurarmi -lui massone ed uomo di sinistra -che si avvertiva oggi in Francia un mutamento nelle direttive politiche, tanto che perfino nella Massoneria francese egli non ha riscontrato quel malanimo contro il fascismo che generalmente le si ascrive.

In ogni modo, come Presidente della Commissione degli Esteri, egli ha un efficace controllo sulla politica estera francese e può influire molto nel senso del ristabilimento di rapporti di amicizia fra i due Paesi, aiutando lo sforzo di numerosi suoi colleghi del mondo politico presso cui comincia a farsi strada l'idea di una solidarietà itala-francese che salverebbe il mondo dai pericoli da cui è minacciato. Ciò gli appare tanto più possibile in quanto che egli stesso ha potuto constatare che in Italia il risentimento anti-francese non è quale lo si vuoi fare credere in Francia. Ne è prova la cordialità delle accoglienze che dovunque egli ha recentemente avuto nella sua qualità di uomo politico francese.

A sue precise domande circa le odierne tendenze della politica italiana, dopo avergli ancora una volta rinnovata la riserva dello stretto carattere personale delle mie dichiarazioni, mi è parso opportuno rispondergli chiarendo lo stato attuale della opinione oubblica italiana nei riguardi della Francia. L'opinione pubblica italiana non è naturalmente... [ma sem]plicemente è irritata della ininterrotta continua... grandi provocazioni di difficoltà create, di ostacoli... [lati].

Non a titolo di critica della politica francese del dopo guerra, ma a titolo di semplice constatazione dei fatti rilevavo che disgraziatamente in qualunque questione ed in qualunque parte del mondo in questi ultimi anni i due Paesi si sono sempre ritrovati l'uno di fronte all'altro. In tali condizioni di generale antagonismo, avanzare proposte per isolati accordi specifici, lasciando impregiudicato l'insieme delle reciproche posizioni che in ogni occasione rinnovano e perpetuano contrasti tra le opinioni pubbliche dei due Paesi, significherebbe dar mano a un illusorio lavoro di Sisifo.

Inutile pensare al parziale accomodamento di una piccola questione finché l'opinione pubblica italiana dovrà continuare a vedere nelLa Francia il principale quartier generale di tutte le forze e di tutti gli sforzi che continuamente si accaniscono in vani tentativi contro il sistema politico che la nazione italiana liberamente si è prescelto. Inutile pensare ad un piccolo accordo finché continuano le mene nascoste -di cui però in Italia si è perfettamente al corrente -di certi ambienti militari e nazionalisti fmncesi che, male interpretando la politica italiana come una politica di accordo con la Germania, riesumano e agitano le vecchie teorie di Conrad sulla necessità di una guerra preventiva contro coloro che inevitabilmente saranno i nemici di domani.

É elementare che la sens[azione] ... Francia oggi lontanissima da quella compresione [e da que]lla preparazione spirituale senza la quale vengono meno le basi di vasti accordi. Né perdurando la tensione sulla generalità delle grandi questioni può pensarsi attuabile la risoluzione a spizzico di qualche questione secondaria, avulsa dal grosso groviglio.

Ho trovato il Senatore Bérenger consenziente su tutti i punti che gli ho esposti, e anzi pronto ad appoggiare ed a confermare il mio ragionamento. Così egli non solo ha ammesso la responsabilità del movimento che fa capo a Weygand, ma l'ha estesa anche all'ambiente diplomatico, deplorando « l'esprit du Qual d'Orsay » che, secondo lui, ha una grave responsabilità nella situazione attuale dei rapporti itala-francesi. Messo il Qual d'Orsay in ballo da lui, ho profittato per dimostrargli quanto era stata poco felice negli ultimi anni la scelta dei rappresentanti francesi in Italia, e specialmente quella dell'attuale ambasciatore, del quale gli ho descritto sommariamente la difficile situazione personale che si è creata a Roma.

Bérenger mi ha vivamente ringraziato del colloquio, assicurandomi che metterà la sua posizione e tutta la sua influenza al servizio dell'opera del riavvicinamento dei due Paesi. Appena a Parigi ne avrebbe parlato ad Herriot, già ben disposto.

(l) Il testo è deteriorato e presenta numerose lacune.

344

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3643/126 R. Praga, 16 ottobre 1932 (per. il 20).

Con rapporto a parte ho trasmesso il testo del discorso col quale ho accompagnato la presentazione al presidente di questa repubblica delle lettere credenziali. nonché della risposta da lui datami.

V. E. avrà presente il mio telegramma n. 111 (l) ed il telespresso n. 1268/763 del 5 corrente (2), con cui segnalai l'intervista data in quei giorni dal presidente Masaryk al giornalista tedesco, P. Berend, in cui, tra l'altro, Masaryk aveva definito il «fascismo» come <<un aspetto effimero della presente epoca di transizione in cui tutto è transitorio».

Ad una affermazione fatta nel campo dottrinario io non potevo apporre -per quanto si trattasse del capo dello Stato -alcuna obiezione di carattere diplomatico. Mi riservai peraltro di non lasciare sfuggire l'occasione della imminente presentazione delle credenziali per controbattere, con una netta affermazione, l'opinione pubblicamente espressa dal presidente, tanto più che è consuetudine in questo paese, che i discorsi di presentazione delle credenziali dei principali rappresentanti diplomatici stranieri siano pubblicati integralmente dalla stampa.

Sono stato quindi costretto a dare al mio discorso una estensione leggermente maggiore di quella in cui, secondo l'uso avrei desiderato contenerlo. E ciò per poter inserire la seguente dichiarazione: «Nell'ora difficile che il mondo deve sormontare oggi, il popolo italiano in rinnovata giovinezza e sotto la guida sicura e illuminata del Governo fascista, sta fornendo uno sforzo costruttivo dei più apprezzati pel compimento di un'opera duratura di progresso sociale, politico ed economico». Naturalmente a questa dichiarazione ho fatto seguire espressioni circa «la leale collaborazione internazionale coi popoli tendenti ad assicurare alle generazioni future un migliore avvenire di pace nella giustizia, di prosperità e di feconda operosità», nonché alcune frasi di uso, genericamente gentili e non impegnative, all'indirizzo del popolo cecoslovacco.

La lunga conversazione privata, in cui il presidente mi ha intrattenuto dopo la cerimonia, mi ha dimostrato -a conferma del tono cordiale dato al discorso di risposta -come la mia dichiarazione non fosse stata fraintesa nella sua portata di corretta replica all'intervista data al Berend.

Infatti il presidente Masaryk ha condotto con evidente intenzione la conversazione sulla persona di V. E. per dirmi che aveva letto col più vivo interesse n suo scritto apparso nella Enciclopedia italiana ad illustrazione della voce «fascismo». Il presidente ha detto di aver avuto una grande impressione da tale scritto e che accarezzava il desiderio di scrivere al riguardo pe,rsonalmente a V. E. il suo pensiero, dal suo punto di vista socialista. Parlandomi del libro di Ludwig, Masaryk mi ha detto che, pur avendolo trovato interessantissimo, ne aveva tratto l'impressione che Ludwig non avesse completamente compresa la personalità di V. E. in tutta la sua statura. «Taluni aspetti del carattere di Mussolini -mi ha detto testualmente Masaryk -non mi sembrano essere stati afferrati appieno da Ludwig, che forse non poteva comprenderli; ma dalla lettura dei " colloqui" ed ora da quella dello scritto di Mussolini sul fascismo, io mi sono reso conto che Mussolini, oltre ad essere un uomo di azione, è anche un pensatore, e questo -ripeto -forse glielo scriverò in una lettera personale».

Le dichiarazioni del presidente Masaryk, tenuta presente la sua precedente intervista. mi sembrano tanto più notevoli, in quanto sono state fatte alla

presenza di tutto il personale della legazione che mi accompagnava, nonché delle altre autorità cecoslovacche che presenziavano la visita. Col testo dei discorsi scambiati trasmetto anche una nuova copia dell'intervista Masaryk.

(l) -T. 3476/111, non pubblicato. (2) -Non pubblicato.
345

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3623/645 R. Berlino, 17 ottobre 1932, ore 20,20 (per. ore 23).

Koepke mi ha detto che telegramma-circolare è stato spedito rappresentanze diplomatiche tedesche per spiegare rispettivi Governi punto di vista tedesco nella questione rifiuto Ginevra, sopratutto per rimuovere accuse che la Germania rifiuta Ginevra per questione prestigio e che nel fondo intende sabotare conferenza a quattro.

Nel telegramma si dice che Governo tedesco accetta in ultima analisi anche Losanna secondo ho telegrafato a V. E. (1).

Ad insistenza inglese per accettazione Ginevra motivata necessità non distruggere effetto transazione con i francesi non estendere inviti conferenza, Governo tedesco ha obiettato:

1°) -Governo inglese prima compiere transazione era al corrente rifiuto tedeschi accettare Ginevra.

2°) -Insistenze francesi per Ginevra sono motivate appunto desiderio svolgere trattative colà dove sono presenti piccoli Stati e possano fare conoscere via via loro punti di vista osservazione (comunicato Havas 14 corrente).

3°) -Governo tedesco non teme, in definitiva, invito Polonia, Jugoslavia, ecc., perché in tal caso chiederà invitare Austria, Bulgaria ecc.

Telegramma-circolare oltre a Roma, Parigi e Londra è diretto a Bruxelles.

Koepke mi ha detto che Belgio nella questione disarmo non procede sempre a fianco Francia e che ha preso iniziativa progetto molto interessante per la Germania (2). Perciò desiderio da parte dei tedeschi usare nella questione disarmo alcuni riguardi Governo belga.

Mentre 11 piano Benès-Politis pretendeva risolvere la questione politica dell'uguaglianza giuridica mediante un Protocollo contenente le deroghe che sarebbero state concesse alla Germania nei riguardi delle clausole militari del Trattato di Versailles (ciò che implicava, anziché l'uguaglianza, una conferma della situazione di inferiorità risultante dal Trattato), 11 piano Bourquin contemplerebbe 11 ragg!ungimento della piena uguaglianza di statuto mediante due tappe ciascuna della durata di otto anni, segnate da due convenzioni. Con la prima Convenzione verrebbe compiuto un primo passo verso l'uguaglianza mediante le misure più radicali che possono oggi essere adottate in tema di disarmo qualitativo. Con la seconda Convenzione si dovrebbe

In quanto conversazioni ambasciatore di Francia, Koepke mi ha detto che Rua dichiarazione accettare in ultima analisi Ginevra non ha ormai più valore, quando si è verificata condizione cui egli aveva ciò subordinato, cioè sospensione sotto ogni forma discussione disarmo, che invece non solo ha avuto luogo ma anche con molto clamore, come è dimostrato da eccitamento provocato discorso Massigli. Del resto Koepke osservava che non si può pretendere che si svolga serenamente discussione dove si dà luogo tuttora attiva vivace propaganda anti-tedesca questione disarmo.

Secondo desiderio tedesco conferenza a quattro non deve avere valore preliminare od ufficioso per quanto si riferisce questione parità diritti, ma solo per dettagli attuare disarmo che sarà deferito conferenza generale.

Conferenza a quattro dovrebbe decidere definitivamente su questione parità diritti senza rimandarla a conferenza generale, alla quale Governo tedesco non potrebbe altrimenti mai partecipare per nota sua pregiudiziale. Qui si ritiene che è più facile risolvere quella questione confidenzialmente in riunione a quattro, anziché in conferenza generale dove parteciperanno gran numero Stati.

(1) -Cfr. n. 340. (2) -Cfr. quanto riferito nel verbale del 14 ottobre di un colloquio fra Russo e il delegato belga a Ginevra, Bourquin: «Secondo quanto ha detto 11 signor Bourquin, 11 progetto che egli sta ora elaborando si !spira a! seguent! concetti fondamentali: La Conferenza deve dare fin da ora alla Germania la garanzia della totale uguaglianza di statuto m11itare.
346

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A PARIGI, PIGNATTI, A WASHINGTON, DE MARTINO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. 1067 R. Roma, 71 ottobre 1932, ore 20,50.

(Per Londra): Suo 630.

(Per Parigi, Washington, Berlino, Ginevra): il R. incaricato d'Affari a Londra telegrafa quanto segue: (1). Ho telegrafato alla R. ambasciata a Londra quanto segue: (per tutti): Adesione italiana ad iniziativa inglese fu data (e fu chiara

mente specificata) nella speranza che potesse servire facilitare conseguimento di un accordo. Essa non rappresentava né rappresenta adesione ad una tesi piuttosto che all'altra. Punto di vista italiano resta quello chiaramente indicato fin dalla presentazione delle domande tedesche, fin dall'inizio cioè attuale fase disarmo V. E. potrà dire a MacDonald che sono anch'io dell'avviso che occorra evitare nello stesso interesse francese e comunque nell'interesse generale tutto quello che possa dare impressione di un allineamento contro la Germania. Oltre tutto, ciò non risponderebbe a verità.

arrivare all'uguaglianza completa, che sarebbe ottenuta sia applicando a tutti gli Stati le stesse regole del Trattati di Pace, sia permettendo che la Germania possedesse tutte le armi concesse agli altri Stati.

Secondo il signor Bourquln, le misure di disarmo stabllite dalle due successive convenzioni dovrebbero venire applicate per gradi anche nel corso degli otto anni regolati da ciascuna delle due Convenzioni.

Rosso ha chiesto al signor Bourquin in che modo li suo progetto avrebbe tenuto conto della richiesta tedesca di " riaggiustamento " della attuale organizzazione militare tedesca. Bourquin ha risposto che il suo progetto si propone di impedire che tale rlaggiustamento si traduca in un vero e proprio riarmamento della Germania la quale, possedendo ormai un potente eser~ito di quadri, ha evidentemente tutto l'interesse di creare nei prossimi anni delle riserve mediante la creazione di milizie, sia pure con un breve termine di servizio».

(l) Cfr. n. 334.

347

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3624/642 R. Londra, 17 ottobre 1932, ore 21,30 (per. ore 5,30 del 18).

Ho avuto stamane non appena di ritorno a Londra lunga conversazione MacDonald e Simon.

Tanto primo ministro che segretario di stato mi hanno pregato trasmettere ancora una volta Capo del Governo ringraziamenti del Governo britannico per leale collaborazione ed assistenza data Governo fascista e desiderio vedere collaborazione italo-inglese sempre più intima ed efficace.

Impreveduto rifiuto Germania partecipare conferenza quattro a Ginevra ha determinato sorpresa e irritazione, tanto più che sembra che Governo tedesco avesse fatto conoscere in un primo tempo non avere difficoltà scelta Ginevra. MacDonald mi ha detto che egli non avrebbe impegnato Governo britannico per Ginevra ove avesse saputo essere tale sede inaccettabile per Germania. Scopo principale di MacDonald è stato convincere Herriot a rinunziare esaminare questione parità di interessi tedeschi insieme con piccole Potenze accettando invece conferenza a quattro come Germania desiderava.

Governo britannico sta ora esaminando maniera di uscire da nuova imbarazzante situazione e si rende conto che vigilia elettorale Germania rende ancora più difficile Governo tedesco modificare suo atteggiamento.

MacDonald e Simon, riferendosi comunicazione già fatta nostro incaricato d'affari circa incontro con Herriot (1), hanno aggiunto avere ad un certo punto poste ad Herriot alcune domande precise:

l) È Governo francese disposto ad accettare principio che limitazione armamenti debba essere regolata per tutte Potenze indistintamente da nuova convenzione e non più da trattati di pace? Herriot ha risposto di si.

2) È Governo francese disposto riconoscere principio che durata della nuova convenzione dovrà essere uguale per tutti? Herriot ha risposto che giuridicamente Governo francese avrebbe molte obiezioni da fare su questo punto, ma che egli è personalmente convinto non potersi legare per eternità paesi vinti regime eccezionale. Herriot ha domandato riflettere su questo punto mostrandosi inclinato graduale concessione.

3) È Governo francese d'accordo che nuova convenzione debba basarsi sulla riduzione e non sull'aumento nel livello degli armamenti attuale? Herriot si è naturalmente affrettato a rispondere di si.

4) Stabilito questo punto, è la Francia disposta ad accettare un abbassamento sostanziale ed effettivo del livello nei suoi armamenti attuali allo scopo diminuire le differenze esistenti tra le Potenze? Herriot non ha dato una di

retta risposta a questa domanda ed ha parlato di un nuovo piano di disarmo che Governo francese si ripromette sottoporre prossimamente Ginevra, piano che Simon ha definito « fantastico » e di cui Governo britannico non conosce ad ogni modo l'effettivo contenuto essendosi Herriot riservato inviare dati più precisi.

MacDonald e Simon hanno fatto ripetutamente presente ad Herriot che unico mezzo impedire riarmamento Germania è precisamente quello di concedere senza ulteriore resistenza diritto parità giuridica, che opinione mondiale è favorevole Germania nella questione parità, e che era contro Germania nella questione del riarmamento; che unica maniera per mettere Germania di fronte sue responsabilità è quella concederle ciò di cui essa ha moralmente diritto. Che tale concessione faciliterà discussioni su quello che dovrà essere futuro livello armamenti tedeschi. Che nessuna forza, eccettuata opinione pubblica mondiale, potrebbe oggi impedire Germania riprendere libertà armamenti cui venne vincolata trattato di pace.

MacDonald e Simon mi hanno informato infine di avere dichiarato ad Herriot essere loro intendimento mettere al corrente subito Governo italiano di tutto quanto ha formato e formerà oggetto conversazioni fra Londra e Parigi.

(l) Cfr. n. 332.

348

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI,

PIGNATTI, A WASHINGTON, DE MARTINO, AI MINISTRI A BUDAPEST,

COLONNA, A SOFIA, CORA, A VIENNA, AURITI, E ALL'INCARICATO

D'AFFARI A BERLINO, CICCONARDI

T. 1068 R. Roma, 17 ottobre 1932, ore 23.

(per tutti meno Londra): Ho telegrafato alla R. ambasciata a Londra quanto segue:

(per tutti): Questo ministro d'Ungheria a nome del suo Governo ha chiesto che ove gli Stati della Piccola Intesa siano invitati alla riunione del disarmo promossa da codesto Governo, anche l'Ungheria sia invitata. Ha sollecitatf" l'appoggio del R. Governo al riguardo.

È stato risposto che nei negoziati di questi giorni noi ci eravamo già manifestati favorevoli perché intervenendo gli Stati della Piccola Intesa intervenissero anche l'Ungheria, l'Austria e la Bulgaria. Che pertanto R. Governo era lieto di rispondere favorevolmente alla domanda rtvoltagli.

Presentandosene l'occasione prego V. E. far presente a codesto Governo che -ove riunione si allargasse sino a comprendere Stati Piccola Intesa -è mio avviso che anche gli altri Stati per cui i trattati di pace stabiliscono speciali misure in materia di disarmo (Ungheria, Austria e Bulgaria), partecipino pure alla riunione di cui trattasi.

349

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 ottobre 1932.

Nella seconda fase dei lavori dell'Assemblea della Società delle Nazioni l'interesse politico può dirsi sia stato nullo.

Henderson s'è dato molto da fare per cercare di rianimare la Conferenza del disarmo, ma gli è mancato von Neurath, che egli ha atteso invano a Ginevra, e soprattutto gli è venuto meno il suo Governo. Tutto il lavorio che Henderson ha compiuto non è servito che a mettere maggiormente in rilievo la gravità di dissidio esistente fra lui e MacDonald. Comunque, verso la fine è stata presa in seduta segreta la decisione di convocare per il 3 novembre il Bureau della Conferenza e per la fine di novembre la Commissione Generale.

Unico argomento di un certo interesse, trattato in questa fase, è stato quello della riforma del Segretariato, sul quale riferisco in speciale rapporto (1). Desidero qui soltanto porre in rilievo l'attitudine incomprensibile assunta dalla Delegazione tedesca, che ha rivelato una intransigenza ostile alla rappresentanza italiana. E tale attitudine antitaliana veniva sottolineata da tutta la stampa tedesca nei corridoi del Segretariato. Fu solo l'energico passo fatto presso von Rosenberg, di cui ho riferito a suo tempo a V. E. (2), che fu possibile ristabilire le nostre posizioni.

350

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 ottobre 1932.

Conferenza del Disarmo (ottobre 1932).

In questa ultima fase i lavori della Conferenza del Disarmo non hanno fatto alcun reale progresso.

Nel campo degli armamenti terrestri e degli armamenti aerei non ha avuto luogo che un generico scambio di vedute fra i Presidenti delle rispettive Commissioni e le Delegazioni più interessate. Il rapporto che detti Presidenti devono preparare per la prossima riunione dell'Ufficio di Presidenza si limiterà quindi ad esporre la situazione dei due problemi negli stessi termini in cui essi si presentavano alla fine di luglio.

Della questione navale non si è parlato affatto in attesa di conoscere se è possibile un'intesa fra americani ed inglesi le cui tesi, quali esposte nello scorso luglio, erano apparse piuttosto divergenti.

Hanno lavorato invece un Comitato speciale degli effettivi ed una Commissione per la regolamentazione del commercio e della fabbricazione delle armi.

32 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Il Comitato degli effettivi, avendo preso come base di lavoro il progetto Hoover, ha occupato varie sedute ad esaminare se e quali elementi, oltre quello della popolazione, dovessero essere presi in considerazione nel calcolo della cosiddetta parte irriducibile degli effettivi. Ha concluso nel senso che la popolazione deve essere considerata come l'elemento principale di calcolo, ma integrata da altri fattori (lunghezza e qualità delle frontiere, estensione del territorio, etc. etc.). Nell'ultima seduta, il Delegato francese ha chiesto che, nel determinare il coefficiente proporzionale che il progetto Hoover ha fissato nel rapporto tra popolazione ed armamenti degli Stati che sono stati disarmati dai Trattati di Pace, si tenesse conto nei riguardi della Germania non soltanto dei 100 mila uomini della Reichswehr, ma anche di quella parte delle forze di polizia che in Germania sono organizzate militarmente. Il Comitato ha deciso di incaricare un sotto comitato di esperti militari di fare un esame delle forze di polizia e similari dei diversi Paesi per decidere se e quali parti di esse dovessero entrare nel calcolo degli effettivi. In pari tempo il Comitato ha deciso che i rappresentanti delle principali Potenze coloniali si riuniscano per discutere i criteri applicabili, secondo il progetto american~, nella determinazione delle forze dei diversi territori coloniali.

In seno alla Commissione per la regolamentazione della fabbricazione e del commercio delle armi si è discusso lungamente sulla possibilità ed opportunità di un rigido controllo della fabbricazione delle armi, sia di quella statale, sia di quella privata. Da parte di un certo gruppo di delegati è stata svolta una azione a carattere prettamente demagogico che ha contribuito a complicare la discussione senza far compiere alla questione alcun progresso. Si può dire che questa Commissione abbia lavorato, più che altro per dare la impressione eh~ la Conferenza continuava a funzionare. Ma l'incertezza esistente circa la questione politica della uguaglianza di diritti e in generale circa le future sorti della Conferenza non hanno permesso di compiere alcun lavoro proficuo.

Le Commissioni e sotto-commissioni speciali continueranno a funzionare ed intanto è stata fissata la riunione dell'Ufficio di Presidenza per il 3 novembre e della Commissione Generale per la settimana che incomincia col 21 novembre.

(l) -Del 15 ottobre, non pubblicato. (2) -Cfr. nn. 335 e 338.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3634/220 R. Vienna, 18 ottobre 1932, ore 22 (per. ore 8 del 19).

È evidente la colpa dei gregari socialisti per i fatti sanguinosi di domenica, cosi come è evidente che micidiale iniziativa non era stata voluta e nemmeno consentita dai capi, i quali si rendono conto del grave danno derivatone ora alla loro causa.

Se ne avvantaggiano il Ministero in genere e la Heimwehren in specie. Il primo effetto è stata immediata nomina finora rimandata del capo Heimwehr Vienna maggior Fey a segretario di stato polizia.

Cancelliere mi ha confidato stamane che si propone valersi dell'opportunità per dare un nuovo colpo di timone a destra. Intende appoggiarsi anche maggiormente sulle Heimwehren, alla sfilata delle quali ha assistito domenica scorsa e confida tanto più in loro, in quanto già nota un ritorno nelle loro fila di nazionalsocialisti che vanno perdendo fiducia in Hitler e nel suo successo in Ge,rmania e in Austria.

Mi ha chiesto se fossi contento dei suoi propositi di energia e gli ho risposto che il Governo fascista sarà tanto più contento quanto più egli andrà a destra.

L'ho consigliato di decidersi alla perquisizione a fondo delle case socialiste per sequestrarvi quelle armi che nessun Gabinetto anteriore al suo aveva sul serio osato cercarvi e di cui l'ostruzionismo demo-massone impedì a Starhemberg, quando era tre anni fa ministro dell'Interno, di impossessarsi.

Cancelliere non ha punto respinto questo consiglio e ha anzi promesso che si sarebbe incamminato per tale strada. Ha osservato alla fine del colloquio che l'avvento del fascismo dieci anni or sono, quando maggiormente imperversava dappertutto la tirannia rossa, è stato ed è indubitabile beneficio per tutto il mondo. Il fascismo è fatto specificamente italiano che non può essere imitato. Ma il movimento verso destra da esso iniziato dieci anni fa e coronato in Italia da così pieno successo può essere ed è seguito da altri Stati con gli adattamenti che i locali precedenti storici e le loro presenti condizioni specifiche comportano.

352

IL MAGGIORE RENZETTI A...

Berlino, 18 ottobre 1932.

Riferimento rapporto 11 ottobre c.a. (1).

In relazione mia richiesta ultima, ho l'onore di comunicare che viaggio in parola verrebbe compiuto in un giorno e che la permanenza a Roma sarebbe di un solo giorno da impiegarsi visita omaggio e visita Mostra Fascismo.

353

IL PREFETTO DI ZARA, VACCARI, AL MINISTERO DELL'INTERNO

T. u. 52038/46333/444. Zara, 19 ottobre 1932, ore 10,55 (per. ore 12).

Riferimento mio telegramma ieri pari numero (2).

Insorti croati, riusciti rompere blocco, sono qui giunti. Resteranno segreta

mente Zara per alcuni giorni riposo loro indispensabile, ripartendo, appena

possibile, via Fiume.

(l) -Cfr. n. 324. (2) -T. 51972/444 del 18 ottobre, non pubblicato, con il quale Vaccari aveva riferito che alcuni insorti croati, circondati dalle truppe jugoslave, cercavano di aprirsi un varco per dirigersi verso zara.
354

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAU MARCHAIS

APPUNTO. Roma, 19 ottobre 1932.

Mi ha chiesto di essere autorizzato a visitare nelle prigioni la spia Eydoux recentemente arrestata. Mi sono riservato di studiare la cosa e di fargli pervenire una risposta.

Si è informato poi se avevo notizie da Londra circa l'accettazione tedesca di Ginevra come sede per le progettate conversazioni sul disarmo. Gli ho risposto che Ginevra è definitivamente scartata e che nulla ancora si sapeva sull'esito dei negoziati per la scelta di un'altra sede.

Infine poi ha abbordata l'annosa questione delle polemiche di stampa fra i due paesi. Gli ho ripetuto la solita annosa risposta. facendogli constatare che anche in questi ultimi tempi -e il caso dei recenti attacchi della Ere Nouvelle ne era una prova -la nostra stampa si è limitata 'a ribattere allorché veniva attaccata. Ma l'iniziativa era loro (1).

355

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AIUTANTE DI CAMPO DEL RE D'ALBANIA, SEREGGI

APPUNTO. Roma, 19 ottobre 1932.

L'aiutante di campo del Re di Albania, colonnello Sereggi, che attualmente frequenta il corso di perfezionamento alla Scuola di applicazione di Civitavecchia, è venuto a portarmi i saluti di Abduraman, tutore di Re Zog, suo uomo di fiducia e faccendiera politico. Da tutto quanto m'ha detto trasparivano i suggerimenti del vecchio Abduraman.

Ha espresso la convinzione che le due principali ragioni a cui si deve attribuire il rallentamento che negli ultimi tempi si è verificato nelle relazioni fra i nostri due paesi sono quella degli attriti a causa della Svea e delle dogane, e sopratutto quella della mancanza di contatti fra S. E. il Capo del Governo e

S.M. Zog.

A titolo personale -diceva lui -egli si permetteva di avanzare un suo suggerimento. Se, come egli ben comprendeva, gravi difficoltà si opponevano alla realizzazione di un incontro fra S. E. il Capo del Governo ed il suo Sovrano, perché non sarei andato io a Tirana ad incontrarmi con Zog?

Gli ho enumerato tutte le ragioni che facevano cadere il suo suggerimento.

(l) Annotazione a margine: «Visto da S. E. Il Capo del Governo 21.10 ».

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IL MINISTRO BUTI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE SEGRETA. Roma, 19 ottobre 1932.

l) Nella trattazione della questione della cessazione del mandato britannico sull'Irak, l'azione politica italiana a Ginevra ha ottenuto si stabilisse il principio che dovesse previamente esaminarsi in modo approfondito non soltanto se lo Stato sotto mandato avesse raggiunto la maturità necessaria ad esser liberato dalla tutela, ma anche se la Potenza mandataria non avesse precostituito con lo Stato sotto mandato legami tali da comprometterne la piena sovranità ed indipendenza voluta dall'art. 22 del Patto.

2) La nostra adesione alla cessazione del mandato irakiano è stata inoltre, se pur non formalmente, condizionata di fatto all'ottenimento di qualche compenso, che si è concretato nella concessione di sfruttamento della zona petrolifera ad ovest del Tigri alla Società britannica B.O.D., nella quale l'A.G.I.P. ha una partecipazione.

3) La questione della cessazione del mandato francese sulla Siria non è ancora venuta sul tappeto; ma già sono note le intenzioni francesi di instaurare, alla cessazione del mandato, un vero e proprio protettorato su parte del territorio siriano (Libano) e di costituire col territorio restante legami molto più stretti di quelli risultanti dal trattato anglo-irakiano del 1930.

4) Non si vede come tale programma francese possa essere messo in accordo con gli scopi del mandato. stabiliti dall'art. 22 del Patto. Il Qual d'Orsay già misura gli ostacoli che verranno sollevati a Ginevra, particolarmente da parte nostra; ed in colloqui recentemente avuti con funzionari francesi, questi hanno fatto esplicitamente parola della necessità di particolari negoziati e di previi accordi con l'Italia per assicurarsi la nostra adesione.

5) Col Marchese Theodoli, in procinto di partire per Ginevra, dove presiederà la sessione di ottobre della Commissione Permanente dei Mandati, sono corse intese -subordinatamente all'alta approvazione dell'E. V. -nel senso di cercare che la Commissione stessa accentui la sua azione di indagini e di controllo sull'operato della Francia, quale Potenza mandataria in Siria, si da evitare che questa abbia a discostarsi, nell'applicazione del mandato, dallo spirito e dagli scopi consacrati nell'art. 22 del Patto; e in modo che il problema della cessazione del mandato siriano, quando verrà posto a Ginevra, abbia a presentarsi nella sua integrità, e non già intaccato o compromesso dall'azione svolta dalla Potenza mandatarìa nell'esercizio del mandato.

6) In occasione della destinazione a Beirut del nuovo R. Console Generale, la Direzione Generale A. P. (Ufficio III) sì proporrebbe inoltre dargli istruzioni di agire localmente, d'intesa con i R. Consoli in Damasco e Aleppo, nel senso di dare la sensazione ai nazionalisti siriani, coi quali potrebbero essere instaurati cauti contatti indiretti, della concomitanza di interessi e di scopi fra la politica del R. Governo ed i loro desiderata nel problema della cessazione del mandato smano, scopi che possono nelle linee principali così riassumersi: a) raggiungimento di una reale ed effettiva indipendenza della Siria, t legami con la Potenza mandataria non dovendo andare al di là, possibilmente anzi restare al di qua. di quelli che sono stati instaurati fra l'Inghilterra e l'Irak, e che SQ;no stati riconosciuti dalla Soeietà delle Nazioni tali da non infirmare l'indipendenza e la sovranità del nuovo Stato; b) opposizione a qualsiasi instaurazione di protettorato su parte del territorio siro-libanese; il mandato della Siria e Libano è unico, ed H nuovo Stato dovrà comprendere nella sua integrità tutto l'attuale territorio sotto mandato, pur ammettendo la possibilità di particolari autonomie amministrative (Libano, zona di Alessandretta) nel quadro dello Stato siriano; c) contemporaneità della cessazione del mandato sulla Siria e dell'ammissione di questa nella Società delle Nazioni.

La Direzione Generale A. P. (Ufficio III) resta in attesa di conoscere se le direttive di cui ai nn. 5 e 6 ricevano l'alta approvazione dell'E. V. (1).

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MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

Belgrado, 19 ottobre 1932.

Ho veduto il Re proprio il giorno dopo che egli aveva avuto dal suo Ministro dell'Interno il rapporto sui recenti moti nella Lika, e l'ho trovato eccitatissimo perché il rapporto era fatto in modo da fare apparire chiaramente che la propaganda, le armi, le bombe fossero venute dall'Italia. Il re ne è persuasissimo.

« ...J'en suis dégouté; voilà ce que les italiens nous font toujours, ils tàchent de nous donner des coups dans le dos, et ils espèrent de pouvoir obtenir des grands succès avec cette guerre déloyale.

Est il possible que un pays comme l'Italie puisse se servir de semblables moyens pour tàcher d'augmenter les troubles dans le pays et nous donner des embètements? Croit-on en Italie d'arriver à quelque chose avec des si petits moyens indignes d'un si grand peuple qui se respecte? ce n'est pas en excitant quelque pauvre paysan ignorant, et en tuant quelque campagnard qui ne demande rien que de vivre, que l'on réussira à obtenir des succès politiques radicaux.

Ditez ça en Italie, et ditez de ma part à M. Mussolini que pour faire naitre des sérieux bouleversements en Jougoslavie, pour avoir des changements de régime, il faut tirer sur moi, et etre bien sur de me tuer, car seulement à ce moment on verra des changements ici, je vous répète il faut me tuer, et bien me tuer! et ditez aussi que si pour le bien du pays il fallait faire couler des riviè

res de sang, je serais décidé de le faire car je sens avant tout et surtout le sentiment de mon devoir et la responsabilité de ma piace. Je veux le bien du pays ».

Il Re ha continuato così a lungo, sempre eccitatissimo, ripetendo che era «...dégouté, et découragé; ... il ne pouvait pas se persuader que une nation comme l'Italie, sous le régime de M. Mussolini pouvait s'abaisser à des movens si indignes! ...et nous avons toutes les épreuves que la propagande vient d'Italie, que les armes sont italiennes, que les bombes ont été confectionnées en Italie: figurez vous que dans l es bom bes o n a trouvé le p a pier des journaux italiens, et des papiers timbrés Milano -Milano -Milano. Les paysans qui ont été attrapés et qui ont donné les armes à la police, ont clairement dit d'où et de qui ils les ont reçues, et tout ça sous les yeux et sous le nez des autoritées italiennes de Zara. Car c'est bien à Zara que l'Italie a une organisation parfaite de propagande contre nous. Voila pourquoi j'ai toujours dit que je ne voulais pas d'Italiens en Dalmatie! Ils son t là pour pouvoir de temps en temps nous tirer dans le dos ».

Ho ribattuto energicamente, dicendo che la migliore prova che le bombe non venivano d'Italia era proprio quella che esse erano confezionate con giornali e carta italiana, se fossero state confezionate a Milano si sarebbero certamente trovati giornali francesi e timbri di Parigi-Parigi, ho detto che nell'Italia di oggi si è troppo intelligenti per pensare che facendo scoppiare una bomba in Lika, che uccide quattro poveri diavoli di contadini, si possa rovesciare il regime esistente in Jugoslavia, che non è la bomba che ha importanza, ma le conseguenze morali politiche che essa scoppiando, crea e che bisogna quindi piuttosto cercare per chi queste conseguenze hanno interesse e facendo tali ricerche accuratamente si arriverebbe a quel tale Previcitch profugo Jugoslavo, ex deputato della Lika che da Parigi dirige il movimento ...

<< ...Prevititch a fait beaucoup de saletés et il en fera encore, mais cette fois çi il n'a rien à faire avec la Lika, je vous répète que nous avons toutes les épreuves que tout ça a été organisé à Zara sous les yeux et avec l'aide des autorités italiennes, et je vous rèpète aussi que je suis étonné que l'Italie d'aujourd'hui, comme vous ditez, soit capable de pareilles actions, et que je pense que M. Mussolini ne soit pas au courant de ce qui se passe, car surement il ne permettrait pas que sous son gouvernement, on employat des semblables systèmes qui jettent le discrédit sur la nation ».

Ho nuovamente ribattuto dicendo che, non potendo negare che in Italia fossero ancora delle forti correnti antijugoslave, avanzi dell'arditismo di Fiume, tenuto sempre desto da Gabriele d'Annunzio, che da Gardone agita a ogni occasione la fiaccola dell'irredentismo dalmata e del Mare Nostrum, non era da escludersi che alcune di queste correnti arrivassero fino a Zara per fare propaganda antijugoslava, ma questo arditismo, che fu a quel momento benedetto da tutti gli italiani e che è ora ricordato con riconoscenza, è tuttavia considerato ora come sorpassato, e i << mangiajugoslavi » si guardano come dannosi e inopportuni, come i vecchi << mangiapreti » tanto di moda nei passati governi liberali.

È però assolutamente da escludersi che queste correnti abbiano qualche cosa da fare col governo e colle sue organizzazioni e che siano incoraggiate dal nostro Capo, che ha una pout.ica leale, rettilinea e chiarissima.

n Re, pure insistendo sull'argomento delle organizzazioni antijugoslave di Zara, si è tuttavia mostrato meno irritato, ripetendomi tutti i vantaggi reciproci dell'amicizia itala-jugoslava, e mostrandomi il suo dispiacere di non essere ancora arrivato all'accordo, che ormai si poteva considerare raggiunto attraverso i rapporti e gli scambi di vedute già avuti. Si è rammaricato di questa nuova sosta che genera di questi spiacevolissimi incidenti, i quali a loro volta ritardano, e rischiano di annullare un grande fatto che potrebbe segnare in Europa il primo passo positivo verso un avvenire migliore nel quale tutti hanno diritto di sperare.

Durante la colazione, alla quale nessuno ha assistito, essendo la Regina indisposta quel giorno, ha sempre trattato questo argomento, mostrando il suo dispiacere, mostrando quanto avrebbe desiderato di arrivare presto alla conclusione.

«...vraiment je n'arrive pas à comprendre pourquoi chaque fois que l'on arrive à la phase conclusive, on s'arrete, on laisse passer le moment, et après on doit tout recommencer ».

Ho fatto osservare che questa volta il ritardo poteva spiegarsi o giustificarsi colle notizie gravi che non solo in Italia, ma dappertutto si sentono sulla situazione interna della Jugoslavia, notizie che forse sono esagerate, ma che tuttavia non possono fare a meno di fare impressione e rendere perplessi. « Se tali notizie sono veramente esagerate, se al di fuori si estende un allarme non giustificato non vi sarebbe modo di far sapere in Italia il vero stato delle cose?

Se in Italia si potesse essere persuasi che non vi è un pericolo che le cose precipitino o che si debbono attendere cambiamenti radicali che rendessero nullo l'accordo oggi concluso, io credo che il nostro Capo, che sempre ha riconosciuto i vantaggi di un accordo completo colla Jugoslavia, non domanderebbe di meglio che concluderlo, oramai che le questioni più importanti si sono studiate e direi quasi risolte di comune accordo».

Del resto tutti sanno che Vostra Maestà ha la possibilità di dare quando vuole, la tranquillità e la pace al paese.

«La paix et la tranquillité sont des belles choses, mais il faut avant tout qu'elles soient en accord avec le bien, le vrai bien du pays, quand je serais arrivé, et je crois de ne pas etre loin de ça, à pouvoir accorder ces trois choses magniphiques, personne sera plus content de moi. Je vous dis et je vous répète toujours que avant tout je veux le bien du pays.

Quant à la situation financière je ne suis pas très préoccupé. Nous ne

sommes pas bien pire que beaucoup de nos voisins, mais je peux vous assurer

que aussitòt que une reprise générale sera en vue, mon pays sera le premier

à se remettre debout.

Du reste M. Galli qui est ici depuis longtemps, qui connait très bien les

conditions du pays, qui suit de près les événements peut bien faire ces rapports

a Rome. Galli est un homme très honnete, intelligent et pas seulement j'ai

pour lui toute mon estime, mais je le considère un bon ami et un ami sincère

de mon pays ».

Il Re ha poi parlato della sua breve corsa in automobile nelle Dolomiti,

magnificando le nostre strade, augurandosi di poterla ripetere, e nel congedarmi, ringraziandomi per i suoi dolci preferiti che gli avevo portati da Budapest,

mi ha detto ridendo:

«Voilà au moins un italien qui ne m'apporte pas des bombes ».

Il giorno dopo ho fatto colazione alla Legazione di Polonia, ed il Ministro parlandomi della situazione interna jugoslava mi ha detto che essa è sensibilmente migliorata, perché si ha la sensazione che il Re abbia capito che deve allentare il morso, cosa che in un modo o nell'altro avverrà fra non molto, e che tranquillizzerà il paese da un giorno all'altro, perché in fondo il popolo ama il Re ed è di sentimenti dinastici.

Ho poi anche saputo che il Re aveva avuto la visita di congedo del Ministro di Germania, che si reca a Roma, e che lo ha a lungo trattenuto sui rapporti Italo-Jugoslavi esprimendogli la speranza che egli a Roma avrebbe collaborato per affrettare e giungere all'accordo.

(l) II documento si concludeva con il seguente capoverso, poi cancellato: «Tali direttive tendono a confermare nel francesi la sensazione della necessità che, ove si miri far cessare Il mandato siriano In modo non conforme agli scopi dell'art. 22 del Patto, Il Governo di Parigi tratti prevlamente con noi, per la concessione di compensi, la cui importanza dovrebbe essere eventualmente valutata in relazione al precedente che si creerebbe per tutti gli altri territori di mandato, sia orientali che africani e ciò indipendentemente dall'esame -da farsi a suo tempo -della convenienza da parte nostra di accedere all'idea dei compensi o di mantenere rigidamente l'atteggiamento assunto».

358

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3647/127 R. Bucarest, 20 ottobre 1932, ore 22,45 (per. ore 1 del 21).

Quasi tutta questa stampa commenta parole rivolte avantieri da S. E. Capo de'l Governo alla delegazione ungherese Cl). A seconda colore politico dei giornali, commenti svolgono rispettivi seguenti concetti.

l) È colpa della poutica "'"Lera della Romania di non aver saputo coltivare i sentimenti di simpatia sempre dimostratile dall'Italia, cattivandosene l'amicizia.

2) Il revisionismo dell'Italia deve persuadere la Romania a tenersi sempre più stretta ai suoi alleati e sopra tutto alla Francia, sicuro presidio dell'inviolabilità dei trattati.

3) È ormai indispensabile che la Romania reagisca alle teorie revisionistiche dei paesi ex nemici ed ex alleati. A tale necessità nuovo ministro degli affari esteri Titulescu dovrà rivolgere sua principale attività.

359

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DELL'URSS A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 20 ottobre 1932.

L'Ambasciatore dell'U.R.S.S., di fresco arrivato, è venuto con un suo segrericevuto in udienza da S. E. il Capo del Governo. Gli ho risposto che il Capo del ~arlo a porgermi il suo primo saluto. Naturalmente ha suoito chiesto di essere

Governo era in procinto di partire dalla capitale e che non vi sarebbe tornato prima del 26 corrente. Mi ha detto allora che la sua premura era dovuta al fatto che egli desidererebbe essere in carica prima della celebrazione del decennale per poter presenziare ufficialmente ai festeggiamenti. Perciò vorrebbe urgentemente poter presentare i suoi omaggi a S. E. il Capo di Governo, in qualunque momento e in qualunque punto d'Italia a Lui piacesse e successivamente presentare a S. M. il Re le credenziali prima del 28 ottobre.

Gli ho detto che la cosa mi sembrava di difficile attuazione, ma che avrei studiato il modo di venire incontro al suo desiderio.

(l) Cfr. telestampa da Bucarest 20 corrente n. 2522 [Nota del documento].

360

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 3995/2306. Vienna, 20 ottobre 1932.

Questo Incaricato d'Affari d'Ungheria è venuto a dirmi che gli sembrava le «Heimwehren » cominciassero a riprendersi e che desiderava conoscere la mia opinione in proposito.

Gli ho risposto che concordavo con lui. Dopo il periodo di massimo, per quanto relativo, splendore nel '29 e nel '30, le « Heimwehren » avevano perduto partigiani e disciplina. Ciò era principalmente dipeso dagli errori di Steidle, nonché da quelli del suo successore Starhemberg nei primi tempi della sua assunzione al potere. Le «Heimwehren » avevano ripetutamente minacciato di marciare su Vienna, pur essendo consapevoli di non essere in grado di compiere tale azione da sole bensì soltanto ove avessero avuto l'appoggio dei corpi militari statali. Steidle aveva all'uopo fatto affidamento su Schober, Starhemberg su Vaugoin; ma né l'uno né l'altro dei due cancellieri aveva voluto osare. e la conseguenza ne era stata la deplorevole situazione in cui nel '31 e nella prima metà del '32 le « Heimwehren » si erano ridotte. Per quanto più particolarmente riguardava il '32, esse erano altresì state danneggiate dalla propaganda nazionalsocialista che aveva approfittato, a proprio vantaggio, anche della sfiducia entrata oramai nell'animo di molti circa l'azione che le «Heimwehren » fossero ancora state in grado di svo.lgere.

Senonché oggi la situazione si è indubbiamente mutata e migliorata. Una delle principali ragioni è che Starhemberg si è deciso a cambiar tattica. Fin dal '30 gli avevo inutilmente detto che, non essendo egli in grado di impadronirsi di colpo e da solo del potere, doveva procedere per tappe e avere come programma della prima la collaborazione con i borghesi per debellare i socialisti, i quali erano il pericolo più grave e urgente. Oggi, poiché i pangermanisti rifiutano la partecipazione al Governo, il gruppo parlamentare delle «Heimwehren », per quanto piccolo, basta a dare al Gabinetto quella esigua maggioranza che gli consente di tenersi in piedi, e Starhemberg avendo così in mano la vita del ministero può premere per spingerlo più a destra. D'altra parte questo suo scopo coincide in qualche modo con le idee generali non solo di alcuni membri del gabinetto, bensì anche dello stesso Dollfuss. Gli avvenimenti politici di Germania

hanno qui avuto una certa ripercussione, pur con il dovuto mutatis mutandis. Dollfuss, senza che si debba credere parola per parola ai propositi di energia manifestatimi, fa il Papen «formato mignon ». Domenica mattina, infilatosi il soprabito e calcatosi sulla testa il cappello, se n'è sceso dalla Cancelleria alla « Heldenplatz » ad assistere all'ordinato e disciplinato sfilamento dei dodicimila uomini delle « Heimwehren », rappresentanza ridotta di tutta l'organizzazione austriaca, i quali, quantunque non paragonabili agli «Elmetti di acciaio », hanno fatto a spettatori imparziali come me buona impressione.

Si aggiunga altro. Il socialnazionalismo è qui pianta importata, e il suo programma non è sentito dagli Austriaci, specie dai contadini e dal clero che lo guida. Del resto gli oratori hitleriani venuti a Vienna vi hanno tenuti discorsi ch'erano la evidente ripetizione di quelli fatti in Germania; non una parola speciale per gli speciali problemi austriaci, e tutto ridotto al concetto: annettetevi a noi, e poi quando saremo saliti al potere in Berlino, siccome le cose andranno meglio per noi esse andranno meglio ·anche per voi se vi sarete annessi a noi. L'innegabile grande progresso fatto negli ultimi tempi e fino a poco fa dagli hitleriani nelle città austriache è dipeso da altre ragioni che non quelle di una corrispondenza del loro programma ai bisogni austriaci. Occorre lasciar da un canto i convinti, che appartengono alla classe dei professori e degli studenti nonché in parte a quella degli ufficiali, attratti gli uni dalla «cultura » della Germania, e gli altri dalla sua «volontà di potenza », queste non sono che minoranze per quanto scelte. La massa degli improvvisi fautori austriaci di Hitler è composta dai numerosi malcontenti che, perduta la fiducia negli attuali parlamentari, cui rimproverano di avere condotto lo stato alla presente crisi o quanto meno di non aver saputo evitargliela, son tratti a riporre la fiducia in un nuovo partito che non è logorato da responsabilità precedentemente assunte e che non avendo ancora partecipato al potere è in grado di promettere tutto quanto si desidera e anche più. La massa è fatta altresì dai, per così dire, speculatori, che abbagliati dalla subita e splendida aureola formatasi intorno al capo di Hitler, specie dopo le ultime elezioni, sono stati convinti ch'egli avrebbe assunto il potere in Germania e che conseguentemente i suoi seguaci austriaci lo avrebbero assunto qui: occorreva quindi spiegare le vele secondo il prevedibile favore del vento per poter poi gettare le reti e pescar benefici. Si aggiunga infine la maggiore efficacia che J.a propaganda ottiene, specie in un paese come questo con forte crisi economica e deboli convinzioni politiche, quando il suo canto è accompagnato da suoni metallici. Centri di organizzazione ne sono stati costituiti in numero considerevole e con buona attrezzatura, e gli organizzatori austriaci non è gente da lavorare per il Re di Prussia, si chiami pure, invece, Hitler. Stipendi devono pigliarne, un po' di cresta sui conti non mancheranno di farla: conosco i miei polli e persone come Starhemberg, che invece di guadagnare si indebitano, non se ne vede molte in giro per queste ridenti strade. Si vedono invece parecchi hitleriani con uniformi attillate e fiammanti che soldi devono costarne, ma di sicuro, non a chi le porta. Tuttavia le cose accennano a mutare. L'aureola di Hitler comincia a impallidire e con essa la spe

ranza che salendo egli al potere in Germania vi salgano anche qui i suoi seguaci. Tanto più che condizione necessaria se non sufficiente sarebbero le nuove elezioni, ma il Governo non le vuole, e i socialisti, a quanto pare, nemmeno; e gli avvenimenti di Germania non sono d'altronde tali che ripercuotendosi in Austria obblighino quello e questi ad accettare una nuova e anticipata prova delle urne. Se, come qui si prevede, le prossime elezioni germaniche segneranno il principio della decadenza di Hitler e quindi faranno notevolmente ridurre le sovvenzioni degli industriali germanici, che già si dice non siano così abbondanti come sino a qualche mese fa, è da supporre che anche le sorgenti nazionalsocialiste austriache cominceranno a essiccarsi. Diminuiranno così con le speranze future i benefici presenti: danno emergente e lucro cessante. D'altra parte si rifletterà meglio al fatto che le «Heimwehren » partecipano adesso al Governo con, direi, un ministro e mezzo, ché, oltre a Jakoncig, c'è ora Fey il quale è Segretario di Stato (noi diremmo Sottosegretario) per la polizia. E, se nulla d'imprevisto accade, parecchie pecorelle smarrite torneranno all'ovile.

Occorre però avvertire che la situazione non è qui mai in tutto chiara, e non può quindi mai indicarsi con parole precise, le quali appena pronunciate sembrano dare alle cose descritte una nettezza di contorni che esse in realtà non hanno. Tutto è qui vago, incerto, sfumato, in tono minore. Qualunque terreno si scelga per costruire contiene sabbia, qualunque materiale si adoperi per la costruzione è friabile. e ogni più solida affermazione, ogni più ponderata previsione deve essere preceduta da qualche avverbio dubitativo se si vuoi evitare il pericolo d'ingannarsi e d'ingannare.

L'Incaricato d'Affari d'Ungheria s'è trovato d'accordo con me. E ha aggiunto, con intenzione, che un nuovo vantaggio scorgeva per le «Heimwehren »: quello ch'esse parevano ricominciare a disporre di fondi. Ho finto di non capire la dissimulata domanda e ho risposto che sapevo aver gli industriali ripreso, o quanto meno accresciuto, le contribuzioni. Questa è sempre qui la grande curiosità degli ungheresi: conoscere se sovveniamo le «Heimwehren ». Ma segreto confidato non è più segreto; qualcuno delle organizzazioni provinciali finirebbe col saperlo e ricatterebbe Starhemberg dicendogli: o i quattrini o lo scandalo.

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IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI (l)

T. PER CORRIERE 10360 P. R. Roma, 21 ottobre 1932.

Colloquio accordato da Herriot al conte Sforza ha prodotto una pessima impressione in Italia specie tra i fascisti. Lo faccia sapere.

P. S. Si unisce ritaglio del giornale Lavoro Fascista del 21 corrente contenente notizie.

(l) Da ACS, Minculpop, busta 174, fase. 15, copia.

362

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 3993/23... (1). Vienna, 24 ottobre 1932.

Il ministro Jakoncig mi ha confidato essersi intrattenuto l'altro giorno in lungo colloquio con GombOs. Si rallegra di aver avuto la conferma che Gombos si pone le sue stesse direttive politiche circa i rapporti fra i nostri tre Stati, direttive che coincidono con quelle esposte da V. E. a Jakoncig a Roma. Jakoncig si riserva intrattenerne Dollfuss.

363

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

T. POSTA RR. 97. Belgrado, 25 ottobre 1932.

Sui fondi dei quali dispongo mensilmente per spese di polizia invio al Comm. Umiltà da 8 a 12 mila dinari mensili a seconda delle esigenze che egli mi indica di volta in volta.

Il Comm. Umiltà mi ha chiesto di inviargli per il mese corrente dinari

25.000 e ciò per dare qualche aiuto alle famiglie dei numerosissimi arrestati croati di questi ultimi tempi e che si trovano in condizioni di maggiori ristrettezze.

Pur rendendomi conto della delicatezza di concedere tali aiuti e del pericolo e della compromissione che ciò può portare, non credo esimermi da tale invio, reso possibile del resto e da avanzi dei mesi precedenti e dalla caduta del dinaro che aumenta fortemente le disponibilità di questa cassa. (Nel mese corrente ho infatti cambiato in dinari soltanto 30.000 lire, anziché la intera quota di quaranta).

Ho del resto attirata l'attenzione del Comm. Umiltà (che in pari tempo mi ha anche fatto conoscere la straordinaria vigilanza cui tanto egli che i suoi collaboratori sono sottoposti da varie settimane) della responsabilità in cui egli incorrerebbe qualora per tali erogazioni si verificassero degli inconvenienti.

Ove per altro V. E. stimasse più prudente non dare tali sussidi prego volermi subito telegrafare le parole «non concordo » con riferimento al presente telespresso (2).

n. -360. Evidentemente l due documenti furono protocollati e spediti Insieme.

«Senza dubbio Il dott. Mac:!ek è il capo di maggior prestigio e forse di maggior valore che abbiano ora i croati e, per Il suo temperamento, la sua fede e la sua rettitudine, costituisce lo

(l) -Gli altri due numeri sono Uleggiblli per il deterioramento del documento. Questo telespresso reca un numero di protocollo anteriore a quello del telespresso del 20 ottobre edito al (2) -Sulla Insurrezione della Lika cfr. le considerazioni di Umiltà ne !tuo t.posta r. 4160/464 del 26 ottobre:
364

IL MAGGIORE RENZETTI A...

Berlino, 25 ottobre 1932.

Ho avuto oggi un lungo colloquio con Hitler che ho trovato in ottime condizioni di salute e di spirito. Mi ha detto ài nutrire molta fiducia nell'esito delle prossime elezioni. «I miei comizi sono più affollati di quelli delle passate elezioni e vi regna un indescrivibile entusiasmo, mi ha detto. Il popolo si accosta sempre maggiormente a me: l'ho potuto constatare specie in questi ultimi giorni.

Le masse, in seguito al nostro lavoro di chiarimento e di propaganda si rendono conto della debolezza dell'attuale Governo e della necessità della presenza di un forte movimento nazionale capace di debellare la minaccia delle sinistre. Il nazionalsocialismo riporterà certamente una forte affermazione».

Gli ho fatto osservare che il linguaggio di alcuni scrittori ed oratori aveva spaventato e spaventava i pacifici borghesi e che ritenevo fosse utile calmare costoro per riprenderli. Hitler mi ha risposto che aveva dato espressi ordini in tale senso e che altri ne avrebbe fatti seguire. <<Ma lo 'Spiesser' -(il borghese pacifico e poltrone) -ha soggiunto, bisogna afferrarlo con la paura: esso attualmente ha paura della nostra ascesa e nello stesso tempo paura per la certa crescita dei comunisti: finirà con il pronunziarsi per le Camicie brune in quanto non nutre eccessiva fiducia verso i tedesco-nazionali.

Nella stampa si nota già una certa incertezza. I giornali borghesi si sono gettati dalla parte del Governo e per ottenere sovvenzioni o crediti da parte delle banche e dena industria (moltissimi di essi si trovano in condizioni finanziarie pessime e potrebbero venire comprati per un boccone di pane: gli ho fatto osservare che non sarebbe certo un male se scomparisse un migliaio di periodici i quali disorientano il pubblico: Hi,tler ha risposto che avevo ragione e che egli non muoverebbe un dito per salvarne): attualmente cominciano a constatare di avere fatto un pessimo affare e cercano di riavvicinarsi a noi».

Ho dato a Hitler i saluti del Duce ma gli ho anche detto che il movimento delle camicie brune attraverso la via legale non potrà riuscire ad agguantare il potere: che occorre tentare una azione di forza. Hitler ha ascoltato la mia esposizione particolareggiata in cui gli ho spiegato quanto si pensa in Italia

scoglio maggiore contro il quale ogni governo di Belgrado sbatte inutilmente prima di ottenere non dico la sottomissione, ma la collaborazione croata, indispensabile a menare a bene qualunque programma in Jugoslavia.

Queste sue stesse doti, che lo rendono da queste parti così rispettato e popolare, e fanno di lui un apostolo della resistenza passiva, non sembrano per altro che possano riuscire da sole a sfasciare lo stato attuale.

Forse questa insurrezione è stata intempestiva e mal diretta; ma anche fosse stata fornita di mezzi maggiori e fosse scoppiata in tempi più propizi, il dott. Maéek non dà l'impressione di essere uomo da mettersi alla testa di un movimento di questo genere. La sua natura pare che non lo designi per simili azioni.

Fino a che egli rimarrà a capo del partito, questo difficilmente cambierà programma o si adatterà a collaborare in qualche modo con Belgrado: sotto questo aspetto mai terreno fu cosi ben preparato e coltivato per separarsi politicamente dall'attuale nesso jugoslavo.

È molto più probabile che l'emigrazione, se sarà fornita di armi di danaro, e se saprà approfittare di qualche avvenimento interno cd esterno propizio, riesca a far scoppiare una insurrezione in grande stile, la quale, ripeto, ha già qui il terreno molto ben preparato, ma manca finora di un capo o di vari capi che la sappiano condurre con impeto alla mèta voluta.

Con chiunque del resto si parli qui, anche in questi tempi in cui parlare è già correre un enorme rischio di ~ssere denunciato, arrestato e torturato, non si avverte che questo unico modo di pensare e di sporare: la Jugoslavia è già morta e tra poco la libera Croazia sarà finalmente separata da Belgrado».

al riguardo e mi ha risposto di essere dello stesso parere. «Io attendo, ha soggiunto, il momento favorevole per inaugurare la seconda fase della rivoluzione. Non so se tenterò il colpo prima o dopo la mia andata al potere :certo è che lo tenterò per passare dal Governo dei paragrafi a quello rivoluzionario. Abbia pazienza ed aspetti: ne riparleremo dopo le elezioni».

Hitler mi ha comunicato di aver conferito con il nuovo Ambasciatore tedesco a Roma e di avergli detto che se vuole l'appoggio dei nazionalsociaJisti deve fare con l'Italia la politica che esso ha deciso di seguire nei riguardi del nostro paese. « Von Hassel non è certo l'Ambasciatore che noi avremmo desiderato, ha soggiunto Hitler, ma è molto migliore di Von Schubert ».

A proposito delle relazioni itala-tedesche, Hitler mi ha raccontato di aver conferito in passato con il Ministro allora degli Esteri Curtius il quale gli comunicò la intenzione di tentare di addivenire ad un accordo con la Francia. Hitler gli chiese se l'Italia era stata avvertita di tale intenzione e Curtius rispose che se ciò fosse avvenuto le trattative sarebbero andate a monte. Questi sono gli uomini, mi ha detto Hitler che vogliono fare i furbi e governare la Germania (io gli ho esposto i fasti ed i nefasti dell'ex Ambasciatore, della commissione per le divise ecc.) e che hanno isolato il mio Paese. Hitler poi mi ha detto che Von Papen è sospettato anche dagli stessi uomini del centro di voler troppo legare la Germania alla Francia e mi ha ricordato quanto ho comunicato su le sue (di Von Papen) profferte di alleanza a Herriot a Ginevra.

«La Francia addiverrebbe ad un accordo con noi, certamente, per rafforzare la sua posizione in Europa salvo poi a darci il benservito non appena non le fossimo più indispensabili. Questa Nazione non può rinun2liare alle sue velleità frutto di tradizioni e di mentalità: i francesi sono orientati spiritualmente così da sentirsi i naturali capi dell'Europa. Noi tedeschi dobbiamo tener presente tale situazione per procurarci degli amici altrove ed impedire la realizzazione dei sogni francesi. Io sono un nemico personale della Francia ma pure ho tentato di vincere tale sentimento e ho studiato a fondo il problema delle relazioni franco-tedesche: sono giunto alla conclusione obiettiva che queste non potranno mai essere sincere, mai amichevoli. Può darsi che si possano realizzare accordi parziali e temporanei ma occorre nello stesso tempo il nulla asta degli amici. Fra questi ultimi pongo in primo piano l'Italia. La Germania naz.ionalsocialista e l'Italia fascista saranno amiche per diecine e diecine di anni o almeno fin quando io vivrò. I francesi mi hanno la corte ma io non abbocco all'amo (ricordo a questo proposito quanto in passato ho segnalato sull'attività dell'attuale Ambasciatore francese a Berlino, sui suoi tentativi che io ho fatto mandare a monte, per venire a contatto con i nazi: il suo richiamo che nei circoli politici si prevede prossimo, sarebbe originato dal fatto di non avere potuto realizzare il piano escogitato di legare i nazi alla Francia). Un accordo con la Francia deve essere preceduto da leali e sincere e chiare trattative con

l'Italia».

Hitler mi ha poi accennato al suo vivo desiderio di venire presto in Italia: gli ho accennato di essere in attesa di disposizioni e poi ho immediatamente deviato la conversazione. Io ritengo che attualmente la presenza sua sia indispensabile in Germania per guadagnare alla causa nazionalsocialista nuove migliaia

di aderenti.

P.S. Giunge in questo momento la notizia del giudizio della Corte Suprema di Lipsia nel conflitto fra la Prussia e il Reich: il colpo è grave per il Gabinetto Von Papen il quale se non prenderà dei provvedimenti energici dimostrerà di non essere affatto il Gabinetto di uno Stato forte autoritario, ma di essere invece niente altro che un Gabinetto liberale camuffato. La sentenza rappresenta uno scacco del governo e fornisce materiale agli oppositori suoi: rafforza la posizione dei socialisti.

Dirò nel prossimo rapporto delle conseguenze della sentenza che rappresenta un nuovo fatto illogico e grottesco della vita politica di questo Paese.

365

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3708/670 R. Londra, 26 ottobre 1932, ore 19,15 (per. ore 1,30 del 27).

Capo delegazione Stati Uniti conferenza disarmo Davis ha chiesto incontrarmi per mettermi al corrente conversazioni avute in questi giorni con MacDonald e Simon nonché pensiero delegazione americana intorno problemi ripresa conferenza disarmo.

Anche Davis è d'avviso avere Governo tedesco commesso errore non accedere conferenza a quattro. Al punto in cui sono le cose Davis non vede come possa raggiungersi, in tempo relativamente breve, soddisfacente soluzione del delicato problema.

Governo americano ritiene sia utile intanto riprendere esame problema navale. A tale scopo Davis, coll'assistenza esperti navali americani, ha iniziato conversazioni con Governo britannico nell'intento raggiungere punto d'accordo fra proposte Hoover e controproposte Baldwin, cui differenza è notevole.

Conversazioni procedono e Davis dice che spera in un risultato positivo. Dopo di che America ed Inghilterra tratteranno con Giappone e parimenti occorrerà risolvere questione navale italo-francese.

A tale scopo Davis si reca a Parigi conferire Herriot e sarebbe suo vivo desiderio recarsi Roma visitare V. E. Egli attenderà a Ginevra conoscere da Aloisi gli opportuni accordi circa data.

Avendo io detto che proposte Hoover rappresentano ancora oggi nella loro pratica ed ovvia enunciazione quanto di meglio possa essere raggiunto ne'l campo del disarmo nelle attuali condizioni, Davis mi ha dichiarato che Governo Stati Uniti pensa oggi ravvivare discussione su tali proposte prendendo parte più diretta e più attiva trattativa con le Potenze.

Circa parità diritti Germania, seguendo istruzioni di V. E. ho fatto presente non doversi commettere errore trattare tale questione in assenza Germania e Davis ha risposto esser dello stesso avviso.

Ritengo che visita Roma Davis, anche se non porterà sensibili risultati pratici, sarebbe senza dubbio politicamente utile.

366

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 ottobre 1932.

In relazione al mutamento del titolare della R. Ambasciata in Berlino, alla situazione generale politica in Germania, e ai contatti che il Maggiore Renzetti ha avuto ultimamente non solo con elementi del partito hitleriano, ma anche con personaggi ufficiali come con il nuovo Ambasciatore di Germania in Roma, von Hassel, ravviserei la opportunità che per coordinare l'attività del Maggiore Renzetti a quella della nostra Rappresentanza, contenerla nei limiti del suo compito specifico e necessario di organo di caratte.re fiduciario verso organizzazioni di partito, venisse disposto perché il Maggiore Renzetti prendesse da S. E. Cerruti le necessarie direttive e allo stesso riferisse (1).

367

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3711/537 R. Parioi, 27 ottobre 1932, ore 12,35 (per. ore 16).

Un mio collega, col quale ho avuto in un posto precedente relazione di amicizia, mi ha detto risultargli da persona vicina al presidente del consiglio dei ministri che questi si propone indurre Governo spagnuolo a impegnarsi a consentire un eventuale passaggio nel suo territorio truppe di colore francese. Porto sbarco Cadice.

Collega è persona seria. È da quattro anni alla direzione di una legazione in Francia. Egli mi ha dato nove anni fa, quando fummo per la prima volta insieme ad Atene, informazioni risultate esatte.

368

IL CONSOLE GENERALE A MALTA, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3707/87 R. Malta, 27 ottobre 1932, ore 20,25 (per. ore 0,15 del 28).

Faccio seguito al mio telegramma n. 78 (2).

Mi viene riferito che avvocato Colombos addetto all'Agenzia a Londra del Governo Maltese, allo scopo guadagnare tempo sia riuscito a fare rimandare prossima settimana interpellanza deputato liberale sulla questione lingua italiana.

Egli avrebbe avuto un colloquio con ministro delle colonie, il quale si sarebbe dimostrato risentito per atteggiamento questo Governo dichiarandosi deciso fare applicare integralmente disposizioni lettere patenti.

33 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

È probabile questo governatore rifiuti sanzionare legge per concessione fondi occorrenti per insegnamento facoltativo lingua italiana. Ciò potrebbe causare dimissioni on. Mizzi e forse anche del Governo.

Questo, benché io appunto cerchi di fargli intendere che nei rapporti di amicizia fra due Governi vi sono dei limiti che non possono essere va·rcati, evidentement·e conta tuttora sul nostro appoggio affinché Governo inglese non infierisca sulla questione lingua italiana.

(l) -Cfr. n. 401. (2) -Non pubblicato.
369

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3722/681 R. Londra, 28 ottobre 1932, ore 19,14 (per. ore 3 del 29). Mio telegramma n. 670 (1).

Vansittart mi ha oggi confermato quanto Norman Davis ebbe ieri a dirmi circa ripresa conversazioni navali fra Stati Uniti ed Inghilterra ed intendimento del Governo americano di intensificare trattative disarmo.

Circa conferenza a quattro nulla di nuovo. Foreign Office ritiene che in occasione prossima riunione Ginevra tre novembre rappresentanti Potenze dovranno riprendere problema in esame scopo raggiungere formula che dia qualche soddisfazione Germania, permettendole riprendere suo posto nella conferenza.

Secondo le istruzioJ.1i di V. E. con Vansittart, come con Norman Davis. ho insistito sulla necessità non dare assolutamente impressione che Potenze conducono fra loro trattative suscettibili destare sospetti e timori Germania. Vansittart mi ha dichiarato che anche Governo britannico è dello stesso avviso e che bisogna evitare tale pericolo.

Circa nuovo progetto francese, Foreign Office non ha precise notizie. Ho domandato se è probabile che il Governo britannico modifichi sua attitudine circa questione sicurezza, come recente articolo del giornale Times, può far supporre. Vansittart mi ha risposto di no, che nessun membro del Parlamento britannico voterebbe in favore di nuovi impegni concernenti sicurezza in Europa e che quelli presi a Locarno sembrano già anche troppo pesanti.

370

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 3748/533 R. Parigi, 28 ottobre 1932 (per. il 31).

Tono moderato, in alcuni casi quasi amichevole, dei commenti della stampa di sinistra, al discorso di Torino di V. E., è stato notato in questi ambienti po

litici, diplomatici ed intellettuali e viene messo in relazione con proposito di Herriot di accordarsi con Italia.

Il presidente del consiglio sia con me che con persone con le quali ha qualche confidenza, si è dimostrato effettivamente fiducioso di riuscire a chiarire le relazioni itala-francesi turbate, secondo lui, da malintesi originati ad equivoci.

Ho accolto, per parte mia, le allusioni di Herriot, del resto finora assai vaghe, con la maggiore riserva, Senza tuttavia scoraggiare il mio interlocutore.

Fra le persone che mi hanno parlato a varie riprese, ossia ogni volta che le ho incontrate, delle buone disposizioni di Herriot per una intesa itala-francese, vi sono i miei colleghi di Inghilterra e del Belgio. Anche a loro, e mi pare quasi superfluo dirlo, ho dato risposte cortesemente vaghe.

(l) Cfr. n. 365.

371

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3760 R. Londra, 28 ottobre 1932 (per. il 1° novembre).

Ho domandato a Vansittart se Governo inglese ha particolari informazioni su portata viaggio Herriot Madrid (1). Vansittart mi ha detto di non averne, ma che ad ogni modo non ritiene che tale visita abbia speciale importanza.

Ho fatto presente che intensificata politica francese nei riguardi repubblica spagnuola merita di essere attentamente seguita non solo a Roma ma anche a Londra, aggiungendo che situazione spagnuola strettamente connessa problema equilibrio Mediterraneo cui Governi britannico e italiano sono parimenti interessati.

372

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 487/322 R. Monaco, 28 ottobre 1932.

È venuto a vedermi il Colonnello Haselmayr, segretario generale dell'Ufficio politico militare di recente istituzione presso la «Casa Bruna>>, (vedi mio telespresso in data 13 settembre u.s. n. 429 R) (2).

Il Colonnello è anche presidente della sezione di Monaco della nota « Wehrverband » (società della difesa germanica) di cui fanno parte ex ufficiali dell'esercito, fra i quali lo stesso dott. Held, con fini di studio e propaganda per il riarmamento «difensivo » della Germania.

Egli ha preso lo spunto dalle recenti dichi.arazioni di S. E. il Capo del Governo a Torino sulla necessità che la Germania attenda la fine della conferenza del disarmo prima di procedere ad un aumento del proprio armamento. Ed ha rilevato come ciò significherebbe per la Germania una gravissima perdita di tempo. Attualmente, egli ha detto, noi abbiamo ancora tre milioni di uomini militarmente istruiti dall'ultima guerra. Ma questo numero va rapidamente riducendosi, mentre aumenta quello delle classi giovani senza istruzione militare.

Ed il Colonnello Haselmayr ha formulato addirittura domanda (che naturalmente ho lasciato cadere senza risposta precisa, ma che caratterizza l'attuale stato d'animo di certi ambienti) quale atteggiamento seguirebbe l'Italia se dopo l'avvento dei socialnazionali al potere, si cominciasse in Germania senza attendere i risultati p,iù o meno dubbi di conferenze internazionali, a procedere ad un aumento degli armamenti, sia pure in misura limitata, con rafforzamento delle batterie di difesa, costruzioni di fortificazioni e di cannoni di difesa antiaerea.

Nei confronti del partito hitleriano, il Colonnello Haselmayr ha osservato che la frase colla quale S. E. Mussolini nel suo recente discorso di palazzo Venezia alluse alle organizzazioni e alla tattica di movimenti simili a quello fascista, ha destato una certa sorpresa nei circoli socialnazionali, poiché venne considerata come una critica poco favorevole al movimento hitleriano. Del resto, ha aggiunto, anche la stampa ed in genere l'opinione pubblica italiana sembrano avere in questi ultimi tempi mutato atteggiamento di fronte al nostro movimento, quasi rimproverandogli di non avere saputo realizzare all'istante opportuno il moto rivoluzionario. E mi ha detto testualmente:

«Bisogna notare che noi socialnazionali ci troviamo di fronte a difficoltà gravissime e particolarissime, poiché la Reichswehr Ce qui posso parlare con una certa competenza essendo stato fino a quattro anni addietro ufficiale di quel corpo) è al 99% fedele all'Autorità superiore, e perciò non avrebbe esitato a marciare contro di noi. Tanto l'ufficialità che la bassaforza sono apolitiche e disciplinatissime, pronte quindi ad obbedire fedelmente agli ordini superiori.

È vero che specie la bassaforza è in gran parte compresa delle idealità nazionali del nostro movimento, ma non va dimenticato, d'altro canto, che anche l'attuale Governo è prettamente nazionale ».

Per parte mia ho procurato di dissipare i dubbi manifestati dal mio interlocutore circa gli atteggiamenti italiani, mettendolo in guardia contro gli sfruttamenti e le tendenziose interpretazioni che certa stampa germanica avversa al movimento socialnazionale ha, per ovvie ragioni di politica interna, dato a frasi di S. E. il Capo del Governo isolandole dal loro quadro complessivo che le chiarisce inequivocabilmente.

Quanto alla stampa italiana gli ho pure fatto osservare che se è vero che dopo le vicende dell'agosto scorso si è potuto verificare in essa un certo istante di disorientamento, tradottosi del resto quasi generalmente in un atteggiamento di riserva, non sono mancate successivamente pubblicazioni di maggior chiarimento dell'atteggiamento hitleriano. E gli ho ricordato, ad esempio, l'atteggiamento del Tevere nel riprodurre recenti conversazioni sull'argomento di Petitto con Rosenberg e collo stesso Hitler, e recenti articoli di Gerarchia e della Nuova Antologia.

Nel campo della politica interna, il Co,lonnello Haselmayr mi ha mostrato molto ottimismo. Nei riguardi delle velleità «restauratrici » di von Papen ha rilevato che questo ultimo deve aver messo almeno un po' d'acqua nel suo vino dopo l'esito poco favorevole di certi assaggi tentati fra l'opinione pubblica germanica, ed ha soggiunto che dopo le elezioni la situazione si chiarirà.

Pur prevedendo una diminuita partecipazione alle urne, i socialnazionali considerano che la loro posizione di superiorità di fronte agli altri partiti rimarrà pressoché inalterata. Il Governo del Reich non dovrebbe quindi avere più alcuna ragione di procedere a successive elezioni le quali del resto non gli frutterebbero che aumenti di forze nel campo comunista. Di conseguenza dovrà pur addivenirsi ad una soluzione stabile in cui il fattore principale sarà il partito socialnazionale.

«Attualmente la nostra tendenza è (come lo confermano le recenti dichiarazioni di Strasser nei riguardi dei Sindacati liberi) ,intesa a togliere ai socialdemocratici il controllo su quei sindacati. Non è escluso che una simile manovra possa eventualmente favorire un accordo con von Schleicher, che, a differenza dei suoi colleghi di vedute più aristocratiche, è stato sempre quel membro dell'attuale Gabinetto che ha maggiormente voluto un Governo con forte base popolare. Non sono quindi da escludersi del tutto combinazioni Schleicher-Hugenberg per una ripresa di contatto col movimento socialnazionale tendente a stabilire una collaborazione basata non soltanto sull'assenso del nostro partito ma anche sulla tolleranza dei sindacati liberi.

È tuttavia da notare che Schleicher, se è la personalità più eminente dell'attuale Gabinetto è anche la più grande sfinge di esso, e che non lo è soltanto di fronte a noi ma anche di fronte a von Papen stesso. Ed a ciò sono da mettersi in rapporto le attuali voci di macchinazione di von Schleicher contro von Papen, le quali del resto sono difficili a valutarsi, data la smentita da parte di Schleicher e il valore che la stessa può avere».

(l) Cfr. n. 367.

(2) Non pubblicato.

373

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3750/620 R. Washington, 30 ottobre 1932, ore 8,28 (per. ore 5 del 31).

Ieri Segretario di Stato è rimasto a casa sua a preparare discorso. Martedì egli parte per Dayton a pronunciarvi altro discorso. Castle e Rogers sono assenti dalla capitale.

In tale stato di cose mi è difficile dare esatte informazioni circa l'azione svolta da Davis a Londra e Parigi e circa l'impressione prodotta dalla nuova proposta di Herriot riferita dai giornali.

Da informazioni assunte presso funzionari secondari, nonché presso americani che hanno contatto col Dipartimento, risulta in complesso che il progetto Herriot ha prodotto nelle sfere ufficiali del Dipartimento una impressione blandamente favorevole, ma che, per quanto riguarda il patto consultativo, l'opposizione americana sarebbe assoluta. Stati Uniti, mi fu precisato, non possono firmare alcun patto di quel genere, sia che contempli oppure no l'uso della forza. Vedi anche mio telegramma n. 586 del 12 corrente (1). L'idea della milizia sarà oggetto studio accurato, ma sarebbe considerata con contrarietà per quanto si sia dichiarato a Parigi che non riguarda questo paese.

Quanto alle definizioni della «libertà di mari», l'impressione è che questo Governo non (ripeto non) è favorevole a discuterla.

A Parigi Davis si occupa anche di conoscere fino a che punto i francesi intendono venire incontro al punto di vista italiano in materia di armamenti navali, e ciò per le note attinenze con la situazione navale anglo-americana.

Tutte queste impressioni io riferisco con beneficio di intervento riservandomi controllare martedì al mio ritorno da New York, per quanto suppongo si tratti di cose note a Parigi e Londra.

Il presente telegramma continua col numero di protocollo successivo (2).

374

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 30 ottobre 1932.

Il Senatore Bérenger, Presidente della Commissione degli Affari Esteri al Senato e secondo delegato francese a Ginevra, del quale più di una volta ho avuto occasione di riferire a V. E. a proposito di colloqui avuti con lui sulla questione del riavvicinamento itala-francese (3), mi invia un suo articolo, pubblicato sulla Actualités, di commento al discorso tenuto da V. E. a Torino. Data l'antica italoftlia del Senatore Bérenger ed i suoi recenti tentativi di approcci, credo opportuno sintetizzare in poche righe il contenuto dell'articolo.

«L'Italia è oggi una grande Nazione guidata da un grande Capo: è necessario ascoltare con grande cura tutto quello che il Capo annunzia a questa Nazione. La sonorità del discorso può apparire forse ampia, ma è da tener presente che qui è un Capo plebiscitario che si dirige a enormi masse di popolo e non un parlamentare che parla ad altri parlamentari attraverso le "grate" dei partiti.

Mussolini vuole la pace. Egli ha più passione per lo sforzo costruttivo nel suo paese che non per uno distruttivo nei paesi altrui. Quando egli elogia Torino, città di frontiera che non ha mai temuto la guerra, egli in fondo non fa che parlare virilmente della pace. ricordando al suo popolo che il miglior mezzo per conservarla è quello di non vivere in perenne panico della guerra. È per fortificare questa pace che egli insiste sulla necessità di finirla con la "tragica contabilità della guerra" e cne chiede all'America di ratifcare Losanna. Questo suo appello è quello stesso della Francia. E come la Francia egli resta nella Società delle Nazioni e invita gli altri a rimanervi.

Egli non vuole egemonie in Europa. Forse allude alla Francia ma non la nomina. Comunque, poiché la Francia non cerca nemmeno essa egemonie, anche su questo punto si può esser d'accordo.

Né è il regime interno che può dividerci. La forma di Governo Fascista, corporativa ed autoritaria, ha le sue radici nel passato millenario dell'Italia, e poiché il Duce non vuol farne un articolo di esportazione, si possono con equanimità riconoscere i sorprendenti risultati che essa ha assicurato all'Italia in questi dieci anni.

Comunque, dopo il discorso di Torino sembra che i punti di vista delle due Nazioni si raccostino -del che già si era avuto sentore a Ginevra -e che si approssimi l'ora favorevole a una politica di riavvicinamento » 0).

(l) -Cfr. n. 325. (2) -Cfr. n. 376. (3) -Cfr. n. 343.
375

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, PITTALIS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 489/323 R. Monaco, 30 ottobre 1932.

Il nuovo Ambasciatore di Germania a Roma, prima di raggiungere il suo posto, è venuto a passare qualche giorno nei dintorni di Monaco, presso la suocera, vedova dell'Ammiraglio von Tirpitz, la quale ha una villa sul Lago di Starnberg.

Ho conosciuto jeri von Hassell ad una colazione subito dopo la quale egli, traendomi in disparte, mi ha intrattenuto per oltre mezz'ora a conversare sui rapporti italo-germanici e sulla politica estera ed interna della Germania. Benché immagini che egli non mi abbia detto più di quanto già pochi giorni avanti, prima di lasciare Berlino, aveva avuto occasione di dire a quel nostro incaricato d'affari, tuttavia per debito d'ufficio ritengo utile riassumere qui di seguito la nostra conversazione:

Von Hassell con quell'impromptu che caratterizza spesso il... non «savoir faire >> di molti tedeschi, anche diplomatici, entrò in argomento, dicendomi di avere conosciuto a Berlino il R. Incaricato d'Affari, Comm. Cicconardi, ed il «noto » (sic) Renzetti, e chiedendomi senz'altro quale fosse la precisa situazione di quest'ultimo a Berlino, e quale quella del Principe di Hessen a Roma, con entrambi i quali, egli disse, gli stessi socialnazionali non nascondono l loro rapporti. Ho risposto quanto al Principe di Hessen che non mi constava se non la posizione sociale che gli viene dal suo rango, e, quanto al Maggiore Renzetti, constami soltanto che egli è Presidente della Camera di Commercio Italiana a Berlino.

Von Hassell mi ha replicato che gli stessi nazi si vantano di avere nel Renzetti il tramite fra loro ed il Duce, replica che io ho lasciato cadere, ed ha proseguito dicendo: «In Italia si è avuto un concetto non corrispondente alla realtà sulla portata e le possibilità del movimento hitleriano, movimento nel quale, si noti bene, io conto buoni amici e conoscenti (lo stesso Hitler, Goering ecc.) movimento al quale riconosco il grande merito di essere stato il primo a risollevare lo spirito nazionale del Paese, ma movimento che tuttavia sarebbe errore identificare colla Germania. Ritengo del resto Mussolini

uomo troppo superiore ed osservatore troppo acuto per essersi lasciato ingannare sulle capacità e possibilità di Hitler e sulla portata effettiva del suo movimento che non è paragonabile, né nel Capo, né nei gregari a quello del fascismo italiano e che non rispecchia comunque una situazione di fatto corrispondente a quella italiana.

Esaurito così il preambolo, colla ripetizione di considerazioni che su tale argomento si sentono ormai ripetere in Germania ad ogni pié sospinto, e fino alla sazietà, von Hassell è entrato non meno ex abrupto nel vivo dei rapporti itala-germanici. E mi ha detto:

«Da quando ho lasciato l'Italia alla fine del mio precedente incarico io ho sempre seguito con particolare interesse le cose italiane e i rapporti fra i nostri due Paesi, e sempre da parte italiana e da parte germanica mi son sentito ripetere le due diverse argomentazioni seguenti: da parte italiana si è sempre lamentato che l'Italia abbia nel dopoguerra, a diverse riprese, teso la mano alla Germania; che anzi alla vigilia di importanti convegni internazionali le abbia anche chiesto di dirle esplicitamente quali fossero i suoi desiderata, per poter così stabilire un'azione concreta di collaborazione. Ma la Germania mai ha risposto esplicitamente. Da parte tedesca si abbietta che le ragioni di una certa sfiducia germanica nei confronti dell'Italia vanno ricercate nella circostanza che, dopo dichiarazioni di buona volontà e buone intenzioni italiane verso la Germania, si è poi verificato di fatto che l'Italia si è trovata ad assumere, sia pure forse anche contro il suo vero desiderio, un atteggiamento non favorevole alla Germania, accodandosi ai voleri di altre Potenze),

Ho fatto rilevare a von Hassell che da quanto egli stesso aveva detto appariva esser stata la Germania la prima a non nutrire fiducia sufficiente nei riguardi dell'Italia, col non rispondere in modo esplicito alle nostre richieste di precisare i suoi desiderata e il suo programma per render possibile il prestarle una effettiva ed emcace cooperazione. Il mio interlocutore, pur convenendone, ha lasciato intendere che in realtà la Germania era portata a non nutrire adeguata fiducia nella effettiva capacità ed importanza del «fattore italiano». Ed ha affrontato allora senz'altro quella che è evidentemente la tesi (Cicero pro domo sua dell'attuale Governo del Reich sul «fattore tedesco», dicendomi:

«La verità si è che quella opportuna ed utile collaborazione che io stesso vivamente auspico, nel recarmi ad iniziare la mia missione a Roma, non si è potuta verificare e non si potrà attuare fino a che il fattore tedesco non abbia assunto l'importanza che egli spetta, e che è ancora ben lungi dall'avere, per essere efficace elemento di equilibrio nel mondo, e perché possa essere

apprezzato ed utilizzato dalla stessa Italia. Bisogna che la Germania torni ad avere il posto cui ha diritto, che torni ad essere un fattore politico, quale oggi non è; bisogna che questo fattore si rinforzi. Questo ho detto anche nei miei colloqui con Neurath e con Biilow prima di lasciare Berlino».

Ed avendogli io accennato alla doppia eventualità di rafforzamento, via Roma o via Parigi, von Hassell ha risposto testualmente:

«Via Parigi vedete bene che ormai è escluso. Lo stesso von Papen, se personalmente, pei suoi rapporti e le sue tendenze personali, poteva farsi delle illusioni in proposito si è ormai persuaso che altro è la teoria ed altro la pratica, e la lezione di Losanna gli è servita a vedere come sulla Francia non si possa contare>>.

Osservatogli che in ogni modo a Losanna il «fattore germanico» ha compiuto un notevole primo passo nel suo rafforzamento, il mio interlocutore ne ha convenuto aggiungendo però che ora quella che s'impone è la questione del disarmo, e, a giustificazione del rifiuto germanico alla proposta conferenza a 4 a Ginevra, ha detto:

<<Noi temiamo l'atmosfera di Ginevra, dove la Francia ci vuole raggirare. Né valga il dirci che col procrastinare noi facciamo il gioco della Francia, anziché contribuire a metterla colle spalle al muro nelle assise di un convegno internazionale, perché nei convegni e nelle conferenze internazionali si finisce sempre col trovare una formula, nella quale si può consegnare e documentare una precisa cattiva volontà di nessuno. Perciò noi non abbiamo fiducia nelle conferenze internazionali mentre la Francia non ha nulla a temere da esse».

Ad un mio accenno all'opinione pubblica mondiale che va innegabilmente riconoscendo il buon diritto germanico, von Hassell ha risposto con... non meno innegabile senso realistico:

<<Quella è l'opinione di professori, di articoli di giornali, anche di uomini di Stato, se volete, ma poi i risultati delle conferenze internazionali sono quelli che sono». E dopo un istante di silenzio, e di esitazione, ha concluso con queste testuali parole:

«Vi è da domandarsi se in un tale stato di cose non convenga, invece di discutere e parlare, agire».

Ed il sorriso del mio interlocutore lasciava chiaramente intendere che l'agire non era certo nel senso di... disarmare, ciò che non ha potuto a meno di richiamare alla mia memoria la conversazione avuta pochi giorni prima col colonnello Haselmayr del partito hitleriano, (Vedi mio telespresso 28 corrente N. 487) (l) il quale, pure appartenendo ad un campo politico ormai opposto, giungeva ad analoghe conclusioni e mostrava analoghi propositi in fatto di riarmamento.

In fatto di politica interna oltre a quanto ho riferito sul principio della conversazione, nei confronti hitleriani, registro le seguenti dichiarazioni di von Hassell nei riguardi dell'attuale Governo del Reich e delle sue future possibilità:

«Per poco che l'attuale Governo (egli ha detto) sappia avere nervi a posto, e per poco che l'aiuti anche la fortuna (giacché, ad esempio le questioni economiche non si risolvono né si possono risolvere in un giorno da nessuno) le probabilità di durare gli sorridono, perché esso ha in mano molti atouts. Ormai il popolo è stanco di incertezze e intrighi parlamentari, cari ai

partiti come il Centro e la B.V.P. i quali cercano compromessi e combinazioni. Ma è ora di finirla con questi sistemi. ed anche la possibilità di un nuovo scioglimento sarà un opportuno ammonimento per il futuro Reichstag. Ha fatto bene il Duce che sin dal principio del suo avvento stroncò i tentativi dei Popolari Italiani ».

L'Ambasciatore mi ha detto che conta partire per Roma, non sa ancora se col treno o in automobile, verso la fine della presente settimana.

Debbo aggiungere che a me egli ha lasciato l'impressione di conversatore piuttosto piacevole e garbato il cui tratto sociale è certo assai più apprezzabile di quello del suo predecessore a Roma, e che comunque mi è apparso assai meno rigido di quello che un suo collega germanico, il quale ebbe a risiedere vari anni in Italia, mi aveva lasciato prevedere accompagnandomi alla colazione di ieri, col dirmi che von Hassell aveva lasciato a suo tempo a Roma ricordo di troppo << prussiano ».

Non so quanto esatta e quanto spassionata sia tale asserzione che, come ho detto, viene da un... collega, e ... bavarese per giunta.

376.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3753/621 R. Washington, 31 ottobre 1932, ore 12,33 (per. ore 21).

Seguito del numero precedente (1).

Ad illustrazione del lavoro svolto da Davis, aggiungo che in questi ambienti diplomatici si torna a parlare del contrasto di idee esistenti tra il presidente Hoover e Stimson. Il primo è come sempre, avverso alla politica generale della Francia imperniata sul trattato di Versailles, e si mettono in evidenza due sue pubbliche manifestazioni. Una consiste, nella nota frase contenuta nel discorso del 12 agosto circa i trattati che chiusero la guerra. E poi recentemente nel discorso di Cleveland il 15 corrente Hoover definì come « aspri» i trattati medesimi.

Viceversa Stimson da qualche mese, come ho avuto occasione di segnalare, mostra indubbie simpatie verso la Francia. La settimana scorsa egli mi disse che la presenza di Herriot al Governo è una fortuna, in causa delle sue idee concilianti di cui dette così chiara prova a Losanna. Nello stesso senso egli si era espresso con me il 15 settembre scorso (mio telegramma n. 526) (2).

Queste disposizioni personali di Stimson sono determinate dall'abile politica francese riguardo l'Estremo Oriente. Stimson è convinto di aver avuto dalla Francia un aiuto emcace e prezioso per la salvezza della sua teoria sulla questione della Manciuria. In proposito mi riferisco al mio telegramma n. 582 dell'8 corrente (3).

L'opinione che Stimson si faccia pericolose illusioni si va tuttavia affermando, in ambienti autorevoli americani.

Circa contatti con personalità francesi cha abbiano potuto esercitare una azione persuasiva sull'animo del segretario di Stato, tutti escludono che vi abbia potuto contribuire l'ambasciatore Claudel. Viceversa persone solitamente informate sono del parere che durante l'ultima permanenza di Stimson a Ginevra sia riuscito a Tardieu e ad altri delegati francesi di favorevolmente impressionare Stimson.

In circoli autorevoli americani si afferma che in caso di vittoria del partito repubblicano Hoover è deciso a sostituire Stimson nella carica di segretario di Stato.

(l) Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Capo del Governo>>.

(l) Cfr. n. 372.

(l) -Cfr. n. 373. (2) -Cfr. n. 261. (3) -Cfr. n. 316.
377

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3755/688 R. Berlino, 31 ottobre 1932, ore 20,25 (per. ore 1,30 del 1° novembre).

Feci mia prima visita al ministro degli affari esteri, il quale, nel darmi benvenuto, ricordò lungo suo soggiorno a Roma e frequenti relazioni avute con V. E. Von Neurath mi pregò quindi rinnovare a V. E. sue vive felicitazioni per il decennale e si espresse in termini di grande ammirazione per opera mirabile di trasformazione della coscienza italiana voluta dal Duce e compiuta dal fascismo.

Ministro affari esteri mi parlò poi delle recenti difficoltà di natura economica che avevano turbato alquanto le relazioni itala-tedesche, dicendo che a suo avviso non si doveva darvi eccessiva importanza, tanto più che per la questione valuta si era raggiunto soddisfacente accordo. Aveva appreso con rincrescimento attraverso notizie giuntegli dalla propria ambasciata che in Italia si aveva impressione che la Germania avesse mutato le proprie direttive politiche verso l'Italia. Egli teneva a dichiararmi che queste rimanevano immutate e che tali sarebbero rimaste sino a che egli fosse stato a capo dipartimento degli esteri.

Gli dissi che non mi risultava che tale fosse stata impressione Governo fascista. Era invece vero che atteggiamento della Germania nelle materie economiche aveva dato luogo a commenti stampa i quali manifestarono timore che non vi fosse in questo momento in Germania conoscenza esatta dell'Italia creata dal fascismo. ~hP. "nmP. eP"li ::;tesso mi aveva detto poco prima, aveva subito sostanziale trasformazione. Ritenevo del resto che, trascurando episodi di minore importanza, Italia e Germania avrebbero potuto giovare a se stesse e rendere grandi servizi al mondo, esaminando di comune accordo se e quale nuova via si potesse seguire in avvenire per finirla una buona volta con gli intoppi frapposti agli scambi commerciali e avviare invece questi ultimi verso una ripresa effettiva.

Von Neurath mi assicurò che egli era persuaso che la cosa sarebbe stata utile e riteneva che tale collaborazione avrebbe potuto svolgersi alla prossima conferenza economica, previo scambio di vedute e studi che avrebbero già potuto essere iniziati nell'imminente discussione di Ginevra. Egli avrebbe dato istruzioni al riguardo ai delegati tedeschi e sperava che eguale cosa venisse fatta dali'Italia.

Passando poi a parlare di argomenti puramente politici, ricordò come

V. E. avesse varie volte dettogli a Roma che nella questione delle riparazioni la Germania doveva intendersi direttamente con la Francia. Egli aveva cercato anche ora di seguire lo stesso metodo nella questione della uguaglianza di diritti della Germania di fronte alla questione del disarmo. Non aveva più udito nulla circa proposta britannica di discutere preliminarmente in quattro la questione. Riteneva che la cosa dormisse e che se ne sarebbe riparlato forse solamente a Ginevra dove si sarebbe recato in novembre.

Le dichiarazioni Herriot alla camera dei deputati francese gli erano sembrate un passo innanzi, in quanto non avevano più parlato della sicurezza come di una premessa indispensabile per poter discutere di disarmo; difatti egli aveva inviato all'ambasciata tedesca a Roma, perché lo rimettesse a V. E. un documento in cui è esposto punto di vista Governo tedesco nei riguardi delle dichiarazioni di Herriot. Questo era stato reso noto pure dalla Deutsche Diplomatische Korrespondenz. Germania intendeva ottenere che le fosse riconosciuta uguaglianza di diritti e che cessasse di essere inclusa nel trattato di Versailles la clausola che sancisce la sua inferiorità di fronte agli altri firmatari.

Von Neurath menzionò le opposizioni che Herriot sembra incontrare in vari partiti politici ancorché voto della Camera gli sia stato così favorevole. Osservò che Herriot era un uomo di Stato debole, perché gli stessi socialisti suoi paladini gli creavano imbarazzi. Egli preferiva avere a che fare con Tardieu, cioè con un uomo di Stato che conta sui partiti di destra, perché Herriot deve troppo tener conto opinione partiti di sinistra. Lo si era visto a Ginevra esprimersi in un modo e poi, dopo un viaggio a Parigi, modficare suo atteggamento per non dispiacere a coloro che lo sostengono.

Ministro degli affari esteri concluse credere e sperare che passo compiuto dalla Germania servirà dimostrare a tutti necessità addivenire effettivo disarmo perché sia possibile rinascita fiducia reciproca fra le nazioni.

Credetti menzionare a questo punto dichiarazioni da V. E. fatte a Torino relative ad una intesa fra le quattro maggiori Potenze europee e von Neurath osservò che quella felicissima indicazione avrebbe dovuto essere programma di lavoro per tutti coloro che desiderano veramente garantire pace.

378

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CONSOLE GENERALE A MALTA, SILENZI

T. 1105/75 R. Roma, 31 ottobre 1932, ore 23.

Suo 87 (1). Approvo atteggiamento moderazione da Lei consigliato a Mizzi che continuo a ritenere sia quello che nelle circostanze attuali può utilmente servire agli scopi voluti.

(l) Cfr. n. 368.

379

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3757/3 R. Ginevra, 31 ottobre 1932, ore 23,45 (per. ore 3,30 del 1° novembre).

Ho veduto stama.ne Norman Davis testè tornato da Londra e Parigi.

Circa conversazioni navali con inglesi mi ha ripetuto quanto aveva avuto occasione di comunicare R. ambasciatore a Londra e che suppongo S. E. Grandi abbia già riferito a V. E. (1).

Quanto alle sue conversazioni di Parigi Davis mi ha detto essere rimasto molto favorevolmente impressionato da attitudine di Herriot che sta facendo sforzi veramente meritori per orientare politica della Francia in materia di disarmo in un senso più ragionevole e meno negativo di quello di Tardieu.

Secondo delegazione americana progetto preparato da Boncour, nonostante resistenza degli ambienti militari, rappresenta una notevole evoluzione della politica francese, e Davis ritiene sia interesse generale di incoraggiare Herriot su questa strada.

Ho osservato che attenta lettura del resoconto della discussione di venerdì scorso alla Camera francese, nonché dei commenti di alcuni giornali parigini, può far sorgere il dubbio che il nuovo progetto sia stato presentato più che altro per preparare alibi morale nel caso di fallimento della conferenza, ma senza vero convincimento di facilitare soluzione problema disarmo.

Davis mi ha risposto che molti punti del progetto si prestano certamente alla discussione ed alla critica, ma che concetto ispiratore gli pareva degno di considerazione.

Ho fatto rilevare che progetto francese non menzionava limitazione qualitativa e sembra anzi escludersi possibilità di abolizione del materiale da guerra più potente, ciò che era in contraddizione con progetto americano.

Davis ha riconosciuto esistenza di tale lacuna sulla quale aveva egli stesso attirato attenzione di Herriot.

Delegazione americana avrebbe potuto appoggiare progetto francese soltanto se questo veniva presentato come complemento del piano Hoover e non come suo sostituto.

Herriot aveva mostrato di essere pronto ad entrare in tale ordine di idee, ma Boncour si era invece mostrato molto reticente al riguardo.

In conclusione abbiamo constatato essere difficile pronunciarsi prima di conoscere maggiori particolari del progetto francese. Davis ritiene però che esso potrà servire per ricondurre G€rmania a riprendere suo posto in seno alla conferenza. Egli si tiene pronto partecipare conversazioni che venissero aperte in proposito fra rappresentanti delle maggiori Potenze.

(l) Cfr. n. 365.

380

IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA. EGGER, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. ... (l)

Le Chancelier Fédéral, diiment informé des ouvertures que S. E. le Chef du Gouvernement a bien voulu me faire à vive voix au sujet des relations commerciales entre l'Autriche et l'Italie, et très touché de ce t te nouvelle preuve d'intérét, m'a chargé de porter à la connaissance de S. E. les considérations suivantes:

Au mois de mars dernier M. Schtiller a eu l'occasion d'exposer à S. E. Grandi dans une conversation, concernant le « régime » dit << du Semmering » que l'élargissement de ce « régime »· serait la manière la plus indiquée pour arriver à un rapprochement économique. Lors de cette conversation M. Schiiller a soutenu la thèse qu'on pourrait aller beaucoup plus loin en s'accordant mutuellement -abstraction faite de quelques articles -les facilitations. prévues dans l'accord en question seulement pour certaines marchandises, d'une manière générale. De cette manière ce qui est exception aujourd'hui, deviendrait la règle demain, et on s'approcherait aussi loin que possible de l'échange libre des marchandises. Il paraissait alors que ces idées aient été sympathiques à S. E. Grandi.

Les avantages qui plaident en faveur de ce projet, sont, selon l'avis du Gouvernement Fédéral, les suivants:

1.) Le << régime >> et son élargissement ne rencontrent ni du point de vue de la clause de la nation la plus favorisée ni pour des raisons politiques les difficultés auxquelles se heurtent d'autres constructions. C'était aussi la raison principale qui avait amené l'Autriche et l'Italie à élaborer le « régime » et à conclure l'accord sur l'exportation et les autres arrangements y relatifs. En effet, un tel « régime >> a été en vigueur entre l'Autriche e la Hongrie pendant une année et sera renouvelé maintenant sans avoir été contesté d'une manière sérieuse par d'autres Etats. Les décla.rations faites à différentes reprises au sujet du « régime » par les Gouvernements Autrichien et Italien en présence des délégués d'autres Etats, ne se sont pas heurtées à des objections sérieuses. Il y a peu de temps, la Conférence de Stresa a méme recommandé que l'Autriche continue aussi ces négocations. Il semble donc bien fondé de croire que sur ce chemin on peut s'attendre à moins de difficultés et objections que sur un autre chemin quel qu'il soit.

2.) Par le « régime » on peut obtenir les mémes résultats qu'avec l'établissement du libre échange complet des marchandises entre les deux Pays. Ces résultats seront obtenus par le << régime » sans devoir résoudre des questions techniques compliquées.

3.) Si l'Autriche pouvait obtenir en meme temps des droits préférentiels pour certains importants articles d'exportation de la part de l'Allemagne, de la Pologne et de la France, cela signifierait un sensible soulagement pour le marché italien qui ne devrait absorber, dans ces conditions, qu'une partie des surplus de l'exportation autrichienne qui pour le moment ne sont pas encore placés. Cela aurait aussi l'avantage que les Etats qui accordent à l'Autriche de droit préférentiels, c'est à dire des exceptions de la clause de la nation la plus favo risée, ne .pourraient pas faire des objections contre un régime qui tient compte de la clause de la nation la plus favorisée. Le régime en s'étendant plus loin que certains droits préférentiels peut former le centre efficace et pratique pour une étroite union économique des Etats, entrant en ligne de compte.

Vu que le « régime » qui malheureusement était resté en suspens longtemps est devenu un fait, on pourrait, sous peu, l'élargir dans le sens ci-dessus exposé. Le Chancelier Fédéral est pret, en tout temps, à continuer ce chemin et serait très reconnaissant si le Gouvernement Royal acceptait cette manière de voir, ce que le Gouvernement Fédéral croit pouvoir supposer vu Ies conversations lors de la conclusion du « régime >> et les échanges d'idées, survenus depuis.

Mais, si le Gouvernement Italien estimait un autre projet plus avantageux le Chancelier Fédéral serait toujours pret à entrer en des conversations làdessus.

Tout en restant dans les idées que le Gouvernement Autrichien, en plein accord avec le Gouvernement Royal, envisage immuablement depuis si longtemps, le Canchelier Fédéral est convaincu que le moment est venu pour faire un pas décisif dans cette direction non seulement vu la nécessité urgente, créée par la situation économique de l'Autriche, mais aussi vu la possibilité offerte par la situation internationale actuelle.

(l) Il titolo originale del documento è «Promemoria presentato dal ministro Egger alla fine di ottobre». In realtà il documento fu consegnato ufficialmente il 3 novembre (Cfr. n. 389). Probabilmente era stato presentato alla fine di ottobre in via ufficiosa forse nel colloquio con Aloisl menzionato nel doc. n. 389.

381

LA DIREZIONE GENERALE AFFARI ECONOMICI AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 31 ottobre 1932.

L'idea di allargare l'Accordo del Semmering itala-austriaco in modo da estenderlo a quasi tutte le merci che sono oggetto di scambio tra l'Austria e l'Italia non è nuova, perché il Signor Schliller anche prima di farla presente a S. E. Grandi, l'aveva più volte manifestata. Al riguardo però è da osservare quanto segue:

l) -i vantaggi risultanti per le merci straniere dall'applicazione del sistema del Semmering si risolvono, in sostanza in una diminuzione della protezione doganale accordata ai prodotti nazionali e quindi incidono sopra interessi costituiti. È da ritenere quindi che una applicazione del sistema assai più larga di quella attualmente praticata incontrerebbe forti e legittime resistenze da parte dei nostri ceti interessati.

2) -non corrisponderebbe alle idee che presiedettero alla conclusione degli Accordi del Semmering un allargamento di base fatto nei riguardi dell'Accordo italo-austriaco e non di quello italo-ungherese. Proprio in questi giorni si è però dovuto constatare che, almeno pel momento, non è possibile pensare ad estendere ad altri prodotti ungheresi né ad un maggior [quantitativoJ dei medesimi i benefici del sistema in questione;

3) -non è esatto dire che allargando l'Accordo del Semmering italoaustriaco « on s'approcherait aussi loin que possible de l'échange libre des marchandises ''· -Ciò non corrisponde alla realtà attuale delle cose, perché gli Accordi del Semmering, sia quello italo-austriaco che quello italo-ungherese, danno agli esportatori dei due Paesi vantaggi corrispondenti ad una riduzione parziale e non totale dei diritti doganali vigenti. D'altra parte non pare possibile fare molto di più in tale direzione, sia perché altrimenti si verrebbero a turbare troppo profondamente alcune branche della nostra produzione, sia per la considerazione che non si potrebbe allora più in alcun modo giustificare il sistema come diretto a conseguire semplicemente delle «facilitazioni di credito», e quindi diventerebbe non più sostenibile la nostra tesi che gli Accordi del Semmering non violano la clausola della Nazione più favorita;

4) -è ben vero che nel periodo di tempo (circa un anno) durante il quale rimase in vigore l'Accordo austro-ungherese analogo a quello del Semmering non si manifestarono aperte ostilità alla sua applicazione da parte di Paesi terzi. Ciò però non autorizza a ritenere che obiezioni non verranno fatte agli Accordi italo-austriaco e italo-ungherese: è da prevedere invece il contrario e ciò specialmente per quanto riguarda le contropartite a vantaggio dell'Italia cioè di un grande Paese che, naturalmente, desta grandi gelosie ed invidie, mentre invece Austria ed Ungheria possono, per molte considerazioni, contare sopra speciali sentimenti di indulgenza.

D'altra parte devesi altresì tener presente che l'industria mira ad ottenere agevolazioni eccezionali per il collocamento dei suoi prodotti da tutti gli Stati (Germania compresa) speculando sulla gara di generosità o meglio sulle rivalità e gelosie dei diversi Paesi. In tal modo essa viene a dinùnuire anziché ad accrescere l'interesse a concludere con l'Italia accordi più intimi e si riserva possibilità di manovra per le decisioni finali.

Dato quanto precede, sembra si potrebbe rispondere al signor Egger confermando le nostre idee nei riguardi di una più intima collaborazione economica italo-austriaca, ma facendo presente che, pel momento, converrebbe soprassedere ad ogni decisione circa un allargamento dell'Accordo del Semmering, sia per osservare gli effetti delle stipulazioni recentemente messe in vigore sia per vedere se esse danno luogo a reazioni o proteste da parte di Paesi terzi e quali.

Ove però si giudicasse necessario dare all'Austria una sensazione più decisa del nostro desiderio di continuare a fare il possibile per venire in aiuto della sua economia si potrebbe aggiungere che siamo anche noi disposti a prendere in considerazione qualsiasi altro sistema (eccezion fatta del trattamento preferenziale) che possa segnare un ulteriore progresso nella direzione desiderata.

D'altra parte però non pare possibils dare dei concreti suggerimenti perché tutti i sistemi che potrebbero essere escogitati, e tra questi anche quello di un Consorzio di compra e vendita al quale si pensò in primo tempo, si urtano a gravissime difficoltà di pratica applicazione.

(l) L'appunto è privo di firma. Il titolo originale è: <<Osservazioni all'appunto presentato dal Ministro d'Austria circa la collaborazione economica !taio-austriaca>>. Cfr. n. 380.

382

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, LOJACONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 2072/810. Angora, 31 ottobre 1932.

Il mio arrivo in questa sede si è verificato in un momento in cui il barometro della politica estera turca segnava una lieve tendenza al «variabile». I segni di questa tendenza erano i seguenti:

a) la visita a Stambul del Signor Ponsot, Alto Commissario francese in Siria, che veniva a concludere, insieme al Signor Chambrun, Ambasciatore di Francia, gli accordi iniziati a Ginevra dal Signor Tewfik Ruscdi per la sistemazione di alcune pendenze franco-turche per la Siria;

b) un insistente mormorio di alcuni ambienti che si dolevano delle difficoltà incontrate dai negoziatori turchi in Italia per la realizzazione del noto prestito;

c) un notevole risentimento turco contro il Governo bulgaro per alcune imprudenti manifestazioni di comitati bulgari nel corso delle quali sarebbero stati tenuti discorsi irrendentistici aventi per oggetto la Tracia e ciò alla presenza di membri del Gabinetto di Sofia e senza opposizione alcuna da parte di questi, né successive riduzioni c rettifiche dei testi integrali di tali discorsi nella stampa locali.

I primi due punti (trattative con la Francia e malumore verso l'Italia) avevano ed hanno una stretta interdipendenza per ovvie ragioni di reciproca gravitazione; l'ultimo punto (questione bulgara) può esser<! considerato a sé stante, ma poiché le istruzioni di V. E. considerano con particolare attenzione la necessità ùi un avvicinamento turco-greco-bulgaro, i recenti incidenti possono anch'essi giuocare ad un indebolimento della nostra politica.

Mi permetto perciò di fermarmi su ciascuno dei tre argomenti, pur avvertendo che si tratta sempre di sintomi e di sfumature che possono essere corrette prima che prendano consistenza maggiore.

A. -Accordo franco-turco per la Siria.

Le trattative per questo accordo, iniziate sotto gli auspici di Tewfik Ruscdi bey appena questi intravide la possibilità che la Francia cedesse terreno nella trattazione di alcuni interessi periferici pur di iniziare una politica di avvicinamento tendente a neutralizzare la nostra, furono riprese tra l'Ambasciatore Chambrun ed il Ministro turco interinale degli Affari Esteri, e come suole avvenire per alcuni negoziati verbosamente spinti da Tewfik Ruscdi, i quali vengono poi a trovare una più difficile realizzazione al lume di una discussione appro

34 -Documenti àiplomatici -Serie VII -Vol. XII

fondita, l'accordo che doveva essere f1nato rapidamente a Stambul in occasione del passaggio dell'Alto Commissario francese per la Siria, non riuscì ad essere definito nel breve giro di ore previsto.

Il Signor Ponsot dovette ripartirsene lasciando al Signor Chambrun di continuare le conversazioni. La maggior durata di esse fu abilmente prospettata dagli ambienti francofili sotto la veste di un possibile allargamento delle basi dell'accordo, di guisa che alcuni si felicitavano all'idea che la Turchia avesse trovato presso la Francia dall'Italia [sicJ e ne traevano conseguenze vantaggiose per sostituire all'appoggio italiano quello francese, e non soltanto nel campo finanziario; altri commentavano che era la prima volta che una trattativa politica si svolgeva a Stambul a preferenza di Ankara, facendo spostare sul Bosforo, malgrado le irreducibili avversioni del Governo turco, un gruppo di personalità, tra cui lo stesso Ismet pascià; e tutto ciò in ossequio al nome francese.

Pure spogliando questi commenti dalle esagerazioni e dagli errori in cui evidentemente incorrevano, questa Ambasciata ha dovuto diligentemente sorvegliare l'andamento dei contatti turco-francesi, servendosi specialmente dell'aiuto di questo Ambasciatore sovietico che conosce a fondo uomini e cose di questo Governo. Egli non cessò un istr-,nte dall'assicurare che l'accordo francoturco si limitava alla sistemazione di alcune pendenze locali relative alla Siria e precisamente: questione della ferrovi::l. e questione dei beni dei sudditi siriani in Turchia. Egli comprendeva però che questa sistemazione era un mezzo a cui la Francia ricorreva per liquidare, anche con proprio svantaggio, una divergenza incresciosa pur di spianare il terreno a più intimi rapporti con la Turchia.

L'accordo è stato in realtà firmato il 27 corr.:mte ad An':ara. Il Ministro degli Affari Esteri turco che nella prima visita da me resagli aveva voluto accentuare, con lunga insistenza, l'assoluto suo attaccamento alla politica di amicizia iniziata con l'Italia, come per diradare i dubbi che potevano essere sorti in me per le dicerie di ogni genere circolanti in quel momento sulla portata delle negoziazioni coi francesi, ha tenuto poi in una successiva conversazione ad informarmi spontaneamente di quanto avEva co;1cluso.

Lo stesso Ambasciatore di Francia, dimostrando una premura, che credo insolita per lui, a fare atto di franchezza e di cameratismo verso di me con l'evidente intenzione di «addomesticarmi » mi ha messo a conoscenza delle linee generali degli accordi. Questi sono tali da non costituire una preoccupazione presente; ma creando una collaborazione sia pure t::cnico-ferroviaria là dove esisteva una causa di allontanamento, possono avere colmato un solco e quindi lasciare adito a sviluppi che bisogna attentamente seguire e che non potrebbero che ledere la nostra politica in Turchia, specie nel caso che essa stessa venisse ad offrirne il destro.

B.

E qui si entra nel merito della questione finanziaria e del senso di disagio, sia pur lieve e larvato, che si è diffuso qui i.:l seguito all'andamento delle trattative di Roma per il Prestito. Questo stato di disagio è stato anche additato a questa Ambasciata dall'Ambasciatore Sovietico. Signor Souritz, che qui rappresenta un volenteroso elemento di cossione della politica italo-turco-russa e che quindi l1a interesse di eliminare ogni causa di attrito. Gli ho risposto che con un Governo come il nostro, e con la larg'i visione delle cose che V. E. infonde in ogni negoziato, non esistono questioni che non si possano risolvere, a condizione che le parti interessate ne lascino il tempo. Il pcggior modo di trattare col Governo Fascista era quello di esercitare pressionJ un altro aiuto qualsiasi [sicJ: ciò come chiaro accenno alle sostentazioni [sic] di avvicinamento della Turchia con la Francia ed ane dicerie di prestito francese in sostituzione di quello italiano. Si può essere sicuri che una messa in guardia di questo genere non manca ai turchi [sic]; il che credo che sia avvenuto. Tuttavia, è sintomatico che nessuna persona di Governo, né Ismet pascià, né Tewfik Bey, mi abbia mosso lagnanza alcuna per l'affare del prestito e che tutti tacciano su questo argomento; lo stesso Vassif bey, proveniente da Roma, me ne ha fatto parola solo dopo che io gli ebbi chiesto esplicitamente a che punto aveva lasciato le pratiche. Questa gente ha dunque l'aria di svalutare la cosa come se non ci tenesse; o, tenendoci, ha la forza di non dimostrarlo; o, infine, pensa di girare la difficoltà e di risolverla altrimenti.

Ora io non mi permetto di esercitare una influenza sopra decisioni che dipendono da esigenze finanziarie purtroppo ristrette; ma credo io dover fare rilevare che la questione del prestito che doveva costituire un corroborante dell'appoggio italiano alla Turchia potrebbe finire con esserne un corrosivo; essa infatti, in questo momento, non vale tanto per l'effetto positivo che può produrre la sua felice conclusione quanto per le conseguenze e le illazioni negative che possono derivare dall'insuccesso. Ritengo che tale prospettiva sia spiata dai francesi e dai francofili come un varco che possa aprirsi ad un loro incuneamento. È sicuro infatti che né questo Governo né questa Ambasciata francese sentono di potere imbastire un accordo fmanziario in sostituzione di quello nostro finché pendono trattative e speranze verso l'Italia; ma se queste dovessero cadere, è altrettanto sicuro che a tamponare la grave situazione finanziaria di qui accorrerebbero i francesi, senza che a carico dei turchi e dei francesi stessi possa muoversi in tal caso una accusa di scarsa dirittura verso di noi.

C. -Incidente turco-bulgaro.

Fu nel corso di una colazione offerta dall'Ambasciatore dei Soviet che Tewfik Ruscdi bey dette sfogo ad una veemente sfuriata centro la Bulgaria per le manifestazioni irredentistiche sulla Tracia che avevano avuto luogo a Sofia nei primi di ottobre. Quali siano state in preciso tali manifestazioni non è dato sapere giacché lo spoglio dei giornali di qui non ha dato esito né presso questa Ambasciata né presso altre Rappresentanze che si sono preoccupate di esaminarli. Questo Ministro di Bulgaria, che non era presente allo sfogo del Ministro degli Esteri Turco, ma che ne fu informato dal collega di Ungheria, non ha saputo dare né a me né ad altri alcuno dei dettagLi che ci attendevamo, giacché egli asserisce di non aver trovato neppure sui giornali bulgari alcun resoconto dei discorsi che sarebbero stati tenuti in occasione dell'inaugurazione di un monumento ai volontari bulgari caduti nella guerra interbalcanica del 1912. In queste condizioni, e mentre mi attendo di avere dal Ministro bulgaro tutte le informazioni che egli ha chiesto a Sofia sulla vera entità delle parole che possono aver dispiaciuto a questo Governo, non rimane che valutare l'incidente al lume del risentimento turco che è stato, almeno nella forma con cui Tewfik

Ruscdi si è espresso verso di noi, violentissimo. Il signor Tewfil{ Ruscdi ha detto in sostanza che, mentre avrebbe avuto tutta ,l'intenzione di assecondare la delegazione bulgara alla Conferenza di Bucarest, si era trovato paralizzato dal fatto che, ,in materia di minoranze, i bulgari non risparmiavano neppure la Turchia, e non tanto con aspirazioni ad una maggiore tutela delle minoranze stesse ma con vere e proprie idee di irredentismo territoriale. E qui seguiva la narrazione dei fatti avvenuti a Sofia; delle parole del Ministro della Guerra bulgaro che aveva asserito essere l'esercito bulgaro pronto a ripetere le gzsta del 1912; del discorso del Metropolita. diretto ad accendere gli animi additando la Tracia, senza che tale discorso fosse stato interrotto e rettificato dai membri del Governo presenti. <'La Turchia -continuava Tewfik Ruscdi bey -non aveva niente da temere da una revisione della frontiera; essa avrebbe accettato qualsiasi soluzione che ai bulgari avesse fatto piacere: l'arbitrato, il referendum, persino la guerra [sic]. Se i bulgari volevano la Tracia turca, non avevano che da venire a prenderla; la Turchia non avrebbe mobilitato neppure una divisione; sarebbe bastata la gendarmeria a respingere l'esercito bulgaro. Lo stesso impero agonizzante aveva resistito ai bulgari; immaginarsi cosa poteva la Bulgaria di oggi contro la nuova Repubblica turca. Che se poi i bulgari miravano alla Tracia Occidentale, egli non aveva nulla a cambiare alle sue parole giacché in questo campo la Turchia e la Grecia formavano un fronte unico. Minacciasse pure la Bulgaria di unirsi alla Jugoslavia, come sempre essa dice quando

vuol ricattare: la Turchia non aveva nulla da temere da tale minaccia, anche pel fatto che la giudicava inattuabile»... ed altre eccessività di questo genere.

L'Ambasciatore dei Soviet apparve molto allarmato dallo stato d'animo del signor Tewfik Ruscdi e volle convocarlo subito dopo il pasto, insieme con me per un esame comune della situazione. Abbiamo stentato parecchio a condurre Ruscdi bey ad una serena valutazione di quello che deve essere stato uno dei soliti discorsi patriottici di gente esaltata dalle rievocazioni militari, alle quali la presenza stessa di membri del Governo non può porre argine facilmente, non essendo agevole neppure a personalità politiche responsablli di levarsi a freddo per togliere la parola ad un oratore lanciato nella foga di una perorazione pubblica; che occorreva esaminare minutamente il testo ed il senso delle cose incriminate; che non era il caso di fare risa.lire tali cose ad un governo da cui e verso cui erano mossi tanti sforzi di riavvicinamento; che nulla fosse da lasciar trapelare di questo incidente e tanto meno dar luogo a precisazioni inopportune di idee e di risentimenti innanzi alla Grande Assemblea Nazionale Turca, come Tewfi!{ Ruscdi bey annunziava di voler fare; che, infine, la via più amichevole per intendersi e per non scalfire, con segni duraturi, il quadro dei rapporti tra i due paesi, era di intrattenere lealmente il Governo di Sofia dello stato di disagio che il gabinetto turco sentiva per effetto di quelle manifestazioni; dopo di che sarebbero certamente intervenute spiegazioni altrettanto leali ed amichevoli da parte del Governo bulgaro. Tewfik Ruscdi bey ha dich!arato che annuiva infine a tale modo di comportarsi ed attendere ora l'es1t;o della chiarificazione chiesta a Sofia.

Sarebbe s~ato il caso di proporre a V. E. che il nostro Ministro a Sofia ricevesse istruzioni per agire in senso analogo verso quel Governo; ma mancando il tempo per far compiere attraverso Roma questo giro, ho voluto invece pregare questo Ministro di Bulgaria di esplicare una certa azione di serenità verso il suo Ministro degli Affari Esteri, cercando di ridurre alla portata di una bruma passeggera qursta nube temporalesca che Rusedi bey tendeva a gonfiare.

E poiché, nella visita resagli dal Comm. Koch per prende.re congedo, quc-· sto Ministro degli Esteri aveva dato un altro scrollo alle sue collere, dicendo che la Turchia non sarebbe stata paga se non dopo avere ottenuto lo scioglimento dei Comitati per la Tracia, ho creduto di avvertire questo Ambasciatore dei Soviet affinché, con la lunga abitudine che gli ha di influire su questo Governo, egli dicesse al Ministro degli Esteri di non imporre cose che, pel loro carattere pubblico e per interferenze sul diritto interno, potrebbero mettere il Governo bulgaro in una situazione delicata e difficile. Mi riservo su questo argomento riferire ulteriormente.

Chiedo venia a V. E. per questo r:J.pporto un po' diffuso, rc:so ancor meno dilettevole dalla sovrapposizione di tre argomenti diversi che a mc è sembrato di non dovere scomporre per non fare di ciascuno di essi il centro di una visuale singola e forse per questo meno compren5iva.

383

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MANCINELLI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA (l)

R. 925. Berlino, 31 ottobre 1932.

Ho avuto opportunità di intrattenermi il 28 u.s., in occasione di un pranzo, con il Colonnello Fischcr, Capo della Sezione eserciti stranieri nell'Ufficio Operazioni della Direzione dclì'Esercito.

Premetto che erano presenti al pranzo, fra gli altri, anche il Capo dell'Ufficio Secondo dello Stato Maggiore inglese cd il capo del gruppo eli quella sezione che si occupa della Gcrmanb. Tali ufficiali, dci quali non ho potuto comprendere esattamente il nome erano qui in forma privata quali ospiti di questo addetto militare inglese e non avevano avuto precedenti contatti con autorità milit2.ri tedesche.

Il Colonnello Fischer mi ha detLo di essere tornato reeentcmente da un viag;io di servizio a Budapest, dove aveva assai interessanti colloqui con quelle autorità militari e con lo st;c;so pre:JclentJ Gombos. Ne ha riportato l'impressione che gli ungheresi hanno portato molto avanti la loro preparazione militare. che so~1o animati da spirito molLo elevato e che si è generalmente diffusa una entusiastica simpatia verco l'Italia. Il Colonnello Fischer ha aggiunto che nel colloquio avuto poc'anzi col Colonnello inglese egli gli aveva apertamente dichiarato che fino a quando lo Stato Maggiore britannico sarà animato dallo stesso spirito che ha ispirato la risposta alla nota tedesca per la « Gleichberechtigung » non vi è alcuna possibilità di avvicinamento fra i due paesi. come non vi è possibili~i di avvicinamento con la Francia, poiché l'anima lo spirito di Versailles. Ciò che L1 Germania vuol raggiungere e deve raggi;.mgere ad or.;ni costo è il riconoscimento teorico della uguaglianza di diritti, della piena sovranità. È folle cred:::re che, anche volendo, il Reich profitterebbe di questa libe·rtà per una corsa agli armamen';i, che la situazione economica gli vieta in modo assoluto.

Delle grandi potenze soltanto la Russia e l'Italia hanno compreso perfettamente la Germania ed egli, il Colonnello Fischer, è profondamente convinto che le attuali relazioni di amicizia debbano svilupparsi fino ad una vera c propria intGsa, per esercitare la necessaria pressione sulla Francia e indurla alla ragione. In quest'azione la Germania vuol procedere gradatamente e oculatamente per non determinare eccessive reazioni dalla parte avversaria.

In sostanza in quanto precede non è che l'applicazione da parte tedesca della concezione esposta da S. E. Mussolini nel suo recente articolo: raggiungimento della uguaglianza di diritti, uso discreto e ragionevole di questa libertà.

Ho obiettato al mio interlocutore che indubbiamente l'azione sinceramente amichevole che l'Italia svolge in favore delle aspirazioni tedesche, viene ad essere talvolta intralciata e posta in forse da inconsulte manifestazioni della stampa e dell'opinione pubblica tedesca. Specialmente se tali manifestazioni provengano da organi importanti che si ha ragione di ritenere assai vicini al Governo. Alludevo con questo ad un articolo della Berliner Borsen Zeitung, giornale che si ritiene ispirato dal Ministero della Difesa e fra quelli che più caldamente sostengono un'intesa itala-germanica, nel quale venivano anteposte le aspirazioni coloniali tedesche a quelle italiane e ad un articolo della Deutsche Allgcmeine Zeitung, pure governativo e in generale favorevole all'Italia, nel quale si è voluto dire una <<chiara parola» all'ItaUa a proposito del Sud-Tirolo. Non serve la causa dell'amicizia, ho rilevato. mettere in evidenza ragioni di contrasto artificiose o inesistenti come quella dell'Alto Adige, o non attuali, come quella coloniale.

Il Colonnello Fischer mi ha assicurato che mentre a suo parere l'articolo della Borscn Zeitung voleva avere soltanto un tono di trattazione teorica del problema della dis~ri:JUzione coloniale, il Ministro della Difesa si era molto adirato per l'articolo della, Deutsche Allgcmeine Zeitung ed aveva chiamato il direttore del giornale «per chiedergli se non fosse matto». In Germania il governo non ha la possibilità di esercitare una censura preventiva sulla stampa e questa è mal servita. da giornalisti as::;olutamente sprovvisti di sensibilità politica.

Il sopraggiungere di altre persone ha impedito il proseguimPnto del discorso che ho l'impressione debba costituire l~ preparazione ad altri più dcfiniti sul tema: amicizia itala-germanica.

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L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3779/5 R. Ginevra. 2 novembre 1932, ore 18 (per. ore 22,30).

Collega americnno Wilson è venuto oggi a chiedermi se gi~dicassi opportuno che dopo ccpo:izionr; che; Boncoclr fu:\ del piano fr:mcr;~c in una delle pro:;sime sedute dell'ufficio di presidenza, rappresentanti delle principali Potenze (Italia. Inghilterra e S.U.A.) facessero una breve dichiarao"ione per esprimere, sia pure i!l modo molto generico, il loro « simpatico interesse>> per il nuovo progetto.

Ho fatto osservare al collega americano che scarsi elementi finora in nostro possesso non ci permettevano ancora di renderei esatto conto del valore e della reale portata della proposta francese, che alcuni [punti] del programma enunciato alla Camera dal signor Herriot suggerivano fin da ora ampie riserve e che ritenevo comunque preferibile prendere tempo per esaminare attentamente proposta che sarà illustrata da Boncour prima di esprimere qualsiasi giudizio (1).

Wilson ne ha convenuto, ma ha aggiunto che se da parte degli inglesi venisse fatta una dichiarazione di generica simpatia p€r l'iniziativa francese egli avrebbe forse dovuto imitarli. In tal caso si sarebbe limitato a rilevare merito del progetto francese, in quanto esso possa aprire via per ritorno della Germania alla conferenza.

Attitudine di questa de,legazione americana va messa in relazione con dichiarazioni fatte a Washington da sottosegretario di Stato Castle, il quale avrebbe detto, secondo quanto pubblica questa stampa, che << Governo americano assume attitudini di simpatia per proposte francesi le quali possano fornire base per negoziati fra Potenze europee e che si inquadrino perfettamente con piano Hoover ».

Questa seconda affermazione sembra per lo meno azzardata ed è lecito chiedere se Governo americano voglia chiudere gli occhi per non vedere fallimento del pi::mo Hoover, oppure cerchi di forzare la mano alla Francia dando al piano fra!lcese interpretazione diversa dalle intenzioni dei suoi autori.

Mi richiamo in proposito a quanto mi ha detto confidenzialmente signor Davis a proposito delle 'ue conversazioni con Herriot e Boncour (mio telegramma n. 3/1) (2).

385

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, GRAHAM

Roma, 2 novem~re 1932.

Sir Ronald Graham mi ha presentato l'unita nota verbale di protesta (3) contro il trattamento usato a due cittadini in!!:lesi alla frontiera italiana. Ha aggiunto tra~'carsi di perscne irreorensibili sotto tutti i riguardi e per qt:anto riguarda in particolare il Prof. Smith dice e&:>crc persona p~uticolarmente amante dell'Italia ove usava venire o>mi anno a passare qualche giorno prima di imbarcarsi per l'India. L'Ambasciatore aggiunge che sarebbe molto disy.,iacente se l'incidente dovesse aver seguito nella stampa inglese -cosa che egli teme data l'estrema irritazione delle due persone sopra indirate -specialE<entc in questo morn~nto me:1tre nella stampa inglese c·è un coro di esalta

!-- :1uvEmbrc 1~~2, che !lO~ t::l pubb~l( :l) h·~ s_·r.;"j_l:c !.~c: !'t'.ct.: "!1.!;. c~..lE'!..'~ p~-j_ d·.~::tg1_~.1'"-~cfr. r: 434) l 2) Cfr. :L 3'79. (3; Ncn si pubtli:a.

zione per l'Italia Dice che, secondo le : Je impressioni, basterebbe iniziare una inchiesta e esprimere ai due cittadini inglesi in questione il rincrescimento per il trattamento a loro usato.

Ha risposto che si sarebbero iniziati immediatamente gli accertamenti per stabilire il modo come si sono svolti i fatti deplorati e che poi gli avrei fatto avere una risposta. Ho aggiunto che effettivamente era stato rilevato ed apprezzato l'atteggiamento della stampa inglese nell'occasione del Decennale.

L'Ambasciato.re mi ha chiesto se avevamo notizie sul progetto Herriot per il disarmo: gli ho risposto che non avevamo nessuna comunicazione ufficiale e che le poche notizie trapelate dalla stampa e da qualche altra informazione erano troppo incomplete per formar~i un giudizio; tenevamo perciò un atteggiamento di riserva; d'altra parte risultava che lo stesso atteggiamento tiene per il momento anche la Gran Bretagna.

L'Ambasciatore mi ha intrattenuto poi su una questione di carattere privato che interessa un cittadino inglese, pratica che ho inviato agli uffici.

Infine l'Ambasciatore mi ha detto che voleva attirare la nostra attenzione sulla situazione delicata di Malta, dove si determinr. una tensione fra il Governo nazionalista dell'Isola ed il Governo inglese; si preoccupa che se il Governo Inglese dovesse assumere un atteggi::nnento contrario alle richieste dei nazionalisti se ne possa avere una ripercussione nella stampa italiana che potrebbe portare qualche turbamento alla buona armonia esistente tra i due Paesi. Aggiunge che sebbene egli personalmente potrebbe ammettere che la questione di Malta non è stata trattata con la necessaria delicatezza, tuttavia è chiaro che il Governo inglese deve reagire contro ogni tendenza che anche indirettamente possa portare a qualche manifestazione irredentista. Gli ho risposto eh l'irredentismo era fuori questione, che d'altra parte era evidente che la lotta per la difesa della lingua italiana a Malta, per considerazioni di razza e di cultura noa poteva!lo lasciare indifferente l'opinione pubblica italiana.

Che i giornali itaìiani fmora hanno dato prova. -e l'Ambasciatore l'ha riconosciuto -di estrema moderazione, ma che sarebbe sommamente desiderabile se si potesse ottenere una soluzione che tenga conto delle legittime richieste dei difensori della lingua italiana a Malta.

(l) RosRc' DV~\".~ già ~·seguito un prirno cs:J:n!!' del progetto f!_·nnc~':;·::: ~c.fl' ~-7 Gincvr?-,

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COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI RUSSIA A ROMA, POTEMKIN

APPUNTO. Roma, 2 novembre 1932.

L'Ambasciatore di Russia mi ha fatto una visita di cortesia.

Mi ha detto di essere stato favorevolmente impressionato dalla ottima accoglienza avuta a Roma riferrndo::;i particolarmente alla udienza di Sua Maest2. ed a quella di S E. il Capo del GovfT~lo. Mi ha aggiunto che sperava veramente che si potesse ottenere HGa colla bor3zione più intima fra i due Paesi nel ca;npo della politica estera e nei campo della politica economica, osr;ervanclo che la differen7a di regime esistente nei due Paesi non poteva turbare questa riù intima collaborazicnP Gli ho rif'posto che era anche mia opm10ne che la differenza di regime non avesse nessuna importanza nei rapporti tra i due Paesi essendo il regime questione di politica interna e dovendo rimanere tale; l'Italia ad esempio che ha un regime anti-democratico può collaborare eventualmente con un paese democratico essendo inteso che né noi andiamo a fare della propaganda fuori di casa né gli altri vengono a farla da noi. Per quanto riguarda i rapporti economici una difficoltà è costituita dal fatto che la Russia vuole acquistare a credito con pagamenti rateali e dilazionati, mentre oggi più che mai le necessità del commercio richiedono i pagamenti a contanti. L'Ambasciatore si rende conto di questa difficoltà, ma ritiene tuttavia che gli interessi dei rapporti tra i due Paesi sono tali per cui si potrà superarla. Gli ho risposto che certamente non mancherà il nostro concorso per questa opera di intensificazione dei reciproci rapporti.

387

L'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

R. 1971/1035. Madrid, 2 novembre 1932 (per. il 7).

Il Presidente del Consiglio francese parte stasera e già cominciano a spegnersi gli echi suscitati dal suo viaggio in !spagna. Echi soprattutto di carattere giornalistico poiché questa stampa, tranne rarissime eccezioni, non poteva naturalmente perdere una così bella occasione per fare un ditirambico sfoggio dei luoghi comuni di cui si adorna quotidianamente. Ma si sarebbe invano cercato in questi giorni a Madrid nella folla relativamente scarsa che assisteva al passaggio del Signor Herriot qualche fremito di quell'entusiasmo popolare che in verità nulla avrebbe avuto di tanto strano considerando la fresca data dell'avvento della Repubblica Spagnuola e la sollecitudine materna che al di là dei Pirenei si usa mostrare verso di essa.

Invece l'unica manifestazione popolare di una certa importanza è stata proprio quella studentesca contraria al Signor Herriot e di cui ho creduto di informare telegraficamente V. E. per eventuale norma della nostra stampa. Tale manifestazione cominciata all'Università, dove un professore socialista è stato malmenato, ha assunto un carattere notevolmente violernto e certo inaspettato per coloro che avevano voluto dare al viaggio del Signor Herriot i colori di una idilliaca atmosfera.

I giornali hanno dato poco rilievo allo sciopero universitario ed alle dimostrazioni di piazza, ma tali fatti sono in realtà sintomatici, ed hanno costretto il Signor Herriot a fare delle pubbliche dichiarazioni mostrandosi sorpreso e dolente di questa nota stonata nella sua visita, e riprendendo il tema della colomba e dell'olivo.

Si è cercato anche di far credere da parte della stampa governativa che la maggior parte degli studenti manifestanti appartenevano al partito comunista, ma ciò non corrisponde a verità poiché nell'Università e nelle scuole di Spagna (come di tutti i paesi del resto) i comunisti sono ancora in minoranza Si è

trattato quindi di una maggioranza di giovani appartenenti a partiti di destra, cui si sono uniti i comunisti, moo;~ruoso transitorio connubio che non è certo la sola delle incongruenze dell'att:!aie vita politica spagnuola.

Però questo piccolo episodio, che si stacca sullo sfondo di generale freddezza popolare di fronte a tutto ciò che è straniero, caratteristica della Spagna, serve ::>.nche a dimostrare. se pure ve n'era bisogno, come in questo paese gli avvenimenti internazionali sono assai spesso considerati piegati e sfruttati a soli scopi di politica interna. Non è infatti una esagerata sottigliezza l'affermare che la dimostrazione studentesca contro il Signor Herriot trova la sua origine non tanto in una generica volontà di pace universale ed in una diffidenza contro la politica francese a questo riguardo quanto nel desiderio di approfittare delle circostanze per manifestare contro il Gonrno e fare un'affermazione di politica interna spagnuola. L2. partecipazione preponderante di elementi di destra basta a darne una prova.

A parte ciò la cronaca della visita del Presidente del Consiglio francese noa differisce da que.na delle solite visite ufficiali, ma è colorita a tinte più vivaci dal naturale « cabotinage ,, francese, e della sincera e profonda ammirazione che gli attuali uomini politici spagnuoli nutrono per la cultura e per la civiltà francese, che hanno cercato di assimilarsi nei loro studi giovanili, nei loro frequenti viaggi a Parigi (molti nei forzati soggiorni di esilio in terra di Francia), ed attraverso le loro relazioni massoniche.

Se questa visita 8.bbia avuto però degli scopi ben definiti, o s2 sia stata soltanto determinata da motivi di c8raLtere generale politico, ed in ogni caso qt~ali risultati abbia raggiunto e quali effetti potrà in seguito produrre, vale la pena di esaminare più a fondo.

Io ho messo ogni cura nell'indagare su questo argomento e nel raccogliere da tutte le fonti informazioni e notizie. ma poiché sono in Ispagna soltanto da un mese non posso permettcrmi di affermare a V. E. che le mie indagini sono ineccepibili e tanto meno che lo sono i miei giudizi sulla situazione politica spagnuola e sui reali intendimenti del Governo del Signor Azafia.

E ciò anche a prescindere dal fat~o universalmente riconosciuto che la Spagna è un paese assai difficile a conoscere, prodigo di sorprese anche per quelli che credono di averne compreso i più intimi aspetti.

Le peTsone che ritengo di poter giudicare serie (e fra queste metto il mio Collega d'Inghilterra. appartenente a quella simpatica schiera di diplomatici brittannici che sotto un'esteriore indifferenza celano solidissime qualità di buon senso e di equilibrio) concordn.no nel ritenere che i motivi e gli scopi del viaggio del Signor Herriot si riassumono in una manifestazione di simpatia \'Olont,arhmé'nte marcat,a verso la giovane Repubblica Spagnuola in pi-:n:1. coerer;-:è con la politica francese tendente a legarne sempre più a sé gli atteggiamenti di politin e~;tera. profittando dei rapporti creatisi con gli <~~tuali governanti e coi prhcipi rociali e politiC'i ora all:J. moda in 1i'])<Jgna. Le dichiarazioni deì Signor Zulueta alle Corte~ da me segnalate a V. E e che del resto mi sono state C')nfe:>T.mt~ pirna:n1cnJ;c da questo Sot~;oscgretario di S~at.o. dovrebbero pcr~~n~_: c::.:rri:Jp::m::J.cr'-in nn::::ima JJb vuit:i.

Ed alla logica anche se una logica esiste nelle determinanti dei fatti politici.

In realtà gli interessi specifici di carattere economico e fmanziario molto considerevoli che la Francia ha in Ispagna, l'interesse generico di mostrare a tutto il mondo. specie in questo momento tanto difficile della politica generale europea, che le due Repubbliche sono idealmente e materialmente unite, la convenienza di assicurarsi la cooperazione spagnuola a Ginevra dove questo Governo sembra avere velleità di affermarsi insieme cogli Stati dell'America latina, ed infine la necessità di consolidare sempre più l'intimità dei rapporti con la Spagna per giovarsene nella massima misura possibile quando si ve.rificasse l'eventualità di doverle richiedere quegli aiuti importanti che essa potrebbe offrire anche colla sua sola pas::;ività ad una Francia belligerante, sembrano motivi ben sufficienti ed importanti per giustificare che il Signor Herriot si scomodi a venire da Parigi a Madrid facendo un intermezzo iberico nelle peregrinazioni oratorie che sta compiendo nel suo Paese.

Le voci che si sono diffuse in tale occasione precisanti gli scopi della politica francese sono plausibili, ma soprattutto in quanto corrispondono agli interessi di quest'ultima. Bisogna tuttavia considerarle anche al luine delle possibilità di realizzazione. Io non intendo di darvi smentita, soprattutto per le ragioni suesposte che mi vietano di pronunziare dei giudizi coscienziosi sulla politica spagnuola a così breve distanza del mio arrivo a Madrid, ma ritengo doveroso sottoporre a V. E. alcune semplici osservazioni.

La più in:.portantc delle voci circolanti è quella che afferma essere stato nelle intenzioni del Signor Herriot di ottenere fin d'ora il consenso del Governo spagnuolo al passaggio attraverso il territorio spagnuolo, in caso di guerra, delle truppe francesi di colore (1). È questa, in verità una v<::cchia questione che giustamente preoccupa le nostre autorità militari e la nostra opinione pubblica. Non è dubbio l'interesse dello Gtato Maggiore francese ad assicurarsi un tale consenso che potrebbe andare da un massimo ad un minimo. Massimo il passaggio delle truppe apertamente equipaggiate ed armate, minimo il passaggio degli uomini disarmati ed a scaglioni, come avvenne in modeste proporzioni per i portoghesi durante la guerra europea. La tendenza dei militari francesi ad ottenere il massimo è anch'essa evidente poiché la Francia avrebbe bisogno di gettare proprio nei primi giorni delle ostilità sui campi di battaglia il più gran numero di truppe possibile. I desideri francesi contemplano del resto anche in caso di guerra una occupazione delle Baleari come punto d'appoggio per la protezione dei convogli militari che venissero direttamente per mare dalle coste africane ai porti francesi. Ipotesi questa che ha formato il tema delle nostre recenti manovre navali Ma nell'uno e nell'altro caso si tratterebbe di una aperta violazione della neutralità della Spagna, contrattata in anticipo come non riuscì alla Germania di contrattarla col Belgio. Ora, per quanto legata alla Francia possa essere la giovane Repubblica spagnuola e per quanto profondo possa essere l'affievolimento del sentimento nazionale prodotto in questo Paese dalle idee socialistiche e dallz>. illusione in buona o mala fede che appog

giando la Francia si rende un grande servizio alla causa della pa~e universale di cui essa si atteggia a campione, non sembra:

l) che il fondo di fierezza e di dignità prima tanto caratteristico del popolo spagnuolo sia completamente distrutto;

2) che un contratto così importante e di fronte al quale sarebbero da prevedersi gravi reazioni dell'opinione pubblica spagnuola (sia plire a solo scopo di politica interna) possa essere in forma esplicita proposto dalla Francia ed accettato dalla Spagna, senza ammettere una certa dose se non altro d'ingenuità da parte dell'una e dell'altra.

Né il Governo spagnuolo nell'attuale momento sembra cosi forte per potere imporre al Paese un simile accordo, il quale anche se stipulato segretamente non tarderebbe a trapelare, né si vede quale corrispettivo materiale di altrettanta importanza potrebbe offrire la Francia, salvo l'illusione della collaborazione franco-spagnuola al mantenimento della p:::.ce europea e la promessa di appoggio incondizionato al consolidamento del regime repubblicano in !spagna: due cose troppo vaghe e teoriche di fronte alla concreta realtà dell'impegno che la Spagna dovrebbe assumere.

Sembra invece più conforme al buon senso affermare che l'eventuale violazione della neutralità spagnuola da parte della Francia dipenderà esclusivamente dalle circostanze di fatto che accompagneranno l'eventuale scoppio di un conflitto europeo, e da quelle materiali e politiche in cui si troverà la Spagna in quel momento. La possibilità di una tale violazione in una misura più o meno larga dipenderà in altri termini dallo stato di debolezza interna in cui potrà trovarsi allora il Governo e lo stesso Stato spagnuolo, ma al giorno d'oggi accordi del genere di quello paventato fra la Francia e la Spagna non sembra possano concretarsi o scriversi in anticipo con la solennità di un atto diplomatico sia pure segreto e tanto meno in una visita ufficiale che del resto ha sempre quelle caratteristiche di genericità e di indeterminatezza ben note a quelli che conoscono da vicino la meccanica di questi oramai frequenti viaggi eli uomini politici. A tali accordi si cerca invece di preparare il terreno e l'atmosfera per il momento in cui saranno necessari e possibili mediante la quotidiana azione politica e diplomatica la cui reale efficacia ed i cui pratici risultati dipendono però sempre dalle circostanze del momento in cui le intese preparate dovrebbero avere effettiva applicazione.

Per ora Annibale non è alle porte. e per quanto qui si faccia di tutto per far credere alle masse che non sia lontano. sembra difficile che un qualsiasi governo spagnuolo possa ritenere che sia già giunta l'ora di impegnarsi e compromettersi, contro la maggioranza dell'opinione pubblica (che vuole tenersi lontana dalle eventualità di conflitti europei ed è solo preoccupata per temperamento e per necessità delle questioni interne spagnuolc) ed in cambio di incomprensibili vantaggi.

Anche facendo la debita tara agli attsggiamenti ed ai dichiarati r:;ropositi del Capo del Governo spagnuolo Signor Azafla. ;mch'cgli p;_·eoccupato per ragioni di politica interna. rli. guadagr;trc :=t sé re! a!l:J R.epubblic<t le simpatie e gli inter•';;<·j ':!~gli P}Pmcn' i militari DO!". 'i P'-lÒ !1CS"1!T rè>f r~nli nn_ :'3'10 ':''JDC~'t~o politico dalla sua tendenza a rafforzare la difesa militare della Spagna. appunto per mettere questo Paese al sicuro dagli attentati che in caso di conflitto europeo, si potrebbero voler compiere contro la sua indipendenza, la sua sovranità, la sua volontà politica. E di tali attentati non potrebbe avere velleità che la sola Francia cui prodest.

Pur non volendo dunque escludere in modo del tutto assoluto che le conversazioni del Signor Herriot abbiano trascurato i desideri dello Stato Maggiore francese quanto al passaggio delle truppe di colore attraverso il territorio spag_1Uolo ed alla neutralità benevola della Spagna specialmente in quanto concerne le Baleari, mi pare che non sia possibile ammettere senz'altro la possibilità che tali desideri siano stati ora soddisfatti.

A me sembra che l'attaale Governo spagnuolo voglia o debba volere invece sinceramente in questo momento una cosa sola: rafforzarsi e rafforzare il regime repubblicano. A questo scopo ricerca l'amicizia della Francia, che oltre tutto gli è indispensabile anche per ragioni di vicinanza, ma ricerca pure l'amicizia delle altre nazioni per crearsi quelle condizioni di tranquillità esterna che gli sono anch'esse indispensabili per compiere e consolidare l'evoluzione sociale e politica del Paese.

La visita del Signor Herriot ha fatto quindi un enorme piacere a questi governanti perché essi ne vogliono approfittare per dimostrare non solo internazionalmente la considerazione in cui è tenuta la giovane Repubblica spagnuola, ma internamente che il grande vicino francese (della cui eventuale inimicizia questo popolo non ignora il pericolo, come ne diffida sempre per ragioni storiche, sentimentali e pratiche determinate dalla comunanza delle frontiere) è animato verso di essa da sentimenti cordialissimi.

Ottenuto questo scopo, il concedere proprio ora alla Francia ciò che si pretende che il Signor Herriot sia venuto a chiedere, potrebbe costituire invece proprio l'annullamento del risultato che qui si aveva interesse a raggiungere.

Se i piccoli fatti hanno la loro importanza, non è da trascurare l'interessamento che hanno dimostrato per me il Presidente della Repubblica e il signor Azafia, ieri sera al ricevimento di questa Ambasciata di Francia. Essendovi io giunto con un lieve ritardo, essi sem~a che ve ne fosse un'apparente ragione si sono informati ripetutamente della presenza dell'Ambasciatore d'Italia, trattenendomi poi, quando mi sono recato a salutarli, in cordiale colloquio che però si è svolto su argomenti banali.

Restano ora da esaminare le altre ipotesi cui ha dato occasione il viaggio del Signor Herriot. E più precisamente:

l) la cessione del Rio de Oro o altri accordi inerenti alle zone spagnuole e francese nel Marocco in cambio di vantaggi per la Spagna a Tangeri; 2) la domanda francese di condurre operazioni militari nel territorio spagnuolo del Rio de Oro per domare i ribelli marocchini; 3) la concessione di un prestito francese alla Spagna destinato alla fortificazione delle Baleari e specialmente di Porto Mahon;

4) accordi di carattere sociale re:.·. tivi al regime dei lavoratori spagnuoli in Francia, di carattere commerciale nei riguardi delle esportazioni spagnuolc, ecc.;

5) accordi politici circa gli elementi spagnuoli di opposizione emigrati in Francia.

Circa il primo punto, sul quale ho riferito più dettagliatamente a V. E. con recenti rapporti, sE:mbra che gli 2.ccenn1 ratti da alcuni giornali francesi non abbiano qui trovato liete accoglienze, sia perché non è questo il momento per il Governo spagnuolo, se anche lo desiderasse, di mettere in discussione questioni del genere atte soltanto a suscitare maggiori divisioni nell'opinione pubblica, critiche e pretesti per attacchi a tutta la politica del regime repubblicano, e sia anche perché non si vede come la Francia potrebbe da sola offrire dei corrispettivi alla Spagna ndl'amministrazionc Tangerina. Checché ne pensino alcuni colonialisti spagnuoli, la questione di Tangeri dopo l'accordo a quattro, è ormai defi:!itivamente sogg-o:tta alle d,;cisioni delle quattro grandi pot~nze firmatarie e nessuna innovazione vi si può apportare se non col consenso unanime di esse.

Molto più probabile sarebbe che il Governo di Madrid cedesse alle pressioni della Frm1cia per ottenere il suo consenso a perseguire i ribelli marocchini nel Rio de Oro ed a compiere operazioni di polizia in territorio spagnuolo (punto 2), ma in verità accordi di questo genere avrebbero un interesse puramente locale e non rivestirebbero alcuna importanza speciale né per noi né per altri.

Circa il terzo punto si dovrebbe ritenere che il Governo spagnuolo il quale si trova nella beata situazione di non avere debiti all'estero, che ha ormai più

o meno stabilizzata la peseta al corso attuale, che non è premuto da bisogni finanziari di speciale urgenza, non avrebbe alcun interesse a contrarre dei prestiti all'estero, dando l'impressione al pubblico che la sua politica finanziaria sia peggiore di quella della Monarchia. D'altra parte sono ben note le difficoltà che il Governo francese ha recentemente incontrato a casa propria per concedere crediti ai suoi più fidi amici: cecoslovacchi, jugoslavi e romeni. Un prestito alla Spagna troverebbe forse in F~::ucia condizioni anche meno favorevoli. I lavori di fortificazioni alle Baleari e specialmente a Porto Mahon sembra tuttavia che si faranno o si inizieranno colle risorse del bilancio spagnuolo. Ciò corrisponde tanto alle idee recentemente esposte dal Signor Azafia circa la necessità di mettere il proprio Paese in grado di difendersi da eventuali attacchi esterni in caso di conflitto europeo, quanto anche a motivi di carattere elettorale locale.

A me pare del resto, che ave realmente le Baleari fossero messe in grado di escludere ogni possibilità di occupazione straniera ed ogni eventualità di. diventare basi di operazione per flotte straniere, ciò corrisponderebbe ai nostri interessi, poiché certo, date le condizioni in cui potrebbe svolgersi in tempo prossimo una guerra marittima, non potremmo pensare ad occuparle corle nostre forze navali che dovrebbero essere impegnate nella quasi loro to-ualità in operazioni ben altrimenti necessarie ed importanti per la difesa delle nostre coste.

La fortificazione delle Baleari non sarebbe dannosa per noi ~e non nel caso di una vera e propria allea:1Za militare e politica fra la Spagna e la Francia che sembra per il mome:1to impossibile ed anche difficile a realizzarsi in futuro, sempre beninteso che il nuovo regime spagnuolo riesca a consolidarsi ed a dare una efficace consistenza statale al Paese.

Quanto ad accordi relativi al lavoro spagnuolo in Francia, essi formeranno invece il vero contenuto positivo della visita del Signor Herriot. e qui lo si ammette esplicitamente. Ma, data la situazione di inferorità in cui si trovarono Lnora i lavoratori spagnuoli in Francia perché non protetti da alcuna convenzione, a differenza dagli altri lavoratori stranieri e specialmente italiani, si deve riconoscere che anche senza il viaggio del Signor Herriot a tali accordi si sarebbe addivenuti un giorno o l'altro. Essi del resto sono stati preparati a Parigi e qui ristudiati approfittando della presenza del Signor Dalimier, Ministro francese del Lavoro.

Più difficile sembra che vengano stipulati accordi per migliorare il regime delle esportazioni spagnuole in Francia, giacché i francesi tendono naturalmente a diminuire e non aumentare l'importante deficit della loro bilancia commerciale con la Spagna, e del resto lo stesso Temps nell'articolo consacrato al viaggio di Herriot non ha potuto esimersi dal far specia.le menzione di questa situazione deficitaria con quel senso pratico di avarizia particolare ad ogni buon francese che non rie::cono a dissimulare le solite fioriture sentimentali.

Circa il quin~.o punto é possibile che il Governo :::pagnuolo riesca ad ottenere altre misure di rigore o almeno di sorveglianza da parte del Governo di Parigi contro i fuorusciti monarchici in Francia, oltre quelle già ottenute e da me segnalate a V. E. Ma non vi dovrebbe essere alcunché di fatto finora in questo senso, se proprio stamane l'organo del &igaor Azafia pubblicava un trafiletto per rammentare che mentre il Signor Herriot prodiga parole di amicizia alla Repubblica spagnuola, l'ex Sovrano svolge tranquillamente a Fontainebleau ospite della Francia la sua azione contraria al nuovo regime.

Concludendo, mi sembra che convenga considerare con maggiore serenità la ridda di voci verificatesi in occasione della visita del Signor Herriot in !spagna, e non portare alle ultime conseguenze le deduzioni che possano farsi dalla innegabile intimità e cordialità di rapporti attualmente esistenti fra la Spagna e la Francia, o per meglio dire fra i dirigenti spagnuoli e quelli francesi. Gli atteggiamenti degli uni e degli altri trovano infatti forti remare nelle rispettive opinioni pubbliche, nei sentimenti dei due popoli, negli interessi dei partiti avversi, la cui forza non è disprezzabile, ed anche in quella tale logica che non può completamente esulare dai fatti politici.

Le dimostrazioni contro il Signor Herriot, le precauzioni che si sono dovute qui prendere per evitare che crescessero di intensità, l'indifferente accoglienza popolare hanno causato alquanta contrarietà nel Presidente del Consiglio francese e nell'imponente stuolo di giornalisti da cui egli si era fatto accompagnare. Essi credevano che il viaggio si sarebbe svolto in una atmosfera unanimemente entusiastica ed è naturale che siano rimasti un po' disillusi, vedendo che l'entusiasmo si è limitato sostanzialmente soltanto alla stampa governativa. Non

manca chi attribuisce a questo Ambasciatore di Francia, Signor Herbette, la colpa di non aver preventivamente richiamata l'attenzione del Signor Herriot sugli imprevisti della sua visita.

Una cosa è certa però e dev'essere da noi tenuta nel massimo conto: la Francia ha lavorato, lavora e lavorerà con tutte le sue forze a potenziare la propria situazione in !spagna per trarne il massimo profitto coordinabile alla sua politica generale. Trova qui potenti aiuti nei suoi forti interessi economici precostituiti, nella vicinanza geografica, nella somiglianza delle istituzioni e delle idealità che si tenta ora di imporre al popolo spagnuolo, nell'influenza grandissima della cultura e della civilità francese, nella forza di organizzazione che presiede da tempo all'opera di penetrazione e propaganda francese all'estero.

Noi non abbiamo nulla di tutto ciò ma questo non significa che dobbiamo rinunziare a controbattere l'azione francese. A parte certe affinità e certe simpatie che occorrerà meglio coltivare, il Fascismo, ora combattuto perché non compreso o perché volutamente contrastato dalle antitetiche forze socialistiche, massoniche e democratiche, potrà anche sulla Spagna esercitare una forza di attrazione se noi sapremo approfittare delle varie circostanze che potranno presentarsi nella nuova vita politica spagnuola, e se sopratutto rivolgeremo un po' più di attenzione e di cura a questo Paese.

Altrimenti ci resterà solo la possibilità di essere armati contro la Francia, ossia di servire soltanto di contrappeso tanto ai fini della politica interna quanto a quelli dell'anemica politica estera spagnuola (1).

(l) Ed !n GèJARIGLJP", Ambcx~ciat(l in .~pagrcc;, c.lt., pp. 106-204.

(l) Cfr. n. 367.

388

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. u. R. 3787/8-9 R. Ginevra, 3 novembre 1932 (2).

Oggi o domani si inizierà discussione del rapporto sul controllo (allegato a mio telegramma 2 in data 29 ottobre u.s.) (3). Prevedo fin da ora che non sarà possibile delegazione italiana di mostrarsi estranea al dibattito.

S. E. Gazzera mi ha fatto comunicare stamane da questi suoi esperti militari che punto di vista del ministro della guerra rimane decisamente contrario a qual::.iasi specie controllo.

In proposito osservo:

l) delegazione italiana (come in pratica tutte le delegazioni) ha già accettato «principio» del controllo, avendo approvato progetto di convenzione che contempla costituzione di una commissione permanente del disarmo incaricata di controllare esecuzione della futura convenzione e di pronunciarsi nei casi di ricorsi contro asserite violazioni. Si potrà quindi sollevare obiezione

-o riserve circa misure e modalità di applicazione, ma non contro principio del controllo;

2) sarebbe, a mio avviso, supremamente impolitico allo stato attuale dei lavori di assumere attitudine del tutto negativa od anche eccessivamente rigida,

che fornirebbe facile motivo per attribuire ad Italia responsabilità delle difficoltà che ne deriverebbero;

3) progetto francese rappresenta forse più che altro una mossa tattica e di propaganda. Come condizione delle misure di disarmo che esso propone, forse perché ritiene che non potrà venire accettato, esso indica organizzazione di un sistema di controllo. Opporsi a priori all'esame di tale organizzazione significherebbe semplicemente fare il giuoco della Francia.

Per questi motivi ritengo che delegazione italiana debba intervenire nella discussione riconoscendo apertamente principio del controllo ma adoperandosi a mantenerlo entro certi limiti.

Ispirandomi alle direttive datemi personalmente da S. E. il Capo del Governo (1), mi propongo di intervenire, quando occorre, nel dibattito per fare prevalere seguenti concetti:

l) che organizzazione del controllo deve partire dal presupposto non della malafede bensì della buona fede delle parti contraenti;

2) che non deve avere carattere vessatorio;

3) che nella sua pratica applicazione, controllo deve incidere in modo uguale su tutti gli Stati e su tutte le forme di armamento;

4) che controllo dev'essere circondato da tutte garanzie necessarie perché venga esercitato con debite prudenze e moderazione, in modo da salvaguardare legittime suscettibilità ed evitare pericolo di frizioni e di conflitti;

5) che accettazione, in questo stadio dei lavori, di qualsiasi misura di controllo deve beninteso intendersi subordinata alla possibilità di ottenere risultati concreti e soddisfacenti in materia di riduzioni di... (2).

Problema principale che si [presenta] per noi è di sapere se possiamo o meno accettare il riconoscimento della facoltà di procedere, quando occorra, anche a delle investigazioni sul posto. Grande maggioranza delle delegazioni ne accetta principio ed io credo che anche quelle che vi sono intimamente ostili non vi faranno opposizione diretta, ma cercheranno di limitarne strettamente la portata e di fissare bene le garanzie di cui sua applicazione dovrà essere circondata e di precisare responsabilità dello Stato che prenderà iniziativa di provocare inchiesta nei confronti di uno Stato.

Mia opinione è che anche su questo punto non convenga alla delegazione italiana di assumere attitudine semplicemente negativa, ma che -ammessa la possibilità di decidere nei casi gravi di violazione delle investigazioni sul posto essa si adoperi per togliere alla misura tutto ciò che essa può avere di imperfetto

-o di odioso.

35 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

Sarò grato a V. E. se vorrà farmi pervenire d'urgenza sue istruzioni circa attitudine che dovrò tenere sia nei riguardi del problema in generale sia per quanto concerne questione specifica sopra menzionata.

(l) -Il documento reca il visto di Mussolini. (2) -Il t. 8 partì alle ore 18,25 e pervenne alle ore 21,08, il t. 9 partì alle ore 21 e pervenne alle ore 7 del 4. (3) -Non pubblicato. (l) -Cfr. n. 268, allegato. (2) -Gruppo lndeclfrato.
389

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL MINISTRO D'AUSTRIA A ROMA, EGGER

APPUNTO. Roma, 3 novembre 1932.

Il Ministro d'Austria mi ha presentato l'unito Appunto (l) redatto dal Cancelliere sulla possibilità di intensificare i rapporti economici fra il proprio Paese e l'Italia.

L'origine di questo passo, secondo il Ministro d'Austria, va ricercato nelle dichiarazioni fatte da S. E. il Capo del Governo qualche giorno addietro, quando ha ricevuto il Ministro stesso.

In quella occasione S. E. il Oapo del Governo gli avrebbe detto che la miglior soluzione per l'Austria, per uscire dal suo attuale disagio, sarebbe l'adozione della proposta avanzata l'anno passato dal conte Bethlen, cioè l'Unione doganale fra l'Austria, l'Ungheria e .l'Italia.

Informato di questa dichiarazione del Cancelliere, ho incaricato il Ministro d'Austria di presentare le proposte di cui l'Appunto sopraindicato (l'Appunto era stato fatto soltanto per informazione del Ministro d'Austria a Roma, il quale però, per maggior chiarezza me lo ha consegnato).

Ho risposto al Ministro d'Austria che l'Appunto non parlava, a differenza di quanto era apparso dal suo primo colloquio col Barone Aloisi, della disposizione del Cancelliere di arrivare all'Unione doganale. Gli ho detto ancora che mi pareva difficile, attraverso l'allargamento degli accordi del Semmering (quelli ai quali si riferisce il Cancelliere quando parla di «regime») di poter arrivare allo stesso risultato dello << Zollverein ».

Lo ho assicurato, ad ogni modo, che avremo fatto esaminare le proposte del Cancelliere, avvertendolo però, fin d'ora, che noi eravamo piuttosto favorevoli ad una soluzione radicale.

Il Ministro d'Austria ha osservato che, mentre lo « Zollverein » avrebbe incontrato grandi resistenze da parte dei terzi Stati, l'allargamento del regime attuale, portato anche alle estreme conseguenze, avrebbe potuto passare quasi inosservato, e a questo proposito ha fatto presente che l'accordo, sempre su questa base, vigente già fra l'Ungheria e l'Austria, non ha dato luogo a rilievi.

Gli ho risposto che non potevo condividere il suo ottimismo, perché l'estensione degli accordi del Semmering sarebbero interpretati [sic] come un trattamento preferenziale e darebbero occasione alle generali proteste.

Sono rimasto d'accordo col Ministro che appena esaminate le proposte, lo avrei convocato nuovamente per informarlo se alle stesse si poteva perseguire.

Il Ministro mi ha confermato però che il Cancelliere è disposto a discutere qualunque soluzione, anche quella dello « Zollverein >>, pur non ritenendolo la soluzione opportuna.

(l) Cfr. n. 380.

390

IL MINISTRO DELLA MARINA, SIRIANNI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA RR. Roma, 4 novembre 1932.

Il Ministero degli Esteri mi comunica che molto probabilmente il Senatore Norman Davis, del partito democratico, preconizzato Segretario di Stato nella eventualità di una elezione di Roosevelt alla Presidenza degli Stati Uniti, verrebbe a Roma per conferire con l'E. V.

Ritengo pertanto opportuno redigere per V. E. la presente nota, nella quale sono ricordate brevemente le basi d'accordo itala-franco-inglese del 1° marzo 1931, e le altre proposte successivamente presentate per limitare o ridurre gli armamenti navali.

Riporto nelle sue linee generali i termini delle basi d'accordo del 1° marzo, perché il Presidente Hoover nella sua proposta del 22 giugno 1932 vi fa espresso riferimento.

l) -BASI D'ACCORDO l 0 MARZO 1931

Navi da Battaglia. -Il Trattato di Washington stabilisce per l'Italia e la Francia .in tale categoria un tonnellaggio complessivo di 175 mila tonn. Stabilisce inoltre che il dislocamento di ogni singola nave non deve superare le 35 mila tonn. ed il calibro dei cannoni il 406 m/m.

Lascia però all'Italia e alla Francia la facoltà dentro il limite di 175 mila tonn. di costruire un numero non precisato di navi del dislocamento unitario tra 10 mila e 35 mila tonn., con cannoni del calibro compreso tra 203 e 406 m;m.

Tale facoltà non posseggono invece le altre Potenze contraenti: Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, per le quali è stabilito il numero di unità 15, 15, 10, che però non debbono superare le 35 mila tonn.

Il Trattato di Londra, stabilisce una proroga sino al 1936 nelle nuove costruzioni di navi di linea, consente però all'Italia e alla Francia la costruzione di 70 mila tonn.

In base a tale facoltà, le basi di accordo del 1° marzo stabilivano che le due Nazioni avrebbero potuto completare entro il 1936, due navi di linea di 23.333 tonn. ciascuna armate con cannoni da 305 m/m: in totale tonn. 46.666. In tal modo Italia e Francia rinunziavano ciascuna alla facoltà concessa loro dal Trattato di Washington di investire il loro tonnellaggio in costruzioni di navi di linea, di dislocamento e di calibro fissati secondo la propria libera dete·rminazione, purché non superassero 35 mila tonn. e 406 m/m.

Aggiungo, a questo riguardo, che la Francia, secondo notizie recenti, avrebbe ordinato la costruzione di una nave di linea di 26.500 tonn. armata con cannoni da 330 mjm.

Tale nave non corrisponderebbe alle caratteristiche delle basi di accordo.

Navi porta aerei. -Il Trattato di Washington stabilisce per l'Italia e Francia tonn. 60 mila in tale categoria.

Secondo le basi di accordo, le due Nazioni avevano la facoltà di completare sino al 1936 tonn. 34 mila di navi porta aerei.

L'Italia avrebbe potuto impostare altre 26 mila tonn., differenza tra le costruzioni a tutto il 1936 (34 mila tonn.) e la cifra di Washington (60 mila tonn.). La Francia, a sua volta, avrebbe potuto impostare analogo tonnellaggio, purché avesse radiato il «Béarn ~. considerato come nave porta aerei sperimentale.

Incrociatori da 10.000 tonnellate. -Le due nazioni stabilivano di rimanere con 7 incrociatori da 10.000 tonn. armati con cannoni da 203 m/m, vale a dire con un tonnellaggio complessivo di 70.000 tonn.

Incrociatori con cannoni uguali od interiori a 155 m/m e Cacciatorpediniere. -Per le basi di accordo, l'Italia e la Francia avrebbero potuto completare sino al 1936 rispettivamente tonn. 46.158 e tonn. 51.331 di tale naviglio.

Sommergibili. -L'Italia avrebbe potuto completare tonn. 2791, la Francia tonn. 4441.

Sia per gli Incrociatori da 155 m/m e cacciatorpediniere che per i sommergibili, le nuove costruzioni corrispondevano al tonnellaggio che superava i limiti di età, durante il periodo di durata della convenzione.

Questi i termini delle basi di accordo nelle loro linee generali. È nota la causa, che impedì la messa in vigore dell'accordo.

La Francia avrebbe voluto interpretarne le clausole, in modo di aver diritto a impostare prima del 1936, le sostituzioni di una parte del suo naviglio vecchio, che noi avevamo concesso fosse mantenuto in servizio, lasciando in sospeso ogni ulteriore discussione sino alla data della scadenza della convenzione.

2) -PROPOSTA GOVERNO ITALIANO

Le dichiarazioni fatte dal Governo Fascista all'apertura della Conferenza del Disarmo di Ginevra, contenevano le seguenti proposte: a) abolizione delle navi da battaglia e simultanea abolizione dei sommergibili; b) abolizione delle navi porta-aerei.

3) -PROPOSTA HOOVER

Nel giugno scorso, il Delegato Gibson presentò per conto del suo Governo alla Conferenza di Ginevra, una proposta di riduzione proporzionale nei seguenti termini:

a) riduzione di 1/3 del tonnellaggio complessivo e del numero delle navi di linea;

b) riduzione di 1/3 del tonnellaggio complessivo dei sommergibili purché tale tonnellaggio non superi le 35.000 tonnellate. Il dislocamento unitario massimo deve essere di tonn. 1200;

c) riduzione di 1/4 sul tonnellaggio complessivo delle navi porta-aerei, incrociatori e cacciatorpediniere.

Per quanto si riferisce alle navi di linea e porta-aerei, la riduzione dovrebbe effettuarsi sulle cifre di tonnellaggio stabilite nel Trattato di Washington tra le cinque Potenze contraenti.

Per quanto si riferisce al naviglio leggero di superficie e sommergibili, la riduzione dovrebbe effettuarsi sulle cifre fissate nel Trattato di Londra, per Stati Uniti, Inghilterra e Giappone.

Per l'Italia e la Francia, si diceva testualmente:

«On pourrait calculer les forces navales de la France et de l'Italie en croiseurs et en contre-torpilleurs comme si ces puissances s'étaient railiées au Traité de Londres, en se rapprochant de ce qu'on appelle couramment les bases d'accord du prémier mars 1931 ».

La proposta Hoover fu da V. E. accettata immediatamente ed integralmente.

4) -PROPOSTA BALDWIN

In conseguenza della proposta Hoover, gli inglesi in luglio presentarono il seguente piano di disarmo, che va sotto il nome di piano Baldwin.

a) ridurre il dislocamento delle navi di linea da 35.000 tonn. a 22.000 tonn., ed il calibro da 406 m/m. a 280 m/m ;

b) ridurre il dislocamento massimo degli incrociatori da costruirsi a 7.000 tonn. ed il calibro a 155 m/m. (Tali incrociatori dovrebbero sostituire quelli da

10.000 tonn. con cannoni da 203 m/m.);

La proposta a) è condizionata all'accettazione di quella b). Nel caso questa non fosse accettata, le navi di linea dovrebbero avere un dislocamento massimo di 25.000 tonn. con cannoni da 305 m/m.;

c) ridurre il dislocamento delle navi porta-aerei ad un massimo di 22.000 tonn. ed il calibro a 155 m/m.;

d) abolizione dei sommergibili;

e) ridurre di 1/3 il tonnellaggio complessivo dei cacciatorpediniere purché sia accolta la proposta dell'abolizone dei sommergibili.

Il piano inglese aggiungeva che se non fosse stato possibile abolire i sommergibili questi dovevano essere ridotti nel tonnellaggio complessivo, e nel dislocamento unitario, che non doveva superare 250 tonn. in superficie.

Le proposte inglesi sono veramente fuori di ogni realtà, e non rispondono che ad un interesse esclusivamente Britannico. Di tutta la serie di proposte sopraricordate, penso che quella più radicale ai fini del disarmo, sia, senza dubbio, quella italiana.

391

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3798/13/8 R. Ginevra, 5 novembre 1932, ore 20,10 (per. ore 21,15).

Confermo che signor Norman Davis accompagnato da signora nonché da signor Dulles (membro della delegazione americana) arriverà Roma lunedì mattina ore 8,30 per ripartire forse giorno seguente.

Mi risulta che signor Davis si propone anzitutto di mettere al corrente S. E. Capo del Governo dei colloqui da lui avuti a Londra e Parigi. Ho ragione di ere

dere che toccherà poi in modo particolare questione navale, nei riguardi della quale sembra essere intenzione del Governo americano di prendere iniziativa per prossima ripresa di conversazioni e di agire come amichevole mediatore per accordare Italia Francia.

Parlandomi in via molto confidenziale, Davis ha criticato azione svolta da alcuni rappresentanti britannici nei precedenti negoziati, alludendo in modo speciale a Craigie. Davis ritiene accordo possa essere raggiunto su programma costruzione per un certo numero di anni.

Conforme intesa partirò anche io per Roma facendomi accompagnare ad ogni buon fine da comandante Maroni.

392

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 3800/199 R. Budapest, 5 novembre 1932, ore 21,10 (per. ore 23,45).

Seguito mio telegramma n. 198 (1).

Nel colloquio avuto con me stamane questo presidente del consiglio dei ministri mi ha detto a titolo strettamente confidenziale che avendogli cancelliere austriaco Dolfuss manifestato desiderio conferire con lui a Vienna prima della sua andata a Roma, egli pure ha invitato abboccamento.

Incontro avrà luogo domani in una villa del generale Gi:imbi:is nei dintorni di Budapest. In occasione di detto incontro generale Gi:imbi:is si propone accertare punto di vista del Governo austriaco circa questioni note a V. E.

393

RIUNIONE AL MINISTERO DELLE COLONIE (2)

VERBALE SEGRETO. Roma, 5 novembre 1932.

S. E. De Bono. -Espone l'oggetto de.Ila riunione che ha per scopo di riesaminare la situazione etiopica. Sono note le difficoltà che il Governo di Addis Abeba spinto da sentimenti nazionalisti crea all'Italia e alle altre Potenze Europee, violando espresse disposizioni di trattati; l'Imperatore continua nella sua politica accentratrice, diminuendo ogni giorno di più il potere dei Ras. Francia ed Inghilterra si mostrano localmente preoccupate quanto noi della situazione ed il Corpo Diplomatico di Addis Abeba forma un fronte unico nei

riguardi del Governo etiopico. Se ciò è certo di vantaggio per noi, non può tuttavia dedursene una maggiore libertà d'azione da parte nostra nei riguardi dell'Etiopia, in quanto occorre tenere presente l'atteggiamento dei Governi di Parigi e di Londra nel considerare l'eventualità di una nostra azione risolutiva nei riguardi dell'Impero.

In tali condizioni occorre svolgere una politica verso l'Etiopia tale che almeno non ci porti danno. Da tempo si parla di politica periferica: si tratterebbe di attrarre i Capi verso di noi, e fomentarne lo spirito di rivolta contro il Governo centrale. Abbiamo giocato, in certa misura, sino a poco tempo fa la carta di Ras Hailù; ma ora Ras Hailù è stato arrestato e condannato. Ci si può domandare se, dato che molti Ras sono oggi trattenuti ad Addis Abeba, nelle mani dell'Imperatore, non sia possibile di sfruttare i sentimenti di scontento della popolazione verso Hailè Sellassiè. Che lo spirito delle popolazioni sia contrario all'Imperatore è incerto. ma in ogni modo è da osservare che parrebbe vano di far leva su masse prive di una guida autorevole: occorrerebbe formare e dare loro un Capo.

D'altra parte è da notare che alcuni recenti avvenimenti hanno dimostrato che il Governo Centrale non ha in sé tutta quella forza che alcune informazioni gli hanno voluto attribuire: la discesa di Gabre Marian verso la Somalia si è risolta in un grave scacco: le recenti rivolte di Ligg Jassu prima e del Goggiam poi hanno mostrato che in 12 giorni l'Imperatore non ha potuto riunire più di 5.000 uomini. Ciò deve completamente tranquillizzare noi dal punto di vista della difesa delle nostre Colonie da un'eventuale aggressione etiopica. Oggi si può affermare che, col migliorare l'apprestamento militare delle nostre Colonie, col preordinare una più vasta mobilitazione, e sopratutto con l'approntare localmente i materiali bellici necessari, noi abbiamo provveduto a rendere le nostre Colonie nell'Africa Orientale in condizioni di potersi difendere da se stesse da un attacco etiopico.

Se quindi dal punto di vista difensivo possiamo essere tranquilli occorre considerare quale azione si può svolgere al di là della frontiera, anche per difendersi e controbattere l'azione irredentista che l'Imperatore cerca di svolgere in Eritrea. Un mezzo d'azione che sembrerebbe utile di aumentare potrebbe consistere nel creare delle nuove agenzie nostre in Etiopia, che Potrebbero divenire, come già i Consolati di Debra Marcos e Gondar, dei centri di irradiazione della nostra propaganda.

S. E. Aloisi. -Chiede se con questa proposta S. E. De Bono intenda di ritornare sulla decisione già in massima adottata di svolgere dalle nostre Colonie una politica periferica nei riguardi dell'Etiopia.

S. E. De Bono. -Chiarisce che egli, confermando quanto già altre volte ha dichiarato, mantiene il suo parere favorevole allo svolgimento della politica periferica.

S. E. Aloisi. -Occorre quindi esaminare il modo come detta politica debba svolgersi ed i mezzi che possono essere impiegati a tale scopo. Egli concepisce la politica periferica nel senso che dalle due Colonie dell'Eritrea e della Somalia si svolga una azione oltre frontiera che cerchi di sfruttare il malcontento dei capi e delle popolazioni contro il Governo Centrale, fomenti le rivolte, aiuti il brigantaggio ecc.; ed a tale scopo, più che i mezzi necessari, sembrerebbe indispensabile usare gli uomini adatti, non rivestiti di incarichi né ufficiali né ufficiosi, che percorrano l'interno dell'Etiopia e stiano in contatto con gli elementi locali che possano servire allo scopo desiderato.

S. E. Rava. -Espone che, per quanto riguarda la Somalia, si può mantenere ed aumentare Io stato caotico dell'Ogaden, suscitando anche rivolte oltre confine. È noto che le popolazioni dell'Ogaden non solo sono in contatto con noi, ma sono anche simpatizzanti; naturalmente esse hanno timore del Governo Centrale specialmente ora che sono sorvegliate, in seguito alla spedizione di Gabrè Marian da piccoli gruppi di armati etiopici; ma è indubbio che opportunamente aiutate e fornite di mezzi, e dando loro la sensazione che non verrebbero abbandonate, molto ci si può di esse valere per fomentare torbidi nella parte orientale deU'Impero. Ma occorre osservare che tale nostra azione non può rimanere inosservata dai Governo Centrale e si deve essere quindi pronti ad affrontare eventuali incidenti e la probabile reazione etiopica. In tal caso, fin dove si vuoi giungere? Certo non sarebbe opportuno suscitare prima la rivolta degli Ogaden e abbandonarli poi alle vendette di Addis Abeba.

S. E. De Bono. -Osserva che se Io stato di cose esposto da S. E. Rava ci dà modo di esercitare event.ualmente un'azione efficace dalla Somalia, diverse sono le condizioni per Io svolgimento della politica periferica dall'Eritrea; le popolazioni di confine, tigrine e scioane, sono a noi contrarie, ed al loro spirito è ancora presente la nostra disfatta di Adua.

S. E. Suvich. -Ritiene che, confermando quanto venne in principio stabilito nella precedente riunione, tutti i presenti concordino nell'opportunità di orientarsi verso una politica periferica da svolgersi sia dalla Somalia che dall'Eritrea. Nell'attuazione di questa politica occorre tener presente che la definitiva soluzione del problema etiopico, che è nei nostri desideri, non può per varie ragioni considerarsi imminente. Ciò non toglie però che dobbiamo rimanere inerti di fronte al continuo rafforzarsi dell'Impero e del potere centrale: bisogna quindi da oggi mettere le premesse della futura azione risolutiva, prepararla, suscitare una certa agitazione nell'Impero, fomentare elementi di malcontento, acquistare amicizie di Capi e di gruppi di popolazione. Se da parte etiopica vi sarà una reazione, occorrerà affrontarla in misura più o meno decisa a seconda delle circostanze. Ogni azione d'altra parte importa un rischio.

Comm. Gabelli. -Dall'Eritrea si può certo fomentare quel brigantaggio che i rapporti dei Consoli denunciano, più o meno grave, in tutto il Nord dell'Etiopia. Si dovrebbe far capo ai principali gruppi di popolazioni abitualmente dedicate al brigantaggio fornendo loro danari, e, con le necessarie cautele, cartucce.

Comm. Buti. -Ritiene che S. E. Rava abbia toccato il punto centrale della discussione, le conseguenze cioè a cui può portare Io svolgimento della nostra politica periferica. Noi dobbiamo essere preparati agli incidenti e alle reazioni che tale politica può provocare. In sostanza occorre che la nostra politica periferica vada pari passu con un attrezzamento militare delle nostre colonie, tale che ci possa far considerare con ogni tranquillità d'animo gli incidenti che possono sorgere. La misura dell'opera di sobillazione che dall'esterno noi possiamo compiere in Etiopia deve essere in relazione diretta con l'efficienza dell'apprestamento militare delle nostre Colonie, che ci consenta di considerare senza alcun timore una eventuale reazione etiopica. Occorre insomma che la nostra politica periferica si svolga secondo un programma continuativo, e che sia posta in relazione con il progressivo rafforzamento militare dell'Eritrea e della Somalia.

S. E. Lessona. -Osserva che si è sinora parlato dello svolgimento della nostra azione periferica nonché degli eventuali mezzi di azione; ma occorre considerare anche che tale politica deve esser inquadrata nel complesso delle nostre relazioni con la Francia e con l'Inghilterra, per esaminare se queste relazioni non solo ci consentano oggi una più energica e fattiva politica nei riguardi dell'Etiopia, ma lascino anche prevedere che in un tempo non lontano si possa considerare attuabile una soluzione definitiva del problema etiopico.

Comm. Buti. -Il rispondere al quesito posto da S. E. Lessona implica la soluzione di problemi di politica generale, soluzione che non è oggi possibile prevedere.

S. E. Lessona. -Se tale soluzione non è oggi possibile prevedere, ciò non deve indurci a non compiere oltre frontiera un'azione diretta a mantenerci ed acquistarci le simpatie delle popolazioni, cercando di aiutarle convenientemente. La misura di tale azione dovrebbe essere graduata a seconda delle circostanze.

S. E. De Bono. -Concorda che occorra procedere per gradi: dalla Somalia si può continuare nell'opera di attrazione degli Ogaden; dall'Eritrea occorrerà svolgere un maggiore sforzo. Chiede a S. E. Rava quali mezzi gli accorrerebbero per riprendere una pili. attiva politica periferica.

S. E. Rava. -Risponde che sarebbe necessario poter disporre di 200 mila lire all'anno quali sussidi, ovvero di 250 mila comprendendo in detta somma la spesa per la fornitura delle cartucce, le quali sarebbero naturalmente distribuite a ragion veduta.

Comm. Buti. -Chiede se la Somalia sarebbe in grado di far fronte alla eventuale reazione etiopica.

S. E. Rava. -Risponde che il modo come la Somalia ha fronteggiato pur con qualche bluff, la precedente spedizione di Gabrè Mariam dimostra che la reazione etiopica potrebbe essere tranquillamente considerata, specialmente ora che è stato migliorato l'apprestamento difensivo della Colonia.

S. E. Aloisi. -Le dichiarazioni di S. E. De Bono provano che le Colonie dell'Africa Orientale sono oramai in grado di far fronte da sé a eventuali spedizioni abissine. La cifra chiesta da S. E. Rava è d'altra parte abbastanza modesta.

S. E. De Bono. -Pensa che sarebbe utile impiantare in Etiopia qualche altra Agenzia Consolare nonché degli ambulatori ed inviarvi dei medici. Egli si è recentemente rivolto al R. Ministero della Marina per ottenere del personale medico adatto. D'altra parte abbiamo degli elementi, quali i due africanisti De Rege e Ceva, pratici dell'Abissinia, che potrebbero sotto veste di commercianti stabilirsi in Etiopia.

S. E. Aloisi. -Pensa che occorrerebbe pure sfruttare i Capi briganti aiutandoli e pagandoli.

Comm. Gabelli. -Prospetta le conseguenze a cui ci può portare una decisa politica periferica: aiutando le popolazioni e alimentando le loro speranze, cosa avverrà quando il Governo Centrale correrà ai ripari, punendo e taglieggiando le popolazioni stesse? Se le abbandoniamo, noi non solo perdiamo il frutto di tutto il nostro lavoro ma diminuiamo il nostro prestigio, se non le abbandoniamo può derivarne un conflitto armato.

S. E. De Bono. -Ritiene ciò malgrado che occorra agire, anche se l'azione importi dei rischi. Non possiamo continuare ad assistere mctltterenti non solo al tramonto delle nostre speranze nei riguardi dell'Etiopia ma anche al rafforzarsi di un diretto pericolo per le nostre Colonie. In politica bisogna anche saper giocare. Se il conflitto verrà, si esaminerà il da farsi. La nostra politica verso l'Etiopia non può non avere un carattere offensivo.

Comm. Buti. -È d'accordo che bisogna agire, naturalmente con opportuna misura. Certo è che oggi vi sono, dal punto di vista generale della politica internazionale, delle circostanze a noi favorevoli. La politica francese in Etiopia, forse in relazione all'atteggiamento generale del Governo di Parigi verso di noi non è più quella di un anno fa, direttamente in contrasto coi nostri interessi. Le relazioni franco-etiopiche sono poco buone altrettanto quanto quelle itala-etiopiche.

S. E. Aloisi. -Concorda. Oggi nessuno in Europa vuol fare la guerra, ed occorre quindi da parte nostra saper sfruttare la paura della 2:uerra che gli altri hanno.

S. E. De Bono. -Riassumendo, constata che per quanto riguarda la somalia occorre procurare 250 mila lire all'anno. Per quanto riguarda l'Eritrea, occorrerà di più. S. E. Astuto che ha già esposto i concetti generali dell'azione periferica, e che quindi non sembra per ora necessario far venire in Italia, ha chiesto un milione all'anno. S. E. De Bono ritiene che con un milione all'anno si possano dare alle due Colonie i mezzi necessari per avviare la politica periferica secondo i concetti suesposti. Poiché tanto il bilancio delle Colonie come quello degli Esteri non offrono margini a tale scopo, occorrerà prospettare la necessità di detta somma annua a S. E. il Capo del Governo.

S. E. Aloisi. -Riterrebbe opportuno cominciare altresì a porsi il problema della istituzione di una linea commerciale aerea che attraverso l'Etiopia riunisca l'Eritrea alla Somalia. Detta linea avrebbe una notevole importanza dal punto di vista politico e militare, indipendentemente dai vantaggi di carattere commerciale e postale.

S. E. De Bono. -È d'accordo, ora che si è provveduto alla sistemazione aeronautica militare delle Colonie, di dibattere anche il problema di una linea commerciale. Egli ha già fatto approcci per una linea aerea che ,riunisca tutte le Colonie italiane.

S. E. Lessona. -Ritiene che per tale linea aerea si potrebbe anche usufruire di alcuni tronchi in esercizio della Imperlai Air Ways che gestisce la linea aerea Cairo-Capo. La linea aerea italiana Tripoli-Bengasi potrebbe proIungarsi fino ad Alessandria come già in progetto. D'altra parte da Atbara, nel Sudan, potrebbe distaccarsi una linea italiana che raggiunga Asmara e, via Addis Abeba, finisca a Mogadiscio.

S. E. De Bono. -Si propone di far cenno della cosa a S. E. il Capo del Governo.

La seduta è tolta alle ore 17 e 3/4.

(l) -T. 8097/198 P. R., pari data, non pubblicato. (2) -Alla riunione parteciparono De Bono, Suvich, Lessona, Alolsi, Rava, Buti, Gabelli, De Rubels, Guarnaschelll e li colonnello Orlando, addetto al Ministero delle Colonie.
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RIUNIONE CIRCA L'ESTREMO ORIENTE

VERBALE RISERVATO. Roma, 5 novembre 1932.

Sono intervenuti:

S. E. Aloisi, S. E. Attolico, S. E. Majoni, S. E. Aldrovandi, il Ministro Biancheri Chiappori, il Ministro Buti, il Conte Balsamo, il Comm. Vitetti ed il Cav. Mellini Ponce de Leon Segretario.

Nell'ultima parte della riunione è intervenuto anche S. E. Suvich.

Il Conte Aldrovandi fa un largo riassunto dei lavori della Commissione della Società delle Nazioni in Giappone Cina e Manciuria ed accenna come egli si sia trovato tra la tesi del membro francese Generale Claudel decisamente favorevole al Giappone e quella di Lord Lytton, secondato dal membro americano McCoy favorevole ad esporre senza eufemismi le conclusioni alle quali la Commissione era arrivata senza preoccuparsi se ciò potesse dispiacere al Giappone.

I due punti più importanti, sui quali principalmente verteva la discussione, erano:

a) stabilire se l'attacco giapponese iniziato il 18 settembre 1931 che ha dato poi luogo all'occupazione della Manciuria fosse stato determinato da legittima difesa;

b) stabilire se la costituzione dello Stato mancese fosse effetto dell'autodeterminazione del popolo mancese o non piuttosto una creazione vera e propria del Giappone.

In sostanza la Commissione aveva avuto modo di convincersi m modo non dubbio che l'attacco del 18 settembre non era stato determinato da motivi di legittima difesa e che la costituzione del Manciukuò non era il risultato della autodeterminazione del popolo mancese.

Tale convinzione appunto per la resistenza del membro francese fu attenuata nella compilazione del rapporto finale. E ciò diede luogo ad una vera e propria « crisi di coscienza » di Lord Lytton che fece sino all'ultimo momento ed anche all'atto della firma del rapporto le più ampie riserve che annunziò egli avrebbe rinnovato a Ginevra.

«Crisi di coscienza » che sembra essersi ora assopita se si hanno presenti le recenti dichiarazioni di Lord Lytton alla Camera dei Pari nelle quali parla di unanimità di vedute in seno alla Commissione.

S. E. Aloisi, al termine dell'esposizione del Conte Aldrovandi, fa presente come scopo della riunione sia quello di studiare quale linea possa essere più opportuno seguire nella prossima riunione di Ginevra.

S. E. Majoni rileva come sia opportuno considerare la questione da un punto di vista politico e da un punto di vista economico.

Da un punto di vista politico c'è da domandarsi se ci convenga appoggiare uno Stato che rappresenta il disordine di fronte ad uno Stato che rappresenta ordine e progresso.

Da un punto di vista economico mentre i nostri rapporti commerciali con il Giappone, pur suscettibili di miglioramento, sono per ora insignificanti, sono invece notevoli, quelli con la Cina.

È opportuno però tener presente come un nostro atteggiamento favorevole alla Manciuria potrebbe facilitare un nostro invio di merci e di consiglieri tecnici in Manciuria.

S. E. Majoni accenna a questo punto alla cattiva impressione che avrebbe fatto nel Giappone la mancata visita a Tokio della R.N. «Trento» e la mancata restituzione della visita del Principe Ereditario Giapponese in Italia.

S. E. Attolico. -Francia ed Inghilterra saranno nella prossima riunione di Ginevra decisamente favorevoli al Giappone. Nessuna grande Nazione in questo momento intende rischiare una guerra con il Giappone. Quindi lo sforzo delle Potenze a Ginevra tenderà a dare ragione al Giappone salvando la faccia della Lega delle Nazioni. Gli inglesi sotto sotto hanno cercato di metter su gli Stati Uniti che però non hanno corso come gli inglesi speravano.

Si tratterebbe ora di trovare una piattaforma per lo sviluppo della tesi giapponese tale che sia favorevoie ai nostri interessi.

Il Comm. Vitetti espone la sua opinione che il Giappone non vorrà discutere a Ginevra la questione mancese isolata dalla questione generale del problema cinese.

Egli ritiene che il rapporto Lytton non coinvolga solo la Manciuria ma tutta la situazione cinese ivi compreso la extraterritorialità, il regime delle concessioni e la cooperazione internazionale in genere alla ricostituzione della Cina.

È quindi opportuno, ritiene il Comm. Vitetti, scegliere una soluzione che riguardi tutta la situazione generale.

S. E. Attolico accenna come se, per favorire il Giappone, si avanzerà la teoi"ia del disordine cinese ciò costituisca un vantaggio per l'Italia che in tale disordine ha tutto da guadagnare.

S. E. Aldrovandi si domanda, dato che a Ginevra si deve discutere il rapporto Lytton come esso è, che cosa voglia dire «dare ragione al Giappone».

Anche il Ministro Buti crede che a Ginevra sia più facile che ci si pronunci sul rapporto Lytton limitato alla questione per la quale la Commissione è stata creata che non su tutta la questione cinese in genere.

S. E. Attolico ritiene impossibile allo stato attuale delle cose che il Giappone ceda ed ammetta quella specie di internazionalizzazione della Manciuria che consiglia il rapporto della Commissione.

Secondo S. E. Majoni invece il Giappone sarebbe ben contento di cedere a quanto il rapporto propone. Quello che infatti rappresenta già per il Giappone un notevole vantaggio è di occupare in sostanza la Manciuria.

Il Comm. Vitetti riterrebbe opportuno ritornare alla discussione di quello che secondo lui è lo scopo della riunione: a Ginevra converrà prendere posizione per la Cina o per il Giappone?

Il Ministro Buti per ritornare al tema della discussione fa rilevare come sinora l'Italia ed anche il membro italiano nella Commissione abbiano mantenuto un atteggiamento di equilibrio e di attesa senza mai sbilanciarsi né in un senso né nell'altro. Si tratta di vedere se sia il caso di continuare in tale linea di condotta e di studiare se un'eventuale presa di posizione in un senso

o nell'altro abbia possibilità di avere un'influenza determinante tale da permetterei di negoziare il nostro atteggiamento.

Il Comm. Vitetti fa rilevare come a Ginevra non vi sia stato tra le Grandi Potenze diversificazioni di atteggiamento verso i due contendenti. Ma che la diversificazione si è solo manifestata tra le Grandi Potenze da una parte e le Piccole Potenze, ostili al Giappone per principio e per la sua stessa qualità di Grande Potenza, dall'altra.

Il Conte Aldrovandi ritorna al Rapporto. Il Rapporto è, secondo il Conte Aldrovandi, antigiapponese. La forza però è dalla parte del Giappone. O noi desideriamo contribuire al disfacimento della Cina e allora in tal caso dovremmo sostenere a Ginevra il Giappone, o noi non vogliamo il disfacimento completo della Cina ed allora ci conviene appoggiare la tesi antigiapponese del Rapporto, magari pattuendo con la Cina questo nostro atteggiamento.

O pure, pur non considerando in linea di massima il disfacimento della Cina, possiamo essere indotti ad appoggiare il Giappone da eventuali vantaggi che potremmo ottenere per questo nostro appoggio.

Per quanto riguarda la Lega delle Nazioni solo una linea transazionale può salvarne la «faccia». Forse una Conferenza internazionale tra Cina e Giappone direttamente, sotto gli auspici della Lega delle Nazioni potrebbe salvare la « faccia » delle due Nazioni contendenti e mantenere il prestigio della Società delle Nazioni.

In seguito ad alcune osservazioni del Ministro Buti e del Comm. Vitetti sull'efficacia dell'intervento della Società delle Nazioni, (secondo il Ministro Buti l'azione moderatrice delle Grandi Potenze si sarebbe svolta ugualmente anche senza esistenza di Ginevra) e sull'eventuale possibilità per l'Italia di trovare un vantaggio appoggiando il Giappone, come tendenzialmente proporrebbe il Comm. Vitetti, il Conte Aldrovandi si domanda come ciò possa avvenire se non andando contro alle conclusioni del Rapporto Lytton che com'è sopra detto sono sostanzialmente antigiapponesi.

Né, continua il Conte Aldrovandi, è da dimenticare che i nostri interessi in Cina sono abbastanza notevoli come basterebbe a provarlo il successo della linea celere recentemente istituita tra l'Italia e Shangai e le cifre stesse della nostra esportazione per la Cina.

È qui il caso di ripetere, aggiunge il Conte Aldrovandi, come «porta aperta » significhi per i giapponesi, come è stato detto argutamente dai cinesi «porta aperta » perché gli altri possano uscire.

Il membro italiano ha tenuto nella Commissione Lytton un atteggiamento che apparisse sempre favorevole alla Cina entro un limite tale che non potesse mai farlo apparire agli occhi giapponesi come sfavorevole al Giappone.

Esistono interessi tali che ci consiglino di andare contro le conclusioni del Rapporto compromettendo l'atteggiamento sinora assunto da noi e dal membro italiano?

S. E. Attolico fa rilevare come non si possa essere tutti d'accordo che il Rapporto Lytton debba essere da noi appoggiato ma che sia opportuno considerare la possibilità di essere per l'una o per l'altra parte in caso dovessero presentarsi delle deviazioni dalle conclusioni di esso.

Il Ministro Buti ritiene che non vi siano possibilità probabili di deviazione

o di colpi di scena che vengano a modificare la situazione. Il Barone Aloisi ricapitolando quanto è emerso dalla precedente discus

sione ritiene si possa concludere che l'Italia deve appoggiare a Ginevra il Rapporto della Commissione.

S. E. Attolico si pone a questo punto il quesito se l'Italia possa prendere occasione della situazione attuale per chiedere di essere inclusa nel Trattato a Quattro per le isole e i domini insulari del Pacifico dal quale fu esclusa a Washington nel 1921.

Il Ministro Buti ricapitola la storia del trattato a Nove e del trattato a Quattro. Dopo brevissima discussione viene senz'altro esclusa tale possibilità almeno per ora.

Dopo un'altra breve discussione (è intervenuto alla riunione anche S. E. Suvich) il Barone Aloisi ricapitola quello che potrebbe essere il nostro particolare interesse sempre dopo la decisione di massima già presa di appoggiare il Rapporto Lytton.

Il rinviare il tutto ad una Conferenza della Cina e del Giappone o ad una Conferenza internazionale o ad una nuova Commissione della Società delle Nazioni, o il rendere permanente per uno studio di tutta la questione l'attuale Commissione Lytton o qualunque altra soluzione che prolunghi il conflitto, evitando ogni aggravarsi della situazione militare ed evitando ogni complicazione internazionale, giova all'Italia che non ha alcun interesse a vedere una netta prevalenza che rafforzi la già forte situazione del Giappone come Grande Potenza nel mondo od un successo della Cina tale che rinfocoli il suo nazionalismo e la sua xenofobia.

Senza tener conto che l'incapacità della Società delle Nazioni a portare il conflitto ad una pronta e definitiva soluzione ne risulta una volta di più confermata.

395

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 5 novembre 1932.

De Hory per prima cosa ha tenuto a dirmi tutta la soddisfazione di Gombos di poter avere uno scambio di vedute con V. E. sui problemi politici attuali e soprattutto su quei punti delle questioni jugoslava e austriaca, sui quali De Hory ebbe a trattenere V. E. nell'ultima sua visita.

Mi ha poi chiesto notizie sulla conversazione da me avuta ultimamente col Ministro di Austria a proposito della progettata unione doganale (1). Gli ho risposto che il Ministro d'Austria era venuto a dire che il suo Governo, facendo seguito alle precedenti conversazioni avute sull'argomento, era disposto ad intavolare trattative su qualunque proposta che il R. Governo credesse di avanzare, tenendo però a far presente che esso, per suo conto, riteneva più opportuno contentarsi, almeno in un primo tempo, di un semplice ampliamento delle convenzioni del Semmering.

Quanto alle nostre intenzioni, ho detto che. dato il passo fatto dal Ministro d'Austria, ritenevo utile continuare le trattative, pur avendo la netta impressione che in questo momento il Governo di Vienna o non voglia o non possa addivenire ad una intesa doganale con l'Italia. Probabilmente è la situazione politica interna che non gli consente la possibilità di una decisione. In tal caso unica via possibile per giungere a un risultato mi sembrerebbe quella che l'Italia e l'Ungheria cercassero di comune accordo di rinforzare la situazione politica del Governo austriaco e che successivamente l'Ungheria facesse pressioni su di esso per spingerlo ad addivenire ad un accordo con l'Italia.

De Hory ha convenuto essere questa l'unica uscita e siamo quindi rimasti d'accordo che questo argomento venga anch'esso trattato nelle prossime conversazioni fra V. E. e Gombos.

Quanto alle istruzioni da impartire alla stampa, De Hory mi ha espresso il desiderio che tanto la stampa italiana quanto quella ungherese diano una analoga intonazione ai commenti sulla visita e mettano in rilievo che, date le intime relazioni fra i due paesi, vien seguita anche in questa circostanza la vecchia consuetudine della vita politica ungherese secondo cui ogni nuovo presidente del Consiglio viene a Roma a far visita di omaggio al Capo del Governo italiano e ad aver con lui uno scambio di vedute sulla politica dei due paesi anche se, come nel caso attuale, non vi sia alcuno scopo preciso di addivenire ad accordi concreti.

Ha conchiuso riferendomi il desiderio di Gombos che la stampa italiana si astenga del parlare in precedenza della data del suo viaggio e ne dia notizia solo l'indomani del suo arrivo.

(l) Cfr. l'accenno a tale colloquio nel n. 389.

396

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, A . (l)

APPUNTO. Roma, 5 novembre 1932.

Conferenza del disarmo.

L'Ambasciato~e Rosso, con suo telegramma n. 8 in data 3 novembre 1932, XI (2), ha comunicato che il giorno 4 si sarebbe iniziata la discussione del rapporto sul controllo.

Premesso che il principio del controllo è già stato da noi implicitamente accettato con l'approvazione del progetto di Convenzione, che sarebbe impolitico allo stato attuale dei lavori di assumere un atteggiamento rigidamente negativo e che il progetto francese non è probabilmente da considerarsi che come una semplice mossa tattica, l'Ambasciatore Rosso propone che la delegazione italiana debba riconoscere il principio del controllo, contenendolo nella sua applicazione entro determinati limiti.

Richieste istruzioni a S. E. il Capo del Governo, l'Ambasciatore Aloisi ha telefonato all'Ambasciatore Rosso autorizzandolo a dichiarare, a nome della delegazione italiana, di accettare, in massima, il principio del controllo, pur circondandolo delle dovute cautele e contenendolo, nella sua applicazione, entro limiti determinati.

397

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4307/484. Zagabria, 5 novembre 1932.

È corsa notizia, accennata anche nei giornali italiani, che in queste ultime settimane il dott. Macek, Capo del partito dei contadini croati, abbia avuto, sia pure indirettamente, qualche contatto con alcuni capi dei partiti serbi e bosniaci attualmente alla opposizione, per concretare insieme con tali partiti una azione comune per fare parte di un prossimo nuovo Governo a Belgrado, per trasformare lo Stato unitario in una Federazione di quattro o cinque o più provincie dotate di larga autonomia.

Il dott. Maeek mi fa ora sapere che all'infuori di un suo colloquio coll'ex Presidente Korosec, di cui ho informato con precedente rapporto, e di un altro colloquio da lui avuto con l'ex Ministro sbenik -colloquii nei quali nulLa è stato concluso -egli non ha avuto alcuna occasione di intrattenersi con gli uomini politici del paese.

Egli insiste e desidera in modo speciale che sopra di ciò io richiami l'attenzione di V. E., nel dichiarare che fmo a che egli rimarrà a capo del partito dei contadini croati, tale partito non darà nessuna collaborazione a nessun

Governo jugoslavo anche quando tale Governo dovesse concedere alle varie provincie la massima delle autonomie compatibili con la integrità della Jugoslavia.

Egli ed il suo partito continuano a lavorare per il raggiungimento del loro programma separatista per la formazione della Repubblica croata indipendente, nella forma che ho già avuto occasione di esporre a V. E.; tanto più ora in cui le condizioni politiche della Jugoslavia sono tali da fargli ritenere ormai prossimo il raggiungimento del suo programma.

(l) -Il documento reca nell'intestazione: «Appunto per l'Ufficio ». Forse si tratta dell'ufficio I Affari Politici, come sembra risultare dalla sigla a margine « AP l ». (2) -Cfr. n. 388.
398

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 1130 R. Roma, 7 novembre 1932, ore 13.

Da informazioni pervenute a questo Ministero risulterebbe che Governo britannico intenderebbe opporsi ai propositi dell'onorevole Mizzi circa l'insegnamento facoltativo della lingua italiana in sede di controllo del bilancio mal tese.

L'introduzione dell'insegnamento facoltativo dell'italiano nelle scuole elementari richiederebbe un aumento degli attuali stipendi degli insegnanti a titolo di compenso per il lavoro straordinario. Pertanto prendendo a pretesto le condizioni non floride del bilancio maltese, sarebbe intenzione del Colonia! Office di negare l'autorizzazione allo stanziamento nel bilancio della somma occorrente.

Qualora dalle informazioni che V. E. potrà raccogliere sul posto e da quelle che saranno fornite dal R. consolato generale a Malta le notizie in questione risultassero esatte, prego V. E. di voler vedere se non sia possibile esercitare un'azione amichevole presso codesto Governo nel senso indurlo a recedere dai suoi propositi, i quali avrebbero, senza dubbio, una grave ripercussione nella opinione pubblica italiana.

399

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3813/232 R. Vienna, 7 novembre 1932, ore 22,45 (per. ore 6 dell'B).

Questo corrispondente Stefani Speciale invia in chiaro (l) per informazione testo ufficiale dichiarazione Governo provinciale Tirolese circa Alto Adige riportata questa sera da Neue Freie Presse.

Data forma e sostanza dichiarazione, ritengo opportuno elevare immediatamente formale protesta presso questo Governo federale. Allo scopo mi recherò domani mattina cancelleria federale.

Riservomi riferire V. E. risposta che mi verrà data.

36 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(l) Telestampa 7 corr. n. 2747 R. [Nota del documento].

400

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 7 novembre 1932.

Il signor Pierre Dupuy, proprietario del Petit Parisien, al quale V. E. ha accordato udienza per mercoledì 9 corrente, ha espresso in una sua conversazione con un mio amico le sue idee sui rapporti itala-francesi .

Egli è venuto in Italia col suo yacht «Girundia ~ sul quale ha fatto una lunga crociera nelle acque italiane. Si è incontrato durante tale crociera con il signor Herriot e col signor Chamberlain (il quale, come V. E. rammenta, ha fatto recentemente anch'egli una crociera nel Mediterraneo col suo yacht).

È dunque probabile che la visita che farà a V. E. è stata se non concordata, per lo meno autorizzata dal Presidente francese. Le idee espresse dal signor Dupuy sulle relazioni itala-francesi sono sostanzialmente le seguenti:

0 ) -Egli è d'opinione che con la tattica finora seguita nei riguardi della Francia V. E. abbia ottenuto una vittoria diplomatica, in quanto tale politica ha avuto come risultato di far sorgere in Germania un atteggiamento pericoloso per la Francia.

2°) -La situazione che si è così determinata ha indotto la Francia a riprendere in esame il problema dei suoi rapporti con l'Italia e a convincersi della necessità di venire ad un accordo con essa.

Dupuy pertanto ritiene che per procedere utilmente su questa via è necessario che gli uomini politici responsabili della Repubblica conoscano il pensiero del Capo del Governo italiano.

Il signor Dupuy sarebbe venuto in Italia appunto per cercare di sapere quali siano le intenzioni e i desideri di V. E. in proposito.

Egli, ritenendo che il momento sia particolarmente propizio, a malgrado del colore politico dell'attuale Gabinetto francese, cercherebbe di avere da V. E. o da persona autorizzata, dichiarazioni e chiarimenti precisi sulle ragioni dell'atteggiamento finora tenuto dal Governo fascista verso la Francia, con l'enunciazione dei torti della politica francese verso l'Italia (promesse non mantenute e mancato soddisfacimento di giuste pretese italiane).

Queste dichiarazioni dovrebbero fornire al signor Dupuy lo spunto e la base di una campagna che egli si proporrebbe di iniziare sul Petit Parisien a favore di un riavvicinamento itala-francese. A tale scopo si è fatto accompagnare dal redattore capo signor Bois, il quale sarebbe ligio alla politica del Qual d'Orsay.

Nelle intenzioni espresse dal signor Dupuy sono da rilevare altresì i seguenti punti:

0 ) -Egli ha lasciato intendere che la Francia sarebbe disposta a riconoscere la parità navale con l'Italia anche a un limite di tonnellaggio più basso di quello già ventilato, purché tale riconoscimento fosse integrato da parte inglese con una garanzia sul tipo Locarno. A sostegno di questa sua afferma

zione ha addotto l'opinione di Chamberlain, il quale gli avrebbe detto di non escludere che l'Inghilterra possa consentire a concedere una simile garanzia qualora essa fosse una condizione sine qua non per il raggiungimento di un accordo generale itala-francese.

2°) -Per quanto riguarda l'Adriatico il Dupuy ritiene che la Francia riconoscerebbe all'Italia maggiore libertà in quel settor.e e accetterebbe un rafforzamento della sua posizione in Albania.

3°) -Egli è pure d'avviso che il Governo francese non avrebbe difficoltà a favorire le aspirazioni dell'Italia nell'eventualità di una nuova distribuzione dei territori coloniali ex-tedeschi sottoposti a mandato (tipo Camerun).

Infine il signor Dupuy, pur riconoscendo gli inconvenienti e i pericoli della politica di armamenti della Francia, ha detto di ritenere che l'attuale situazione dei suoi rapporti internazionali non le consente di modificarla, ma che a suo avviso il miglioramento dei rapporti itala-francesi e le inevitabili ripercussioni internazionali di una vasta intesa con l'Italia, sarebbero un fatto nuovo di tale importanza da determinare indubbiamente una revisione di quella politica.

Nel portare a conoscenza dell'E. V. queste vedute del signor Dupuy, che mi sembrano molto interessanti in quanto sono molto probabilmente il risultato di discussioni e scambi di idee fra il Dupuy e il signor Herriot, mi permetto di confermare l'opinione che ho già avuto occasione di esprimere in proposito, cioè che al susseguirsi e al moltiplicarsi dei sondaggi e dei tentativi francesi per un riavvicinamento con l'Italia, che si sono intensificati specialmente in questi ultimi giorni, non sembra corrispondere finora nell'opinione pubblica francese quel calore e quella unanimità di consensi che sono condizione necessaria perché l'accordo auspicato possa essere veramente fecondo.

401

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MAGGIORE RENZETTI

L. Roma . .. (l)

In relazione a quanto Ella ha ultimamente riferito a S. E. il Capo del Governo circa la futura linea di condotta da seguire nei contatti con le organizzazioni varie di partito a tipo militare attualmente esistenti in Germania,

S. E. mi ha incaricato di farLe sapere che Egli approva che Ella continui a mantenere, come in passato, il necessario collegamento con i noti gruppi e organizzazioni politiche, ma che per considerazioni di vario ordine, connesse

con la attuale situazione in Germania, Egli desidera che tale Sua azione sia nel modo più stretto collegata a quella del R. Ambasciatore in Berlino, che ha avuto dirette istruzioni da S. E. il Capo.

Sarà quindi conveniente che Ella nel coordinare la sua azione e iniziativa a quella di S. E. Cerruti, a S. E. Cerruti pure riferisca ogni utile elemento di informazione, di giudizio e di decisione.

Di tali determinazioni di S. E. il Capo del Governo, ho dato anche notizia a S. E. l'Ambasciatore.

(l) La lettera non fu spedita. Si inserisce sotto !l 7 novembre, data della seguente annotazione a margine d! Suv!ch: «Sospesa; gli si dirà a voce alla prossima occasione -sentire quando verrà a Roma. Poi si avvertirà Cerrutl ».

402

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4325/485. Zagabria, 7 novembre J932.

Circa i cambiamenti avvenuti nei giorni passati nel Governo iugoslavo, ho potuto raccogliere qui alcune notizie che mi sembrano di qualche interesse.

Già fin dalla sua formazione nell'estate scorsa, come già ebbi a segnalare a V. E., si pensava che il Governo Srskié, senza base nel paese e nel parlamento, avrebbe avuto vita brevissima. Poi si cominciò a parlare di una radicale trasformazione nella forma dello Stato, da unitaria a federale: a questa trasformazione avrebbero dovuto precedere le elezioni comunali, condotte dal nuovo partito radicale-democratico-rurale, d'ispirazione governativa.

Ma quando risultò chiaro che in quasi tutto lo Stato la istituzione dei centri di tale partito risultava o stentata, o impossibile o addirittura fonte di disordini contro gli iniziatori, fu, almeno pel momento, abbandonata l'idea di tali elezioni.

Pare però che non sia stata abbandonata la idea della trasformazione dello Stato.

Quando poi nel mese di settembre scoppiarono i noti movimenti nella Lika -movimenti che hanno condotto a repressioni feroci, ad arresti innumerevoli, ma che non sono ancora del tutto finiti -pare che il Re abbia pensato che, di fronte all'insuccesso rivoluzionario dei croati, ormai il loro capo si sarebbe dovuto persuadere della sua inutile e troppo lunga intransigenza contro una collaborazione con gli altri partiti serbi e avrebbe forse consentito a prendere parte personalmente o a delegare qualcuno del suo partito ad entrare in un nuovo Governo che -sotto forma federativa -mantenesse però sempre l'integrità dello Stato jugoslavo. Di qui i nuovi tentativi di Mons. Korosec e dell'ex Ministro sbenik presso il Dott. Macek, già segnalati a V. E. (1), per persuaderlo a dare la sua adesione o il suo concorso alla formazione del nuovo Governo.

I tentativi sono -come V. E. sa -riusciti vani: l'intransigenza del Dott. Macek e del Partito dei contadini croati non intende rinunciare al suo programma separatista. E così è andata ancora una volta a monte la possi

bilità di una collaborazione dei croati all'amministrazione jugoslava, col risultato di mantenere sempre estremamente debole e precario qualunque governo a Belgrado.

Il recente rimpasto ministeriale, senza aver contestato neancne lontanamente le varie opposizioni serbe, non risolve nessuna situazione, non dà al Governo alcuna nuova forza o autorità per affrontare i gravi problemi politici, economici e finanziari del paese, e mostra che senza il concorso di questi croati -cioè di circa cinque milioni di persone -uno Stato di tredici milioni di abitanti ha la sua esistenza continuamente in pericolo. Ciò che appunto è la mira principale dei croati stessi.

(l) Cfr. n. 397.

403

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3818/562 R. Parigi, 8 novembre 1932, ore 13,25 (per ore 17,30).

Herriot di ritorno a Parigi, dopo avere presieduto consiglio ministri, ha ripetuto ai giornalisti le dichiarazioni di Tolosa sul trattamento morale ingiusto fatto all'Italia e sul rispetto dei regimi interni di cascun paese.

D'altra parte senatore Bèrenger ha pubblicato in una rivista economicofinanziaria, molto letta negli ambienti dell'alta banca, un articolo sull'avvenire franco italiano, che ho riassunto in telegramma in chiaro (1). Come al congresso di Tolosa sono state lanciate palle infuocate alla diplomazia francese vecchio stile, anche Bèrenger se la prende coi diplomatici e li malmena. Senza che sia nominato si capisce che chi è preso di mira è Berthelot e il suo sistema inteso finora imprigionare ministero affari esteri.

Herriot ha detto a Tolosa che imporrà la sua volontà ai diplomatici. Si vedrà in seguito se sarà capace di farlo.

Il modo rumoroso scelto dagli uomini politici francesi per riportare sul tappeto le relazioni itala-francesi non sembrerebbe dei più adatti allo scopo. Debbo credere per questo che la tattica seguita risponde a una necessità di ordine interno per preparare l'opinione pubblica avvelenata dalla stampa.

È da notare a questo proposito, che vi è un crescendo nelle manifestazioni francesi. Così mentre Herriot insiste da parte sua nel constatare che la Francia è stata « moralmente ingiusta » con noi, senatore Bèrenger nel suo articolo, sia pure fuggevolmente, accenna a problemi franco-italiani in Africa, nel Mediterraneo e sul Danubio.

È da tener presente che Bèrenger (me lo ha detto) non muove un dito senza essersi accordato col presidente del consiglio. Per parte mia mantengo una linea assoluta riserva.

404.

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3820/233 R. Vienna, 8 novembre 1932, ore 21,20 (per. ore 7,30 del 9). Mio telegramma n. 232 (1).

Mi sono recato questa mattina cancelleria federale e in assenza di Dollfuss ho parlato con Peter.

Dopo avergli espresso mia penosa impressione per dichiarazioni del Governo provinciale del Tirolo ed aver richiamato sua attenzione su contenuto dichiarazioni oggetto di una deliberazione da parte di quel Governo provinciale, nonché sul carattere che si è voluto attribuire inserendola nel giornale ufficiale della provincia, gli ho dichiarato essere sicuro interprete pensiero R. Governo elevando immediata e formale protesta.

Peter mi ha risposto che era al corrente della cosa, che questo Governo avrebbe chiesto spiegazione a Innsbruck e che egli si sentiva intanto autorizzato ad esprimermi deplorazione e vivo rincrescimento Governo federale, tanto più vivo, in quanto temeva che incidente potrebbe turbare -proprio in questo momento -buone relazioni fra i due paesi.

Dopo aver precisato che agivo di mia iniziativa, non avendo ricevuto ancora istruzioni di V. E. cui mi riservavo riferire, ho detto a Peter che prendevo intanto atto delle sue dichiarazioni, ma che, pur non desiderando mettere Governo federale in difficoltà, ritenevo, dato carattere pubblico ed ufficiale della dichiarazione, che medesimo carattere di pubblicità avrebbe dovuto essere dato alla deplorazione del Governo federale. Ho aggiunto sembrarmi anzi opportuno che Governo federale ciò faccia immediatamente, dando così, nel suo interesse stesso, prova di lealtà e di buona volontà.

Peter mi ha risposto che avrebbe riferito al cancelliere.

(l) T. 3817/561, pari data, non pubblicato.

405

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTERO DEGLI ESTERI

N. 24683 u. Roma, 8 novembre 1932 (per. il 9;.

Per opportuna conoscenza si comunica a codesto ministero il seguente telegramma ricevuto ieri 4 novembre [sic] dall'addetto militare a Berlino:

«937 Questa direzione esercito mi ha invitato colloquio con generale Schi:inheinz capo della sezione Società delle Nazioni e membro della commissione tedesca conferenza disarmo. Scopo: reciproco orientamento punto di vista in merito politica disarmo in generale e nuovo piano Herriot in particolare. Colloquio avrà luogo entro la settimana entrante. Prego farmi avere necessari

elementi mio orientamento ed istruzioni a mezzo corriere partente ·da Roma sera sabato cinque ovvero sera mercoledì nove corrente mese. Ten. Colonnello Mancinelli ».

A tal riguardo si esprime parere che questioni del genere non possano essere trattate a parte dagli addetti militari, ma che occorra sempre svolgerle nell'ambito e col coordinamento della delegazione italiana a Ginevra, la quale riceve le direttive di carattere politico e tecnico ed è sempre al corrente, senza ritardi, dello stato delle trattative al riguardo del disarmo.

In ogni caso sembra che l'addetto militare non debba svolgere opera a sé, ma sempre mediante istruzioni del R. ambasciatore a Berlino.

Ciò posto, si prega codesto ministero di emanare istruzioni in proposito; in attesa di esse si è comunicato all'addetto militare a Berlino di limitarsi ad ascoltare e di riferire poi, a colloquio avvenuto, qu3!nto il generale Schonheinz avrebbe esposto nei riguardi delle attuali questioni del disarmo.

(l) Cfr. n. 399.

406

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. R. 3824/703 R. Londra, 9 novembre 1932, ore 20,02 (per. ore 3 del 10).

Sir John Simon mi ha oggi convocato per pregarmi di far conoscere d'urgenza ed in via confidenziale a V. E. quanto segue:

«In seguito notizie oggi pervenute circa risultato elezioni americane, Governo Britannico ha deciso presentare Washington nota con cui domanda di aprire d'urgenza negoziati per sospensione pagamento rata debiti di guerra dovuta al 15 dicembre».

Sir John ha chiarito che nota non entra in particolari né contiene alcun accenno a pagamenti futuri ma tratta semplicemente rata predetta. Ha insistito sul fatto che nota pur riferendosi naturalmente debito Britannico è redatta in termini applicabili a tutti gli altri Stati debitori. Nota sarà presentata domani a Washington, ma Sir John teneva che oggi stesso V. E. ne fosse informato.

Ha aggiunto che aveva visto Mellon pochi minuti prima, ma non gliene aveva parlato perché riteneva che presentazione nota a Washington fosse procedura più corretta. Segreto decisione Governo Britannico è stato sino ad ora strettamente custodito. Se gii americani chiederanno pubblicazione nota, Governo Britannico dovrà consentirvi ma, fino a che è possibile, preferisce che notizia non sia divulgata per evitare interferenze premature nei futuri negoziati e per non aver l'aria di voler esercitare ispirazione sulla nuova amministrazione americana. Per tali ragioni Sir J ohn Simon prega R. Governo considerare notizia come confidenziale.

Segretario di Stato farà oggi analoghe comunicazioni Ambasciatore di Francia e del Belgio. Ho ringraziato sir John Simon, aggiungendo di essere sicuro che V. E. avrebbe molto apprezzato cortesi comunicazioni.

407.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAMELI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3827/704 R. Londra, 9 novembre 1932, ore 21 (per. ore 3 del 10).

Durante conversazione di cui al mio telegramma n. 703 (l) Simon mi ha fatto anche seguente comunicazione:

«Opposizione parlamentare ha presentato mozione censura chiedendo immediate dichiarazioni su domanda parità diritti (mio fonogramma stampa

n. 701). In base sistema costituzionale inglese Governo dovrà consentire discussione, che avrà luogo domani. Governo sarà costretto fare in tale occasione dichiarazioni generali circa suo punto di vista. Esse saranno nel senso che Governo britannico ammette principio parità diritti, ma che dettagliata applicazione di essa deve essere discussa e negoziata a Ginevra con partecipazione Germania».

Simon ha tenuto a rilevare come tali principi corrispondano a quelli già enunciati da V. E.

Ha aggiunto che Governo britannico ha in corso preparazione proposte particolareggiate per suggerire come pratica realizzazione suoi punti di vista possa essere raggiunta, ma che non le esporrà nella seduta di domani.

A parte il fatto che redazione progetto non è ancora completa, Simon desidera di informare prima R. Governo ed altri Governi interessati, ciò che avrà occasione di fare prossimamente a Ginevra.

Ritiene inoltre che sede appropriata per esposizione di tali proposte sia Ginevra. Analoghe comunicazioni sono state fatte ambasciata di Francia, Belgio, Germania, America.

Simon ha pregato Mellon di portare comunicazioni stesse a conoscenza di Davis, che desidera incontrare a Ginevra domenica stessa. Ha pregato Mellon assicurare Davis che il Governo britannico porrà ogni cura per evitare che discussioni navali anglo-americane siano intralciate.

408.

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA (2). Roma, 9 novembre 1932.

l) Esistono attualmente tra Italia, Austria ed Ungheria nel campo politico seguenti Accordi: a) Patto di amicizia italo-ungherese del 5 aprile 1927, nel quale i due Paesi constatano la concordanza di numerosi interessi, comuni, dichiarandosi

« animati dal sincero desiderio di stabilire tra loro un regime di vera amicizia, e di unire i loro sforzi pel mantenimento della pace e dell'ordine, allo scopo di dare ai due popoli una nuova garanzia del loro futuro sviluppo (essor) ».

Questo Patto è completato da uno scambio di lettere riservate MussoliniBethlen, pel quale i due Governi si impegnano a consultarsi sulle questioni suscettibili di influenzare, in qualunque maniera, le cordiali relazioni stabilite tra loro.

b) Trattato di amicizia italo-austriaco del 6 febbraio 1930, nel quale i due Paesi constatano la concordanza di numerosi interessi comuni, dichiarandosi animati dal desiderio di rafforzare e consolidare gli amichevoli rapporti tra loro esistenti, e desiderosi di congiungere i loro sforzi pel mantenimento della pace.

c) Trattato di amicizia austro-ungherese del 10 aprile 1923, pel quale i due Paesi, « allo scopo di evitare tutto ciò che potrebbe essere di ostacolo al pacifico sviluppo della loro politica, riconoscono necessario di mantenersi in contatto per le eventuali questioni che li interessano».

Tale Accordo è integrato dal Trattato di amicizia del 26 gennaio 1931, il cui preambolo dice: «L'Austria e l'Ungheria, animate dal sincero proposito di rendere ancora più profonda la vera amicizia felicemente esistente fra i popoli dei due Stati, hanno deciso di completare il Trattato di arbitrato sottoscritto in Budapest il 10 aprile 1923, tenendo conto delle esperienze fatte da quell'epoca in materia di arbitrato internazionale».

Secondo particolareggiate informazioni fornite verbalmente nel dicembre 1930 dal Conte Bethlen al nostro Ministro a Budapest, la firma di questo nuovo Trattato sarebbe stata accompagnata da uno scambio di lettere riservate (1), concementi il previo concertarsi dei due Stati contraenti, nell'eventualità che sorgessero questioni di carattere politico nei riguardi di uno o più terzi Stati «limitrofi comuni dell'Austria e dell'Ungheria» (Cecoslovacchia-Jugoslavia).

2) Esistono poi tra Italia-Ungheria ed Italia-Austria i noti accordi così detti del Semmering analoghi a quello che era stato concluso fra Austria ed Ungheria e che dall'estate scorsa non è più in vigore perché denunciato dall'Austria.

Trattasi di accordi inspirati al concetto di agevolare la reciproca esportazione di merci tra l'Italia, l'Austria e l'Ungheria, mediante facilitazioni di credito ai rispettivi esportatori, da concedersi secondo determinate proporzioni (le quali favoriscono in definitiva l'Austria e l'Ungheria nei confronti dell'Italia). Tali facilitazioni si risolvono, in sostanza, in una larvata concessione di ristorni di una certa quota dei diritti doganali su determinate merci. La portata di questi accordi è tuttavia molto limitata. L'onere che essi prevedono per l'Italia, nei riguardi dell'Austria, è di circa 21 milioni (contro un onere da parte dell'Austria di circa 13 a vantaggio per l'Italia), nei riguardi dell'Ungheria di 40 milioni di lire (contro un onere da parte dell'Ungheria di circa 10 a vantaggio per l'Italia).

3) È da menzionare inoltre nello stesso campo economico il progetto, propugnato dal Conte Bethlen nella sua visita a Roma del gennaio 1932, avente per iscopo un'unione doganale tra Italia, Austria ed Ungheria (2).

Le conclusioni cui si giunse secondo le decisioni di V. E. -uditi anche Ministri interessati -sono riassunte nella lettera che S. E. il Ministro Grandi diresse al medesimo Conte Bethlen il 18 gennaio 1932 (1).

Dopo di aver confermato il preciso intendimento dei due Paesi di perseverare nelle relazioni di intima reciproca amicizia politica già esistenti tra Italia ed Ungheria, tali conclusioni consacravano i seguenti punti principali:

a) accoglimento da parte dell'Italia dell'anzidetta richiesta Bethlen circa l'Unione doganale austro-itala-ungherese, e ciò «malgrado gli incontestabili, assai sensibili sacrifici, che la realizzazione di un simile progetto comporterebbe per parecchi rami dell'economia italiana »;

b) presa di atto, da parte dell'Italia, della dichiarazione Bethlen concernente i contatti da lui già avuti con le principali Autorità austriache in merito al progetto stesso (secondo Bethlen il Cancelliere Buresch, il Vice Cancelliere Schober ed il Signor Schuller sarebbero stati in massima favorevoli, mentre l'allora Ministro austriaco dell'Agricoltura Dollfuss avrebbe sollevato obiezioni dipendenti soprattutto da interessi agrari locali);

c) riconoscimento dell'opportunità di procedere alla ricerca dei mezzi atti alla realizzazione del progetto di Triplice doganale;

d) dichiarazione italiana di essere pronti a nominare un proprio delegato «ad hoc 1>, non appena fosse pervenuta a Roma, da parte dei Governi austriaco ed ungherese, la proposta formale di una stretta collaborazione nel senso indicato.

Alla lettera di S. E. il Ministro Grandi, il Conte Bethlen rispose ringraziando e confermando la dichiarazione che il suo progetto aveva trovato consenzienti tanto il Governo quanto il Reggente del Regno di Ungheria. Analoghe dichiarazioni furono fatte al R. Ministro a Budapest direttamente tanto dal Governo quanto dal Reggente di Ungheria. Sia il Governo che il Reggente rilevarono però la necessità -già presa in considerazione nel corso dei colloqui avuti dal Conte Bethlen a Roma -di tener conto, come di un elemento importantissimo per l'attuazione della progettata Triplice doganale, dall'atteggiamento che di fronte alla stessa, avrebbe assunto la Germania, anche per l'inevitabile influenza che l'atteggiamento stesso avrebbe esercitata sulle definitive decisioni dell'Austria.

A seguito di ciò ebbe luogo una serie di contatti tra i nostri Rappresentanti diplomatici a Vienna ed a Budapest, e Schober, Seipel, Schuller, il Governo ungherese e, soprattutto, Bethlen.

Anche direttamente col Reich, sia a Berlino che a Roma, si parlò più o meno diffusamente della cosa; in definitiva l'atteggiamento germanico fu quello di decisa opposizione «a qualunque accordo di carattere doganale conglobante l'Austria ed altri Stati dell'Europa Centrale, cui non avesse direttamente partecipato anche la Germania stessa 1>.

In conseguenza di questo che praticamente era un « veto » opposto dalla Germania all'Austria, si ebbe, da parte austriaca, invece di una richiesta di unio

ne doganale, una semplice domanda di allargamento e sviluppo degli Accordi per l'esportazione itala-austro-ungherese: accordi del Semmering (dichiarazione in data lo marzo '32, diretta dal Cancelliere Buresch a V. E.). Da parte dell'Ungheria (che non era, a diversità dell'Austria, vincolata dalle disposizioni precise del Protocollo del 1922 invocate dalla decisione dell'Aja quale motivo del rigetto della Zollunion austro-tedesca) si ebbe invece -nella apposita lettera che il Presidente del Consiglio magiaro, conte Karolyi, diresse a V. E. in data 2 marzo 1932 -la conferma del concetto che il mezzo più efficace per il raggiungimento degli auspicati fini di più intima collaborazione economica fra i tre Paesi fosse da ravvisa,rsi nello stabilmento di una vera e propria unione doganale a tre (1).

L'Austria tornò successivamente sulla questione sforzandosi di dimostrare che gli scopi economici da raggiungersi coll'Unione doganale potevano attenersi in modo equipollente mediante l'allargamento degli Accordi del Semmering. Questi concetti furono esposti verbalmente in una visita fatta, nel marzo di quest'anno, dal Signor Schuller a S. E. il Ministro Grandi; ed essi sono stati ripresi ed ampiamente sostenuti, nel promemoria testé rimesso, ad illustrare la rinnovata richiesta del proprio Governo, del Ministro d'Austria in Roma, Signor Egger (2).

4) Esposto in tal modo il complesso stato di cose e degli Accordi relativi già esistenti ed in progetto tra i tre Paesi, è da esaminarsi sotto quale forma pratica potrebbero confermarsi e svilupparsi i legami esistenti tra di essi, o crearne di nuovi, sia nel campo strettamente politico, sia attraverso quello economico. A questo punto è tuttavia da rilevare che, specialmente in quanto si voglia giungere ad ulteriori sviluppi dei rapporti esistenti e alla creazione di nuovi, nella situazione esistente, accorreranno nuovi sacrifici di indole finanziaria ed economica, da commisurarsi evidentemente alle finalità politiche che si può sperare di raggiungere.

5) Una prima cosa alla quale può pensarsi è di accertare la esistenza e possibilmente di ottenere la rinnovazione delle lettere Bethlen-Schober integrative dell'accordo austro-ungherese (vedi avanti pagina 521). Tali lettere integrative, per essere scambiate tra i Capi dei Governi interessati in forma riservata, senza ratifica dei rispettivi Parlamenti né deposito a Ginevra, costituiscono un impegno di onore per chi le ha sottoscritte, ma non è un vero e proprio obbligo giuridicamente riconoscibile dai terzi nel campo internazionale.

L'utilità del rinnovo delle lettere Bethlen-Schober è evidente in quanto il Conte Bethlen non è attualmente al potere e sopratutto in quanto Schober non è più in vita.

6) A proposito di queste lettere è da considerare pure se convenga farsi confermare dal Signor GombOs la lettera indirizzata a V. E. dal Conte Bethlen (vedi avanti a pagina 521).

In base, sia alla condotta del Generale Gombtis nei confronti italiani durante i vari anni in cui questi ha partecipato al Governo del suo Paese, come Sottosegretario prima, come Ministro, poi, della Difesa Nazionale, sia in base alle reiterate esplicite sue dichiarazioni, la piena adesione dell'attuale Presidente

del Consiglio magiaro allo spirito della lettera itala-ungherese, non può essere messa in dubbio. Tuttavia ave, senza urtare possibili suscettibilità di Bethlen, si potesse ottenere tale conferma, l'utilità sarebbe evidente.

7) Si potrebbe inoltre pensare che l'Austria diriga all'Italia una lettera analoga a quelle che sarebbero state cambiate tra l'Austria e l'Ungheria, ed alle lettere che l'Ungheria ha scambiato con noi, Resterebbe così completato, mediante questo nuovo scambio di lettere, il sistema di consultazione oggi esistente soltanto tra Roma e Budapest e Budapest e Vienna.

Uno sviluppo ulteriore si avrebbe ave l'obbligo della consultazione invece che risultare da tre scambi di lettere confidenziali, fosse consacrato in un vero e proprio patto di consultazione itala-austro-ungherese da rendersi magari di pubblica ragione.

8) Tanto per il rinnovo delle lettere che si sarebbero scambiate tra Bethlen e Schober, quanto per uno scambio di lettere itala-austriaco, quanto infine per la conclusione di un Patto di consultazione a tre, si può ritenere che da parte ungherese non esisterebbero difficoltà.

Le difficoltà possono invece sorgere -e nel momento presente sono da ritenersi sicure -da parte dell'Austria. È da ricordare in proposito che la maggioranza di Dollfuss nell'ultima votazione è stata di soli quatro voti, e che la minoranza è composta di socialisti e pangermanisti. Ad un qualunque accordo politico pubblico, sia con noi sia con l'Ungheria, i socialisti sarebbero ostili per ragioni di politica interna, i pangermanisti per ragioni di politica estera, mentre, d'altra parte, non sarebbe da contare in modo assoluto sulla compattezza di una maggioranza così tenue. La prova della poca solidità di tale maggioranza si ebbe tre mesi or sono in occasione dell'approvazione del protocollo di Losanna per il prestito quando, pur trattandosi per l'Austria di accettare un aiuto finanziario internazionale di rilevante importanza e di indubbia necessità per il risanamento delle finanze statali, il Parlamento dette la sua approvazione con soli due voti di maggioranza e facendo anche talune riserve.

La possibilità di indurre Dollfuss, pel momento almeno, a sottoporre un patto politico alla ratifica parlamentare sembra così del tutto esclusa, e quindi anche presentemente la convenienza di farlo. Lo stesso dicasi, per evidenti ragioni e tenuto presente quanto si è esposto al n. 3 (iniziativa Bethlen) per un progetto di Unione doganale a tre.

9) Se in Austria esiste una situazione parlamentare quale quella sopra indicata, esistono però tendenze ve,rso un Governo più forte che potrebbero prestarsi ad una maggiore collaborazione con noi. Da un lato le Heimweheren in questi ultimi tempi hanno dimostrato una certa ripresa di attività, dall'altra Dollfuss accenna sempre più a fare una politica di destra. Sentito anche il

R. Ministro a Vienna parrebbe se ne potesse dedurre la convenienza di rafforzare simili tendenze. Risulta che il signor Gombos prima di venire a Roma ha ricevuto la visita di Dollfuss. Le conversazioni fra V. E. ed il Presidente del Consiglio ungherese potrebbero pertanto mirare a stabilire un'azione concomitante italiana ed ungherese per preparare in Austria il terreno favorevole allo sviluppo dei legami politici ed economici dei tre Paesi, attualmente non ancora

maturo. A questo proposito gli elementi che fornirà il signor Giimbiis sulla base del suo colloquio con Dollfuss saranno importanti per le decisioni da prendere.

10) Che il Governo ungherese sia già nell'ordine di idee di indirizzare per ora la sua azione a rafforzare il Governo austriaco e le Heimwehren risulterebbe già da informazioni pervenute al R. Ministro a Vienna da fonti attendibili. Secondo tali informazioni Giimbiis si proporrebbe infatti di chiedere a V. E. armi per le Heimwehren. Tale questione si ricollega con quella più generale delle armi per l'esercito ungherese, nonché per quello austriaco. Ma essa è tuttora insoluta in quanto non si hanno ancora elementi che diano affidamento della possibilità pratica di effettuare la consegna delle armi con la dovuta segretezza. In ogni caso sembrerebbe però più opportuno ed utile che l'eventuale invio di armi per le Heimwehren e per l'esercito austriaco fosse oggetto di conversazioni e di trattative dirette col Governo austriaco e con le Heimwehren.

Analogamente per quanto riguarda eventuali aiuti di denaro. Sempre secondo notizie pervenute dal R. Ministro a Vienna Giimbiis si proporrebbe infatti di chiedere anche fondi per le Heimwehren. A questo proposito il R. Ministro a Vienna osserva che tali fondi non apparirebbero per ora necessari (il fondo a disposizione della R. Legazione a questo scopo è stato per ora utilizzato per meno della metà) e che lo stesso Stahremberg non ne chiede, mentre, dato e non concesso che si volessero fornire alle Heimwehren questi nuovi aiuti, sarebbe preferibile farlo direttamente, anche per evitare che Giimbiis avesse da attribuirsi di fronte a Stahremberg meriti che spetterebbero solo a noi.

Sempre a proposito della Heimwehren è da rammentare che gli Ungheresi hanno sempre mostrato vivo desiderio di conoscere se noi le sovvenissimo, che noi non abbiamo finora dato ad essi alcuna notizia circa le sovvenzioni stesse, che infine Stahremberg ha ripetutamente pregato il Ministro Auriti di non tenerne loro parola.

11) Per quanto riguarda più particolarmente il lato economico si può forse fare fin d'ora qualche cosa di più che non una semplice azione preparatoria. Quantunque gli Accordi del Semmering contengano in sé dei limiti che non consentono -secondo l'avviso unanime delle Amministrazioni tecniche italiane --uno sviluppo così ampio come è nostro interesse generale di ottenere, pure conviene evidentemente rispondere all'Austria che l'Italia è disposta volentieri ad intavolare trattative e che esaminerà con piacere qualunque proposta concreta che all'uopo Vienna riterrà di fare.

Contemporaneamente il R. Ministro a Vienna potrebbe essere incaricato di far sentire a Dollfuss che i negoziati che qui si svolgeranno, implicando aumento dei nostri sacrifici finanziari, sarebbero facilitati qualora l'Austria stringesse meglio con noi i cordiali rapporti esistenti con una qualche intesa politica, dì natura del resto pacifica, quale uno scambio di lettere fra i due Governi italiano ed austriaco, simile a quello che già esiste fra Italia ed Ungheria.

12) Va fatta infine una particolare menzione della situazione dell'attuale Governo ungherese. Il Presidente del Consiglio Generale Giimbiis è anche Ministro della Guerra e come tale gode di vasto prestigio specie fra l'elemento giovane dell'esercito magiaro, dal quale deve ritenersi sarebbe all'evenienza con notevole entusiasmo seguito. Il Conte Bethlen d'altro canto, è tuttora il Capo

riconosciuto e rispettato della grande maggioranza parlamentare, ossia di quel

« Partito Unico » che, abilmente da lui maneggiato, può sempre servirgli, rebus

sic stantibus e fino a prova in contrario, a rovesciare un Gabinetto.

Sono noti all'E. V. i retroscena con cui si svolse la recentissima crisi ungherese. Il R. Ministro a Budapest non mancò a suo tempo di riferire ampiamente che il signor Gèimbèis fu proposto con la maggiore insistenza dallo stesso Conte Bethlen al Reggente di Ungheria, fino a vincerne le non celate resistenze, ma lo stesso Conte Bethlen ebbe però a pregare S. E. Arlotta di trasmettere in suo nome all'E. V., ed a titolo strettamente confidenziale, la preghiera che, in occasione dell'incontro col Presidente Gèimbèis, ella trovi -ove non giudichi diversamente -l'opportunità di fargli intendere come abbia fiducia che tutto l'atteggiamento di Gèimbèis rimarrà consono con una deferente e cordiale unità di vedute nei confronti dello stesso Conte Bethlen. Sempre in via strettamente confidenziale il Conte Bethlen osservava allora ad Arlotta che «qualora poi il nuovo Presidente del Consiglio, appassionandosi troppo al potere, desse prova di tendere alla pratica eliminazione del suo predecessore dal teatro politico, egli avrebbe trovato ben modo di rovesciarlo senz'altro ».

La conseguenza che sembra dedursi da tutto ciò è che conviene esaminare se delle eventuali trattative da intraprendersi dal Generale Gèimbèis, debba in qualunque caso essere tenuto al corrente, nel modo più opportuno, anche il Conte Bethlen.

13) Questi appunti sono preparati innanzi di conoscere il risultato del colloquio Gèimbèis-Dollfuss, che sembrerebbe essersi esteso a tutti gli argomenti interessanti i due Paesi, e prima dell'arrivo di Gèimbèis a Roma. Salvo gli elementi che risultino dal colloquio Gèimbèis-Dollfuss e dai colloqui che Gèimbèis avrà con

V. E., parrebbe -riassumendo tutto quanto precede -che nella presente occasione si potrebbe:

a) suggerire che Gèimbèis chieda la l'innovazione delle lettere che sarebbero state scambiate fra Bethlen e Schober: b) procedere eventualmente alla conferma da parte di Gèimbos della lettera diretta da Bethlen a v. E.;

c) rimanere intesi per un'azione concomitante itala-ungherese, avente per scopo di rafforzare le tendenze di destra del Governo austriaco e le Heimwehren;

d) stabilire che il R. Ministro a Vienna avvicini il Cancelliere austriaco per accertare se e fino a qual punto egli sia disposto ad allargare il patto di amicizia italo austriaco;

e) informare Gèimbèis che il Governo Italiano, in risposta al pro-memoria del Ministro Egger, è disposto volentieri ad intavolare trattative col Governo austriaco per l'allargamento degli Accordi economici, dando loro la forma e l'estensione che sembreranno migliori.

14) Oltre agli aspetti più larghi dei rapporti politici ed economici itala-ungheresi che sono stati esaminati fin'ora, meritano di essere ricordate talune questioni particolari:

a) Fornitura di aeroplani all'Ungheria.

Sono state concluse in questi giorni le trattative all'uopo condotte dalle Amministrazioni interessate dei due Governi, riuscendosi a superare le difficoltà che si frapponevano per l'assunzione da parte del Governo ungherese del debito conseguente a queste forniture. Si tratta di circa 15 milioni di lire: non essendo però le forniture di aeroplani consentite al Governo magiaro, l'Ungheria non può assumere la relativa partita di debito in quanto che il rappresentante della Società delle Nazioni a Budapest per l'Amministrazione finanzia.ria non approverebbe tale spesa. La difficoltà è stata superata ricorrendo colll:e intermediario fra i due Governi al Banco di Napoli e si è raggiunto l'accordo sugli interessi da pagare (4 1/2 %) e sul tempo dal quale debbono decorrere i pagamenti da parte del Governo ungherese (1934).

b) Questioni finanziarie derivanti da talune clausole del Trattato del Trianon rimaste in sospeso jra Italia e Ungheria: (Crediti di cittadini italiani per assicurazioni sociali, per danni già riconosciuti dal Tribunale arbitrale misto, per depositi alla Cassa di Risparmio di Budapest, ecc., ecc.; crediti del R. Governo per la missione militare Mombelli, per la delimitazione dei confini, per il rimpatrio dei prigionieri magiari; crediti di privati per requisizioni, sussidi non pagati a profughi, ecc.).

Per tutte queste questioni sono state riprese in questi ultimi giorni le trattative fra l'Amministrazione finanziaria italiana e quella ungherese nell'intento di venire ad un regolamento che dovrebbe concludersi oggi stesso, portandovi da parte italiana lo spirito della maggiore liberalità, giusta le istruzioni di V.E.

c) Riparazioni ungheresi o optanti.

Nel 1990 fu regolata la questione delle riparazioni non tedesche (ungheresi, austriache e bulgare) e la questione degli optanti.

Il problema degli optanti che era stato trattato fino ad allora dal punto di vista del suo fondamento politico, morale e di diritto e che aveva costituito una ragione di turbamento dei rapporti internazionali, fu potuto risolvere ponendolo sulla base pratica di un aggiustamento amichevole tra le Parti interessate col contributo delle Grandi Potenze. Gli Accordi a cui si giunse formano un tutto organico del quale sia le riparazioni ungheresi che il regolamento degli optanti sono elementi costitutivi. Degli Accordi sono pure parte essenziale il regolamento delle riparazioni bulgare, i pagamenti cecoslovacchi per le spese di liberazione e, si può dire, fino a un certo punto l'Accordo Caphandaris-Molloff relativo alle espropriazioni dei beni bulgari da parte della Grecia.

È probabile che Gombos intratterà l'E.V. sulla questione delle riparazioni ungheresi e degli optanti in quanto che essa dovrà prossimamente essere riesaminata da una Conferenza per le riparazioni non tedesche e questioni connesse. Conferenza la cui convocazione è stata decisa ultimamente a Losanna.

L'atteggiamento italiano in occasione del regolamento del 1930 fu decisamente a favore dell'Ungheria, e l'Ungheria ebbe a ritrarne notevoli vantaggi. È naturale che anche nella prossima Conferenza l'Italia appoggi il Governo ungherese. Sembrerebbe prematuro però indicare fin d'ora i termini e i limiti di tale appoggio, visto anche non solo la complessità della questione degli optanti e di quella delle riparazioni ungheresi, ma anche delle altre questioni sopra ricordate con cui le prime si ricollegano. Un criterio direttivo che fin d'ora sembra dovrebbe prevalere nella futura sistemazione di tali problemi, sarebbe il seguente:

gli Accordi del 1930 furono possibili in quanto sia la questione delle riparazioni che quella degli optanti furono poste su di un terreno pratico. I futuri accordi pure apportando a queìli precedenti gli aggiustamenti che l'esperienza del passato, il mutato potere d'acquisto della moneta, ecc. possano consigliare, non dovrebbero prescindere dagli Accordi medesimi: si dovrebbe cioè evitare di riaprire tutte quante le difficili e spinose questioni che si ricollegano con questi problemi, ma, prendendo invece le soluzioni già adottate come punto di partenza, adattarle e modificarle convenientemente.

P. S. -Ritornando sugli aspetti più larghi dei rapporti politici ed economici fra l'Italia e l'Ungheria può essere interessante di riferire da ultimo un'informazione pervenuta ultimamente al R. Ministro a Vienna.

Secondo tale informazione, Gombos sarebbe disposto a dare aiuti finanziari alle Heimwehrein (circa 2 milioni di scellini) a condizione che un Ufficiale ungherese, destinato all'organizzazione ed al collegamento, fosse assunto nello Stato Maggiore di Stahremberg, che questi marciasse su Vienna entro tre mesi e che, dopo conquistato il potere, restituisse all'Ungheria una parte del Burgenland. A questo proposito il R. Ministro a Vienna fa osservare che, allo stato presente delle cose, la marcia è impossibile, che Stahremberg stesso la considera tale, che infine, dato e non concesso che la marcia fosse effettuata e con esito favorevole, sarebbe inconcepibile una cessione territoriale da parte austriaca, la quale certo accrescerebbe le opposizioni contro Stahremberg proprio quando questi maggior conto dovrebbe tenere dell'opinione pubblica nei suoi riguardi e cercare di cattivarsela.

(l) -Cfr. n. 406. (2) -Il titolo originale del documento è: «Promemoria per S. E. 11 Capo del Governo in occasione della venuta del Presidente del Consiglio Ungherese S. E. Gombos >>. A margine la seguente annotazione di Buti: «Appunto concordato di presenza con S.E. Arlotta e col R. Ministro Auriti ». Una precedente stesura del documento è citata da F. LE>"EBVRE, L'intesa italo-jrancese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma, 1984, p. 383. (l) -Cfr. serie VII, vol. IX,n. 470, p. 694. (2) -Cfr. serle VII, vol. XI, n. 166.

(l) Cfr. serie VII, vol. XI, n. 173.

(l) -Cfr. serle VII, vol. XI, n. 260, allegato e nota. (2) -Cfr. n. 380.
409

AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. [Roma], 9 novembre 1932.

Dalla conversazione che ho avuto stamane col signor Norman Davis debbo presumere che nella sua udienza odierna egli esporrà i seguenti concetti:

La Conferenza del Disarmo è arrivata allo stadio in cui deve essere fatto lo sforzo supremo per evitare il fallimento e le disastrose conseguenze che ne seguirebbero.

Le conversazioni avute a Londra con gli uomini di Governo britannici hanno permesso a Davis di rendersi conto che un accordo fra Stati Uniti e Gran Bretagna è possibile nel senso suggerito dal Piano Hoover (ulteriore riduzione

del tonnellaggio complessivo) ma che è L1dispensabile che tale accordo sia completato da quello italo-francrse che permetterà il perfezionamento del Patto Navale di Londra.

Il signor Davis ritiene elle il momento sia favorevole per la ripresa delle trattative itala-francesi. Parlando con Herriot egli ha avuto la netta impressione che il Presidente del Consiglio francese è, oltre che disposto, desideroso di riesaminare la questione. D:::vis ritiene che gli americani possono, forse più efficacemente che gli inglesi, agire oggi fra Francia e Italia come honest broker.

Il signor Davis si rende conto che l'Italia non può accettare delle soluzioni che impongano all'Italia una qualsiasi rinuncia al principio della parità. D'altra parte si rende conto anche che la Francia non accetterà una soluzione che implichi il raggiungimento della parità effettiva entro un breve periodo di anni. Egli ritiene però che esistono delle possibilità di negoziati e di accordi con qualche opportuna modifica delle « basi d'accordo >> del l o marzo.

È stato fatto prcE:ente al signor Davis che con la messa in cantiere della nave di linea «Dunkerque », le basi del 1° marzo sembrano oramai sorpassate e che la durata di quel progetto d'accordo non arrivava che al 1936, ciò che lo renderebbe oggi di un valore molto limitato. In linea di massima però si ammette la possibilità di negoziare per accordarsi sopra un programma di costruzioni dei due paesi per un certo numero di anni sulla base della parità.

Davis insisterà forse anche per dimostrare che il signor Herriot, presentando il suo piano di disarmo, ha fatto un atto coraggioso di politica interna e che per il buon successo della Conferenza del Disarmo converrebbe non respingere in blocco il progetto francese bensì esaminarlo con simpatia, pur facendo tutte le necessarie riserve per quelle parti di esso che possono sembrare praticamente inaccettabili e che forse gli stessi francesi sanno di non poter realizzare.

Il signor Davis ha parlato in linea generale dolla necessità di una collaborazione specialmente fra Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, che non sia diretta contro nessuno ma che anzi si adoperi per fare alla Germania un equo trattamento e convincerla della necessità di collaborare essa pure.

I nostri esperti a Ginevra, in previsione di una ripresa di conversazioni sul problema navale, hanno preparato uno studio ed uno schema di eventuale «base d'accordo ».

(l) L'autore dell'appunto non è stato identificato.

410

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3843/570 R. Parigi, 9 novembre 1932 (per. l'11).

Il presidente del consiglio non va per ora a Ginevra. Mi ha detto di aver ricevuto oggi dagli esperti francesi di Ginevra un memorandum sul progetto costruttivo, in preparazione, e di non averlo ancora letto.

37 -Documenti diplomaiici -Serie VII -Vol. XII

Il piano, dopo che sarà redatto, verrà sottoposto al consiglio dei ministri e potrà in seguito essere presentato. In queste condizioni, ha concluso il signor Herriot, non è possibile fissare una data.

Il piano costruttivo nella sua redazione definitiva sarà breve e non entrerà in particolari. Nel corso della conversazione il presidente ha detto che il piano incontra opposizione nel paese e da parte dello Stato Maggiore.

Ho chiesto al signor Herriot se il Governo consentirà modificazioni al piano definitivo che sarà presentato a Ginevra Il presidente mi ha risposto affermativamente. Ho replicato che avevo rivolta la domanda per avere rilevato nel discorso pronunciato a Nancy domenica scorsa dal presidente della repubblica, la seguente affermazione: «Non bisogna allarmarsi, il piano forma un tutto'>.

Il signor Herriot mi ha risposto che, certamente il piano costruttivo non potrebbe essere mantenuto dalla Francia se non fossero accettate le garanzie di sicurezza che esso contempla.

Il presidente del consiglio mi ha detto infine che il fondamento del piano costruttivo deve essere ricercato nell'art. 8 del patto.

411

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3835/571 R. Parigi, 10 novembre 1932, ore 13,25 (per. ore 16,30).

Con mio telegramma per corriere 570 9 corrente (1) ho riferito a V. E. alcune delle cose dettemi da Herriot nella visita che gli ho fatto ieri. Sono stato da Herriot per sincerarmi sul piano costruttivo e per avere notizie del suo viaggio a Ginevra.

Presidente del Consiglio mi ha parlato del piano quasi con disinteresse. Come ho supposto e riferito da tempo, progetto francese non è pronto: è ancora allo stato di nebulosa. Del viaggio a Ginevra Herriot parla come di cosa non prossima. Non si può dunque escludere che l'annunzio clamoroso della presentazione del piano abbia costituito una manovra per non fare cadere sulla Francia, esclusivamente, la responsabilità di un eventuale insuccesso della conferenza disarmo. La manovra sarebbe riuscita almeno in parte, poiché Inghilterra, Stati Uniti e un poco anche la Germania hanno fatto favorevole accoglienza alle buone intenzioni della Francia.

Al momento di prendere congedo, mentre mi avviavo alla porta, Herriot, che forse aspettava che gli parlassi delle note sue dichiarazioni fatte al congresso radicale, mi ha chiesto sorridendo «se ero contento di Tolosa '>. Ho risposto di si e gli ho domandato a mia volta se veramente il congresso aveva fatto alle sue parole l'accoglienza significativa di cui hanno parlato i giornali. Presidente del consiglio mi ha assicurato in questo senso. Ho osservato quindi

che, ammaestrato da precedenti iniziative francesi, arrestatesi al momento in cui dalle parole si sarebbe dovuto passare ai fatti, consideravo opportuna la massima riserva e grande discrezione. Herriot mi ha detto che era d'accordo con me. Egli aveva inteso non solo di illuminare opinione pubblica, ma aveva voluto affermare il suo pensiero, che cioè un nuovo spirito doveva dominare le relazioni italo-francesi.

(l) Cfr. n. 410.

412

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3836/682 R. B.:.rlino, 10 novembre 1932, ore 14,35 (per. ore 17).

Ho presentato stamane credenziali presidente Hindenburg che appariva fiorente. Trasmetto con telegramma «stefani » sp::ciale testo mio discorso e risposta presidente della repubblica (1).

Dopo cerimonia Hindenburg mi ha chiesto premurosamente notizie di Sua Maestà e si è interessato al viaggio in Eritrea recentemente fatto da Augusto Sovrano.

Mi ha quindi espresso sua soddisfazione per frequenti visite in Germania di eminenti uomini di Stato italiani; menzionando le più recenti, cioè quelle delle LL EE. Federzoni e Balbo. Si è compiaciuto delle accoglienze festose e calorose fatte a Roma all'aviatore Gronau. Menzionò con evidente soddisfazione partecipazione ufficiali italiani a manovre tedesche e quella di ufficiali tedeschi a quelle italiane, aggiungendo che desiderava ancora una volta ed in modo speciale ringraziare Governo italiano per cortese invito rivolto loro.

Dopo la presentazione del personale dell'ambasciata, nell'accomiatarsi da me, presidente mi disse che Germania era riconoscente a S. E. il Capo del Governo per comprensione che egli aveva sempre mostrata verso di essa e menzionò discorso del Duce a Torino: « che contiene frasi le quali toccarono il cuore di ogni tedesco».

413

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3839/573 R. Parigi, 10 novembre 1932, o1e 20,55 (per. ore 1.30 dell'11).

Journal e Temps pubblicano che nella mia visita di ieri ho probabilmente portato Herriot ringraziamenti R. Governo per recenti dichiarazioni Tolosa e Parigi assicurandolo dell'eco fevorevole che hanno avuto in Italia.

Mi pare quasi superfluo smentire queste mie pretese dichiarazioni: mia conversazione con Herriot è stata riassunta testualmente miei telegrammi 570 per corriere e filo 571 (2).

(l) -Te!espresso n. 2780. [Nota del documento]. (2) -Cfr. nn. 410 e 411.
414

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, E IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS (l)

APPUNTO. Roma, 10 novembre 1932.

S. E. Gtimbos espone la situazione del proprio paese. Comincia col mettere in rilievo l'identità di vedute esistente fra S. A. il Reggente, il Conte Bethlen e lui.

Nell'ultimo anno il Paese aveva subito una gravissima depressione, anche di carattere morale, e di ciò si è reso conto il Reggente che ha voluto affidare a lui, Gtimbtis, il governo per galvanizzare lo spirito pubblico. La sua situazione politica è indiscutibilmente buona; i partiti che non appartengono al suo gruppo non gli danno fastidio. In particolare i social-democratici (18 in tutto) contano poco. Nella politica interna è intenzione sua di emanare una Carta del Lavoro sul tipo di quella italiana e creare una nuova organizzazione politico-sociale nel Paese, armonizzando i vari elementi del capitale, dell'intelligenza e del lavoro manuale. Sua intenzione è di andare verso il popolo, interessandolo sempre più alla vita nazionale, senza ricorrere a forme demagogiche.

Egli dà la massima importanza alla unità spirituale della Nazione, e per raggiungere questa non guarda in faccia nessuno. Naturalmente ha problemi importanti e difficili da risolvere specialmente nel campo economico, nel quale deve portare le sue più assidue cure con particolare riguardo alla situazione dei contadini, che costituiscono la stragrande maggioranza della nazione magiara.

Per la soluzione dei problemi economici egli conta molto sull'aiuto dell'Italia e vede la possitilità di una notevole espansione dei rapporti già oggi esistenti, a vantaggio di tutti e due i Paesi.

Da qualche studio di dettaglio già fatto egli ha tratto la impressione che con la buona volontà ci sia la possibilità di migliorare molto la situazione degli scambi tra i due Paesi, anche nel momento attuale di grave crisi.

Per quanto riguarda la situazione finanziaria dell'Ungheria, egli osserva che si è fatto uno sforzo notevole di economia riducendo il bilancio a poco più di 800 milioni di pengtis. Ci sono però dei forti arretrati d'imposte da incassare.

Fin dal primo tempo dell'assunzione del Governo egli ha dovuto intervenire contro una abitudine che andava estendendosi in modo pericoloso, di non pagare le tasse con il pretesto della crisi economica. Intende agire con ogni energia anche contro il grande possesso con la minaccia di assegnare le terre agli ex combattenti per un più razionale sfruttamento. Questo del latifondo è un problema grave che va risolto anche in rapporto al problema demografico ungherese, perché è intenzione di Gtimbtis che la popolazione ungherese trovi da vivere nel proprio suolo e non emigri in America.

Per quanto riguarda la situazione militare, S. E. Gombos informa che da quando egli ha assunto il Ministero della Guerra ha fatto un piano per il riarmamento dell'Ungheria che è riuscito a svolgere completamente.

Ha potuto anche sostituire l'esercito mercenario previsto dal Trattato, con un esercito sulla base della coscrizione regolare; deve aggiungere per la verità, che la cosa è stata più o meno conosciuta anche dalla Francia.

In Ungheria non si posa per ora la questione monarchica. Un piccolo paese, povero e in difficoltà economiche non ha bisogno di un Re. Se un giorno si potrà ricostituire la grande Ungheria, quel giorno si discuterà la questione della Monarchia.

D'altra parte fino a che rimane il Reggente Horthy, la podestà del Sovrano è rappresentata nel modo migliore perché l'Ammiraglio Horthy è persona che ha sommamente a cuore l'interesse del proprio popolo, che è dotata di una grande energia e che è sempre stata all'altezza della situazione, anche nei momenti difficili.

Passando a discutere dei problemi di carattere internazionale che interessano i due Paesi, Gombos si intrattiene anzitutto della questione dell'Austria. L'Austria è un paese che non ha uno spiccato carattere nazionale e che probabilmente non ha un programma preciso per il proprio avvenire. Risolve la politica giorno per giorno, appoggiandosi ora ad una ora all'altra delle grandi Potenze.

Egli ritiene che debbono essere tenute in considerazione le Heimv1ehren che potranno rappresentare un elemento importante se avranno la possibilità di prendere in mano il potere del Paese. Starhemberg si è molto evoluto in questi ultimi tempi.

Il Cancelliere Dollfuss dimostra una certa buona volontà di agire seriamente, uscendo dall'attuale situazione di paralisi politica in cui si dibatte l'Austria. In Austria si gioca il « parlamentarismo », ci sono innumerevoli commissioni, si discute all'infinito e non si conclude niente.

I buoni rapporti esistenti fra il Cancelliere Dollfuss e le Heimwehren debbono considerarsi la base della politica austriaca del momento e possono contenere degli sviluppi interessanti per il futuro.

Géimbos ha avuto un colloquio col Cancelliere prima di venire a Roma. Lo ha invitato espressamente in una sua casa di caccia per potErgli parlare liberc>.mente. Lo ha intrattenuto sulla necessità eh~ in Austria si affermi il principio della autorità dello Stato appoggiata a un esercito adeguato: la situazione attuale è assurda essendo la forza dell'esercito disponibile (circa 2.000 uomini) una entità insignificante di fronte ad altre organizzazioni militari di partito, come il Schutzbund, che è ben comandato e che dispone di armi e materiale.

Inoltre ha detto Gombéis al Cancelliere austriaco che l'Austria deve decidere la propria politica avvenire, politica che egli vede in un accordo più stretto con l'Ungheria e con l'Italia.

Il Cancelliere non si è espr::sso in modo prcciso sui vari punti toccati da G5mbéis; successivamente però, parlando con un aiutante di campo del Presidente del Consiglio ungherese, in tono più confidenziale, ha detto che egli era contrario alla unione dell'Austria alla Germania e che << odiava'> i prussiani.

Nel colloquio col Cancelliere Dollfuss, S. E. Giimbèis ha messo in rilievo l'opportunità di arrivar2 a un'unione doganale fra i tre paesi: Italia, Austria e Ungheria. Il Cancelliere ha detto di essere d'accordo sulla sostanza, ma di dover evitare la forma dello « Zollverein », perché riteneva che le difficoltà di carattere internazionale -per l'Austria specialmente --sarebbero state insuperabili.

Il Cancelliere ritiene invece che si possa arrivare allo stesso risultato attraverso un allargamento degli accordi del Semmcring. Ad ogni modo il Cancelliere ha pregato Gèimbèis di dire da parte sua al Capo del Governo italiano che è disposto e desideroso di discutere qualsiasi forma che possa raggiungere o avvicinare allo scopo sopradetto.

In relazione a questo programma da realizzare tanto il Cancelliere quanto egli, Gèimbiis, hanno pensato di scegliere una strada per arrivare al mare quella di Pontebba-Trieste, sia per l'Austria che per l'Ungheria, anziché quella di Lubiana-San Pietro-Trieste o San Pietro-Fiume, che attraversa il territorio jugoslavo.

Perciò ci vorrebbe un accordo fra le amministrazioni ferroviarie Italiana, Austriaca e Ungherese per combinare delle tariffe ridottissime.

Altro problema è quello della Croazia: Gèimbiis ha avuto la migliore impressione di Pavelié; lo crede serio e onesto. È di opinione che il movimento croato debba essere seguito e aiutato perché possa raggiungere i suoi fini ultimi, quelli cioè della completa separazione della Croazia dalla Serbia.

La situazione interna della Jugoslavia è difficile, non solo dal punto di vista politico ed economico, ma anche da quello militare. La piccola nazione serba nella sua unità metteva in piedi un esercito che rappresentava un elemento molto più efficiente, di quanto non sia l'esercito dello Stato jugoslavo, minato dagli antagonismi e dall'odio che esistono fra le singole razze componenti lo Stato.

Ciò va tenuto prc;,ente anche perché non è escluso che la Jugoslavia possa ricorrere a una guerra come divn~ivo per la sua insostenibile situazione interna.

S. E. Giimbos viene poi a parl8xe della Germania.

Egli non vede un::~ soluzione della c~·isi politica tedesca nel campo parlamentare. Hitler ha commesso l'errore di non accettare il posto di Presidente del Governo della Prussia e di Vice Cancelliere; Hitler ha delL; reali qualità di tribuna, ma non è un uomo di Stato. Non è probabile neanche una soluzione rivoluzionaria: «non si fa la rivoluzione coi logaritmi».

Certamente l'elemento militare conta in Germania sempre molto e dalla Germania c'è sempre da imparare in questo campo. Gombos è in rapporti con lo Stato Maggiore ed intende continuare questi rapporti

Lo Stato Maggiore tedesco si è informato del modo come l'Ungheria ha fatto trasformare l'esercito mercenario in un esercito sulla base della regolare· coscrizione e gli ungheresi hanno dato tutte le informazioni necessarie perché evidentemente in questo campo c'è una identità di interessi fra Germania e Ungheria.

La Reichswehr, la polizia e gli Elmi d'Acciaio formano un complesso molto importante specialmente per quanto riguarda i quadri.

Anche l'industria tedesca è perfettamente attrezzata per produzione di materiale bellico. Nessun altro paese d'Europa ha saputo introdurre i sistemi americani di razionalizzazione dell'industria all'infuori della Germania.

Questi sono gli elementi principali della politica interna ed estera dell'Ungheria che S. E. Gombos ha voluto esporre a S. E. il Capo del Gonrno d'Italia.

S. E. il Capo del Governo si compiace con S. E. Gombos per la chiarezza e l'organicità del programma esposto e per la dirittura della linea politica che egli segue.

Concorda negli apprezzamenti esposti in relazione ai problemi che interessano i due Paesi.

In modo particolare: per quanto riguarda l'Austria è di opinione che il Cancelliere Dollfuss sia al momento attuale il meno peggio che offra quel paese. Le Heimwehren paiono in quest'ultimo tempo avere ripreso un po' di coraggio, e comunque, tutto sommato, rappresentano forse l'elemento più fidato su cui basare la futura politica. Gli hitleriani sono in via di regresso in Austria. D'altra parte l'Austria mal sopporta la prepotenza prussiana e quell'aria di protezione con cui la Germania tratta l'Austria.

Trova molto interessante la dichiarazione del Cancelliere Dollfuss riguardo all'Anschluss. Con le Heinwehren siamo da tempo in rapporti che intendiamo continuare, e se si dimostrasse l'opportunità intensificare .

Nei riguardi della situazione Jugoslava, condivide le impressioni di S. E. Gombos. Fino a tempo fa si poteva dubitare della seria intenzione da parte dei Croati di andare a fondo nella loro tendenza per l'assoluta indipendenza. Oggi non si può più dubitare che siano veramente animati da questo spirito.

Ha anch'egli l'impressione che Pavelié agisca per patriottismo, con sin::erità e serietà di propositi. La situazione jugoslava, che è grav~ sotto tutti i riguardi, va seguita da vicino e il movimento croato per la libertà va favorito.

Nei riguardi della Germania, egli ha preso il noto atteggiamento nella questione dell'equiparazione di diritto da perché è profondamente per.maso del buon diritto tedesco, sia perché è la migliore via per ottenere la continuazione della collaborazione tedesca nella soluzione dei grandi problemi europei.

Egli pensa con ciò di avtr fatto a!'lche l'interesse dell'Ungheria.

D'altra parte però bisogna sottrarr8 l'Austria alla influenza tedesca, che altrimenti la Germania potrebbe prevalere a danno di tutti gli altri nel bacino danubiano.

È sempre stato favorevole ad un accordo di carattere economico fra l'Italia, l'Ungheria e l'Austria, (l'ha dichiarato anche molto chiaramente l'altro anno al Conte B2thlen) (1), accordo economico che preferirebbe nella forma più radicale e completa cioè l'unione doganale. Evidentemente tale accordo dovrà essere completato anche nel campo politico.

Se oggi per difficolti provenienti dai rapporti internazionali, particolarmente con riflesso all'Austria, tale accordo non fosse possibile nella forma del

l'unione doganale bisognerà cercare per altra via di avvicinarsi per quanto possibile allo stesso risultato, magari sotto altro nome.

Per quanto riguarda l'intensiflca<::ione dei rapporti economici fra l'Italia e l'Ungheria, egli farà met'Gere subito la questione allo studio per vedere di trarne i massimi risultati possibili, con quello spirito di amiciza che è sempre prevalso nei rapporti fra i nostri 2 paesi.

Concludendo il programma che si può svolgere d'accordo fra l'Italia e l'Ungheria può riassumcrsi nei seguenti punti:

l) Azione comune per ottenere che in Austria si formi un Governo autoritario, col quale si possa trattare. Questo Governo potrebbe appoggiarsi· come persona a Dollfuss e come forza alle Heimv.'ehren. Si dovrebbe poi costituire un vero esercito che oggi in Austria non esiste Ma non pare possibile che l'assunzione di un Governo autoritario possa avvenire in via costituzionale e attraverso le forme parlamentari: ci vuole quindi una azione di forza.

2) In relazione al punto primo. azione italo-ungherese di aiuto alle Heimwehren, azione nella quale l'Italia, soprattutto per quanto riguarda gli aiuti da prestare, dovrebbe avere la pa.rte prevalente.

3) Sempre in relazione al punto primo, azione di persuasione presso Dollfuss a mezzo della Legazione Italiana di Vienna, parallelamente a quanto ha già fatto S. E. Gombbs direttamente.

4) Nei riguardi clella Croazia, azione comune itala-ungherese per favorire il movimento insl!ITezionale, azione nella quale, per quanto riguarda gli aiuti da prestare, l'Italia deve avere una parte prevalente; del pari va appoggiato anche il mo·, imento macedone.

5) Trattative fra l'Italia, l'Ungheria c l'Austria per la conclusione di un accordo di unione doganale o di quel qualsiasi altro sistema che possa portare allo stesso risultato, pure sotto un nome diverso A questo scopo converrà che i tL·e Governi nominino ciasc;_mo m:a pcr:.:ona di loro fiducia per trovarsi insieme c di~cutere a fondo tutte le mod:llità dell'accordo.

6) Come com:eguenza dell'ac:cordo di carZtttere economico un trattato fra i tre Pac:si. di canttcre politico, che completi l'odierno sistema.

7) Accordo tra l'Italia e l'Ung:cri::l per un più intemo scambio commrrcialc basato su uno studio di dettaglio relativo allE! ulteriori possibilità ungheresi di acquistare prodotti italiani. e possitilit:t da purte dell'Italia di acquistare prodotti ungheresi. Si potrà nominare una commissione mista per questo studio che si riunirà periodicamente.

Si unisce pure un appunto sulle conclusioni stilizzato [sic] da S. E. Gombos

(l) Al colloquio era presente Suvich. Il testo dattiloscritto presenta correzioni di pugno di Suvlch.

(l) Cfr. serie VII. vol. XI. n. 166.

415

AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

APPUNTO. Roma, 10 novembre 1932.

Il R. Ministro in Belgrado segnala l'arrivo a Roma per domenica 13 corr::a~c del Sig'1or l'/[ol!lr:ilo Ninci.:', ex Ministro d~gli Affari Esteri jugoslavo, il quale viene in Italia per partecipare al Convegno «Volta». (2).

( 2) Annotazione a mar;;ine: « Hotel Exce:s'o'· (lettera Ministra Galli a S. E. Aloisi in data 8 ncveml:Jre 1932-XI) "·

Il Comm. Galli, nell'assicurare che il Signor Nincié conserva sempre verso

V. E. ogni più schietto sentimento di deferenza e di ammirazione, si rende interprete del di lui desiderio di essere ricevuto in udienza da V. E. e ricorda le conversazioni confidenzialissime avute col Nincié, circa le quali egli ha recentemente riferito all'E. V.

Si resta in attesa delle decisioni dell'E. V. al riguardo.

(l) L'appunto è anonimo su carta intestata del Gabinetto.

416

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

L. RR. Belgrado, 10 novembre 1932.

Ieri l'altro fui alla Nunziatura ed ebbi con Monsignor Pellegrinetti e Monsignor Pacini un lungo colloquio sulla situazione interna e che ho poi subito dopo fedelissimamente riassunto nel promemoria che qui ti accludo (1).

Penso che la lettura di esso potrà interessare S. E. il Capo del Governo, non tanto per le affermazioni che vi si contengono, quanto per le persone da cui esse provengono. Tu comprendi agevolmente però quali ragioni di estrema delicatezza e discrezione mi impediscono di inviare con rapporto ufficiale il promemoria ed ancor meno indicare con quali personaggi la conversazione abbia avuto luogo.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Dai contatti avuti dal Capo Missione e dal suo segretario con varie personalità, essi hanno tratto la impressione che la situazione attuale sia seria ma ben lungi da essere, rcr il momento, catastrofica.

Essi anzi ritengono che l'anno scorso la situazione si presentava più grave di questo anno.

Di importante c'è l'accordo tra i croati s!oveni et::. con le opposizioni serbe su uri programma pre~iso di governo e su una forma di stato. Ma tale programma nessuno ancora è riuscito a vederlo e a conoscerlo nEi particolari. Nè si riesce a sapere bene che seguito abbiano in realtà le personalità serbe che stanno all'opposizione dato che fino ad ora non essendoci state elezioni parlamentari nel vero senso della parola, non si può giudicare la forza di cui C:ispongono questi t-1li.

Il Re è nervoso, lo è sopratutto contro l'Italia, e gli italiani che gli organizzano rivolte.

Il movimento della Ssiumadia è considerato dai predetti non destinato ad avere seguito. Proprio pochi giorni fa sono venuti a far visita ai predetti persone della Sciumadia e in una lunga conversazione avuta hanno a!nmesso l'esistenza· del movimento di opposizione ma hanno dichiarato che esso si riduce a poca cosa. Ugualmente, il movimento della Lika è considerato come fallito.

Il Re nonostante le consultazioni anche con l'opposizione è contrario a qualsiasi movimento federalista e se sarà costretto si de::;iderà ad esso all'ultimo momento. Egli è contrario per tre ragioni:

1°) la sua mentalità che è a:;so!utista. Egli è stato educato a Pietrogrado. Di tale mentalità occorre sempre tener conto.

2°) Perché passando dà! centralismo al federalismo, vP.ngono necessariamente a diminuire le prerogative della Corona e1 egli considera ciò una « diminutio capitis ».

3°) È preoccupato della sorte di Belgrado. Il gi.orno in cui si va al federalismo. Belgrado diviene una capitale come un'altra. Si prevede che 7000 impiegati lasceranno la città la quale verrebbe ad avere una diminuzione di circa 38.000 persone. Sarebbe la rovina di Belgrado.

Il Capo Missione conclude che perché la situazio11e passi da seria come ora a catastrofi~a occorrono due eventi:

a) il tradimento dell'esercito;

b) un grande evento esterno (una guerra per esempio).

Fino a che l'uno o l'altro evento non si produce, egli ritiene la situazione non pericolosa.

(l) Il promemoria venne trasmesso da Aloisi a Mussolini.

417

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI

T. 1145/190 R. Roma, 11 novembre 1932, ore 17.

Suoi telegrammi 233 (l) e 234 (2).

Approvo passi fatti da V. S. Conviene evidentemente che Governo federale deplori mediante comunicato ufficiale dichiarazioni Governo provinciale tirolese e dottor Stumpf.

418

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 1146/138 R. Roma, 11 novembre 1932, ore 22.

Prego V. S. far pervenire al conte Bethlen il seguente messaggio:

«Mentre nei colloqui che ho in questi giorni con S E Gombos si è constatata la perfetta identità di vedute sui problemi che interessano i nostri due paesi e si sono messe le basi per un più intenso e più esteso sviluppo dei nostri rapporti avvenire, voglio che giunga un mio pensiero a V. E che di questa politica è stato convinto ed efficace iniziatore e propugnatore, unitamente ai miei sempre cordiali e amichevoli saluti>>.

419

IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI, AI PREFETTI DI FIUME, DI BIASE, DI GORIZIA, TENGO, DI POLA, FOSCHI, DI TRIESTE, PORRO, E DI ZARA, VACCARI

T. 11175 P. R. Roma, 12 novembre 1932, ore 23.

Prego V. E. di volere dire personalmente e riservatamente ai direttori dei giornali locali che nel fare la cronaca della commemorazione di Trieste del

«mirabile» podestà di Spalato, Antonio Bajamonti, essi dovranno mantenere tono pacato evitando offese al sentimento nazionale croato, riferirsi al periodo fortunato dell'attività politica di Bajamonti anziché a quello finale, conclusosi con la perdita del comune, evitare in modo assoluto le espressioni «croatizzazione » e « slavizzazione » del comune di Spalato, le quali giovano solo alla tesi jugoslava, e passare infine sotto completo silenzio i recenti festeggiamenti organizzati dal Governo di Belgrado a Spalato. Per commemorazione svoltasi stamane Roma attenersi al comunicato Stefani.

(l) -Cfr. n. 404. (2) -T. 3819/234 R. dell'8 novembre, non pubblicato: dichiaraz'oni circa l'Alto Adige fatte da Stumpf in occasione dell'apertura della Dieta del Tirolo.
420

L'AMBASCATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3910/685 R. Berlino, 12 novembre 1932 (per. il 17).

S. E. il barone von Neurath mi confermò stamane quanto mi aveva detto nella prima visita fattagli, che era sua intenzione di parlarmi sempre lealmente di tutto quanto potesse interessare i nostri due paesi e mi disse di rivolgergli, dal mio lato, con uguale franchezza, tutte le domande che io ritenessi fargli, perché poteva accadere che egli scordasse di menzionare qualche argomento interessante per i nostri due paesi.

Dopo di che mi disse che desiderava chiarire meco la portata reale dei lavori della commissione economica mista franco-germanica che si era riunita ieri a Berlino. Si trattava di una commissione formata da rappresentanti dell'industria pesante dei due paesi con l'assistenza di funzionari tecnici. Nella prima riunione tenutasi a Parigi non si era concluso nulla. In questa probabilmente accadrà la stessa cosa. Scopo dei lavori dovrebbe essere un'intesa per la compartecipazione delle due industrie a grandi lavori di costruzioni ferroviarie, di porti ecc. L'epoca attuale di crisi economica mondiale non era propizia a simili grandi opere che comportavano spese ingenti.

Ancorché si trattasse quindi di una riunione destinata a lasciare il tempo che trovava, egli aveva tenuto a recarsi ieri in seno alla commissione stessa per sfatare la leggenda che si stava formando intorno alla sua persona che veniva rappresentata in taluni organi della stampa estera come un gatto che mostra le unghie a tutti quanti.

Se si erano usate espressioni molto cortesi e formulate serie speranze, tutte queste erano state semplici parole, null'altro che parole.

Nel ringraziarlo della comunicazione, osservai che la stampa di stamane aveva realmente posto in rilievo che la commissione mista franco-germanica, contrariamente alla credenza generale, aveva già raggiunto risultati tangibili.

Il barone von Neurath ribatté che era appunto per ciò che egli aveva tenuto a dichiararmi che in realtà non si era invece fatto nulla.

421

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. RR. S. N. Parigi, 12 novembre 1932.

Lunedì, sera, 14 corrente, giungerà a Roma Emile Roche Direttore del giornale La République al quale si riferisce da ultimo il telegramma di V. E. n. 512 dell'll ottobre (1).

Roche è senza dubbio una delle primarie figure del partito giovane radicale che egli, insieme col milionario Patenòtre, presentemente Sottosegretario all'Economia Nazionale, indirizza vigorosamente verso un accordo con l'Italia. Il signor Roche è assai considerato dal Presidente Herriot, ma è ancora più vicino a Caillaux. Egli afferma che le parole amichevoli per l'Italia pronunciate dal Presidente del Consiglio francese al Congresso di Tolosa sono state ispirate da lui, e mi pare che si possa credergli.

Roche sarà accompagnato dal Conte Enrico di Zogheb, suddito italiano dimorante a Parigi, amico di Patenòtre. Il signor de Zogheb persona di mondo che ha a Parigi una posizione indipendente, è l'agente di collegamento fra la

R. Ambasciata e i due maggiori esponenti della tendenza giovane radicale: Patenòtre e Roche.

Il direttore della République non ha un incarico ufficiale e forse neppure ufficioso, pe,r quanto lasci capire che il suo viaggio si compie d'accordo col Presidente del Consiglio. Si deve però tenere presente che i vecchi radicali dimostrano poca simpatia per questa presa di contatto del pubblicista francese con gli ambienti ufficiali italiani e che negli ambienti dell'Ere Nouvelle, giornale che, come è noto, è molto vicino al Presidente del Consiglio, c'è quasi dell'ostilità contro l'atteggiamento i~alofilo del Direttore della République.

Il Roche che è ambizioso e pieno di sé, tende anche per mezzo di questo suo viaggio, ad affe,rmare la sua reputazione politica.

Egli considera un po' opera sua il riavvicinamento all'Italia che affiora sempre più come aspirazione diffusa dell'opinione pubblica francese, e fa d'uopo ammettere che egli si è dedicato, da qualche tempo a quest'opera, molto coscienziosamente. Per questo egli teme di essere scavalcato. Il viaggio in Italia del Senatore Béranger, Presidente della Commissione degli Esteri del Senato, l'ha messo in sospetto. Si è posto in relazione con lui, ma Bérenger non si è confidato. La presenza a Roma della signora de Jouvenel, moglie del senatore de Jouvenel, gli dà pure fastidio.

Ho creduto opportuno di fare parte a codesto R. Ministero delle mie impressioni sul Roche e sul de Zogheb Si tratta di prime impressioni: sono a Parigi da un mese e mezzo. Non credo, però, di doverle modificare fondamentalmente, in seguito.

Il Roche -per concludere -ha senza dubbio un seguito ed una base per parlare a Roma a nome dei giovani radicali i quali, in questo momento, per merito specialmente -lo ripeto -del Patenòtre e del Roche. sono orientati verso di noi. Non credo, però. che, almeno per ora, egli abbia veste per impegnare

il Presidente del Consiglio. Sarà, dunque, di grande interesse per codesto R. Ministero e per S. E. il Capo del Governo, di ascoltarlo, e sarà prudente di rimandarlo a Parigi con qualche soddisfazione di amor proprio.

Il signor de Zogheb si presenterà a Palazzo Chigi martedì mattina quindici corrente per prendere accordi sull'udienza concessa al signor Roche da S. E. il Capo del Governo, lo stesso giorno alle 18, a Palazzo Venezia.

422.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A SHANGHAI, CIANO

T. RR. 1153/291 R. Roma, 14 novembre 1932 Cl).

È stato riesaminato in questi giorni atteggiamento italiano nei riguardi del conflitto cino-giapponese insieme col nostro rappresentante nel comitato Lytton (2). Sulla base degli elementi in possesso di questo ministero e sentiti il

R. ambasciatore a Tokio ed anche il R. ambasciatore a Mosca qui presenti si è venuti in massima a questa conclusione e cioè che se non sopravvengono elementi che consiglino di mutare tale avviso convenga di sostenere opportunamente rapporto commissione Lytton continuando nella posizione di equilibrio e di moderazione finora assunta dal R. Governo nella intera questione e di cui la posizione della Cina nel conflitto ha potuto più volte avvantaggiarsi. Questo atteggiamento è stato anche mantenuto dal delegato italiano nella commissione ed ha influito sulla redazione del rapporto.

Nell'esaminare atteggiamento da assumersi nell'ulteriore fase del conflitto sono state tenute presenti le larghe possibilità che può offrire la Cina ora e specialmente in un prossimo avvenire e le più importanti questioni che abbiamo tuttora con essa aperte e cioè quella dell'impiego del reliquato boxers e del consolidamento dei debiti, questioni queste che se pure vanno tenute presenti non potrebbero rappresentare un interesse di tale rilievo da essere un motivo determinante per il nostro atteggiamento, ma si è dovuto altresì valutare atteggiamento delle altre grandi Potenze e la portata pratica di una diversa politica da parte italiana.

Di seguito ed in relazione alle comunicazioni che ella ha già curato di far pervenire a questo ministero, pregola farmi conoscere se e quali osservazioni ella ritenga di dover fare in proposito innanzi di impartire istruzioni alla nostra delegazione all'assemblea della Società delle Nazioni.

423.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI

T. 1157/289 R. Roma, 14 novembre 1932, ore 16,30.

R. ministero della guerra ha comunicato un telegramma direttogli da codesto addetto militare per informare che codesta direzione generale esercito

lo ha invitato incontrarsi con generak capo sezione società nazioni per reciproco orientamento in merito questione disarmo (1).

Il R. ministero della guerra esprime il parere che questioni del genere non possono essere trattate a parte da addetti militari ma che occorra sempre svolgerle nell'ambito e col coordinamento della delegazione italiana a Ginevra.

In ogni caso è d'avviso che codesto addetto militare non debba svolgere opera a sé ma agire solo dietro istruzioni di V. E. Ciò premesso R. ministero della guerra informa di avere telegrafato a codesto addetto militare di limitarsi ad ascoltare e riferire. Concordo con il punto di vista espresso dal R. ministero della guerra e prego

V. E. di volere impartire al R. addetto militare opportune istruzioni in proposito.

Aggiungo che mentre contatti fra le due delegazioni a Ginevra possono rispondere al nostro interesse è comunque necessario che da parte nostra si eviti anche l'apparenza di sollecitare.

(l) Non pubblicato.

(l) -Il telegramma parti in realtà alle ore 23 del 15 novembre. (2) -Cfr. n. 394.
424

COLLOQUIO FRA IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI E NINCIÉ

APPUNTO. Roma, 14 novembre 1932.

Nincié informa che la situazione in Jugoslavia è grave. Il Re ha scontentato tutti, oggi il paese S:i regge su un regime poliziesco, e egli stesso è in mano dei circoli militari che non hanno nessuna sensibilità per giudicare la situazione.

L'esperimento Balugié venuto espressamente da Berlino per trattare con l'opposizione è fallito.

Il Re si è esposto troppo, e questo può costargli la corona.

L'unica soluzione per la Jugoslavia sarebbe una nuova costituzione che tenesse conto dei desideri delle opposizioni. Perciò il Re dovrebbe trattare con i capi delle opposizioni.

Un accordo nostro attuale col Re ci metterebbe contro tutto il paese perché sarebbe considerato soltanto un espediente per rafforzare il regime e dare alla Monarchia mano libera all'interno (2).

425

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. U. R. 3883/20/11 R. Ginevra, 15 novembre 1932, ore 0,20 (per. ore 3,30).

Ho avuto con Simon arrivato stamane lunga conversazione che ha toccato specialmente due argomenti: uguaglianza di diritti e questione navale.

Simon giudica essere giunto momento di agire per ottenere ritorno della Germania in seno a conferenza. Dichiarazioni da lui fatte giovedì scorso alla Camera dei Comuni miravano principalmente a tal fine. Mi ha chiesto se e quale azione Governo italiano sarebbe stato disposto ad esercitare nello stesso senso.

Ho osservato che punto di vista da lui espresso nel suo discorso ai. Comuni, circa soluzione da dare al problema della uguaglianza di diritti invocata dalla Germania, corrispondeva in sostanza alla tesi pubblicamente enunciata dal Capo del Governo italiano fino dallo scorso settembre. Ritenevo quindi che V. E. non avrebbe avuto difficoltà ad autorizzarmi a confermare nostro punto di vista mediante dichiarazioni da farsi in seno a ufficio di presiden>~a, quando se ne presentasse occasione.

Simon mi ha detto allora che nella seduta di dopodomani mercoledì egli si propone di ripetere dichiarazioni già fatte davanti al Parlamento e che sarebbe molto lieto se delegato italiano « parlando a nome Mussolini » fosse in grado di appoggiare stessa tesi circa uguaglianza di diritto. Mi ha pregato di telegrafare a V. E. per essere autorizzato a farlo e mi ha riassunto tenore della sua dichiarazione che conterrà seguenti punti:

0 ) Inghilterra è pronta a riconoscere principio della parità di diritto;

2°) tale principio dovrà venire inserito nella futura convenzione disarmo;

3°) obblighi della Germania in materia di disarmo deriveranno quindi, nel futuro, non più da trattato di Versailles, bensì dalla convenzione stessa e per la sua durata;

4°) applicazione pratica del principio di uguaglianza non potrà essere fatta che per grado e sue modalità dovranno essere discusse in seno alla conferenza ed in cooperazione con la Germania.

Simon si propone di aggiungere, come ha già fatto nel suo discorso ai Comuni, un apprezzamento favorevole pel contributo che piano francese ha portato alla soluzione del problema. Tale accenno è stato molto gradito dal signor Herriot e Simon è convinto che una sia pure generica parola di riconoscimento della buona volontà francese, che venisse detta dal delegato italiano, sarebbe moltissimo più apprezzata e potrebbe creare atmosfera favorevole, incoraggiando Herriot sulla via delle necessarie concessioni.

Simon mi ha chiesto di sottoporre anche questa sua considerazione all'illuminato giudizio di V. E.

Sarò grato a V. E. di voler impartirmi d'urgenza sue istruzioni, tanto circa opportunità di fare nella seduta di mercoledì prossimo dichiarazioni, nel senso sopra indicato, quanto circa ultimo punto toccato da Simon.

(l) -Cfr. n. 405. (2) -Annotazione a margine: «Visto e approvato da S. E. il Capo del Governo».
426

IL CONSOLE GENERALE A MALTA, SILENZI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3898/92 R. Malta, 15 novembre 1932, ore 17,48 (per. ore 20,35).

Secondo informazioni giunte oggi da Londra a questo Governo, sir John Simon avrebbe richiesto sir Cunliffe Lister di sospendere «per il momento» qualsiasi attitudine o provvedimento ostile alla questione della lingua italiana in Malta, essendo egli interessato ad aver l'appoggio [dell'Italia] in altri campi.

427

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3899/238 R. Vienna, 15 novembre 1932, ore 22,20 (per. ore 5 del 16).

Telegramma di V. E. n. 190 (1). Mi sono recato nuovamente da Peter, per chiedergli se fosse stato decisa pubblicazione comunicato ufficiale.

Dopo avermi fatto presente che cancelleria federale aveva richiamato all'ordine Stumpf, Peter mi ha risposto avere intrattenuto cancelliere sulla questione ma che questi non aveva ritenuto di pubblicare comunicato. Ciò perché pensava che di esso avrebbero profittato partiti e giornali opposizione per attaccare violentemente Governo e perché temeva ripercussioni che comunicato stesso non avrebbe mancato avere in seno alla Dieta Tirolese tuttora aperta.

Ho risposto a Peter che istruzioni nel frattempo ricevute mi obbligavano ad insistere; a vendo egli ripetuto preoccupazione cancelliere austriaco, gli ho domandato se dovessi considerare sua risposta come definitiva e riferire in tal senso a V. E. Mi ha risposto negativamente e che avrebbe riparlato con cancelliere. Gli ho detto che col cancelliere ero pronto parlare io stesso, anche subito, aggiungendo che essendo già passati parecchi giorni dal mio passo, lo pregherei, in ogni caso, farmi sapere qualche cosa al più presto. Si è scusato del ritardo adducendo impegni presi cancelliere in questi giorni lavori parlamentari.

Da alcune frasi pronunciate da Peter -il quale mi ha fatto cenno al silenzio della stampa nostra sull'argomento come indizio di benevoli disposizioni di V. E. -ho ricevuto impressione che si cerchi tergiversare nella speranza che

V. E. prenda in considerazione difficoltà di politica interna di cui si preoccupa cancelliere austriaco.

(l) Cfr. n. 417.

428

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE ROSSO, A GINEVRA

T. 1165/204 R. Roma, 15 novembre 1932, ore 24.

Suo 20/11 (1).

Dichiarazione che Simon si propone di fare corrisponde ad atteggiamento che il Governo italiano ha assunto fin dall'inizio della questione della parità di diritto. Ella può quindi associarsi appoggiandola alla dichiarazione di Simon.

Per quanto riguarda piano Herriot, presi gli ordini da S. E. il Capo del Governo, autorizzo V. E. ad esprimere qualche parola di generico favorevole apprezzamento mantenendosi però entro limiti di un prudente riserbo poiché piano francese almeno in alcune sue parti non ha prodotto qui una impressione del tutto favorevole (2).

429

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA (3)

L. 6664. Roma, 15 novembre 1932.

Ho parlato oggi con il Conte Appony. Ecco quanto testualmente mi ha detto sulla questione dinastica.

«Sono d'accordo con Gtimbtis nel ritenere che la questione non è attuale. Non farò mai un passo per anticipare gli eventi. Sono troppo devoto al giovane Otto, per sollecitarlo a salire sul trono, nell'Ungheria così com'è oggi. Ho toccato questo argomento per dimostrarvi che le mie idee non sono cambiate. Sono tuttavia convinto che il giorno supremo, Gtimbtis sarà d'accordo con me».

Dopo di che mi ha fatto l'elogio della maturità politica ed intellettuale del Principe Otto. Mi ha anche parlato in termini assai simpatici di Gtimbtis. Il «legittimismo » di Appony non crea dunque, imbarazzi a Gtimbtis. Gli comunichi quanto sopra.

430

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E IL SEGRETARIO AGGIUNTO DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, AVENOL

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1932.

Abbiamo passato con Avenol in rivista i principali problemi che si dibattono a Ginevra.

Per il disarmo, Avenol ritiene che la Francia non possa fare una dichiarazione esplicita di riconoscimento di parità di diritto alla Germania. Si rende conto però che bisogna trovare una formula conciliativa perché la Francia stessa non ha interesse di spingere la Germania in una politica di riarmamento.

38 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

Per la questione di un accordo itala-francese sull'armamento navale, Avenol si rende conto della nostra impossibilità di rinunciare al principio della parità. È del resto riservatissimo su questo punto.

Per quanto riguarda la conferenza economica, egli dice di avere appreso con

intima soddisfazione la dichiarazione del Capo del Governo che, fino a che non

si arrivi ad una détente politica non è possibile mettere a posto l'economia. È

una idea che anche egli in questi ultimi tempi ha sostenuto.

Per quanto riguarda il Manciuku6, egli osserva che il rapporto Lytton è

fatto molto bene, ma non crede che la Società delle Nazioni possa applicare la

seconda parte, quella cioè che contiene le proposte conclusive.

Avenol sa che l'idea di Drummond sarebbe quella di fare accettare dalla

Società delle Nazioni la prima parte del rapporto (la parte storico-descrittiva)

e rinviare lo studio della soluzione alle Nazioni interessate che si riunirebbero

sulla base del patto di Parigi. A questo modo si potrebbero fare intervenire an

che gli Stati Uniti e la Russia.

Egli ritiene che la questione del Manciuku6 vada considerata come uno dei

vari problemi della Cina, problema che riguarda tutte le potenze che hanno in

teressi nel Pacifico. Si potrebbe così lasciare aperta la questione del Manciuku6

cercando di aumentare nello stesso una influenza di carattere internazionale

contro l'esclusivismo giapponese senza prendere posizione direttamente contro

l'attuale situazione di fatto.

(l) -Cfr. n. 425. (2) -Il te!. fu redatto sulla base di ua annotazione apposta da Suvich al n. 425. (3) -Autografa.
431

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1932.

Ho ricevuto stamane il Ministro della Corte albanese Ekrem bey Libohova, che si trova da qualche giorno a Roma e che aveva chiesto di vedermi.

Mi ha detto che il Re Zog lo aveva inviato espressamente a Roma per trasmettermi l'invito di andare al più presto a Tirana per cercare con Sua Maestà la soluzione di due questioni che gli stanno molto a cuore: quella dell'Unione doganale e quella della S.V.E.A.

Gli ho risposto molto recisamente che per quanto io tenessi a compiacere il suo Sovrano, nella situazione attuale una mia gita a Tirana mi sembrava fosse per lo meno prematura.

Dopo aver assunto le mie funzioni al Ministero ed aver preso in esame la situazione dei rapporti itala-albanesi, avevo dovuto constatare che le disposizioni da cui si mostravano animate le autorità e per riflesso l'opinione pubblica albanese, nei riguardi dell'Italia e dell'azione che essa svolge a vantaggio dell'Albania, non erano quelle che era lecito attendersi da una Nazione alleata.

Il progetto di unione doganale mi sembrava di assai difficile attuazione. In Italia nessuno la vuole perché ai vantaggi che essa assicurerebbe all'Albania non corrisponderebbero per noi che sacrifici.

In quanto alla S.V.E.A., la questione non può essere risolta separatamente da quella dell'Unione doganale. Esse debbono essere esaminate insieme in modo da poter valutare nel loro complesso i sacrifici che l'Italia si addosserebbe per l'Albania e coordinare le soluzioni che si credesse di dovervi dare.

Ho detto infine a Libohova che lo avrei messo in contatto col Ministro Ciancarelli perché gli procurasse tutti i dati ed i chiarimenti necessari circa il progetto di unione doganale avvertendolo comunque che il giuoco della clausola della Nazione più favorita ci impediva di prendere in considerazione, per il rafforzamento dei rapporti economici itala-albanesi desiderato da Re Zog, forma diversa da quella di una vera e propria unione doganale.

Il tono pessimistico con cui ho risposto a Libohova mi è sembrato opportuno perché ho l'impressione che l'atteggiamento di Re Zog nella questione dell'unione doganale sia determinato dalla convinzione che il noto progetto favorisca i nostri disegni e sia molto più vantaggioso all'Italia che all'Albania. Bisogna quindi correggere l'impostazione della questione convincendo Zog che l'Italia non tiene affatto all'unione doganale con l'Albania e che potrebbe indursi ad accettarla soltanto come un mezzo per aiutare l'Albania a superare le sue difficoltà economiche. Ciò che è l'unico modo per trattare con gli Albanesi.

432

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 15 novembre 1932.

È venuto a vedermi il conte de Zogheb, il cui arrivo a Roma è stato preannunciato da un telegramma del R. Ambasciatore a Parigi (1). Ha espresso il desiderio di ottenere da V. E. un'udienza per il signor Patenòtre, suo amico.

Gli ho detto che mi sembrava difficile che le occupazioni dell'E. V., particolarmente intense in questi giorni, Le avrebbero consentito di aderire a questo desiderio, e mi sono offerto di trasmettere a V. E. le eventuali comunicazioni del signor Patenòtre, che attualmente trovasi a Parigi.

Il Conte de Zogheb mi ha detto allora che Patenòtre avrebbe desiderato far conoscere a V. E. essergli stato detto dal signor Herriot che nel Consiglio dei Ministri a Parigi si è parlato molto delle possibilità di un accordo con l'Italia e che le attuali disposizioni dell'opinione pubblica e del governo francese erano estremamente favorevoli a tale accordo.

433

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3909/579 R. Parigi, 15 novembre 1932 (per. il 17).

Lavori commissione franco-tedesca a Berlino e risultati conseguiti con partecipazione anche del capitale inglese, hanno ritenuta attenzione di questa stam

pa e dei circoli politici. Sono state notate le dichiarazioni scambiate fra Von Papen ed il sottosegretario francese Patenòtre e specialmente quelle dell'ambasciatore francese François Poncet il quale ha parlato di scopi politici in dipendenza di quelli economici raggiunti.

Mi è stato detto da persona degna di fede che la costituzione del sindacato franco-anglo-tedesco e l'atmosfera politica nella quale si è svolto l'avvenimento sono considerati qui, in ambienti di alta responsabilità, come la preparazione ad una seria détente nelle relazioni franco-tedesche.

Mi propongo di controllare la notizia. Credo però che nel valutaria convenga avere presente che, poiché Governo tedesco si propone di ottenere in questo momento il riconoscimento della parità giuridica, ha interesse di calmare le apprensioni suscitate nel Governo francese per l'atteggiamento tenuto nel periodo immediatamente precedente alle elezioni, che qui era stato interpretato quasi di sfida verso la Francia.

(l) Non pubblicato, ma cfr. n. 421.

434

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. 28. Ginevra, 15 novembre 1932.

Col presente rapporto mi propongo di esaminare il progetto francese (quale risulta dal testo definitivo presentato ieri sera alla Conferenza e trasmesso a

V. E. col mio rapporto n. 21 (l)) soltanto nelle sue linee generali, riservandomi di ritornare successivamente ed in modo particolareggiato sulle principali questioni che esso solleva (2).

Economia generale del progetto. Esso non è che l'ultima manifestazione della vecchia concezione francese mirante a dare alla Società delle Nazioni la struttura e le funzioni di un « superstato ».

Questa concezione ha avuto la sua prima manifestazione nel progetto Bourgeois per la costituzione di una forza di polizia internazionale; venne poi il Patto di mutua assistenza del 1923; poi il Protocollo di Ginevra del 1924; infine il piano Tardieu del 5 febbraio 1932.

Trattasi adunque di un nuovo tentativo di organizzazione di un sistema internazionale che risponda alle finalità eminentemente <<conservatrici>> della politica francese.

Idea centrale del progetto. È quella della «sicurezza» che deve essere garantita dall'organizzazione preventiva e del giuoco automatico della <<azione comune » contro l'aggressore.

L'organizzazione della pace ed il disarmo vengono considerati come interdipendenti ed i progressi nei due campi devono procedere parallelamente e sincronicamente.

Universalità e criterio regionale. A fianco di una Convenzione generale che dovrebbe definire gli obblighi di limitazione, di riduzione e di controllo di tutte le categorie di armamenti applicabili a tutte le Potenze, il progetto contempla

un sistema «europeo» e sotto certi riguardi soltanto «continentale», nell'ambito del quale vengono stabilite delle regole più precise e delle misure più estese tanto nel campo della sicurezza, quanto in quello del disarmo.

Il complesso del sistema è stato descritto con l'immagine di tre centri concentrici contenenti tre categorie di obbligazioni: a) quelle di applicazione universale; b) quelle applicabili a tutti i membri della S.d.N.; c) quelle applicabili agli Stati d'Europa e più particolarmente del Continente europeo.

Le proposte concrete del progetto vengono elencate nel Memorandum francese sotto cinque capitoli:

I. -OBBLIGHI DI APPLICAZIONE UNIVERSALE.

Si riassumono nell'idea del Patto Consultivo al quale dovrebbero aderire indistintamente tutti i paesi firmatari della Convenzione.

Secondo il progetto l'obbligo della consultazione implicherebbe però anche l'impegno di « rompere qualsiasi relazione diretta od indiretta, di ordine economico e finanziario, col paese aggressore».

È molto dubbio che il Governo americano, malgrado le dichiarazioni fatte nel passato dal Segretario di Stato Stimson, sia disposto ad assumere formalmente l'impegno della consultazione; anche più dubbio se tale impegno implicasse quello positivo del boicottaggio dell'aggressore.

II. -OBBLIGHI PER TUTTI I MEMBRI DELLA S.D.N.

Il progetto chiede « l'applitazion efficace et loyale >> dell'articolo 16 del Patto, cioè l'impegno di mettere in atto tutte le sanzioni che il Patto stabilisce contro lo Stato che ricorra alla guerra in violazione delle sue disposizioni. Il Memorandum non precisa la portata di questa sua richiesta, ma è evidente che essa mira principalmente ad ottenere da tutti ed in primo luogo dall'Inghilterra -l'impegno di partecipare al « blocco » dell'aggressore. Su questa questione, che è legata a quella precedente, mi riferisco alle osservazioni contenute nel mio rapporto n. 7 del l o novembre (l).

III. -SISTEMA EUROPEO DI SICUREZZA E DISARMO.

Il Memorandum francese non chiede la partecipazione a tale sistema di tutti i paesi come condizione indispensabile, ma osserva che sarà necessaria la partecipazione di un « nombre suffisant de Puissances, compte te nu de leur importance et de leur situation géographique ».

Il sistema comporta delle disposizioni di carattere politico e delle disposizioni di ordine militare.

A) Disposizioni politiche. Si riassumono nell'idea della «mutua assistenza>> nel caso di invasione o di attacco del territorio di una delle parti contraenti.

L'obbligo dell'assistenza verrebbe deciso, a semplice maggioranza, dal Consiglio della Società delle Nazioni.

La questione della definizione dell'aggressore viene risolta con la presunzione che esista aggressione quando si verifica un atto di forza militare (attacco od invasione) del territorio di uno Stato.

La constatazione dell'attacco o dell'invasione viene affidata ad una Commissione nominata in ogni paese dal Consiglio della S.d.N. e composta di agenti diplomatici, addetti militari, navali ed aerei ivi accreditati.

B) Disposizioni militari. Il sistema preconizzato è basato sul seguente concetto: ogni paese avrà un esercito nazionale destinato alla difesa del territorio, ed una forza specializzata da tenersi a disposizione della Società delle Nazioni. A tale scopo vengono suggerite le seguenti misure:

l) Trasformazione delle forze terrestri metropolitane di tutti i paesi dell'Europa continentale in un tipo uniforme di esercito di coscrizione con servizio a breve termine e con effettivi limitati.

Il progetto è rimasto piuttosto vago circa i criteri da applicarsi per determinare la durata del servizio ed il numero degli effettivi. Vi è detto che «la limitazione numerica degli effettivi dovrà essere adeguata alle ineguaglianze ed alle variazioni delle risorse di reclutamento dei diversi paesi » del che sembra potersi inferire che il progetto tende ad ottenere che uno Stato che abbia un forte gettito di leva (come l'Italia) e quindi la possibilità di chiamare alle armi un personale più scelto di quello che -a parità numerica -potrebbe chiamare un altro Stato disponente di uno scarso gettito di leva (come la Francia) debba controbilanciare tale suo vantaggio qualitativo del personale con una diminuzione numerica di esso o con una diminuzione della durata della ferma.

Ugualmente il progetto stabilisce che la durata della ferma venga ridotta in una certa proporzione quando esista in un determinato paese una istruzione premilitare oppure una <<instruction militaire reçue dans les formations politiques ».

Tali disposizioni giuocherebbero evidentemente a svantaggio dell'Italia.

2) L'esercito nazionale di coscrizione verrebbe inquadrato da militari permanenti che il progetto vuole limitati «su basi comuni».

Non si vede bene come potrebbe essere determinata una «base comune» fra paesi di diverso sviluppo sociale e quindi con necessità diverse di inquadramento.

3) L'esercito nazionale non potrà possedere alcun materiale mobile potente, cioè né grosse artiglierie, né carri d'assalto di grande tonnellaggio. Non vengono indicati i criteri precisi per distinguere il materiale potente da quello che verrebbe lasciato agli eserciti nazionali. Da notarsi però che finora sono esistite in seno alla Conferenza gravi divergenze di opinione per la definizione delle «artiglierie mobili potenti» e che la Francia escludeva da tale definizione tutti i calibri inferiori a 250 mm. nonché i carri d'assalto inferiori alle 25-30 tonnellate.

4) Ogni paese avrebbe diritto di mantenere un contingente di azione comune formato di unità specializzate (soldati di mestiere) e munito di materiale potente interdetto agli eserciti nazionali (notiamo subito che con ciò si elude il principio della limitazione qualitativa del materiale). Questi contingenti dovranno essere tenuti in permanenza a disposizione delle S.d.N.

La Commissione Permanente Consultiva della S.d.N. dovrebbe studiare i « mezzi d'impiego » delle truppe speciali. A tale Commissione sarebbero quindi devoluti i compiti di uno Stato Maggiore internazionale.

5) Tutti i materiali interdetti agli eserciti nazionali ed esuberanti per le

forze specializzate del «contingente di azione comune» dovrebbero rimanere

immagazzinati presso lo Stato che li possiede, ma tenuti sotto un controllo in

ternazionale. Detti materiali potrebbero, dietro autorizzazione della S.d.N., es

sere messi a disposizione dello Stato vittima di aggressione, oppure impiegati

dallo Stato che li possiede nei casi di legittima difesa.

6) Tutti i materiali da guerra dei diversi paesi dovrebbero essere gradual

mente unificati (cioè ridotti a dei tipi uniformi). La loro fabbricazione sarebbe

controllata ed organizzata internazionalmente.

7) Controllo permanente. Tutte le Potenze firmatarie verrebbero sottoposte ad un controllo regolare e permanente che comporterebbe una inchiesta sul luogo almeno una volta all'anno.

Il piano francese concepisce la realizzazione delle misure militari sopra elencate attraverso tappe successive che dovrebbero essere regolate in modo da dare a ciascuna delle parti in causa le necessarie garanzie di equilibrio delle forze in presenza.

È evidente che con questa disposizione il piano francese vuole salvaguar

darsi nei riguardi di una trasformazione immediata del sistema tedesco che la

scerebbe alla Germania il vantaggio del suo esercito di mestiere (Reichswehr)

aggiungendovi quello dell'esercito di coscrizione.

IV. -FORZE NAVRLI O FORZE D'OLTRE MARE.

Sono trattate nello stesso Capitolo come quelle la cui limitazione non rientra in un sistema continentale, ma è legata alle forze navali o militari di Potenze che rimarranno estranee all'organizzazione indicata nel capitolo precedente.

Le forze d'oltre mare vengono limitate indipendentemente da quelle metropolitane (ciò che non tiene conto della tesi italiana relativa alle colonie vicine). Esse dovranno essere « calculées et spécialisées pour les missions particulières qui leur incombent ». Si tratterà dunque di «forze specializzate», cioè composte di soldati di mestiere e provviste anche di armamenti non permessi agli eserciti nazionali.

Per le forze navali la Francia accetterebbe il principio della riduzione qualitativa delle caratteristiche di alcuni tipi di navi da guerra, ma non precisa _entro quali limiti.

Quanto alle riduzioni quantitative il Memorandum si riferisce allo spirito del piano Hoover per proporre delle riduzioni di tonnellaggio che lascino intatta la relatività di forze. Nell'applicazione pratica il criterio delle proposte americane viene però deformato, in quanto che la Francia suggerisce una riduzione percentuale uniforme sul tonnellaggio globale dichiarato nel 1931, mentre la proposta americana applicava la riduzione ai tonnellaggi legali accordati dai trattati in vigore (Washington e Londra) e suggeriva che per l'Italia e la Francia venisse preso come punto di partenza per il naviglio leggero di superficie il tonnellaggio previsto dalle basi d'accordo del l o marzo.

È evidente che la proposta francese non potrebbe essere accettata dall'Italia perché implicherebbe una rinuncia al principio della parità.

Il Memorandum francese prevede un regime speciale per le flotte di tonnellaggio globale inferiore alle 100.000 tonnellate.

Esso accenna anche alla possibilità di riduzioni più sensibili di tonnellaggio qualora si possa giungere ad «intese regionali di carattere politico » e parla in modo più particolare di un «patto Mediterraneo».

Si ricorda che l'idea del «patto Mediterraneo>> era stata più volte avanzata dai francesi nelle loro conversazioni private durante i negoziati per la questione navale.

V. -FORZE AEREE.

Il progetto francese contempla la possibilità di far rientrare la limitazione delle forze aeree nel quadro di un «sistema regionale» che implicherebbe: 1°) l'interdizione del bombardamento aereo con la soppressione degli apparecchi da bombardamento; 2°) la creazione di una « unione europea di trasporti aerei » regolante l'impiego dell'aeronautica civile; 3°) la costituzione di unità aeree specializzate dotate di mezzi potenti, da essere messe a disposizione della Società delle Nazioni.

Come ulteriore sviluppo del suo sistema, la Francia non esclude la possibilità della organizzazione di una vera e propria «forza aerea internazionale», risultante dalla cessione alla Società delle Nazioni degli apparecchi da bombardamento vietati alle aeronautiche nazionali.

Circa il primo punto si osserva che, mentre la proposta francese risolleva la questione della definizione dell'apparecchio da bombardamento, nessun contributo viene portato alla sua soluzione pratica.

L'idea di una Unione Europea di trasporti aerei si ispira evidentemente allo stesso concetto del piano Tardieu per la internazionalizzazione dell'aviazione civile, con la sola differenza che nel nuovo progetto l'organizzazione dell'aeronautica civile avrebbe carattere regionale.

La costituzione di unità aeree specializzate che sarebbero messe in caso di bisogno a disposizione delle S.d.N. solleva le stesse obiezioni che erano già state formulate per una misura analoga prospettata dal piano Tardieu. La stessa cosa si può dire per la creazione di una forza aerea internazionale.

Da notarsi finalmente che il progetto francese non fa parola dell'aviazione coloniale.

Il progetto francese vuole essere considerato come un tutto solidale: questa è la conclusione del Memorandum del 14 novembre. È stato spiegato dalla Delegazione francese che tale affermazione non deve interpretarsi nel senso di non ammettersi la discussione e l'eventuale accettazione di emendamenti per quel che riguarda le modalità di applicazione. Vuole dire però che le diverse parti del progetto sono legate l'una all'altra e che le misure di disarmo non potranno essere accettate dalla Francia se non con l'accettazione da parte delle altre Potenze delle corrispondenti misure di garanzia, di sicurezza e di controllo.

È evidente che basandosi su tale principio la Francia si riserva la possibilità di ritirare tutte quelle proposte che, prese per se stesse, avrebbero potuto essere considerate come delle importanti concessioni alle rivendicazioni tedesche.

Poiché non è supponibile che il Governo francese sia persuaso in buona fede della possibilità che il suo progetto possa venire integralmente accettato, è lecito pensare che la presentazione del progetto stesso abbia avuto più che altro una finalità tattica.

(l) -Non pubblicato. (2) -Rosso tornerà sull'argomento con un promemoria per Mussolini del 10 gennaio 1933.

(l) Non pubblicato.

435

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3915/24/12 R. Ginevra, 17 novembre 1932, ore 21 (per. ore 22,30).

Nella seduta stamane dell'ufficio di presidenza, Simon ha pronunciato atteso discorso improntato nella parte tecnica da evidente desiderio rendere possibile ritorno Germania alla conferenza.

Agenzia Stefani ne ha già trasmesso riassunto insieme a mie dichiarazioni e di entrambi invio per posta testo integrale (1). Henderson ha formulato preciso appello per ritorno delegazione tedesca. Ad esso si sono uniti, con brevi dichiarazioni, rappresentanti principali Potenze.

Massigli ha confermato posizione presa da Governo francese col memorandum dello scorso settembre, associandosi per altro a speranza espressa da presidente per ritorno Germania. Egli ha ringraziato delegato inglese e italiano i quali si erano limitati a prendere atto con parole cortesi dell'intenzione espressa nel progetto francese di dare equa soluzione alla questione della parità di diritto.

Norman Davis per gli Stati Uniti d'America ha riaffermato essere giunto il momento per la conferenza di passare alle realizzazioni, menzionando altresi particolare gravità crisi economica che impone riduzioni sostanziali degli armamenti.

Impressione generale è che seduta odierna potrebbe offrire alla Germania, se ne volesse approfittare, buona occasione per considerare acquisiti propri diritti all'eguaglianza di trattamento e far quindi ritorno alla conferenza. Delegazione francese non nasconde sua preoccupazione per notevoli vantaggi segnati oggi a favore tesi tedesca.

436

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3916/241 R. Vienna, 17 novembre 1932, ore 22 (per. ore 4,30 del 18).

Mi riferisco al mio telegramma 238 (2).

Mi sono recato stamane dal cancelliere e gli ho chiesto se avesse deciso pubblicazione comunicato, ripetendo motivi della nostra protesta e della richiesta del comunicato stesso.

Circa due manifestazioni in questione, cancelliere austriaco mi ha ripetuto sua deplorazione dichiarandomi:

l) scambio di note con l'Ungheria -già in preparazione e che potranno preventivamente conoscenza della dichiarazione del Governo provinciale Tirolo e del discorso pronunciato da Stumpf del quale aveva avuto prima notizia solamente attraverso giornale;

2° -che rinnovava a V. E. espressioni profondo sincero rincrescimento Governo federale, tanto più vivo in quanto incidenti si sono verificati con Italia con la quale rapporti sono ottimi.

Circa richiesta dare pubblicazione di quanto precede, mi ha pregato di rendermi interprete presso V. E. della sua viva preghiera di voler prendere in considerazione che pubblicazione in parola non mancherebbe creargli difficoltà molto serie e che essa potrebbe portare danno all'attuazione dei reciproci intendimenti di sviluppare sempre più rapporti politici ed economici itala-austriaci.

Ha soggiunto essere infatti presumibile che si profitterebbe pubblicazione, per riprendere nel caso aspre e larghe discussioni con conseguenti difficoltà per cancelliere anche in seno Gabinetto e suo stesso partito.

Confida pertanto che V. E. accoglierà sua personale preghiera di volerlo esonerare dal dare pubblicità alle sue dichiarazioni di cui ai punti primo e secondo, dichiarazioni che egli non mancherà però di comunicare anche a Stumpf, confermandogli nuovamente ed ufficialmente che questioni politica estera sono esclusivamente competenza del Governo federale.

Avendogliene accennato, mi ha detto incaricherà anche Egger di ripetere a

V. E. quanto mi ha fatto presente nonché sua preghiera. Resto in attesa di conoscere quale risposta debba dare al cancelliere.

(l) -Cfr. n. 439. (2) -Cfr. n. 427.
437

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 novembre 1932.

Le misure di pratica realizzazione delle conversazioni avute con Gtimbtis, potrebbero essere le seguenti:

l) scambio di note con l'Ungheria g1a m preparazione e che potranno essere firmate al principio della prossima settimana -sulla costituzione della Commissione Mista che si riunirà alternativamente ogni due mesi in Ungheria e in Italia. La prima riunione dovrebbe aver luogo verso la fine del mese. La Commissione Mista si occuperà di stabilire l'utilizzazione dei 25 milioni dell'accordo del Semmering e di cercare, con un esame di dettaglio, tutte le altre possibilità per un aumento di traffici fra l'Italia e l'Ungheria.

2) Passo (l) che il nostro Ministro a Vienna dovrà fare presso il Cancelliere Dollfuss, in relazione ai colloqui Dollfuss-Gtimbtis per fargli sapere che l'Italia condivide il punto di vista ungherese, la necessità cioè di rinforzare il governo austriaco, appoggiandosi su delle organizzazioni di tendenza nazionale

a carattere militare (Heimwehren) costituendo poi un vero e proprio esercito sul quale il governo possa contare. Se si adottano queste direttive, l'Italia è disposta a discutere gli eventuali appoggi da dare al Cancelliere Dollfuss.

3) Passo da fare dal Ministro italiano a Vienna e presso la Legazione austriaca a Roma, in relazione alle pratiche già iniziate l'altr'anno per una unione doganale itala-austriaca-ungherese e riprese quest'anno con l'appunto del Ministro austriaco a Roma (l) e in occasione della visita Gombos.

Il Cancelliere austriaco ha fatto sapere di essere d'accordo per l'intensificazione degli scambi fra i suddetti paesi arrivando, se possibile, in forma larvata, fino ad un accordo tipo Zollverein. Il Cancelliere vede come mezzo per arrivare a questo fine, un allargamento degli accordi del Semmering. Si potrà rispondere che, aderendo al punto di vista espresso dal Cancelliere, di arrivare ad una forma di libero scambio fra i suddetti paesi, si è disposti a iniziare delle trattative al riguardo. Non pare tuttavia che il metodo proposto (quello cioè dell'allargamento degli accordi del Semmering) sia atto a portare al detto risultato.

Per la discussione di questo problema, che deve essere tenuta nei termini più riservati, si propone di nominare tre persone -una per ogni paese interessato -che potranno riunirsi verso la fine dell'anno corrente o al principio del prossimo. Nel frattempo bisogna prendere accordi col Governo ungherese per stabilire un accordo preventivo fra l'Italia e l'Ungheria.

4) Esecuzione degli accordi per la liquidazione delle pendenze di guerra, firmati durante la permanenza di Gombos a Roma (2).

(l) Annotazione a margine: «Vedi telegramma 212 a Vienna ». Cfr. n. 480.

438

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 17 novembre 1932.

Patenòtre, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio francese, di ritorno da un viaggio a Berlino, è stato richiesto da Herriot del suo avviso intorno alla situazione europea la cui gravità impone alla Francia di cercare al più presto un accordo con la Germania o con l'Italia.

Patenòtre ha risposto che a suo avviso la via da seguire sarebbe cercare un accordo con la Germania attraverso l'Italia. Egli vorrebbe cioè concludere intanto un accordo con l'Italia per venire poi assieme ad un'intesa con la Germania.

Appare in ogni caso che negli ambienti di Governo in Francia nessun piano preciso è ancora formato, che l'atmosfera non è ancora limpida, ma che viene svolgendosi un processo di chiarificazione verso un accordo fra le grandi Potenze europee (3).

(2ì Annotazione a margine di Mussolini: « Sta bene -Dare corso ».

Allegato appunto di Buti: «Sarei d'avviso dl segnalare la cosa a Londra, Parigi e Berlino per riservata informazione di quei regi Ambasciatori 22 nov. 32 XI ». Cfr. Infatti n. 500.

(l) -Cfr. n. 380 (3) -A margine appunto di Suvich: «Il Capo del Governo ritiene la cosa Interessante -Seguirla».
439

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3961/26/13 R. Ginevra, 17 novembre 1932 (per. il 22).

Faccio seguito al mio telegramma odierno per filo n. 24/12 (1), relativo alla discussione avvenuta in seno all'ufficio di presidenza della conferenza sul tema: «uguaglianza di diritti».

Come l'E. V. rileverà dal testo integrale delle mie dichiarazioni, trasmesso con rapporto n. 25, io ho fatto allusione al progetto francese in due punti:

0 ) -anzitutto per mettere in evidenza l'affermazione del presidente Henderson, il quale aveva detto che <<le dichiarazioni di Simon, come quelle fatte precedentemente dal Capo del Governo italiano, e lo stesso Memorandum del Governo francese, mostravano essere unanime l'intenzione di riconoscere il principio dell'uguaglianza di diritti». Per rafforzare questa interpretazione forse leggermente arbitraria -di Henderson, io ho dichiarato «che potevo associarsi alle conclusioni che il presidente aveva creduto di poter trarre dalle dichiarazioni di sir John Simon come da altre manifestazioni di buona volontà, fre le quali mi piaceva ricordare anche quella contenuta nel preambolo del memorandum della delegazione francese del 14 novembre».

La frase del memorandum alla quale facevo allusione era evidentemente quella in cui è detto che << la dèlégation française a la ferme confiance que ses propositions permettraient de donner à ce problème (quello dell'uguaglianza), dans l'intéret de la paix générale, une équitable solution... ».

2°) -Ho parlato ancora del piano francese nella seconda parte delle mie dichiarazioni in cui ho voluto mettere in rilievo come la presentazione di successivi progetti (piano Hoover, piano francese, proposte inglesi) mettevano la conferenza davanti ad una massa di materiale che occorreva coordinare al più presto per poter fare un utile lavoro. In proposito ho parlato del piano francese come di un «progetto molto ambizioso che la delegazione italiana stava studiando con tutta l'attenzione, tutto l'interesse e con lo spirito di obbiettività che gli autori del piano erano naturalmente in diritto di attendersi da tutti».

Il signor Massigli, equivocando -suppongo volontariamente -sul senso di questi miei accenni al piano francese, ha ringraziato sir John Simon (che l'aveva fatto) ed il delegato italiano (che non l'aveva fatto) «per l'omaggio che essi avevano reso alla sincerità ed alla importanza del memorandum francese».

Nei loro commenti sulla seduta odierna, è probabile che la stampa governativa francese riprenda l'interpretazione di Massigli. Ed è per questo che ho creduto doveroso precisare le cose a scanso di possibili equivoci.

(l) Cfr. n. 435.

440

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. POSTA 8437/1844. Belgrado, 18 novembre 1932.

Trasmetto qui unito un rapporto (2) del R. Console Generale in Spalato che informa delle gravi violenze usate contro due nostri pacifici connazionali dimoranti nella località Bobovisce-Lozisce di Brazza. È con piacere che può essere espresso come grazie al pronto intervento del Comm. Segre ed alla premura ed onestà di intendimenti del Bano di Spalato, Jablanovich, l'incidente ha avuto la chiusura più soddisfacente che potesse essere desiderata.

È ormai così provato come fino ad ora la linea di condotta adottata in confronto dei nostri interessi e dei nostri connazionali in Dalmazia dal Bano Jablanovich sia sostanzialmente differente da quella dei suoi predecessori e sia animata da intendimenti di pacificazione e di giusta comprensione della situazione alla quale non eravamo abituati.

Penso quindi che il Comm. Segre possa agevolmente approfittare di tale buona volontà per ogni futura occasione, cercando anche dal canto suo di eliminare quelle asperità e quegli atteggiamenti dei nostri connazionali che, anche se inspirati ai più legittimi sentimenti patriottici, possono rendere meno agevole l'opera che il dott. Jablanovich sembra essersi proposto nell'assumere le sue nuove funzioni.

Se però tale incidente ha avuto una felice soluzione non è possibile disgiungerlo dalla situazione generale che nelle ultime settimane sembra essersi aggravata in Jugoslavia nei riguardi dei nostri connazionali, e che merita di essere esplicitamente rilevata.

L'incidente di Brazza può ragionevolmente determinare nel Comm. Segre il vago sospetto che esso possa essere in qualche modo provocato dalla pubblicazione della lettera del tenente Pozza (vedi mio rapporto n. 8338/1809 del 15 corrente e rapporto odierno che trasmette quello del Comm. Segre sul medesimo argomento), lettera scritta con imperdonabile leggerezza (3). Ma si può anche affermare che la recrudescenza degli incidenti a danno di nostri connazionali coincide con la tendenziosa campagna di stampa a proposito di presunta partecipazione ed aiuti italiani nella rivolta della Lika. Invero da che le cosidette rivelazioni e le cosidette prove di tale partecipazione sono state date larghissimamente alla stampa dagli uffici di governo, l'atmosfera intorno ad ogni cosa italiana in Jugoslavia è divenuta estremamente diffidente e sospetta, iniziando uno dei periodi che giudico fra i più difficili fra quanti abbia attraversato da quattro anni e mezzo che mi trovo in questa Missione. Da tre settimane si può affermare che quasi quotidianamente questa Legazione ha dovuto intervenire per fatti maggiori o minori che indicano e nelle popolazioni ma soprattutto nelle autorità periferiche un singolare nervosismo verso ogni movimento ed

ogni attività italiana. Di tale nervosismo ed inquietudine questa Legazione sente i precisi riflessi intorno a sé, ed anche nelle sue relazioni quotidiane ufficiali e sociali.

Enumero i principali incidenti di questi ultimi giorni.

Su alcuni di essi ho già riferito, su altri mi riservo riferire a soluzione ultimata. Su altri, come quello del Crespi, mi riservo riferire al più presto:

0 ) Incidente occorso alla connazionale Flora Behar Caleff in Sofia incidente segnalatomi da quel R. Ministro (mio telepresso documentato n. 8067/1702 del 28 ottobre 1932) (1).

2°) Incidente Brandicich Germano. Mio telespresso n. 8065/1700 del 28 ottobre e n. 8223/1774 dell'8 Novembre corr.

3°) Uccisione di un connazionale (poi identificato per il nominato Janko Muskat) che ha passato la frontiera a Leskovica (mio telespresso n. 8301/1793 dell'll novembre u.s.);

4°) Incidente Covacevich G.B.;

5°) Incidente Ciuchi Ezio (mio tel espresso 7286/1671 del 24 ottobre);

6°) Espulsione dal territorio jugoslavo del connazionale Tiberio Vittorio (mio telespresso 8286/1790 del lO novembre u.s.);

7°) Incidente Crespi.

8°) Incidente dott. Pietro Glico cui si riferisce il presente rapporto.

(l) -Inviato per conoscenza al console generale a Spalato. (2) -Non si pubblica. (3) -Non pubblicati. Il giornale Vreme aveva pubblicato una lettera di Pozza a un contadino jugoslavo, lettera nella quale Pozza alludeva a una prossima soluzione della questione dalmata.
441

IL MINISTRO A SHANGHAI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 3943/952 R. Shanghai, 19 novembre 1932, ore 12 (per. ore 5,40 del 20).

Telegramma di V. E. n. 291 (2).

Ringrazio l'E. V. cortese comunicazione e mi permetto informare che per parte mia concordo circa opportunità sostenere a Ginevra rapporto Lytton e condivido interamente ragioni indicate da V. E.

Indipendentemente da condizioni politiche generali, e limitando invece mio giudizio all'esame dei nostri interessi in Cina, devo concludere che la linea di condotta fino ad ora seguita è per noi la più vantaggiosa. Governo e popolo cinese considerano atteggiamento italiano aperto e amichevole. Ciò è valso a richiamare sul nostro paese una simpatica attenzione, ha molto contribuito a determinare il rapido incremento che si è verificato nei nostri interessi e servirà certamente ad aumentare larghe possibilità di espansione cui V. E. fa cenno nel suo telegramma sopra indicato.

Nostro cambiamento di atteggiamento produrrebbe qui una reazione sensibile e dannosa per le nostre attività che sono ora in periodo di delicato sviluppo. Di ciò ne ebbi la prova quando questa ... (l) diffuse notizia circa favorevoli commenti italiani al riconoscimento Manciukuo (mio telegramma n. 782 del 16 settembre) (2). D'altra parte, a mio modo di vedere e limitando anche in tale questione l'esame alla Cina, a noi converrebbe arginare per quanto è possibile invadenza giapponese che nel suo assoluto esclusivismo, tende a stroncare ogni possibilità di espansione straniera su questi vastissimi mercati.

Ho già avuto occasione di segnalare all'E. V., con mio telegramma n. 944 del 16 corrente (2), quanto si sta verificando per la nostra esportazione della seta artificiale: un identico fenomeno, che appare molto impressionante, sarebbe destinato a riprodursi e ad intensificarsi rapidamente in ogni campo se al Giappone fossero lasciate mani libere.

Allo stato delle cose mercato mancese, fino dove almeno si estende controllo del cosidetto Manciukuò, è aperto soltanto al commercio giapponese; le altre Potenze vi hanno perduto quasi totalmente ogni possibilità di penetrazione, essendo state poste in condizione di evidente inferiorità.

Nostro console Harbin mi segnala infatti, in data 10 novembre, che «in generale tutti i prodotti nipponici riescono ad arrivare sul mercato mancese, senza pagare dogana».

Per quanto poi più direttamente ci riguarda, competizione Giappone appare in particolar modo pericolosa: per la natura delle economie dell'Italia e del Giappone sotto alcuni aspetti similari (importazione materie prime e esportazione prodotti manufatti) i prodotti dei due paesi sono sventuratamente destinati a farsi la concorrenza.

Incalcolabile potenziamento del Giappone e lo sviluppo successivo delle sue industrie, malgrado suo più o meno diretto dominio sulla Manciuria (che è la più ricca regione Asia) e il conseguente controllo su tutto il nord della Cina, produrrebbero ben presto effetti di grandissima portata che verrebbero risentiti dal nostro commercio, non solo sul mercato cinese, ma anche su tutti gli altri, compresi quelli ben più vicini all'Italia e sotto la sua naturale influenza.

Mentre mi sono permesso segnalare all'E. V. quanto appare a chi giudica situazione, osservando in Cina sviluppo avvenimenti e la più diretta conseguenza, assicuro l'E. V. che per parte mia non mancherò di segnalare tempestivamente tutti gli elementi che possano apparire di qualche utilità.

Per quanto riguarda poi azione dei nostri deJegati Ginevra, potrebbe forse esser utile che essi, qualora lo ritengano essere opportuno, facessero presente, nella forma debita, ai delegati cinesi valore aiuto dato dall'Italia alla Cina, fin dall'inizio conflitto, e rammentassero loro che il Governo fascista attende con legittimo interesse soluzione delle due importanti questioni dell'indennità boxers e del consolidamento prestiti. Ritengo che simile pressione potrebbe facilitare trattative in corso con questo Governo, trattative che ora procedono lentamente a causa della riluttanza che alcuni di questi uomini di Governo mostrano ad affrontare, in questo momento, una questione delicata e di larga risonanza anche nei rapporti tra la Cina e le altre nazioni.

(l) -Questo e i telespressi citati più avanti non sono pubblicati. (2) -Cfr. n. 422. (l) -Gruppo indecifrato. (2) -Non pubbllcato.
442

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI

T. 1177/199 R. Roma, 19 novembre 1932, ore 17,30.

Suoi telegrammi 238 e 241 (1).

Convengo in opportunità non insistere per pubblicità deplorazione. Ella può fare in proposito comunicazione a nome S. E. il Capo del Governo. Con l'occasione potrà però anche richiamare attenzione su atteggiamento parte codesta stampa specialmente della Reichspost e N eue Freie Presse come da sua segnalazione rapporto 14 corrente (2).

443

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3939/697 R. Berlino, 19 novembre 1932, ore 19,40 (per. ore 23).

Ebbi stamane colloquio con Biilow che riassumo.

Ambasciatore di Francia si è recato ieri da lui lagnarsi fortemente commenti stampa tedesca progetto Herriot e aveva comunicato che quest'ultimo era irritatissimo contro Berlino e si domandava che cosa voleva in fondo Germania. Francia non poteva strappare trattato di Versailles. Progetto Herriot rappresentava massimo rassetto attuale. Anziché rilevare suoi difetti, sarebbe stato più opportuno riconoscere che esso era unico progetto che può portare accordo fra tutti Stati e cercare facilitarlo.

Biilow aveva risposto che a Berlino non si poteva essere soddisfatti progetto, dato che non menzionava riconoscimento parità diritti per Germania e viceversa si dilungava per argomenti discussi ormai da molto tempo che riteneva costituire garanzie per sicurezza. Mentre la Francia evitava riconoscere parità diritti teorici alla Germania, le rinfacciava voler riarmare. Progetto Herriot, poi, menzionava armi offensive da distruggere, ma non diceva che Germania avrebbe potuto possedere, sia pure in numero limitato, quelle che sono considerate armi difensive. Ciò prova che la Francia vuole mantenere Germania stato di inferiorità diritti.

Biilow ha aggiunto aver discusso stamane a lungo con von Neurath atteggiamento da tenere Ginevra delegazione tedesca. Era stato convenuto che Neurath avrebbe conferito con Simon brevemente, gli avrebbe detto che le sue dichiarazioni Parlamento dovevano dividersi in due parti, la prima delle quali concerneva riconoscimento alla Germania godere parità diritti teorici per gli armamenti, cosa di cui essa gli era grata; seconda concerneva applicazione pratica teorica e su questo punto vi sarebbe stato tempo discutere conferenza di

sarmo. Neurath avrebbe quindi ricorso buoni uffici Simon perché ottenesse da

delegazione francese stesso riconoscimento teorico parità diritti che era stato

già dato dall'Italia, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti.

Avendo detto che egli dubitava che la Francia avrebbe modificato atteg

giamento negativo, gli domandai che cosa avrebbe in tal caso fatto Germania.

Ha risposto che forse Germania si sarebbe accontentata riconoscimento

esplicito propria parità diritti da parte altre Potenze, purché Francia promet

tesse non porle ogni momento bastone fra le ruote, invocando proprio non rico

noscimento.

Biilow ha precisato che in un primo tempo, cioè nel corso prossima conferenza disarmo, Germania, dopo ottenuto riconoscimento, intendeva far valere principio che non si poteva teoricamente impedirle proprio armamento, meccanizzandolo, se tale trasformazione stava avvenendo in altri Stati. Essa avrebbe chiesto ciò senza per altro chiedere aumentare proprie forze armate. Desiderava infatti seguire consigli del Duce, procedere con moderazione. Soltanto in un secondo tempo e cioè fra cinque, dieci anni, in occasione una seconda conferenza disarmo, Germania avrebbe chiesto poter armarsi maggiormente qualora altri Stati, contrariamente propositi manifestati, non si fossero messi su via effettivo disarmo.

(l) -Cfr. nn. 427 e 436. (2) -Non pubblicato.
444

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA

T. 11369/143 P. R. Roma, 19 novembre 1932, ore 24.

Questo ministro d'Austria ha qui comunicato stasera che cancelliere federale e ministro commercio Jakoncig sono in procinto recarsi Budapest per conclusione nuovo trattato commercio austro-ungherese.

Prego V. S. volermi rif,erire appena possibile quanto le sarà dato appurare circa genesi, scopi e risultati del viaggio.

445

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 3953/31/14. Ginevra, 19 novembre 1932 (per. ore 20,10 del 21).

Faccio seguito al mio telegramma per filo n. 20/11 del 14 corrente (1).

Nella conversazione che ebbi col Segretario di Stato britannico subito dopo il suo arrivo a Ginevra, Simon mi parlò della questione navale, pregandomi anzitutto di metterlo al corrente delle conversazioni avute da Norman Davis con S. E. il Capo del Governo (2). Mi chiese poi di fargli conoscere a titolo personale su quali basi io credevo avrebbe potuto essere discusso un nostro accordo con la Francia.

39 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Tenendo presente il punto di vista che mi era stato comunicato dai rappresentanti della R. marina, dissi a Simon che un accordo itala-francese doveva soddisfare alle seguenti condizioni:

l) abbassamento del livello del tonnellaggio sottomarino francese fino alla cifra accettata a Londra dalle tre Potenze oceaniche;

2) eguaglianza di tonnelLaggio per Italia e Francia nei futuri programmi di costruzione di naviglio leggero di superficie (incrociatori leggeri e cacciatorpediniere);

3) mantenimento dello statu quo per gli incrociatori da 10.000 tonn. (parità di fatto);

4) mantenimento dello statu quo per le navi di linea e le navi portaaerei (parità di diritto già sancita dal trattato di Washington).

Simon prese nota di questi punti per parlarne con i suoi esperti navali.

In questi ultimi giorni hanno avuto luogo attivi scambi di vedute al riguardo fra delegazione britannica e delegazione americana ed i nostri esperti navali si sono tenuti in stretto contatto tanto coi loro colleghi anglo-sassoni ed americani quanto con gli esperti francesi. Con questi ultimi essi non hanno ingaggiato alcuna conversazione, ma parlato unicamente a scopo di sondaggio.

Stamane il membro della delegazione americana signor Dulles è venuto a dirmi che gli esperti francesi (fra cui Massigli) erano partiti per Parigi per sottoporre al ministro della marina le idee che erano state dibattute in questi giorni a Ginevra. Egli aveva l'impressione che gli esperti francesi non fossero sistematicamente ostili a negoziare nei limiti indicati dall'Italia, ma che naturalmente la possibilità di farlo sarebbe dipesa principalmente dalle decisioni di Parigi. Ha aggiunto che anche la delegazione britannica sembrava favorevole, pur considerando la media annua di costruzioni di naviglio leggero di superficie (da noi indicata a titolo di esempio nella cifra di 12.000 tonn.) come troppo alta. Ha detto infine che nei riguardi dei sottomarini Stati Uniti ed Inghilterra erano d'accordo con noi per chiedere una diminuzione del livello francese e che pressioni in tale senso sarebbero state da essi esercitate «nel loro proprio interesse».

Al ritorno a Ginevra degli esperti francesi nei primi giorni della prossima settimana sarà possibile di rendersi conto se la Francia intenda veramente iniziare conversazioni in materia navale con la sincera intenzione di giungere a dei risultati positivi.

446.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 11422/208 P. R. Roma, 21 novembre 1932, ore 24.

Prego V. E. di dire a Sir John Simon che S. E. il Capo del Governo lo ringrazia vivamente per la sua lettera (l) e che ha esaminato attentamente le sue proposte che trova molto interessanti.

(l) -Cfr. n. 425. (2) -Il colloquio aveva avuto luogo il 9 novembre. Non se ne è trovato Il verbale.

(l) Non rinvenuta.

447

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 21 novembre 1932.

l) Il Governatore dell'Eritrea ha riferito largamente in questi ultimi giorni sulla rivolta scoppiata nell'Assir contro le autorità hegiazene. Egli ha sollecitato l'autorizzazione di consentire ai fuorusciti hegiazeni l'acquisto di armi per rifornire i ribelli.

La Direzione Generale Affari Politici (!Il) propone di rispondere al Governatore dell'Eritrea secondo il telegramma accluso (l) e per le ragioni ivi indicate.

L'invio di armi ci metterebbe male con Ibn Saud che è nostro interesse sostenere in quanto è l'unico anello nella catena (Iraq -Transgiordania -Hegiaz) che non sia infeudato alla politica inglese; non sappiamo inoltre quanto verrebbe gradito dall'Imam Yahia con cui siamo in rapporti amichevoli in quanto non è stato ancora accertato (né il Governo dell'Eritrea ci dà notizie precise su questo punto) se la rivolta si proponga fini che possano piacere all'Imam.

2) Lo stesso Governatore dell'Eritrea ha anche suggerito l'invio dello stazionario del Mar Rosso (R. Nave «Arimondi ») sulle coste dell'Assir per seguire gli avvenimenti, analogamente a quello che hanno fatto gli Inglesi inviando la nave « Hastings ».

A questo proposito la Direzione Generale Affari Politici (Ufficio !ID si riferisce all'ultimo paragrafo del telegramma allegato (2).

448

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E IL DELEGATO DEL GIAPPONE ALLA SOCIETA DELLE NAZIONI, MATSUOKA

APPUNTO. Ginevra, 21 novembre 1932.

Matsuoka, giunto ieri a Ginevra da Londra e Parigi, è venuto stamane a pregarmi di trasmettere a V. E., con l'espressione del suo rammarico, le sue scuse per non aver potuto per mancanza di tempo passare per Roma prima della riunione dell'Assemblea. Mi ha espresso il desiderio di venire a rendere omaggio a V. E. subito dopo i lavori.

Ha tenuto a dirmi che le notizie messe in giro circa negoziati da lui intavolati a Mosca durante il suo ultimo soggiorno in quella città non hanno alcun fondamento. Egli ha bensi visto Litvinoff, Karakhan e Patek ma, privo

S. -E. Mussollni ».

come era di qualsiasi veste ufficiale, non ha potuto abbordare con essi alcun problema specifico e ha dovuto limitarsi a conversazioni politiche di carattere generale.

Parlando poi dell'odierno inizio della discussione sulla Manciuria, mi ha così commentato il programma giapponese di intransigenza: «da questa discussione il Giappone si aspetta il tutto o il nulla sicuro come è che, nel caso che dovesse cedere e far qualche concessione, dovrebbe fra 20 anni scontarla con una guerra». «Su questo punto -ha aggiunto -non vi è differenza di partiti in Giappone».

Questa intransigenza del signor Matsuoka è messa fortemente in rilievo da tutta la stampa locale. Credo però che si tratti di una manovra.

(l) -Cfr. n. 459. (2) -Annotazione a margine: <<Consegnato al Gab. Min. il 22 novembre». Altra annotazione del 23 novembre: «Visto da S. E. Il Capo del Governo. Il telegramma è partito a firma di
449

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. s. 6970. Roma, 21 novembre 1932.

Mi reco ad onore di trasmettere all'E. V. copia di lettera direttami dal Governatore dell'Eritrea intorno all'oggetto sopra specificato (1).

S. E. Astuto non ci racconta niente di nuovo e che non sia già stato con

siderato da cotesto e questo Ministero. Per mio conto:

a) non sono così ottimista nei riguardi del processo di dissoluzione dell'Etiopia. Lo si è già visto; per ora l'autorità imperiale sa bene imporsi alle sue popolazioni;

b) non credo ancora al sincero, crescente disinteresse della Francia al problema Abissino e credo ancor meno che essa possa pensare a futuri vantaggi per sé se noi avessimo colà predominio;

c) confermo la mia opinione che, in fondo, sostanzialmente il problema etiopico si impernia in una questione finanziaria e che quindi ogni nostra intrapresa debba avere il sicuro appoggio del denaro.

Intanto io ritengo che per ora nulla sia da mutare all'indirizzo preso e concordato nella seduta interministeriale del 5 novembre corrente ·(2). I nostri preparativi militari procedono alacremente, non solo in linea di studi; ma in quella reale dei provvedimenti.

Infine si deve saper essere anche un poco fatalisti: questo è il nostro mezzo-secolo, e c'è la fede che l'avvenire, anche in Etiopia, è per l'Italia Fascista.

ALLEGATO

ASTUTO A DE BONO

N. s. 1291. Asmara, 7 novembre 1932.

Con vari rapporti ho prospettato a V. E. le mie idee sul problema etiopico considerato dal punto di vista militare; ho fatto alcune proposte, e ho iniziato -in base alle istruzioni di V. E. -la necessaria preparazione nei limiti, assai modesti, delle disponibilità di bilancio.

Mi sembra ora giunto il momento di esaminare il problema dal punto di vista politico, riassumendo quanto in molte occasioni ho scritto e detto e traendone delle conseguenze di carattere generale.

In linea pregiudiziale e di massima deve dirsi che la soluzione del problema etiopico si impone. Questo deve essere posto a base di ogni nostra azione politica. Ignorare o trascurare questa pregiudiziale equivarrebbe a chiudere gli occhi per non vedere.

Deve anzitutto ritenersi come assiomatico che le uniche possibilità di espansione coloniale per il nostro Paese si possono rinvenire sull'altipiano etiopico, per la semplice, limpida, incontrovertibile ragione che oramai soltanto in Africa si può -da qualsiasi Potenza Europea -pensare ad espansioni coloniali e che l'altipiano etiopico è -insieme con la Liberia -l'unica parte dell'Africa che non appartenga a qualcuna delle suddette Potenze. Non vi è bisogno di addentrarsi nei labirinti della politica internazionale per comprendere che è più facile prendere quello che è per ora {ammettiamolo pure) soltanto ipotecato da altri, che non quello che da altri è già occupato.

Vi è poi un'altra considerazione, che posso accennare di scorcio, perché richiederebbe da sola una lunga trattazione. Quello che sta avvenendo adesso nel. mondo deve indurci a ritornare al concetto originario di « colonia » e cioè alla occupazione di un territorio per riempirlo almeno in parte di popolazione propria. Le Colonie non di popolamento sono sempre precarie, e su esse non può basarsi l'avvenire della Potenza dominatrice. Il secolo XX sarà il secolo dell'Africa, ma nel senso che essa diventerà sempre più un'appendice e un prolungamento dell'Europa. L'Africa cioè apparterrà alla razza o alle razze che l'avranno popolata, all'ombra -beninteso -della propria bandiera. A questa esigenza risponde l'altipiano etiopico, dove potrebbe sorgere veramente un prolungamento etnico dell'Italia, sopratutto qualora ci si liberasse da alcuni preconcetti sentimentali che -nel campo coloniale -rappresentano una ripercussione e un adattamento degli «immortali principi». Le razze superiori hanno il diritto e il dovere di imporsi e di sovrapporsi e di sostituirsi a quelle inferiori.

Ma, a parte questa prima considerazione che non ha -lo riconosco -carattere di necessità (ove non si voglia considerare -come io però la considero! -necessaria e fatale l'espansione dell'Italia nel mondo) vi è poi un altro argomento, che invece tale carattere di necessità presenta in modo spiccato.

Il così detto stato Etiopico, questo strano ed anacronistico residuo barbarico che per ragioni varie ed in gran parte indipendenti da una sua intrinseca forza vitale occupa ancora una delle parti più belle e più interessanti del Continente Africano, è giunto -inevitabilmente -ad una svolta della sua storia. Così com'è non può restare; e Tafari del resto l'ha ben compreso e cerca di compiere una laboriosa ed incerta trasformazione.

Non credo possibile questa trasformazione per una infinità di ragioni, che sarebbe qui troppo lungo esporre.

Ma è in ogni modo fuori dubbio che una simile trasformazione non potrebbe indirizzarsi (e i sintomi di ciò sono del resto già ben chiari e palesi) se non sulle vie maestre del nazionalismo e dell'irredentismo. Queste vie conducono -inevitabilmente -all'altipiano eritreo ed anche a rivendicazioni imperialistiche verso la bassa valle dell'Uebi Scebeli. L'opera intrapresa da Tafarì lo spinge quindi di necessità ad urtarsi contro di noi.

Se invece una trasformazione civile dell'Etiopia è impossibile, il tentarla -come Tafarì sta facendo -non può che accrescerne ed accelerarne il processo di dissoluzione, processo che in un certo momento potrebbe anche assumere un aspetto tragico, con dannose ripercussioni per i suoi vicini e cioè sopratutto per noi. Il giorno in cui a questa dissoluzione si fosse vicini noi dovremmo intervenire sotto pena di vedere preclusa per sempre la via di una nostra espansione coloniale e di vedere Eritrea e Somalia condannate a restare per sempre due tronconi di colonie, e null'altro.

Quindi nell'una e nell'altra ipotesi un nostro intervento attivo per risolvere a nostro vantaggio il problema etiopico mi sembra imposto da una assoluta necessità.

Come ho ricordato in principio, mi sono occupato finora con v. E. della parte militare di questo problema. Ma essa non è la più importante, se pure è l'unica di cui Ministro delle Colonie e Governatore dell'Eritrea possono direttamente occuparsi.

Il problema etiopico è un problema di politica internazionale anche da un punto di vista strettamente formale e diplomatico, perché è stato come tale impostato nel trattato tripartito del 1906. Da ciò non può assolutamente prescindersi.

Sarebbe quindi un grandissimo errore il credere che una qualsiasi soluzione possa trovarsi per altra via che non sia quella di uno sviluppo e di una evoluzione a nostro vantaggio dei principi che furono posti a base di quel trattato, ingranati con l'altro principio dei compensi coloniali a mente del Patto di Londra.

Non ho nessuna competenza come Governatore dell'Eritrea per parlare e discutere di questioni di politica internazionale, soprattutto perché è ovvio che la questione etiopica viene ad incardinarsi con quella -di primissimo piano -dei nostri rapporti con la Francia posso però e debbo dire che la soddisfacente risoluzione della questione politica internazionale renderebbe di secondaria importanza quella militare, di carattere e portata locali.

Dal punto di vista internazionale noi dovremmo ottenere:

1°) la defenestrazione dell'Abissinia dall'Assemblea Ginevrina;

2°) la impossibilità per l'Abissinia di rifornirsi ulteriormente di armi e munizioni, ciò che già adesso la recente Convenzione di Parigi consente, qualora vi sia su ciò l'accordo fra le tre Potenze tripartite.

Ottenuto questo duplice risultato, la ftne dell'Abissinia potrebbe ottenersi per «asflssia » e con una energica ed abile «politica periferica », di cui soltanto allora si paleserebbe la grande utilità.

Per ora una simile politica sarebbe sempre utile, ma soltanto come emcace preparazione per successivi sviluppi, che potrebbero soltanto essere quelli sopra indicati.

Raggiunti i quali, il problema militare sarebbe assai semplificato, e potrebbe eventualmente limitarsi a un seguito di successivi graduali interventi, senza dovere assumere la portata di una vera e propria campagna militare. Ciò renderebbe anche graduale, e quindi assai più facile, l'occupazione e l'organizzazione del territorio.

In base alla conoscenza (parziale ma non trascurabile) che dall'Eritrea può aversi delle cose etiopiche, credo si possa affermare che la main mise, che la Francia durante e subito dopo la guerra europea poteva fondatamente ritenere di aver posta sulla Abissinia oramai più non sussiste. Ciò perché da una parte Tafarì ha compreso a che cosa conduceva il gioco francese (e cioè ad un larvato protettorato sull'Abissinia) e poi perché i gruppi politici cui si appoggia sono tipicamente xenofobi. Quindi la Francia ritornado sulla via del tripartito (riveduto e corretto per ingranarvi come ho detto il principio dei compensi coloniali) non sacrificherebbe un suo programma etiopico che è ormai (per quello che valgono le previsioni umane) irrealizzabile. Rinuncierebbe soltanto (ciò che va indubbiamente tenuto presente) ad una posizione politica, che le permette, e le permetterebbe ancora di più in determinate circostanze, di creare all'Italia ostacoli e difflcoltà.

D'altra parte, poiché io credo che in qualsiasi ipotesi una rinuncia della Francia ai suoi possedimenti della Costa dei Somali non sia contemplabile, dalla occupazione nostra dell'Abissinia deriverebbero per Gibuti indubbi e notevoli vantaggi, perché è chiaro che noi non potremmo mutare la situazione geografica del massiccio etiopico, cosi che i due principali sbocchi a mare di esso resterebbero pur sempre Massaua e Gibuti. Poco su ciò potrà influire la camionabile Assab-Dessiè, che -a parte ogni altra considerazione -costituirebbe sopratutto uno sbocco per il Tigrè meridionale e per il Uollo Galla ed inciderebbe quindi più sul traffico di Massaua, che non su quello di Gibuti.

Mi sembra perciò (s'intende da quel limitato punto di vista da cui io posso considerare queste cose) che alla Francia da una soluzione a nostro favore del problema etiopico deriverebbero localmente vantaggi più tosto che danni, ammessa sempre la perdita per essa della possibilità attuale di svolgere in questo settore un'azione antagonistica alla politica italiana.

Si può obiettare che la Francia non potrebbe vedere con piacere l'accrescimento di potenza che a noi deriverebbe dall'incontrastato dominio del massiccio etiopico, che per la sua posizione e per la sua popolazione numerosa e bellicosa ci darebbe una situazione di primo ordine in tutta l'Africa Orientale e nel Bacino del Mar Rosso. Ma d'altra parte la Francia potrebbe pensare che l'occupazione, l'organizzazione e la valorizzazione dell'Abissinia costituirebbero per noi il compito di un'intera generazione e richiederebbero per tale periodo gran parte della nostra attività di uomini e denaro. Ciò mi conduce a pensare ad una considerazione fattami di recente da V. E. sulla nostra attuale deficienza di mezzi finanziari in confronto alla vastità del compito che dovremmo affrontare per colonizzare tutto il massiccio etiopico. Rispondo anzitutto come risposi allora che le contingenze politiche non sempre ed in tutto possono subordinarsi alle possibilità finanziarie. Se questo in altri tempi si fosse pensato, ben diversa sarebbe adesso la situazione coloniale dell'Italia.

Aggiungo poi che se per dare all'Etiopia la necessaria attrezzatura civile occorrerebbe una spesa da calcolarsi in circa tre miliardi di lire, non sarebbe certo necessario far ciò subito e tutto in una volta, ma a mano a mano che la nostra situazione finanziaria lo consentisse. In un primo tempo basterebbe pensare a tenere in ordine il paese.

Da calcoli di massima da me fatti traggo la convinzione che l'Impero coloniale da Ras Casar a Ras Chiambone potrebbe avere fin dall'inizio un bilancio di entrata di circa quattrocento milioni ammesso che gli attuali contributi governativi per l'Eritrea e la Somalia restassero invariati. Si tratta di una somma non indifferente; ed ove gli stessi sistemi di semplice, economica ma efficiente organizzazione politico-amministrativo dell'Eritrea fossero estesi alla più vasta colonia, non occorrerebbe per governarla molto di più, in attesa di tempi migliori.

Le considerazioni esposte in questa lettera sono nella quasi totalità di politica estera. Ho creduto doveroso di prospettarle a V. E., che è il mio Capo, e che potrà e saprà giudicare se e quali comunicazioni debbono essere fatte al competente Ministero degli Affari Esteri.

(l) -L'oggetto non è indicato. (2) -Cfr. n. 393.
450

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI

T. 1187/201 R. Roma, 22 novembre 1932, ore 15.

Suo telegramma n. 241 (1).

Col telegramma n. 199 (2) le ho dato le istruzioni di massima.

Faccio seguire le istruzioni particolareggiatamente alle quali ella vorrà attenersi per la liquidazione di questo affare.

Avrei molto preferito che Dollfuss si fosse deciso a una pubblica deplorazione dell'accaduto e non credo che ciò avrebbe avuto gli inconvenienti da lui temuti. In ogni modo per fargli cosa gradita personalmente, ed in via ecce

zionale, sono disposto ad accontentarmi di una nota ufficiale che egli dovrebbe dirigere a codesta legazione per dichiarare per iscritto il rincrescimento del Governo federale, da lui finora espresso verbalmente, sia per le dichiarazioni di Stumpf, sia per la pubblicazione fatta dal g.iornale ufficiale del Governo tirolese e riprodotta dalla Neue Freie Presse (suo telegramma 232) (l). Nella nota dovrebbe essere anche indicato esplicitamente che il cancelliere ha ammonito Stumpf.

Dovrebbe inoJtre rimanere verbalmente inteso fra i due Governi che tale soluzione non costituisce affatto un precedente; che essa è stata adottata solamente perché Dollfuss teme di avere altrimenti degli imbarazzi che desidero di evitargli, e nella speranza che possa meglio rispondere allo scopo che da ambo le parti ci proponiamo, quello cioè di ,evitare il ripetersi di simili incidenti; che quindi, ove malauguratamente il caso si verificasse ancora, la soluzione attuale sarebbe da considerarsi come una ragione di più perché il Governo austriaco lo deplorasse pubblicamente senz'altro: che in ogni modo confido che da parte di Dollfuss si farà di tutto per impedire che gli incidenti si ripetano, senza di che i rapporti dei due paesi non potrebbero certo avvantaggiarsi e si continuerebbe a fare il giuoco di influenze straniere interessate appunto acché i nostri rapporti ne soffrano.

(l) -Cfr. n. 436. (2) -Cfr. n. 442.
451

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3971/203 R. Budapest, 22 novembre 1932, ore 22,10 (per. ore 1,20 del 23).

Telegramma di V. E. n. 143 (2).

Segretario generale questo ministero degli affari esteri mi ha detto oggi breve visita qui del cancelliere austriaco Dollfuss ha avuto luogo sotto il pretesto vice cancelliere Winkler non ritenersi qualità potere assumere da solo responsabilità trattative fra Austria ed Ungheria, che davano luogo qualche discussione su alcuni punti.

A tale proposito conte Kuehn mi ha confidenzialmente aggiunto che qui si è avuta impressione che vero scopo visita del cancelliere austriaco fosse quello di insistere avere direttamente dal presidente Gombos qualche maggiore notizia circa accordi intervenuti fra R. Governo e Governo ungherese in seguito recenti incontri primo ministro ungherese con V. E. (3).

Questo Governo, a quanto mi ha detto conte Kuehn, aveva già nei giorni scorsi dato Istruzioni al ministro d'Ungheria a Vienna di intrattenere quel Governo circa risultato incontro Roma, limitandosi però a notizie di carattere generale senza parlare di accordi di natura riservata. Di questi ultimi nemmeno ora è stata data notizia al cancelliere durante sua visita qui.

Sono invece continuati negoziati per trattato commercio fra Austria ed Ungheria, che Kuehn ritiene verrà firmato al più presto, essendosi i rappresentanti dei due Governi intesi nella riunione della notte scorsa circa otto punti più importanti che davano luogo a divergenze.

Visita del cancelliere austriaco, trattenutosi a Budapest soltanto tre ore, ha avuto carattere riservato, tanto più che data recente nomina generale GombOs a presidente del consiglio, quest'ultimo, secondo le consuetudini locali, avrebbe dovuto recarsi per il primo a visitare cancelliere.

Non appena possibile, trasmetterò a V. E. copia del Trattato austro-ungherese che conte Kuehn ha promesso darmi in via del tutto confidenziale.

(l) -Cfr. n. 399. (2) -Cfr. n. 444. (3) -Cfr. n. 408 e 414.
452

IL DIRETTORE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 22 novembre 1932.

In una conversazione che ho avuto con l'Ambasciatore a Mosca, Attolico, è stata considerata la possibilità che, dopo l'annuncio uftlciale dei negoziati franco-sovietici per un patto di non aggressione fatto da Herriot, Litvinoff riprenda l'idea già avanzata nell'incontro di Milano con l'allora Ministro degli Esteri S. E. Grandi per un analogo patto con l'Italia (1).

Sarei rimasto d'accordo con Attolico che simile possibilità sia ormai piuttosto da lasciar cadere. Anche se si dovesse in ogni caso addivenire a un patto di non aggressione con l'URSS, non converrebbe farlo subito dopo quello tra la Francia e l'URSS.

Inoltre, e badando al merito della cosa, è da tener presente la differenza dei rapporti passati (anche quelli dell'immediato passato) tra l'Italia e l'URSS e la Francia e l'URSS. Se tali rapporti possono spiegare e giustificare la cvnclusione di un patto di non aggressione per quanto concerne la Francia, la stessa considerazione non si applica per quanto riguarda l'Italia.

È evidente piuttosto che i rapporti fra l'Italia e l'URSS debbono tendere verso sviluppi progressivi e concreti, invece che negativi e formali, e questo tanto nel campo politico quanto specialmente in quello economico.

A un'eventuale domanda del genere di Litvinoff potrebbe quindi essere risposto nel senso indicato marcando cioè l'utilità che i due Paesi possono avere a rinsaldare i loro rapporti specialmente economici e commerciali e a improntare i loro rapporti su una base realistica (2).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 411. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «Il Capo del Governo è d'accordo che non si debba procedere subito ad un patto di n[on] a[ggressione]; ritiene però che se i Russi lo chiedono si potrà fare in un secondo tempo. 23 nov. 32 $.
453

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 22 novembre 1932.

La recente visita dei giornalisti francesi a Roma dà un soddisfacente bilancio.

Questi giornalisti rappresentavano la stampa di tutta una zona dell'opinione pubblica francese: il Petit Parisien, con una tiratura di 1.800.000 copie, la République, il Journal e il blocco dei giornali di provincia aderenti a questo gruppo. V'erano uomini come il Senatore Béranger, presidente della Commissione degli Esteri al Senato francese; Dupuis, direttore e proprietario del Petit Parisien; Bois, redattore capo dello stesso giornale; Roche, direttore della République; Madame de Jouvenel ecc. Ed è da notare che si trattava di gente venuta con il consenso di Herriot ed anzi, almeno per quanto mi risulta per Roche, con l'autorizzazione ad intavolare senz'altro trattative con V. E. nel caso che le circostanze ne avessero offerta l'opportunità. Prima e dopo del loro colloquio con V. E. li ho intrattenuti, cercando di conoscere le loro impressioni e di fornir loro qualche indirizzo nella interpretazione di molti fenomeni della vita politica italiana.

Per loro Roma è stata una rivelazione, e oggetto di ammirato stupore la grande franchezza di V. E.

Riassumendo, le impressioni di questo loro contatto con l'Italia possono così definirsi: l) sono rimasti convinti della solidità del Regime e della fatalità che la nuova politica europea debba basarsi su di esso come su di uno dei massimi piloni del vecchio continente; 2) sono rimasti colpiti dell'enorme lavoro compiuto nel decennio su cose e su uomini. L'organizzazione della gioventù li ha resi pensierosi dei possibili ulteriori sviluppi futuri.

Sembra che queste impressioni abbiano superato di molto le loro previsioni e abbiano acuito il loro desiderio di dare qualche inizio concreto al programma che li ha condotti da Parigi a Roma: l'impostazione su basi nuove del problema dei rapporti franco-italiani. Ho avuto infatti la netta impressione che essi si attendessero, in risposta alle note « avances » fatte da Herriot nel suo discorso di Tolosa, una qualche nostra risposta che raccogliesse questa sua iniziativa e cominciasse a delineare il punto di vista italiano sull'intricata questione. Dal tono del loro disappunto ho potuto con chiarezza arguire la preoccupazione che, in mancanza di una nostra risposta, il loro Capo potesse rimanere pericolosamente scoperto di fronte ai suoi avversari politici. Herriot infatti sembra abbia dovuto superare una rude battaglia contro colleghi del suo partito e del suo stesso gabinetto prima di poter aver ragione delle radicatissime tendenze favorevoli all'intesa con la Germania e aver così via libera per le sue dichiarazioni di Tolosa. È ben spiegabile quindi il disappunto del Capo e dei gregari.

Ritengo però di averli potuti convincere che oggi una nostra risposta avrebbe finito per dare una eccessiva accentuazione a queste prime manifestazioni italo-francesi in un momento in cui tanto chiara è apparsa la fragilità delle basi finora apprestate, provocando inevitabilmente una reazione nel mondo che avrebbe potuto assai più nuocere che giovare. Assai più utile ritenevo invece, nel momento attuale, mettere in opera buona volontà e lavoro ed approntare le necessarie basi di preparazione spirituale e scambievole conoscenza. Essi, giornalisti, possedevano gli strumenti necessari: a loro, quindi, il compito di illuminare l'opinione pubblica del loro paese, i loro colleghi, gli ambienti politici e, indirettamente, tutto il piccolo mondo degli Stati accoliti della Francia, nei riguardi del Regime, della sua fondazione, delle sue linee di sviluppo; in una parola, il compito di illuminare la Francia sulle loro rivelazioni romane.

Il bilancio di questa visita mi pare quindi che possa ritenersi soddisfacente. Noi abbiamo ottenuto di aver subito a nostra disposizione un importante blocco di giornali che potrà essere la nostra prima «agenzia'> di propaganda in Francia, senza alcun impegno o compromissione da parte nostra; siamo riusciti ad evitarci pel momento una azione politica che avrebbe potuto procurarci pericolose reazioni in caso di fallimento; li abbiamo convinti che la preparazione spirituale che manca deve esser fatta presso di loro e infine -ciò che non guasta -dando questo piccolo disappunto a Herriot siamo riusciti a sottolineare che qualsiasi iniziativa dovrà ancora esser loro.

Intanto in questa situazione di attesa, che ci lascia completamente liberi tutti i movimenti, noi potremo sorvegliare e valutare il probabile sorgere e svilupparsi in Francia di una corrente italofila che potrebbe costituire il punto di appoggio per una eventuale azione politica futura. Sorgendo questa corrente dovremo però probabilmente scontare una corrispondente reazione della stampa conservatrice, che del resto sembra già pronunziarsi.

Giunto a Ginevra, Paul Boncour mi ha esplicitamente confermato il disappunto di Herriot e del Gabinetto. Credo però che il ritorno di Béranger a Parigi possa contribuire a placarlo.

454

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3968/4 R. Ginevra, 23 novembre 1932, ore 0,40 (per. ore 22,30).

Ho avuto oggi lunga conversazione con Simon.

L'ho trovato preoccupato circa stato attuale conferenza disarmo e assai incerto sul da [farsi]. Egli ha cominciato col dirmi se io credevo che i lavori della conferenza potessero continuare senza la partecipazione della Germania, al che io ho risposto nettamente di no. Mi ha chiesto poi come io vedessi la situazione e se, nello stato ,incerto nel quale egli si trovava, avevo dei suggerimenti da dargli. Per conto suo, egli poteva dirmi, dopo la sua conversazione di ieri con Neurath, che la Germania non aveva alcuna intenzione di rientrarre alla conferenza, se la Francia non avesse fatto una dichiarazione di riconoscimento del principio della uguaglianza di diritto, sostanzialmente identica a quella fatta dall'Italia e dall'Inghilterra.

Gli ho risposto che a mio avviso l'unica via da tentare era di riprendere la proposta avanzata in ottobre dall'Inghilterra di conversazioni tra le cinque Potenze.

Simon mi ha risposto che egli vedeva anche un'altra via e cioè indurre l'uffi.cio di presidenza della conferenza ad una dichiarazione collettiva di quei principi sui quali l'Italia, l'Inghilterra e S.U.A. sono d'accordo e la Germania considera come soddisfacenti.

Ho obiettato a Simon che per giungere ad un tale risultato era necessario un lavoro preparatorio, poiché si trattava di indurre la Francia a recedere dal suo atteggiamento. La posizione francese è precisa: la Francia ha presentato un piano di insieme che contiene implicitamente il riconoscimento del principio della parità, come contropartita di altri elementi politici e militari. Accettare il riconoscimento puro e semplice del principio della parità costituirebbe un grave svalutamento del piano francese, ed io non vedevo come la Francia si sarebbe indotta senz'altro a questo.

Simon si è mostrato persuaso della inutilità di mettersi su questa via.

Io gli ho detto che tuttavia credevo che la situazione era giunta ad un tale stadio da imporre a tutte le Potenze una chiarificazione della loro posizione. Tale chiarlficazione è urgente:

0 ) perché l'opinione pubblica è stanca di questo confuso trascinarsi dei lavori della conferenza;

2°) perché tutto fa prevedere che la Germania chiederà sempre di più, e domani sarà ancora più difficile conciliare il suo punto di vista con quello della Francia.

Pensavo dunque che era necessario parlare chiaramente con i francesi, anche perché mi pareva che il loro atteggiamento, come la presentazione del loro piano, mirassero sopratutto a gettare su altri e lontano da loro responsabilità del fallimento deJ.la conferenza.

Simon ha dunque deciso di vedere Boncour e avere una franca spiegazione con lui.

455

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 8564/5 P. R. Ginevra, 23 novembre 1932, ore 13,21 (per. ore 16).

Telegramma n. 208 (1).

Ho detto a sir John Simon come vivamente S. E. il Capo del Governo lo ringraziava della sua lettera e come interessante aveva trovato le sue proposte.

Ho aggiunto che anche S. E. il Capo del Governo si augurava dal canto suo di potersi pres,to incontrare con lui. Sir John Simon ha tenuto a esprimermi la sua vivissima soddisfazione per quanto gli comunicavo.

456.

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, RICCIARDI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3978/4731/11. Innsbruck, 23 novembre 1932, ore 13,30 (per. ore 18).

Come seguito alle recenti note polemiche, questi partiti clericali hanno indetto pel 27 corrente una pubblica dimostrazione di protesta contro i cosiddetti traditori del Tirolo del sud.

I social-nazionalisti, a loro volta, hanno annunziato per lo stesso giorno una contro-dimostrazione in favore dell'anschluss.

I socialdemocratici, infine, si preparano a tenere il 28 corrente un comizio in cui il Tirolo del sud servirà di protesta contro il fascismo e il movimento analogo del mondo tedesco.

Ho fatto cortesemente presente a questo Governo la scorrettezza di mescolare l'Italia e il regime fascista a queste lotte di partiti, ma in assenza del capitano provinciale che si trova a Vienna, non ho potuto sapere quale attitudine questo Governo intenda assumere di fronte alle progettate manifestazioni. Mi sono state promesse notizie al riguardo al ritorno del signor capitano provinciale e mi riservo riferire.

Tuttavia crederei fin da ora opportuno che fossero fatti passi presso il Governo federale affinché usi ogni possibile pressione su questo Governo per indurlo a proibire, per motivi d'ordine pubblico, tutte le progettate manifestazioni, sembrandomi questa per noi la soluzione migliore.

Ho informato Vienna.

457.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3799/6 R. Ginevra, 23 novembre 1932, ore 18,23 (per. ore 20).

Mio telegramma di ieri n. 4 (1).

Ho veduto stamane von Neurath il quale mi ha confermato che per prendere parte di nuovo ai lavori della conferenza, la Germania esige una dichiarazione da pa.rte della Francia analoga a quella fatta da noi e dagli inglesi. Egli è favorevole alla idea che io ho suggerito ieri a Simon di una conversazione tra le cinque Potenze come era stato proposto dallo scorso ottobre. Egli è pronto anche accettare le proposte di Simon circa la sicurezza, e cioè il patto generale di non ricorrere alla forza e la riaffermazione dell'articolo 16 degli accordi di Locarno e del patto di rinunzia alla guerra.

Per quanto riguarda le proposte Simon circa gli armamenti della Germania, egli ha elaborato alcune direttive generali non ufficiali delle quali trasme•tto il testo per corriere. I punti più interessanti di tali direttive sono:

1° impegno della Germania a non aumentare per cinque anni la Reichswehr e impegnarsi a non aumentare per cinque anni il suo bilancio militare;

2° il permesso alla Germania di possedere tutte quelle categorie di armi che sono consentite agli altri paesi e di ridurre la durata del servizio nella Reichswehr e di stabilire una milizia volontaria di quaranta mila uomini.

Qualora questa seconda parte non sembrasse conveniente, la Germania

accetta di poter godere il diritto di organizzare un esercito con lo stesso sistema

delle Potenze continentali.

In conclusione effettivamente la Germania è pronta oggi trattare a Ginevra

con le altre quattro Potenze.

L'Inghilterra cerca di esercitare una certa pressione su Parigi, e Simon, invece che rivolgersi qui a Paul Boncour, ha giudicato preferibile indirizzarsi a Herriot; e ciò per mezzo di Tyrrel. Simon, per spingere Herriot a venire a Ginevra, lo ha informato che Mac Donald sarebbe pronto a trovarsi qui il 1° dicembre.

Mi permetto di prospettare all'E. V. la possibilità di un nostro eventuale passo a Parigi analogo a quello che facesse l'Inghilterra, ed a tale uopo sarebbe forse opportuno che il conte Pignatti si mettesse in contatto con il suo collega inglese.

(l) Cfr. n. 446.

(l) Cfr. n. 454.

458

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3983/246 R. Vienna, 23 novembre 1932, ore 21,50 (per. ore 4,15 del 24).

Telegramma di V. E. 201 (1).

Ho testualmente fatto al cancelliere comunicazioni prescrittemi da V. E.

Cancelliere mi ha:

2°) dichiarato che avrebbe fatto tutto quanto stava in lui per evitare ripetersi simili spiacevoli casi e che senza dubbio la determinazione dell'E. V. renderà meno difficile tale suo compito;

3°) assicurato che dirigerà subito nota ufficiale a questa legazione ripetendo rincrescimento Governo federale e assicurando esplicitamente che capitano provinciale Tirolo è stato severamente ammonito;

4°) dichiarato che resta inteso che forma nella quale questa volta v. E. ha voluto benevolmente liquidare incidente non costituisce affa;tto un precedente che possa venire invocato in caso analogo e che se malauguratamente incidenti simili avessero a ripetersi Governo federale provvedrà senz'altro a deplorarli pubblicamente.

Cancelliere mi ha infine incaricato di aggiungere che è d'accordo con V. E. e si rende pienamente conto che il ripetersi di incidenti del genere non può che nuocere ai buoni rapporti tra i due paesi, con vantaggio soltanto di coloro che cercano turbare paese.

Capo sezione politica estera, che era presente colloquio, mi ha poi confidato che cancelliere è fermamente deciso di fare tutto quanto sta in lui per evitare che si verifichino casi analoghi e che infatti essendo stati annunziati per domenica prossima comizi e dimostrazioni a Innsbruck da parte nazional-socdalisti, cristiano-sociali e socialisti, sempre in relazione ai noti recenti incidenti colà veriftcatisi, aveva in animo di vietare in tutta Austria qualsiasi pubblica manifestazione almeno per un mese (1).

l 0 ) pregato di porgere a V. E. l suoi più sentiti ringraziamenti e l'espressione della sua riconoscenza per aver voluto accogliere benevolmente sua preghiera;

(l) Cfr. n. 450.

459

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO (2)

T. s. 1195/73 R. Roma, 23 novembre 1932, ore 23.

Suoi telegrammi 7018 e precedenti (3).

Ho letto attentamente i suoi diversi telegrammi e sia da quello che Ella riferisce sia dai telegrammi pervenuti dalle R. legazioni a Gedda ed a Bagdad e dal R. consolato in Aden sembra effettivamente, come anche V. E. ritiene, che attuale rivolta nell'Assir presenti carattere di gravità maggiore che non le precedenti ribellioni, anche perché capeggiata da membro famiglia idrissita. È evidente tuttavia che restano tuttora incerti e contradittori importanti elementi d:i giudizio tanto circa l'atteggiamento dell'Iman quano circa supposto favoreggiamento inglese.

Se infatti la missione inviata da Ibn Saud a Sanaa è tornata a Gedda senza poter conferire, e ciò potrebbe costituire un sintomo dell'attegiamento dell'Iman, sarebbe tuttavia azzardato dedurne quelle che sono le sue reali intenz~oni nei riguardi della rivolta. In proposito non dubito che Ella avrà già disposto opportune indagini a Sanaa di cui resto in attesa di conoscere i risultati. Analogamente per quello che riguarda la possibilità di un favoreggiamento inglese.

Se tale ultima ipotesi può essere messa in relazione col particolare interessamento dimostrato da Re Faisal per ottenere notizie circa gli avvenimenti nell'Assir, gli elementi in nostro possesso non permettono di portare un giudizdo su quella che è l'azione inglese in relazione alla rivolta.

Sarà bene pertanto ch'ella continui a mantenere per ora un atteggiamento di neutralità e a seguire attentamente la situazione riferendo. (A questo proposito devo rinnovare la precisa raccomandazione fattaLe col mio precedente telegramma n. 63) (4).

Circa invio R. nave Arimondi conviene pel momento soprassedervi, giacché ta1e invio potrebbe suscitare sospetti circa nostre intenzioni tanto da parte Ibn Saud quanto da parte Iman. Sorveglianza costa Assir a scopo informativo potrebbe essere svolta da sambuchi aventi a bordo personale adatto. Il presente telegramma è stato concordato col Ministero Colonie.

(l) -Cfr. telegramma da R. consolato generale Innsbruck 23 corr. n. 4731/11 (N. 3978 R.). [Nota del documento]. Cfr. n. 456. (2) -Inviato per conoscenza al Ministero delle Colonie. (3) -Non pubblicati ma cfr. n. 447. (4) -T. 889/63 R. del 5 settembre, non pubblicato: raccomandazione di rendere più succinti t telegrammi.
460

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. 6988. Roma, 23 novembre 1932.

Pregiomi inviare a V. E. per mera curiosità copia di un telegramma pervenutomi da S. E. Astuto, che ci dà la sensazione dello spirito di nazionalismo abissino. Copia del telegramma ho già trasmesso al Ministero degli Esteri.

ALLEGATO

ASTUTO A DE BONO

T. R. 477/7053. Asmara, 22 novembre 1932, ore 19.

Reggente Agenzia Adua telegrafa quanto segue:

« Ricevo da Mai Ceu seguente telegramma in linguaggio segreto. Oggi sono stato al ghebi ed ho trovato fitaurari Amaré Balgheda Teclaimanot, del Ras Gugsa Araià, il quale scherzosamente mi domandò perché S. E. Mussolini non voleva restituire al Governo etiopico la colonia Eritrea. Disse poi che nostro Governo dalla morte di Menelik ha sospeso pagamento tributo stipulato alla pace e che Imperatore, tramite la Società delle Nazioni, ha reclamato tale pagamento. Che la venuta di S. M. il Re era appunto per vedere se conveniva o meno pagare il tributo reclamato e che avendo nostro Governo stabilito di non pagare, Governo etiopico disposto riprendersi Eritrea anche con le armi. Che qualora Governo Italiano nella guerra usasse mezzi meccanici il Governo etiopico avrebbe l'aiuto dei Governi francese e inglese. Inoltre. telegrafìsta Mai Ceu fa presente che in un telegramma cifrato dell'Imperatore a Ras Seium ha compreso la parola partiremo. Sembra poi che il Balgheda Teclaimanot sia diretto Addis Abeba con una missione segreta di Ras Gugsa, per la quale gli ha dato due ottimi muli, e in un colloquio telefonico gli ha raccomandato segretezza e rapidità ».

Sebbene le notizie non meritino quell'importanza che sembra vi attribuiscano telegrafista Mai Ceu e reggente agenzia, credo tuttavia doverle segnalare a codesto Ministero in quanto possono ritenersi sintomatiche.

461

COLLOQUIO FRA L'AMBASCIATORE ROSSO E IL DELEGATO DEGLI STATI UNITI ALLA CONFERENZA DEL DISARMO, WILSON

APPUNTO. Ginevra, 23 novembre 1932.

Wilson (Delegato Americano) è venuto a vedermi e mi ha intrattenuto di tre argomenti: Questione dell'uguaglianza di diritti, questione navale e programma di lavoro della Conferenza del Disarmo.

Questione dell'uguaglianza di diritti. Dai colloquii che Norman Davis ha avuto con von Neurath e Boncour, la Delegazione Americana ha tratto l'impressione che .l'unica via per arrivare a qualche risultato sia quella di conversazioni preliminari fra rappresentanti tedeschi, francesi, italiani, inglesi ed amerkani. Essa considera i punti messi innanzi da von Neurath come meritevoli di esame, perché in complesso ragionevoli. Naturalmente non si può chiedere ai franc,esi di accettarli senz'altro, ma questi punti possono formare la base di una discussione preliminare e non impegnativa alla quale tanto von Neurath quanto Boncour sarebbero disposti di prendere parte. Queste conversazioni preliminari, che potrebbero inizia;rsi al più presto (venerdì prossimo, per es.) dovrebbero preparare il terreno ad un'altra riunione a cinque, da tenersi per es. il 2 dicembre, ed alla quale parteciperebbero tanto MacDonald quanto Herriot.

Questione navale itala-francese. Stamattina è tornato l'Amm. Laborde da Parigi ed ha preso contatto con l'Ammiraglio Hepburn ed il signor Dulles (americani). Wilson non conosceva ancora quale fosse esattamente l'a-ttitudine francese. Gli esperti francesi volevano in primo luogo rendersi conto esattamente della portata della soluzione che era stata loro suggerita in armonia con le idee avanzate dalla Marina italiana. Da parte americana si continuava a premere su Herriot perché considerasse la questione da un punto di vista più largo di quello del Ministro della Marina.

Programma di lavoro della Conferenza.

_Premesso che si trattava di idee tuttora in gestazione e neppure ancora sottoposte aJl'approvazione di Washington, Wilson mi ha esposto il modo di vedere di Davis e suo nei seguenti termini:

«I lavori della Conferenza non possono continuare a trascinarsi come ora in uno stato di incertezza e senza avere un preciso programma. Occorre arrivare a delle conclusioni. D'altra parte nessuno può illudersi che la Conferenza riesca in un tempo relativamente breve a conciliare i diversi grandi progetti che sono stati presentati. Il piano francese ha certamente dei meriti, ma ha il difetto di non essere di immediata realizzazione pratica. Esso involve gravi problemi politici che chtederebbero in ogni caso delle lunghe discussioni e dei difficili negozia-ti. Wilson non vede ad es. come il Governo americano potrebbe oggi entrare nell'esame di fondo della parte I del progetto francese (patto consultivo).

In questa situazione sembra necessario soprassedere per il momento alla attua21ione immediata di programmi molto ambiziosi ed accontentarsi invece di un risultato più modesto ma immediato, che potrebbe raggiungersi mediante una convenzione di breve durata (per esempio di tre anni). Questa Convenzione dovrebbe mirare a due scopi principali:

l) concretare subito le modeste misure di limitazione e di riduzione che oggi appaiono attuabili, ed in linea generale far accettare per la durata della convenzione il criterio della stabilizzazione della situazione attuale;

40 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

2) in pari tempo si dovrebbe creare e far funzionare senz'altro la commissione permanente del disarmo la quale dovrebbe, da una parte sorvegliare l'applicazione delle misure contenute nella Convenzione, e dall'altra continuare il lavoro della attuale Conferenza preparando le basi di una futura Convenzione. Lavorando in un ambiente di maggiore tranquillità, si può sperare che la Commissione riesca più facilmente ad elaborare un progetto concreto da sottoporsi entro qualche anno ad una nuova Conferenza.

A titolo di esempio Wilson ha indicato le seguenti misure che potrebbero forse essere senz'altro incorporate nella Convenzione di breve durata:

l) Effettivi. La Convenzione si limiterebbe per ora a determinare per ciascun Paese il quantitativo delle forze dell'elemento irriducibile dei territori metropolitani. Per i territori d'oltre mare non si vede per ora la possibilità di trovare una soluzione definitiva e quindi si ammetterebbe il mantenimento dello statu quo. In definibiva quindi si tratterebbe di stabilizzare gli effettivi ai livelli attuali.

2) Materiali terrestri. La Convenzione potrebbe stabilire una sospensione delle costruzioni delle artiglierie al di sopra di un determinato calibro (per es. oltre i 105 mm.), mentre per le artiglierie di grossissimo calibro potrebbe contenere un impegno di trasformarne una certa percentuale annua (10 %) da artiglierie mobili in artiglieri fisse (sic).

3) Materiali aerei. Data la grave di!lìcoltà di risolvere il problema tecnico della separazione degH apparecchi da bombardamento dagli altri apparecchi e quindi di arrivare alla abolizione dei primi (anche per la difficoltà di accordarsi sulla regolamentazione dell'aviazione civile) la Convenzione dovrebbe forse limitarsi ad enunciare il divieto di bombardamento (divieto assoluto).

4) Guerra chimica e batteriologica. Non si vede la possibilità di un accordo sulle sanzioni rigide volute dai francesi. Anche in questo campo la Convenzione dovrebbe accontentarsi della enunciazione del divieto assoluto di impiego>>.

Wilson non mi ha parlato della limitazione delle spese, ed io non ho creduto dii toccare quest'argomento.

Gli ho chiesto invece come la Delegazione americana vedeva la possibilità di conciliare un tal genere di convenzione a breve durata con la tesi tedesca della parità. Mi ha risposto che a suo avviso la Germania avrebbe dovuto accontentarsi della assicurazione che la Commissione Permanente verrebbe incaricata di elaborare il progetto della futura Convenzione ispirandosi al princ,ipio della parità. In pari tempo sarebbe forse possibile di esamina·re fin da ora quali concessioni sarebbe possibile fare alla Germania in materia di limitazioni qualitative.

Wilson ha convenuto con me che il punto cruciale consisteva appunto nel trovare il modo di ottenere che la Germania si accontentasse, per la durata della Convenzione iniziale, di alcuni vantaggi parziali e della assicurazione dell'applicazione concreta del principio della parità nella futura Convenzione.

462.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 3993/9 R. Ginevra, 24 novembre 1932, ore 18,40 (per. ore 21).

Mio telegramma n. 6 (1).

Boncour mi ha testé informato di aver ricevuto un telegramma suo Governo nel quale è detto che, d.n seguito a decisione del consiglio dei ministri, Herriot si dichiara disposto venire a Ginevra alla stessa data alla quale verrà MacDonald per uno scambio di idee destinato a preparare la ripresa dei lavori della conferenza del disarmo. Egli mi ha aggiunto che deve restare inteso che la Francia non (dico non) è disposta a separare il problema dell'uguaglianza di diritti da quegli altri problemi che sono stati considerati nell'ultimo progetto francese.

Come ho informato con mio telegramma sopracitato, Simon aveva suggerito a MacDonald di venire Ginevra allo scopo di tenere ora qui quelle conversazioni Governo britannico aveva suggerito lo scorso ottobre. Devo quindi presumere che il mio suggerimento di uno scambio di idee tra le 5 Potenze sia stato accolto e che siamo su questa strada.

463

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, ROSSI LONGHI

T. 1206/208 R. Roma, 24 (2) novembre 1932, ore 21.

Suo 246 (3).

Prendo nota leali dichiarazioni cancelliere e conto che egli interverrà con tutta l'energia necessaria per impedire le progettate manifestazioni di Innsbruck (telegramma di quel R. consolato n. 4731-11) (4).

464.

IL CAPO DELL'UFFICIO I DEGLI AFFARI POLITICI, QUARONI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 24 novembre 1932.

Il Consigliere dell'Ambasciata di Germania mi ha chiesto quale significato avesse avuto la visita a Roma del Senatore Béranger ed in generale che cosa potevo dirgli circa l'atteggiamento dell'attuale governo francese verso l'Italia.

Gli ho detto che il Senatore Béranger era stato a Roma in occasione del Congresso Volta ed era stato ricevuto da S. E. il Capo del Governo come tutte le altre personalità politiche degli altri Stati intervenuti, fra cui non erano mancate personalità tedesche.

Per quanto riguarda atteggiamento francese verso l'Italia, premettendo che parlavo a titolo strettamente personale, gli ho detto che le difficoltà fra Francia

(-4) Cfr. n. 456.

e l'Italla non derivavano soltanto dalle questioni pendenti fra i due Paesi ma anche e soprattutto dalla differente concel'lione della politica europea. Mentre la Francia è per la conservazione al cento per cento, l'Italia, desiderosa di assicurare all'Europa una pace stabile e duratura, si è dichiarata per una revisione, su basi eque dell'assetto politico europeo. Un riavvicinamento italo-francese dovrebbe quindi avere per presupposto una mutata concezione, da parte francese delle sue direttive di politica europea nel senso già da vari anni indicato dal Governo Fasoista.

(l) -Cfr. n. 457. (2) -Nel registro dei telegrammi in partenza il t. reca, per evidente errore, la data 23 nov. (3) -Cfr. n. 458.
465

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AI MINISTRI A PRAGA, ROCCO, E A VIENNA, AURITI

T. 1216 R. Roma, 25 novembre 1932, ore 18.

Da fonte confidenziale ma attendibile risulterebbe che Dollfuss si proporrebbe recarsi prossimamente a Praga. Non viene indicata ragione viaggio. In ogni caso si tratterebbe evidentemente rappor1Ji commerciali tra i due paesi.

Prego indagare opportunamente e telegrafare (l).

466

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 4006/205 R. Budapest, 25 novembre 1932, ore 20,30 (per. ore 23,15).

Nel colloquio che ha avuto oggi con me, questo presidente del Consiglio mi ha detto a titolo strettamente confidenziale, pregandomi riferire d'urgenza a V. E., risultargli 1in modo sicuro che la recente visita qui fattagli dal cancelliere austriaco ha destato viva inquietudine nel Governo francese il quale, a mezzo ministro di Francia a Vienna, assecondato da quei suoi colleghi cecoslovacco, romeno e jugoslavo, sta svolgendo opera particolarmente attiva per cercare di influire su Dollfuss e controbattere azione che Ungheria con l'Italia intende effettuare nei riguardi Austria.

Richiamandosi agli accordi da lui presi recentemente a Roma con V. E. (2), Generale Gèimbèis mi ha ripetutamente invitato pregare l'E. V. di voler inviare urgentemente istruzioni ad Auriti, afHnché agisca con opportuna energia su cancelliere austriaco ed ottenga che questi non si lasci «impressionare» da ministro di Francia e suoi colleghi della Piccola Intesa. Nello stesso tempo, a quanto ritiene Gèimbèis, sarebbe desiderabile Auriti sollecitasse invio delegazione austriaca a Roma.

Presidente del consiglio mi ha aggiunto aver dato tassative istruzioni al ministro dell'agricoltura ungherese Kallay, da lui inviato ieri espressamente a Vienna per affrettare firma del trattato di commercio austro-ungherese.

Gombos ha contemporaneamente fatto agire su stampa austriaca provocandone articoli linneggianti a tale trattato ed al conseguente avvicinamento fra Austria ed Ungheria.

467.

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

N. 25942. Roma, 25 novembre 1932 (per. il 26).

Con lettera n. 24683, in data 8 corrente (1), davo notizia a codesto ministero di un invito rivolto al nostro addetto militare a Berlino dal generale Schonheinz, caP<> degl:i esperti militari alla conferenza per la riduzione e limitazione degli armamenti, allo scopo di avere uno scambio di vedute circa la politica del disarmo in generale e il recente piano costruttivo francese in ispecie.

L'addetto militare a Berlino comunica adesso quanto è stato oggetto del colloquio avvenuto il 14 corrente, e, precisamente, che il generale Schonheinz ritiene utile lo scambio dei punti di vista sui singoli problemi e soprattutto sui nuovi piani di riduzione degli armamenti con l'Italia, per evitare di svolgere azioni dannose all'interesse comune.

Per quanto riguarda il piano Herriot, la Germania vedrebbe in esso un tentativo di perpetuare ,la prevalenza militare francese sottraendo alla convenzione, e quindi ad ogni limitazione, le forze coloniali: sarebbe pertanto necessario richiedere l'esplicito impegno a non adoperare le suddette forze nella madrepatria.

Per il Nord-Africa si dovrebbe richiedere una effettiva riduzione delle forze;

nelle armi messe a disposizione della S.d. N., la Germania scorgerebbe un mezzo per conservare la superiorità raggiunta dalla Francia nella provvista dei materiali;

la Germania non prenderà parte alle discussioni se prima non avrà ottenuto esplicitamente l'uguaglianza dei diritti;

il riconoscimento teorico inglese della eguaglianza dei diritti verrebbe ad essere praticamente annullato per la gradualità con cui la Germania dovrebbe ritornare all'esercizio della piena sovranità in materia di armamenti;

l'Inghilterra avrebbe acceduto alla concezione francese di internazionalizzazione dell'aeronautica civile, dopo avere convenuto che i collegamenti aerei fra madre patria e colonie e domini rimarrebbero esclusi da ogni convenzione: concezione questa alla quale la Germania non potrebbe aderire.

Il generale Schonheinz ha terminato il suo colloquio chiedendo che gl'i venisse comunicato sulle questioni suddette il punto di vista italiano.

Il R. addetto militare chiede pertanto elementi per la risposta.

Poiché è opportuno, come ho fatto noto nella mia lettera 24683 e come codesto ministero ha confermato con suo telespresso 234402 del 19 corrente, che tutto quanto riguarda il nostro atteggiamento sulla questione de,l disarmo debba essere trattato con unità d'indirizzo, sarei del parere che gl1i elementi di risposta al generale predetto, venissero comunicati da codesto ministero all'addetto militare, tramite il R. ambasciatore a Berlino.

Per quanto concerne il piano francese, e in particolare per la parte che riguarda gli armamenti terrestri, i seguenti punti principali sembrano essere per noi inaccettabili:

-che gli effettivi siano in relazione alle differenti risorse di reclutamento, ossia che gli Stati poveri di uomini, e quindi di riserve istruite, debbano avere un maggior numero di effettivi alle armi;

-che sia tenuto conto nel computo degli effettivi della istruzione premilitare e di quella ricevuta nelle formazioni politiche milital'!i; ciò tende a colpire la nostra premilitare e la M.V.S.N.;

-che nel territorio metropolitano non vi possono essere effettivi di carriera; questi infatti per la Francia potrebbero essere tenuti nel nord-Africa e quindi alla immediata portata della metropoli;

-che le colonie del nord-Africa non siano considerate come un tutto con la madre patria; e così la Francia potrebbe continuare a tenere nel nordAfrica effettivi notevolissimi;

-che venga costituita una forza internazionale;

-che si addivenga ad un controllo per mezzo della investigazione sul posto.

(l) -Annotazione a margine di Buti: «N.B. La fonte attendibile e confidenziale è il Ministro d'Ungheria>>. (2) -Cfr. n. 414.

(l) Cfr. n. 405.

468

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOL'INI

PROMEMORIA RISERVATO. Ginevra, 25 novembre 1932.

Il Signor Norman Davis mi ha esposto a titolo confidenziale le idee del suo Governo circa i lavori della Conferenza del Disarmo. Esse corrispondono a quelle espostemi due giorni fa in termini più generali dal collega Wilson (l) come idee personali di Davis e sue. Oggi esse mi sono state precisate, con l'aggiunta che avevano ricevuto l'approvazione di massima del Governo di Washington.

Davis ha premesso che la Delegazione americana non intende né potrebbe continuare a partecipare ai lavori della Conferenza se questa non mostrasse di avviarsi quanto prima verso una conclusione. Egli (Davrrs) si propone di imbarcarsi per l'America verso il 10 dicembre. È disposto ad impiegare le prossime due settimane compiendo un ultimo sforzo per faciMtare il raggiungimento di qualche risultato concreto. Ove la sua azione di amichevole intermediario non portasse alcun frutto, prevede che gli Stati Uniti si dimnteresserebbero del problema.

Le idee espostemi da Davis partono dalla constatazione che non sarebbe materialmente possibile di giungere ad un accordo su programmi di disarmo di grande portata se non prolungando i lavori per un tempo indeterminato, mentre l'opinione pubblica mondiale, oramai stanca e diffidente, reclama un termine à.lle lunghe e finora sterili discussioni. Occorre adunque arrivare al più presto a delle conclusioni, anche se di modesta portata. Secondo la Delegazione americana la Conferenza potrebbe e dovrebbe concludere in un tempo relativamente breve i suoi lavori, assicurando i seguenti risultati: l) una Convenzione preliminare del Disarmo; 2) il completamento dell'Accordo Navale di Londra con l'adesione dell'Italia e della Francia.

Il programma americano mi è stato esposto in modo più particolareggiato con l'enumerazione dei seguenti punti:

l) Conclusione di una Convenzione di breve durata contenente quelle misure di limitazione e di riduzione che appariranno immediatamente applicabili, cioè senza la necessità di risolvere prima ·i gravi problemi politici o le radicali riforme di carattere militare che comporta ad es. il Piano francese. Tale convenzione dovrebbe avere una forma chiara e semplice ed essere basata su alcuni larghi principi ben definiti.

2) La Convenzione avrebbe una durata di tre anni, cioè fino al 1° gennaio 1937. Essa rappresenterebbe semplicemente il punto di partenza per l'elaborazione di una Convenzione più completa che permetterebbe l'applicaZ1i.one pratica del principio della «uguaglianza di diritti'>.

3) La Convenzione preliminare dovrebbe contenere l'affermazione del principio della riduzione sostanziale degli armamenti.

4) La Convenzione preliminare farebbe entrare subito in funzione la Commissione Permanente del Disarmo, con l'incarico di preparare l'elaborazione della successiva Convenzione di lunga durata, prendendo come punto di partenza dei suoi lavori le proposte italiane, il piano Hoover. il Piano francese e le proposte inglesi. La nuova Convenzione dovrebbe essere firmata e ratificata prima del lo gennaio 1937 ed entrare in vigore a quella data.

5) Poiché la collaborazione della Germania sarà necessaria per l'elaborazione della Convenzione di lunga durata, importa che la Convenzione preliminare offra una certa misura di soddisfazione alle rivendicazioni tedesche. La Germania non dovrebbe reclamare subito l'abrogazione della parte V del Tratato di Versailles, accontentandosi per i prossimi tre anni dei seguenti vantaggi:

a) dette concessioni circa il metodo di reclutamento della Reichswehr (diminuzione della durata del servizio) e circa altri punti da negoziarsi fra le principali Potenze interessate;

b) l'assicurazione formale che la futura Convenzione conterrà delle disposi~ioni che regoleranno la situazione della Germania in base al principio della uguaglianza di statuto militare (quindi abrogazione delle clausole militari del Trattato di Versailles, durata delle obbligazioni tedesche uguale a quella fissata per le obbligazioni degli altri Stati, ecc.).

6) Qualora nell'intervallo fra l'entrata in vigore della Convenzione Preliminare e la data della sua scadenza (lo gennaio 1937) non fosse possibile raggiungere un accordo circa l'applicazione pratica del principio della uguaglianza, la posizione della Germania e della Francia risulterebbe impregiudicata dal punto di vista giuridico. La questione rimarrebbe aperta e l'attitudine dei due Governi principalmente interessati verrà giudicata dall'opinione pubblica mondiale, la quale avrà modo di pronunciarsi sulla buona fede delle parti in causa.

Circa il contenuto della Convenzione preliminare, la Delegazione americana suggerisce il seguente programma che mi è stato comunicato a semplice titolo indicativo:

l) Effettivi. a) Determinazione dell'elemento «A» (cioè dell'elemento «irriducibile») delle forze metropolitane; b) Determinazione del numero delle forze d'oltre mare (con qualche riduzione dello statu quo dove possibile); c) Accordo di non aumentare il totale delle forze terrestri; d) Accordo di massima sulla trasformazione delle forze terrestri dei Paesi continentali ·europei ad un tipo uniforme (similarity of type for European continental land armies).

2) Artiglieria. a) Limitazione del numero di tutta l'artiglieria mobile di terra oltre il calibro di 105 mm.; b) Impegno di non costruire artiglieria mobile terrestre superiore al calibro di 155 mm.; c) Distruzione parziale di cannoni pesanti campali nonché trasformazione in artiglieria fissa di una certa porzione della restante artiglieria pesante campale mobile.

3) Carri d'assalto. a) distruzione dei carri d'assalto superiori a 15 tonn.; b) limitazione per numero dei carri d'assalto inferiori a 15 tonn.

4) Forze aeree. a) interdizione totale del bombardamento aereo; b) proibizione della preparazione in tempo di pace e dell'addestramento al bombardamento aereo; c) trasformazione o distruzione degli aeroplani da bombardamento; d) limitazione del numero degli aeroplani militari; e) pubblicità completa circa il tipo e le caratteristiche degli aeroplani civili, e possibilmente qualche maggiore misura di controllo applicata ai paesi europei.

5) Guerra chimica. a) interdizione assoluta dell'uso della guerra chimica; b) Interdizione della preparazione e dell'addestramento all'uso a scopo offensivo della guerra chimica.

6) Forze navali.

a) completamento del Trattato dl Londra con l'accessione della Francia e dell'Italia;

b) le Nazioni che non fanno parte dei Trattati di Washington e di Londra dovranno accettare una limitazione dei tipi di navi tale da non portare pregiudizio alle restrizioni accettate dalle Grandi Potenze navali.

7) Fabbricazione e commercio delle armi.

a) Riconoscimento del principio della sorveglianza dello Stato sulle fabbriche private; b) riconoscimento del principio della uguaglianza della pubblicità per fabbricazione di Stato e fabbricazione privata; c) riconoscimento del principio del controllo e della pubblicità per l'importazione ed esportazione delle armi.

8) Controllo.

La Commissione Permanente del Disarmo sarà costituita secondo le norme indicate dal progetto di Convenzione, con gli emendamenti introdottivi in seguito alle recenti discussioni in seno all'Ufficio di Presidenza della Conferenza.

Nel comunicarmi quanto precede il signor Davis ha insistito sul carattere confidenziale del programma espostomi.

Mi ha detto che ne aveva fatto cenno già al barone von Neurath il quale, senza naturalmente impegnarsi, aveva dichiarato di considerarlo come una utile base di discussione.

Davis si propone di partire stasera per Parigi per sottoporre personalmente il suo piano al signor Herriot, nella speranza che il Presidente del Consiglio Francese possa essere indotto a considerarlo con favore. Aveva evitato di parlarne al signor Boncour, perché temeva che questi sollevasse subito delle obiezioni o facesse le solite riserve.

Il signor Davis mi ha espresso il desiderio che le idee da lui espostemi venissero portate alla conoscenza di S. E. il Capo del Governo, esprimendo anche la speranza che esse potessero incontrare il suo consenso di massima.

469. IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 4458/2608. Vienna, 25 novembre 1932 (1).

Ho detto oggi al Cancelliere che le direttive attuali della nostra politica in Austria, secondo le istruzioni datemi personalmente da V. E., erano di sostenere il suo gabinetto negli sforzi per una politica sempre più volta verso destra, e di adoperarsi all'attuazione di più stretti vincoli economici con questa repubblica così come con il vicino regno d'Ungheria. Ho aggiunto che la sua attività era seguita da V. E. con molta attenzione e molta simpatia. A questa si doveva il contegno riguardoso e benevolente tenuto dall'E. V. in occasione dei recenti deplorevoli incidenti di Innsbruck, circa i quali eravamo però sicuri che ogni energica misura sarebbe stata presa per impedire le pubbliche adunate colà in

dette per domenica dai vari partiti (1). Di tale nostra simpatia per la sua persona e la sua opera era conferma l'ottima impressione costà suscitata dalla notizia ch'egli si proponesse venire a Roma per partecipare al congresso internazionale di viticoltura, pur rendendoci conto delle considerazioni di riguardo verso l'E. V. per le quali egli aveva creduto doversi astenere da un viaggio di cui lo scopo principale era diverso da quello di far visita a V. E. Per quanto concerneva il conseguimento del suo intento di accentuare la politica di destra del governo, esso richiedeva come premessa una sempre più stretta collaborazione con le «Heimwehren ~ e un rafforzamento dei corpi armati statali, specie dell'esercito che le recenti riduzioni del relativo bilancio ponevano nel rischio di perdere qualsiasi effettivo valore; gli ho rammentato al riguardo le note richieste di armi fatteci da Schober, che noi avevamo accolte e cui non avevamo potuto dar seguito per la mancanza di decisione nei precedenti gabinetti austriaci, ma circa le quali, apparendo ora mutate le disposizioni di questo ministero della guerra, il R. Addetto Militare sarebbe a giorni venuto costà per conferire. Quanto ai nostri rapporti economici, gli ho confermato, in relazione alla recente proposta austriaca per l'estensione degli accordi del Semmering (2), che pur non credendosi da parte dei nostri periti nella possibilità di spingere molto innanzi tale estensione, eravamo pronti a esaminare insieme qualunque eventualità di maggiori sviluppi e più stretti vincoli. Gli ho chiesto poi notizie sui suoi recenti incontri a Salisburgo con Held, e a Budapest con Gtimbos, dopo il ritorno di questo da Roma. Gli ho infine comunicato che, contrariamente a quanto avevano annunciato questi giornali, non sarei andato a Ginevra e che V. E. mi aveva comunicato sarei per ora rimasto a Vienna.

Dollfuss si è mostrato molto soddisfatto delle mie dichiarazioni. Era assai grato a V. E. per la sua benevolenza e simpatia, che aveva assai apprezzato specie in occasione degli incidenti deplorevoli di Innsbruck, e che gli avevano evitato probabili gravi difficoltà di politica interna; mi confermava che, secondo avevano già annunciato questi giornali, erano state proibite tutte le pubbliche adunate indette a Innsbruck per domenica prossima (mio odierno telegramma n. 252) (3). Anch'egli si proponeva stringere meglio i legami economici dell'Austria con l'Italia e con l'Ungheria. Stava appunto in relazione con tali propositi la recente sua seconda breve visita in Ungheria. Vi si era recato innanzi tutto per appianare alcune difficoltà sorte nelle trattative commerciali in corso, essendo stato chiamato colà dal vice-cancelliere austriaco Winkler che già vi si trovava a tale scopo: Gtimbtis gU aveva mostrato in proposito arrendevolezza assai maggiore dei suoi predecessori, cosi che egli confidava i negoziati sarebbero giunti presto a favorevole conclusione. Si era però altresì recato a Budapest per udire da quel Presidente del Consiglio quali fossero stati i risultati della sua visita a V. E. . Gtimbos era rimasto entusiasta di tale visita ed egli stesso era assai soddifatto di quei riultati e aveva discusso con il suo collega ungherese circa il progetto della riunione di tre delegati dei rispettivi paesi per l'esame delle possibilità di ulteriori maggiori sviluppi delle reciproche relazioni economiche. I commenti però pubblicati dalla

stampa viennese in relazione a tale sua gita a Budapest e le apprensioni che questa aveva suscitato in vari stati, specie vicini, rendeva necessario per il momento che non solo ci si astenesse dal pronunciare la parola «unione doganale» bensì che si provvedesse anche a smentire le svariate voci corse al riguardo. Egli perciò sarebbe stato assai grato all'E. V. se, al pari di quanto la Reichspost aveva qui pubblicato, fosse stato da qualche nostro giornale ridotto il significato e il valore delle trattative commerciali con l'Ungheria, negando che esse fossero in rapporto con la recente visita di Gombos a Roma e si collegassero con più ampi progetti. Le dichiarazioni pubblicate a tale riguardo dall'Austria avrebbero assunto di fronte agli altri stati assai maggiore importanza quando fossero state sostenute dalla voce tanto più potente e autorevole dell'Italia (mio odierno telegramma n. 253) (1). Per quanto concerneva il suo incontro a Salisburgo con il Presidente del Consiglio bavarese, i commenti deUa stampa erano stati puramente fantastici e si spiegavano con il fatto che la politica estera di un piccolo paese manca per l'opinione pubblica di un interesse cui i giornali cercano supplire con mere invenzioni. Lo scopo di tale incontro è stato, oltre a quello di smentire le accuse mossegli di germanofobia, quello altresì di discutere di comuni interessi di politica interna degli analoghi partiti cui appartengono tanto lui quanto Held. Sapeva delle mutate disposizioni di questo ministero della guerra circa la richiesta già fattaci da Schober e mi ha lasciato comprendere come tale mutamento dipendesse dalle istruzioni che egli aveva date. Quanto al proposito da lui avuto di recarsi costà, per assistere al congresso di viticoltura, confermandomi che si era astenuto dal parteciparvi nel timore di far cosa che potesse apparire come poco riguardosa per V. E., ha aggiunto che però «ove in seguito si fosse concluso qualcosa di positivo » avrebbe pensato alla possibilità di una sua vista a V. E. . Dollfuss ha infine manifestato il suo compiacimento per il prolungamento della mia permanenza a Vienna con parole molto gentili che non mette qui conto ripetere.

(l) Cfr. n. 461.

(l) Il documento fu però spedito il 29 novembre (cfr. n. 484).

(l) -Cfr. nn. 450 e 463. (2) -Cfr. n. 380. (3) -T. 4003/252 R., non pubblicato.
470

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. P. Budapest, 25 novembre 1932.

Onoromi riferire all'E. V., d'aver oggi comunicato a questo Presidente del Consiglio, il contenuto della lettera scrittami daJl'E. V. in data del 15 corrente (2) non avendo S. E. GombOs potuto ricevermi prima, in vista dei negoziati per il Trattato con l'Austria ed una temporanea assenza del Presidente da Budapest.

S. E. GombOs mi ha pregato di rendermi interprete presso l'E. V., dei suoi sentiti ringraziamenti per le notizie trasmessegli, affermando, che le dichiarazioni fatte dal Conte Appony all'E. V., lo confermano nel suo convincimento che questi, non gli creerà imbarazzi.

S. -E. Gombos ha poi soggiunto che se per il partito legittimista, dopo la scomparsa del Conte Appony, assumesse un atteggiamento più pronunziato dell'attuale, egli non mancherebbe di adottare eventuali provvedimenti di carattere repressivo, tanto più, che a suo parere, la necessità di una soluzione della questione dinastica, non è sentita dalla maggioranza della popolazione ungherese (1).
(l) -T. 4005/253 R., non pubbllcato. (2) -Cfr. n. 429.
471

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 4008/15 R. Ginevra, 26 novembre 1932, ore 0,22 (per. ore 3,15).

Simon è venuto stamane a trovarmi per:

l) precisare portata delle ultime trattative che hanno permesso la possibilità della riunione della prossima conferenza delle 5 Grandi Potenze per il disarmo.

Mi ha detto che, secondo il suo pensiero, per evitare il fallimento di questo incontro, occorre non stabilire in anticipo il programma delle conversazioni.

Ho risposto che tale era il mio parere, poiché dati i punti di vista esposti da Boncour (vedere mio telegramma n. 9) (2) e da Neurath (vedere mio telegramma n. 6) (3) non era possibile dare al convegno altro carattere che quello di uno scambio di vedute preliminare per ricercare, soltanto allora, le basi comuni delle 4 Potenze che permettessero alla Germania di tornare a prendere parte ai lavori del disarmo.

Certo, che in tali condizioni, le probabilità di riuscita saranno molto limitate: ma stimo che l'incontro di Ginevra servirà a chiarificare una situazione assai confusa ed a mettere ben in chiaro le responsabilità di ognuno;

2) informarmi che MacDonald, durante suo soggiorno a Ginevra, desidererebbe aver con i rappresentanti delle altre 4 grandi Potenze uno scambio di vedute sulla prossima conferenza economica anche per fissarne la data ed alcune modalità.

Credo opportuno pertanto che il rappresentante italiano alla conferenza, che avrà luogo qui prossimamente per il disarmo, venga accompagnato da uno degli esperti della commissione preparatoria della conferenza economica.

472

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. R. 4009/16 R. Ginevra, 26 novembre 1932, ore 0,20 (per. ore 1,30).

Mio telegramma n. 15 (4). Nel corso della conversazione, Simon mi ha anche messo al corrente in via confidenziale ed amichevole di un certo disappunto del signor Herriot

per la mancata risposta alle dichiarazioni fatte a Tolosa in merito alle relazioni italo-francesi e che, data la suscettibilità del presidente del consiglio francese, potrebbe influenzarlo nelle prossime conversazioni di Ginevra.

Ho risposto che già eravamo al corrente di tale ingiustificato stato d'animo del presidente del consiglio francese e Simon, per assicurarmi che la sua confidenza non era fatta dietro pressioni francesi, mi ha comunicato che di tale stato d'animo ere stato informato da lord Tyrrell.

Poiché anche Boncour ed altri mi avevano parlato di tale affare, débbo oggi constatare che il disappunto del signor Herriot ha avuto per lo meno una larga diffusione e che forse converrebbe correggerlo (1).

(l) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. Il Capo del Governo 2 dicembre-XI». (2) -Cfr. n. 462. (3) -Cfr. n. 457. (4) -Cfr. n. 471.
473

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4038/18 R. Ginevra, 26 novembre 1932 (per. il 28).

Parlando con Simon dei possibili sviluppi politici del prossimo convegno delle cinque Potenze per la questione del disarmo, gli ho insinuato che una sua visita a Roma sarebbe più che opportuna.

Simon mi ha risposto che prenderà la prima occasione per farla.

Simon essendo partito ieri sera per Londra ha creduto opportuno, a risparmio di tempo, comunicare quanto precede direttamente al R. ambasciatore a Londra.

474

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. GAB. R. 4017/19 R. Ginevra, 26 novembre 1932, ore 16,29 (per. ore 20,30).

In relazione a quanto ha già riferito Aloisi col telegramma n. 16 di ieri (2), credo doveroso informare che stamane il signor Davis mi ha chiamato al telefono da Parigi e mi ha detto sostanzialmente quanto segue:

«Herriot è personalmente desideroso di giungere ad un accordo per questione navale. Sincerità delle sue intenzioni non può essere messa in dubbio. Egli incontra però forti resistenze in certi ambienti politici che sfruttano contro di lui la marcata freddezza con la quale da parte .italiana sono state accolte le "avances" fatte con le note sue dichiarazioni circa i rapporti italofrancesi. Sforzi, che in questo momento vengono esercitati da parte degli americani sopra Herriot, corrono il rischio di fallire se posizione del presidente del consiglio non verrà rafforzata di fronte opinione pubblica francese da una qualche manifestazione italiana che giustifichi in Francia opportunità di quelle dichiarazioni.

Ciò riuscirebbe prezioso per il buon successo delle trattative, e avrebbe comunque per l'Italia vantaggio di togliere alla Francta pretesto di cui essa si potrebbe valere per giustificare attitudine di intransigenza».

Rilevo il fatto che Davis ha creduto poter farmi simile comunicazione per telefono da Parigi.

Aggiungo che egli si è recato colà iersera con l'intenzione di premere su Herriot per accettazione di un programma avente per scopo pronta conclusione dei lavori della conferenza.

Questo programma americano mi è stato esposto confidenzialmente da Davis prima della sua partenza Cl) e verrà sottoposto a V. E. da Aloisi al suo arrivo a Roma.

(l) -Allegato il seguente appunto di Suvich: «Il Capo del Governo non ritiene di fare alcun passo presso il Signor Herirot 26 novembre 1932 a. XI». (2) -Cfr. n. 472.
475

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. RR. 4018/141 R. Praga, 26 novembre 1932, ore 20,30 (per. ore 1,30 del 27). Telegramma di V. E. 91

Venuta a Praga del cancelliere Dollfuss non risulta pel momento annunziata e non (dico non) sembra imminente né probabile.

È invece possibile, nell'occasione imminenza trattative per accordo commerciale, venga a Praga per eventuale firma vice cancelliere Winkler, oltre capo delegazione austriaca che sarà ministro plenipotenziario Wildner. Dette trattative dovrebbero iniziarsi primi giorni dicembre, ma data precisa non è ancora fissata.

Da seria fonte confidenziale, mi risulta confermata nervosità di questi alti ambienti politici verso Austria ed Ungheria segnalata con mio telegrammaposta telespresso n. 906 (3). Dopo viaggio Gombos a Roma conversazioni fra Austria e Ungheria e visita Dollfuss a Budapest hanno destato qui irritazione e preoccupazioni per timore isolamento (vedere telegramma Stefani 141/62) (4}.

Essendo pervenuto a Vienna sentore di questo stato d'animo, una personalità austriaca molto nota in ambienti internazionali avrebbe detto in una conversazione che <<se i cecoslovacchi faranno ottime condizioni all'Austria nel prossimo accordo commerciale il cancelliere Dollfuss potrebbe indursi a ricompensarli facendo una visita anche a Praga per la firma di un tale accordo». Si tratta però a quanto pare di una «boutade».

Perché invece trattative austro-ceche sono considerate con pessimismo. Si prevede che se non approderanno entro primi giorni, esse sarebbero destinate ad un probabile fallimento.

Mi permetto segnalare carattere confidenziale di queste informazioni.

Aggiungo infine che, a proposito di possibili accordi a tre fra l'Italia, Austria, Ungheria, si dice qui che Dollfuss in un suo recente viaggio a Merano avrebbe forse incontrato personalità non identificate. Tale notizia non è ancora trapelata nella stampa.

(2). (l) -Cfr. n. 468. (2) -Cfr. n. 465, trasmesso a Praga con numero dl protocollo particolare 91. (3) -Non pubblicato. (4) -Telestampa da Praga nn. 2978 e 2980. [Nota del documento].
476

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4035/599 R. Parigi, 26 novembre 1932 (per. il 28j.

Il senatore Bérenger ha informato la commissione degli esteri del senato, che egli presiede, del suo recente viaggio a Roma. Egli si è soffermato specialmente sulle conversazioni avute con S. E. il Capo del Governo, con le LL.EE. i presidenti della Camera e del Senato, con alcuni ministri in carica e con me~bri del Gran Consiglio. Ha fatto seguito un'animata discussione sul tema delle relazioni franco-italiane e della politica estera della Francia verso l'Italia.

Il signor René Besnard, già ambasciatore di Francia a Roma ha osservato che le idee esposte da S. E. Mussolini al senatore Bérenger sui rapporti francoitaliani, sono le stesse che egli aveva raccolto dal Capo del Governo italiano quando era ambasciatore a Roma, idee che aveva esposte in numerosi rapporti. A questo proposito la commissione degli esteri avrebbe riconosciuto che il Ministero degli Esteri non aveva dato la necessaria attenzione ai rapporti degli ambasciatori presso il Governo fascista ed ha quindi domandato che le venissero comunicati i principali rapporti degli ambasciatori a Roma sulle relazioni politiche franco-italiane, dopo il trattato di pace.

È evidente che il senatore Bérenger, il quale nei suoi recenti articoli sui giornali francesi, ha lanciato frecciate contro la «burocrazia» del Qual d'Orsay, ha, in pieno accordo con la commissione senatoriale degli esteri, iniziato un'offensiva contro il segretario generale del ministero degli esteri. Mi riferisco in proposito alle mie precedenti comunicazioni su questo argomento, che sarò in grado di completare e precisare fra alcuni giorni dopo essermi nuovamente incontrato col presidente della commissione degli affari esteri del senato (1).

477

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 8599/1890. Belgrado, 26 novembre 1932.

Mio teleposta n. 8484/1866 del 22 novembre 1932 (2).

Unisco per conoscenza dell'E. V. un articolo del Littorio Dalmatico di Zara del 19 novembre sui fatti successi a Brazza a danno di alcuni nostri concittadini e di cui fu oggetto precedente corrispondenza.

V. E. vorrà permettermi di esprimere l'avviso che non tanto la descrizione dei fatti, quanto il commento che la segue non è certamente fatto per evitare nuovi incidenti e ricondurre la calma che è opportuno mantenere in Dalmazia, sopratutto nell'interesse dei nostri stessi connazionali.

Ritengo mio dovere affermare, non in contradittorio col Littorio Dalmatico il cui spirito patriottico è oltremodo lodevole, ma per amore della verità e per la missione che io esplico che:

l) Non è esatta l'affermazione che Je persone siano state esposte senza protezione alle furie della bordaglia jugoslava. Non appena il fatto fu noto ed il R. Console Generale in Spalato poté renderne avvisato il Bano, questi, che è l'esponente maggiore dell'Autorità governativa, prese una serie di misure che ha oltrepassato ogni aspettativa.

In tutto questo fatto, io debbo affermare che le Autorità jugoslave hanno prontamente energicamente ed esaurientemente provveduto alla difesa ed alla tutela dei cittadini italiani. E del resto in ogni altro caso analogo le autorità centrali jugoslave hanno sempre corrisposto alle nostre richieste.

2) Gli incidenti occorsi sembrano avere avuto il loro fondamento nella disgraziatissima lettera del Ten. Pozza (rapporto n. 8338/1809 del 15 corrente) (l) che elementi avversi e facinorosi hanno sfruttato ai loro fini. La dimostrazione contro il Gligo fu di protesta per il suo carattere e sentimenti italiani, ma l'assalto contro la villa Gapogrosso ed i conseguenti danni erano la risposta sia pure bestiale ad espressioni che sarebbero state assai utile non lasciar cadere sotto gli occhi delle autorità jugoslave.

Già in occasione degli incidenti di Veglia e del fatto Lusina, degli incidenti di Sebenico, per parlare degli ultimi tempi, ho detto che il tono della stampa jugoslava ed italiana era stata lontano dal portare una nota di calma e di serenità che, ripeto, è nell'interesse reciproco dei due Paesi mantenere, ma che sopratutto nei riguardi della nostra posizione politica in Dalmazia e dei nostri connazionali colà residenti ha riflessi immediati.

Per questo io non posso non attirare l'attenzione di V. E. sul fatto che il diffondersi di simili impressioni potrebbe nuovamente eccitare gli spiriti dei soliti elementi facinorosi. V. E. vedrà appunto se non fosse il caso attraverso lo stesso Littorio Dalmatico di fare onestamente prendere atto del pronto intervento delle Autorità jugoslave a difesa del dott. Gligo ed altri.

(l) -Cfr. anche telestampa da Parigi 26 corr. n. 2974. [Nota del documento]. (2) -Non pubblicato, ma cfr. n. 440.
478

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4024/22 R. Ginevra, 27 novembre 1932, ore 21,30 (per. ore 23,30).

In merito al programma espostomi da Davis ed oggetto del mio promemoria in data 25 corrente (2), sottopongo a V. E. seguenti considerazioni preliminari:

l) meccanismo prospettato per concludere lavori della conferenza e facilitare soluzione della questione tedesca corrisponde sostanzialmente al con

cetto italiano dell'applicazione graduaL: del principio della uguaglianza di diritti e sembra in massima accettabile;

2) misure relative agli effettivi non pregiudicano nostri interessi, qualora forze italiane vengano calcolate in base agli effettivi legali o fino agli effettivi massimi del tempo di estate;

3) misure circa artiglierie e carri d'assalto rappresentano relativo vantaggio per Italia;

4) misure circa forze aeree implicano accettazione della abolizione del bombardamento. Non sembra esista per ora probabilità di accordo circa metodo per applicazione pratica del principio della abolizione. Richiamo però sino da ora attenzione di V. E. su gravità dell'impegno di trasformare in ogni caso maggiori apparecchi da bombardamento (l);

5) disposizioni circa guerra chimica sembrano accettabili;

6) accordo circa questione navale dipende da risultati delle conversazioni in corso;

7) misure relative al commercio e fabbricazione delle armi ed al controllo sono formulate in termini molto generici e come tali sembrano in massima accettabili.

(l) -Cfr. n. 440, nota 3. (2) -Cfr. n. 468.
479

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4025/255 R. Vienna, 27 novembre 1932, ore 22,20 (per. ore 7,45 del 28).

Mi riferisco al telegramma di V. E. n. 253 (2).

Voci di visita del cancelliere a Fraga non si odono qui e dalla mia inchiesta appaiono infondate. Se qualche cosa ài positivo mi risulterà ritelegraferò.

480.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 1228/212 R. Roma, 28 novembre 1932, ore 24.

In relazione a suo telegramma 252 (3) richiamo attenzione V. S. e La prego segnalare al Cancelliere articolo Giornale Italia in data 27 corrente cui sunto è stato diffuso Stefani per smentire assurde invenzioni Steed.

La prego pure dichiarare Cancelliere che apprezziamo suo desiderio manifestato a mezzo questa legazione d'Austria (4) di intensificare relazioni economiche commerciali fra i due paesi intento giungere possibilmente libero scambio determinati prodotti.

(-4) Cfr. n. 380.

41 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

Non crediamo metodo proposto cioè allargamento accordi Semmering idoneo e sufficiente ottenere effetto desiderato. Comunque pronti a discutere questo od altro provvedimento per raggiungere fine desiderato cancelliere.

Se presentasi opportunità vorrà chiedere che cosa Cancelliere si propone raggiungere con accordi altri paesi come Cecoslovacchia e Germania, facendo comprendere che nostro interesse e nostra buona disposizione aiuti particolari cesserebbero quando stessi provvedimenti venissero allargati altri Stati facendo sempre eccezione Ungheria.

Vorrà anche opportunamente far comprendere cancelliere che noi atten-. diamo un rafforzamento Governo determinato suo atteggiamento più energico con appoggio Heimwehren approfittando momento depressione altri partiti.

Si può anche prospettare possibilità nostro appoggio pronti discutere forma e modo se cancelliere entra questo ordine di idee.

Rafforzamento Governo è prima condizione per poter attuare programma serio ed efficiente miglioramento situazione Austria che non può essere ottenuto che con aiuto nostro e dell'Ungheria (1).

(l) -Decifrazione incerta. (2) -Riferimento errato: vedi n. 1216/210 del 25 corrente. [nota del documento]. Cfr. n. 465. (3) -Cfr. n. 469. nota 3, pag. 586.
481

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1932.

Sessione del Consiglio -(Novembre 1932, Xl)

Il dibattito sul rapporto Lytton rischia di condurre a una svolta pericolosa nella vita della Lega.

Malgrado che il Consiglio, a composizione ristretta, nella quasi totalità composto di rappresentanti di Grandi Potenze, e quindi ben consci della loro responsabilità, cerchi di attenersi all'unica direttiva possibile, che è quella di contenere le manifestazioni eccessive, evitando di scontentare troppo o l'uno o l'altro dei contendenti, pure l'ambiente ginevrino fortemente ostile al Giappone ha finito per influenzare la maggior parte dei delegati in senso antinipponico. La stampa, con alla testa il « Journal de Genève », mena un'acre campagna. Un articolo violento di William Martin dal titolo « Pauvre Japon », ha indubbiamente impressionato.

Il Giappone si difende a denti stretti, « ... il Giappone è stato sempre uno dei più validi sostenitori della S.d.N. e dell'organizzazione da essa approntata per risolvere pacificamente i conflitti internazionali, e spera di continuare a esserlo, purché non sia messa in pericolo la sua esistenza stessa e non sia messa in giuoco la sua posizione di preservatore della pace nell'Estremo Oriente» ha dichiarato or son tre giorni Matsuoka, ripetendo l'indomani le stesse parole, e scandendole.

Questa situazione già difficile può dirsi divenuta più tesa dopo chz Drummond ha creduto di poter agire su di essa con decisa energia. Societario, egli forse si preoccupa della massa anti-giapponese dei piccoli Stati dell'Assemblea che fra poco saranno i giudici definitivi della questione. Certo è che, attraverso i suoi solerti coadiutori Madariaga e Benès, ha combattuto una battaglia piuttosto vivace contro il Giappone a favore del prolungamento dell'attività della Commissione d'inchiesta. Lo scopo poteva esser buono, mirando a conservare il più a lungo possibile la trattazione della questione nella sede dove la Lega ,e le Grandi Potenze possono avere meglio in pugno la situazione, ma la violenza con cui egli ha creduto di far attaccare da più parti il Giappone, ha forse teso la corda oltre il limite giusto ed ha finito per accelerare proprio quel moto che voleva ritardare, ossia la corsa fatale della questione verso il suo definitivo dibattito dinanzi all'Assemblea. È là che la folla societaria di centinaia di delegati, in massima parte di piccoli Stati, odiatrice di qualunque impresa forte e ordinata e facile presa dalla stampa e dall'ambiente ginevrino, potrà finire per sfuggire al controllo non solo delle Grandi Potenze, ma anche di Drummond e preparare qualche cosa di spiacevole per la Lega.

Il Giappone verso la fine ha in parte ceduto, ammettendo che la Commissione possa ancora essere richiesta d'interloquire, contrariamente a quanto aveva sostenuto in principio, che cioè il suo mandato fosse espletato e decaduto con la consegna del rapporto, ma è oramai chiaro che la speranza di poter ancora mantenere i limiti della Commissione tanto larghi da assicurarne la competenza necessaria a trattenere ancora per un certo tempo presso di sé la questione, può dirsi svanita.

Venerdì scorso il Presidente De Valera ha riconosciuto l'opportunità di passare la trattativa della questione all'Assemblea e Lord Lytton ha dichiarato a nome della Commissione di inchiesta da non aver nulla da aggiungere alle conclusioni del rapporto (1).

Data l'adesione del delegato cinese, si sarebbe senz'altro giunti alla decisione di rinviare la discussione innanzi all'Assemblea se il delegato giapponese non avesse chiesto una dilazione fino ad oggi per avere il tempo di chiedere ulteriori istruzioni in proposto al suo Governo. Il che conferma che la politica cinese tendeva all'Assemblea e quella giapponese era invece imperniata sulla resistenza in sede di Consiglio.

Comunque, ai fini degli interessi italiani, mi sembra che la piega delle cose sia da considerarsi piuttosto soddisfacente. Lo sviluppo presumibile della questione porterà infatti in un primo tempo ad un dibattito a carattere parlamentaristico dinanzi all'Assemblea, il quale non potrà non dare mostra ancora una volta della incapacità e della inconcludenza del massimo organo rappresentativo della Lega, e in un secondo tempo alla probabile nomina di una Commissione di Conciliazione, che ci permetterà di avere buona voce in capitolo nelle faccende di Estremo Oriente. Infine -last not least -è presumibile che lo stato dei fatti resti inalterato, il che per la stessa ragione per cui è nocivo per coloro che prima del conflitto cino-giapponese avevano laggiù una situazione di monopolio, può rivelarsi favorevole per noi che non ne avevamo alcuna (2).

(l) Il telegramma fu ritrasmesso da Mussolini a Budapest (t. 1227/148 R. del 29 novembre, ore 22,30), con la seguente aggiunta: «Prego V. S. far presente Giimbos quanto precede e chiedergli se sue conversazioni con Dollfuss aprano possibilità qualche accordo più stretto fra i due Paesi che possa servire di base a futuro accordo a tre ».

(l) -Fino qui il documento ripete un appunto dello stesso Aloisi datato Ginevra 25 novembre. (2) -Annotazione a margine di Suvich: «Visto da S. E. il Capo del Governo>>.
482

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 28 novembre 1932.

Come è noto a V. E., la riforma del Segretariato della S.d.N. prevede la istituzione di due posti di Segretario Generale Aggiunto, di cui uno è ammesso che verrà riservato all'Italia e uno ad un Rappresentante delle Piccole Potenze. Drummond pretende di aver preso impegno con le Piccole Potenze di concedere, fra i due, al loro Rappresentante la precedenza.

Ora la cosa non pare menomamente ammissibile per la nostra posizione ed il nostro prestigio. Dato che essa non è fondata perché preparata a nostra insaputa, dato che non presenta corrispettivo di sorta e dato che era necessario agire d'urgenza, ho creduto di impostare senz'altro la nostra opposizione.

Drummond ha risposto di essere vincolato dal suo impegno. Allora ho agito direttamente con i pretesi aventi diritto, che sarebbero la Germania, la Svizzera, la Norvegia, l'Irlanda.

La Germania e la Svizzera e per esse Neurath e Motta, hanno già pienamente riconosciuto la giustezza della nostra richiesta e mi hanno assicurato di rinunziare, per loro conto, ai diritti che derivavano dalla promessa di Drummond. Restano gli altri due. più duri a vincere perché ambedue alla mercé dell'Inghilterra. De Valera, per esempio, ha cercato di sfuggire la discussione. Del resto vari episodi della sua presidenza durante il dibattito sulla questione cino-giapponese hanno chiaramente dimostrato la sua attuale soggezione ai voleri di Drummond.

Occorrerà ancora battagliare con lui e col norvegese. Ma mi sembra indiscutibile che, fra i due, il Segretario Generale Aggiunto italiano debba essere il primo dopo Avenol. Secondo, perderebbe ogni importanza.

Chiedo l'approvazione di V. E. per continuare ad agire.

483

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 4457/2607 (1). Vienna, 28 novembre 1932.

Telespresso di questa R. Legazione in data 7 corrente n. 2427 (2).

Mi onoro di inviare qui unita a V. E., sciogliendo la riserva contenuta nel telespresso sopracitato, la ricevuta relativa al versamento fatto a Steidle per il mese di ottobre u.s.

Con l'occasione, nell'intento di semplificare la contabilità relativa alle ordinarie sovvenzioni mensili a Starhemberg e a· Steidle, che com'è noto sono sempre mantenute nelle medesime cifre, e precisamente Se. 5.000 al primo e

Se. 1.500 al secondo, mi onoro sottoporre all'esame di V. E. la convenienza di farmi pervenire -analogamente a quanto viene già fatto per il fondo straordinario di cui al telespresso di V. E. in data 21 ottobre u.s. n. 6225 -al principio di ogni trimestre la somma di scellini 19.500 (diciannovemila cinquecento) in biglietti di banca che userei per le sovvenzioni mensili ordinarie sopraindicate.

Qualora l'E V. concordi nell'opportunità di adottare tale procedimento, codesto Gabinetto potrebbe per intanto inviarmi la somma di Se. 13.000 relativa alle sovvenzioni di novembre e dicembre in modo da poter iniziare la nuova contabilità trimestrale con il l" del prossimo anno.

Resto in attesa di un cortese riscontro al riguardo.

(l) -Il numero di protoco:lo è precedente a quello del n. 469 che è di data anteriore. Evidentemente i due documenti furono protocollati e spediti insieme il giorno 29 (cfr. n. 484). (2) -Non pubblicato.
484

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4048/256 R. Vienna, 29 novembre 1932, ere 20 (per. ore 21,30).

Telegramma di V. E. n. 212 (l) si è incrociato coi miei telespressi 2606 e 2608 (2) affidati corriere di gabinetto che giungerà costì domani mattina. Da essi risulta come io già abbia genericamente parlato con il cancelliere nel senso ora indicatomi. Risultano altresì parecchi elementi di giudizio circa attuale situazione.

Mi riservo tornare dal cancelliere per confermargli il già detto e fargli le nuove comunicazioni di V. E. Riferirò possibilmente con il prossimo corriere.

485

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. 1229 R. Roma, 29 novembre 1932, ore 24.

Giungono voci vivo disappunto ambienti politici francesi del quale si sono resi interpreti in parte anche inglesi per mancata risposta italiana dichiarazioni presidente Herriot e manifestazioni stampa francese per un riavvicinamento fra i due Paesi (3).

Occorre tener presente e occasione se interpellato far sapere con tatto e discrezione uomini Governo due paesi quanto segue:

ll È stato riconosciuto che si è usato torto Itali::t: di ciò non possiamo che essere soddisfatti anche se pentimento giunge tardivo.

.· ~! Cfr. n. 4U<J Il ti:1cSI--r. 2GC6 nvn è pubblicato. \ ~·) v f.:.· l.:..::_ ~72 0 4.74.

2) Manifestazioni verbali anche per precedenti analoghi non ci consentono di uscire da un legittimo riserbo in attesa traduzione buone intenzioni in forma concreta.

3) Forma e modo manifestazioni troppo pressanti e improvvisate fanno dubitare serietà e sincerità. Non è possibile fare il torto all'Italia di credere che profonde divergenze e vivo risentimento determinato da fenomeno incompressione che dura da anni possano essere appianati o superati con qualche parola amichevole.

4) Non ha fatto buona impressione momento scelto da Herriot, dopo cioè delusione per mancato accordo politico militare Spagna. Anche intervista United Press infelice per avvicinamento Russia a Italia.

5) Capo Governo in colloqui avuti con uomini politici e giornalisti francesi sempre dichiarato disposto discutere su argomenti precisi e proposte concrete che tengano conto di tutta l'ampiezza del problema ma non disposto entrare in giostre verbali. Stessa dichiarazione fatta anche proposito argomento preciso a Norman Davis.

(l) Cfr n. 480.

486

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Roma, 29 novembre 1932.

Ho raccolto nell'annesso promemoria le principali osservazioni circa le nuove proposte di Norman Davis relativamente alle forze terrestri. Essenzialmente, il progetto americano:

a) parte dallo statu qua e su di esso lavora. Ciò è contrario alle nostre necessità, oltre che all'equità;

b) scinde il trattamento delle forze metropolitane -che riduce -da quelle coloniali, su cui sorvola. Ora, il nostro interesse vuole che s'insista sull'abbinamento;

c) considera gli stati come enti isolati. Ora, la Francia ha una costellazione armata. che ci circonda;

d) non parla di bilanci. Ma date le tendenze ginevrine è da temere la proposta di riduzioni percentuali fisse sullo statu qua. A mio avviso, invece, i bilanci devono essere proporzionati alla popolazione. tenendo conto delle spese già effettuate negli ultimi 10 anni (materiali già immagazzinati e lavori già compiuti).

ALLEGATO

PROMEMORIA

Roma, 28 novembre 1932.

Le nuove proposte fatte dalla delegazione degli Stati Uniti d'America a Ginevra, si basano sullo statu quo degli armamenti, trascurando completamente la circostanza che, in seguito a maggiori possibilità finanziarie, taluni Stati si trovano maggiormente armati.

Inoltre le proposte non contemplano l'esistenza di alleanze militari, quali quelle che legano la Francia agli Stati della Piccola Intesa, alla Polonia e al Belgio; per cui le riduzioni o limitazioni non tenendo conto di questo stato di fatto, verrebbero ancora a peggiorare la situazione degli Stati che non formano raggruppamenti del genere.

Quindi le misure di sicurezza contemplate dall'art. 8 del Patto della S.d.N., a meno che non si addivenga allo scioglimento delle suddette alleanze, dovrebbero avere una applicazione diversa a seconda che si tratti degli uni o degli altri Stati.

Le proposte americane poi, cristallizzando, come si è accennato, la situazione attuale vengono non solo ad arrestare quell'incremento tendente ad apportare i nostri armamenti ad un grado sufficiente per la sicurezza nazionale; ma impediscono altresì che diminuisca la sensibile differenza esistente oggig'orno fra i nostri armamenti e quelli francesi.

Premesso quanto sopra, ed entrando nel vivo delle questioni contemplate nelle proposte americane, si fa presente quanto segue:

a) EFFETTIVI.

L'elemento considerato come parte irriducibile delle forze metropolitane, deve basarsi sull'effetivo legale, che abbiamo dnunciato a Ginevra il 12 settembre 1931, ossia di 462.281 unità, ivi compresi gli ufficiali, i sottufficiali, i permanenti, gli elementi della

M.V.S.N. (considerati come richiamati) e 1:1 forza bilanciata. Inoltre è da considerarsi che nelle proposte americane si fa della distinzione fra forze metropolitane e forze d'oltremare. In tal modo la Francia verrebbe a mantenere integri i 165 mila uomini circa che ha attualmente nelle colonie del nord-Africa e del Levante e gli 85 mila uomini delle colonie oceaniche, costituiti gli uni e gli altri in grandissima maggioranza da elementi di carriera; mentre noi abbiamo nelle prime colonie soli 23.336 uomini e nelle sec:onde 5801. Data quindi la vicinanza del nord-Africa dalla madrepatria e la possibilità in vista anche di un possibile passaggio attraverso la Spagna, dell'esercito di colore francese, sarebbe necessario allo scopo sempre di tutelare la nostra sicurezza, che almeno le forze del nord-Africa venissero a tutti gli effetti di limitazione e di riduzione considerate come un tutto unico con le forze metropolitane. Per conseguire poi quel tipo uniforme di forza terrestre europea continentale richiesta nelle proposte americane, sarebbe necessario che i militari di carriera (per la Francia, nella sola metropoli circa 100 mila) venissero notevolmente ridotti non

solo, ma che venissero calcolati, nei riguardi di confronti che si dovranno fare fra i vari eserciti, secondo un determinato valore che non potrà essere inferiore a tre volte quello del militare di leva (un militare di carriera = 3 soldati di leva).

b) ARTIGLIERIE E CARRI ARMATI

Non vi sono difficoltà insormontabili per l'accettazione della limitazione delle arti

glierie mobili terrestri, oltre il c:tlibro di 105 mm., dell'abolizione dei carri armati supe

riori a 15 tonn. e delh lim;tazionc degli stcs~i inferiori a 15 tonn.

Però le limitazioni dctlono c!iscre <.sk!iC ané-hC ai materiali immagazzinati.

cJ GUERRA CHIM.ICA

Si può accettare quanto riguarda l'interdizione deìla guerra chimica, sarebbe però necessario stabilire la clauso:a che la Nazione aggredita con rroezzi chimici possa rispondere con mezzi analoghi.

d) FABRICAZIONE E COMMERCIO DELLE ARMI

Si può accettare il principio della sorveglianza dello Stato sulle fabbriche private e il controllo e la pubblicità della importazione ed esportazione delle armi. È inaccettabile inve~e il principio della pubblicità della fabbricazione di Stato perché verrebbe ad impedire di potere mantenere qualsiasi riservatezza o segreto negli armamenti.

e) CONTROLLO

Si può accettare la com1msswne permanente del disarmo solo nei termini stabiliti dal progetto di convenzione della commissione preparatoria; estenderne i poteri, sopratutto se eseguendo investigazioni sul posto. dato il predominio franco-inglese nell'organo societario incaricato dell'investigazione stessa, sarebbe tutto a nostro danno.

f) BILANCI

Le proposte americane non contempl2.no la limitazione dei bilanci, ma poiché è probabile, dato l'andamento dei lavori a Ginevra della commissione per le spese, che si proponga una percentuale di riduzione, uguale quindi per tutti, ciò non potrebbe essere accettato. Infatti una I:mitazione equa di bilanci non potrebbe effettuarsi se non in relazione all'elemento positivo della popolazione; inoltre dovrebbe essere effettuata sulla base della media dE:i bilanci degli ultimi dieci anni (1).

487

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE R. 4072/607 R. Parigi, 29 novembre 1932 (per. il 2 dicembre).

Mi sono incontrato iersera col senatore Dérenger. Egli mi ha espresso la sua ::>oddisfazionc per le cortesie ricevute; a Roma e perché gli è stata data l'opportunità di rendersi conto p:>rsonalmcJ.1te del punto di vista italiano che egli è, ora, in grado di chiarire ai suoi amici politici. Senza entrare in particolari sulla conversazione avuta con S. E. il Capo del Governo, egli mi ha detto di aver riportata la convinzione della possibilità di ristabilire una cordiale collaborazione politica fra i nostri Paesi.

Un ostacolo serio è rappresentato. secondo il senatore Bérenger, dal Quai d'Orsay. La commissione degli esteri del Senato, alla quale egli ha riferito i risultati del suo viaggio, è stata concorde con lui nell'apprezzare il clima politico franco-italiano. Solo il senatore Louis Barthou, già ministro degli esteri, ha dimostrato una certa riserva che si è esplicata nella richiesta di minute spiegazioni ed in alcune obiezioni. D::tJla discussione avvenuta in seno alla

che termina con le seguenti parole: <<S. E. il Capo d ~.J GuvcrHo ha c~~·~-:.:~:-·.1~ 3.~;_; a S. E. :1 l\llinistro della Gu ~l'l"a. c..h~ uppr..;-.;a pisnan1~.u:::; il suo pu::tu di v~t::.t )>.

Commissione senatoriale è emerso che il Quai d'Orsay Cint:mdo dire i funzionari del ministero degli esteri) ha fatto una sua proprb politica nei riguardi dell'Italia, mantenendo all'oscuro gli organi parlamentari competenti della reale situazione del nostro paese e trascurando di renderli edotti di manifestazioni di alto significato di uomini politici e di stato italiani, nell'intento di mantenere una atmosfera di diffidenza fra le due nazioni.

Il senatore Bérenger ha precisato, in proposito, che l'allontanamento da Roma del senatore René Besnard era stato voluto dal signor Berthelot il quale, preoccupato della cordialità di relazioni instaurate dall'ambasciatore francese, l'aveva sostituito con una sua creatura. La commissione degli esteri del senato ha, per questo, desiderato conoscere tutti i rapporti degli ambasciatori di Francia a Roma, da Barrère in poi. Il senatore Bérenger mi ha dichiarato, con energia, che il senato pretenderà che gli sia fornita una documentazione completa. La decisione della commissione senatoriale è dovuta anche al fatto che dalle dichiarazioni del senatore René Besnard e dalla relazione presentata dal signor de Chastenet, direttore del Temps del suo viaggio a Roma, è risultato che il punto di vista del Duce, nei riguardi delle relazioni franco-italiane, era stato da tempo comunicato a fattori responsabili francesi, ma non era uscito dal Quai d'Orsay, nel senso che le commissioni degli esteri della Camera e del Senato non erano state informate. Apro una parentesi per dire che il signor de Chastenet, al suo ritorno dall'Italia, ha manifestato ad un mio collega alcuni apprezzamenti che mi fanno dubitare della sua sincerità verso di noi.

Ho detto che il senatore Bérenger mi ha accennato per sommi capi al colloquio avuto con V. E. Egli ha presentata al signor Herriot una relazione particolareggiata delle conversazioni di Roma. Il presidente del consiglio l'ha letta ed ha dichiarato al senatore di non aver avuto sotto occhio, da dieci anni, una documentazione cosi interessante, sui rapporti franco-italiani. Il signor Herriot si è riservato infine, di studiare il documento sottopostogli. Ho sottolineato le parole del senatore Bérenger che ho riferito testualmente.

Il senatore Bérenger mi ha confermato che le condizioni di salute del signor de Beaumarchais sono serie e mi ha detto di credere che non sarà in grado di riprendere il suo posto a Roma. Dalla scelta del nuovo ambasciatore, ha soggiunto il presidente della commissione degli Esteri, sarà dato di valutare il grado d'influenza del funzionarismo dei Quai d'Orsay. Senza che egli me lo abbia dichiarato, ho facilmente compreso che il senatore Bérenger si impiega a che l'eventuale nomina del nuovo rappresentante francese a Roma, cada su persona che abbia i necessari requisiti per collaborare all'opera da lui caldamente patrocinata.

Il senatore Bérenger mi ha chiesto. quindi, se potevo illuminarlo sull'impressione lasciata a Roma dalla sua visita. Gli ho risposto che le conversazioni da lui avute, che egli aveva tradotte negli articoli coraggiosi pubblicati nei giornali francesi, avevano prodotto buona impressione. Ho soggiunto che mi sembrava di poter precisare che a Roma si attende che prosegua nella stampa francese il lavoro di preliminare chiarificazione, per pn~paro.re l'opinione pubblica. D'altro canto e perché avevo inteso dalla sua stessa bocca che il punto di vista italiano a lui esposto dal Duce era stato. da tempo, portato a conoscenza d2ll'ambaé:ci:1~,;l'C: Bcsnard da S E il Capo d:.:l Gov;:_rno. mi sembrava ovvio dedurne che da parte del Governo fascista non vi fosse nulla da aggiungere allo stato delle cose e che spettasse piuttosto alla Francia, se lo credeva, di concretare il suo pensiero con precise comunicazioni a Roma. Il senatore Bérenger ha replicato che egli, come io avevo del resto rilevato, si era occupato e preoccupato di porre il problema dei rapporti franco-italiani davanti all'opinione pubblica del suo Paese ed era stato in questo agevolato dal signor Pierre Dupuis il quale, trovandosi con lui a Roma, gli aveva aperto le pagine del Petit Parisien. Il signor Dupuis, ha detto il mio intcrlocutore, è un fervente fautore dell'intesa italo-francese. Circa il secondo punto il signor Bérenger crede che «bisogna avere pazienza». Al che ho risposto che, da parte nostra, eravamo pazientissimi, e l'avevamo dimostrato fino al punto di essere tacciati di freddezza. E già che me ne era porto il destro, ho fatto osservare al signor Bérenger che la nostra freddezza significava serietà di intenti e che la Francia che perseguiva scopi analoghi ai nostri, non poteva non apprezzare il nostro contegno.

Il presidente della commissione senatoriale degli Esteri mi ha chiesto infine se avevo all'ambasciata, tra i miei collaboratori, un funzionario al corrente della situazione economico-commerciale dell'Italia nei riguardi dei paesi danubiani e, specialmente, della Jugoslavia che fosse in grado di preparare un progetto che contemplasse i desiderata dell'Italia in questo campo. Mi sono schermito cortesemente e non mi è riuscito difficile perché di fatto non credo che il R. addetto commerciale abbia a sua disposizione gli elementi necessari per compiere tale vasto lavoro. Il senatore Bérenger si è reso conto del fondamento delle mie ragioni ed ha soggiunto: « per mio conto ho ordinato che si prepari il materiale necessario per intraprendere una discussione su questo punto:?, precisandomi che nella sua qualità di presidente della commissione degli esteri del senato, non dipendeva dal Governo ed era permanente. Mi è sembrato quasi che egli si proponesse, con la sua osservazione, di !asciarmi intendere che, quali che potessero essere gli avvenimenti parlamentari e nell'eventualità, pure, di una crisi di Gabinetto, .si proponeva di condurre avanti il suo lavoro che -me lo ha assicurato sul finire della nostra conv•ersazione -incontra nel paese estese simpatie delle quali si fanno eco migliaia di cittadini che gli scrivono per felicitarlo dei suoi articoli e per incoraggiarlo a proseguire nell'opera intrapresa di riavvicinare Italia e Francia.

(l) Copia di questo documento fu comunicata dal generale di brigata Enrico Riccardi, membro della delegazione alla conferenza del disarmo, a Hosso il lo dicembre con una lettera

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4094/5740/168 R. Mosca, 29 novembre 1932 (per. il 4 dicembre).

Ritornato a Mosca, tre fatti nuovi trovo che meritano di essere segnalati. in materia di rapporti fra l'U.R.S.S. e gli altri paesi:

l) Rottura delle nc!];uziazioni fra l'U.R S.S. c b Romania per un patto di non a~gressionc;

2) Ratifica da parte polacca dei patti già stipulati e firmati in materia con l'U.R.S.S.;

3) Firma da parte francese degli analoghi patti fin dall'anno scorso predisposti e parafati.

I tre fatti si concatenano e si compenetrano.

Le negoziazioni fra Romania ed U.R.S.S. erano ormai arrivate ad un punto morto, quello della Bessarabia, che solo un poco di buona volontà da parte romena avrebbe potuto far superare. Questa buona volontà è mancata, forse volutamente mancata; le negoziazioni sono cadute e, per ora almeno, definitivamente.

Il futuro ne dirà le ragioni vere. Incontrando due anni or sono Titulescu, nella anticamera del cardinale segretario in Vaticano, egli mi disse precisamente: «Attolico, voi andate a Mosca: tutto quello che potrete fare per riavvicinare la Romania e l'U.R.S.S. sarà un servigio reso al mio Paese 1>. Cosa abbia potuto, fra allora ed oggi, intervenire io non vedo.

La Romania era l'unico dei paesi finitimi dell'U R.S.S. che avrebbe avuto, dalla stipulazione di un patto di non aggressione con l'Unione Sovietica, da guadagnare.

Questo patto singolo, innestato su quello generale (Kellogg) avrebbe, anche secondo la formula sovietica, garantito, non certo la sovranità romena sulla Bessarabia, ma tuttavia la continuità del suo pacifico -per quanto agli occhi russi illegittimo -possesso della Bessarabia. La Romania è quello fra i paesi balcanici che più degli altri ha bisogno di assicurarsi una vita pacifica e tranquilla. Cronicamente e fondamentalmente disorganizzata, attaccata ad un sistema politico di cui non è parte integrante ma secondaria e direi quasi marginale, con ai fianchi l'Ungheria, la Jugoslavia, la Bulgaria e la Russia che tutte, più o meno, vantano delle rivendicazioni territoriali, la Romania, ripeto, avrebbe avuto tutto da guadagnare da un patto specifico di non aggressione con il più grande e virtualmente più potente e pericoloso dei suoi vicini.

Forse, quando le cause intime di tutto questo saranno completamente note, fra esse figureranno in prima linea degli elementi di carattere personale per parte di Titulescu e comunque di politica interna. Ma, su questo, ritornerò, se mai, poi.

Per ora, basterà constatare che la Romania, nel decidersi a quanto ha fatto, ha dovuto non dico isolarsi, il che sarebbe dir troppo, dalla Francia e dalla Polonia, ma mettersi da parte, rendendo agli alleati piena libertà di azione. Di fatto, se non di diritto, esisteva un « iunctim 1> fra il patto francese e quello polacco, tra quello polacco e quello romeno. Francia e Polonia, che avevano accettato questo «iunctim >> sul presupposto che la Romania volesse arrivare essa stessa ad un patto analogo, erano state costrette, di fronte alle tergiversazioni romene, a porre in mora l'alleata. Chiamato al Governo. Titulescu aveva domandato al Quai d'Orsay quattro mesi di tempo per risolvere la situazione. Herriot glie ne aveva concessi due. Voleva, Titulescu, rompere, ma aveva bisogno di qualche tempo per farlo in maniera da poter, almeno formalmente. rigettarne la colpa sulla Russia sovietica.

Non so se, e a qual punto, ci Eia riuscito.

Riacquistata la propria libertà, la Polonia che aveva già prima parafato e poi firmato, ha ratificato i patti propri. La Polonia non poteva fare a meno di farlo e farlo presto. Costretta dall'iniziativa Berthelot e dallo spauracchio tedesco ad una politica, del resto naturale, di intesa con la Russia, la Polonia si trovava prima della ratificazione, vis à vis dell'U.R.S S., nella condizione di un fidanzato che non volesse arrivare al matrimonio. Situazione pericolosa per due paesi che, avendo per la loro storia e la loro geografia, ragioni continue di attriti e contrasti, hanno bisogno (bisogno per il meno forte ancora maggiore che per l'altro) di essere amici per non essere nemici. La Polonia ha quindi ratificato, e subito, ricorrendo, anche dal punto di vista costituzionale, a forme di una relativa eccezione.

Analoga premura ha mostrato la Francia. Non si conosce ancora il testo preciso del patto firmato a Parigi. Tutte le negoziazioni in proposito si sono, ora come prima, svolte nella capitale francese. Sembra tuttavia che la forma ultima del patto, sebbene da certa stampa parigina ad arte, ma inesattamente. assimilata a quella polacca, non differisca gran che da quella originaria. Comparirebbero quindi nel patto (forse soltanto attenuate da lettere accessorie interpretative) le clausole sugli emigrati russi e sul boicottaggio economico che già sollevarono nell'opinione pubblica francese scalpore, e fino ad un certo punto, ripugnanza. Come e perché la Francia briandìsta, capitalista e socialdemocratica per eccellenza, sì sia a suo tempo spinta cosi oltre nei riguardi della Russia sovietica e ciò a pochi mesi dì distanza da quando -dopo il famoso processo degli industriali e le campagne delle rispettive stampe tutti gli interessi e le resistenze antisovietiche sembravano far centro a Parigi, non è ancora ben chiaro. Nei nostri rL:;petti, rimarrà sempre da domandarsi come e perché la Francia abbia voluto, ancora soltanto un anno fa, mostrare attraverso lo spirito se non la lettera della clausola relativa agli emigrati russi bianchi, maggiori riguardi per una Russia comunista che per un'Italia fascista.

È però evidente che se un Governo Laval-Briand aveva iniziato, e con tanta decisione, un'azione di riavvicinamento con i Soviet, un Governo HerriotDe Monzie (autore il primo della ripresa -1924 -di rapporti politici fra la Francia e la Russia; capo, il secondo, della commissione parlamentare che a suo tempo sì occupò di tutte le questioni sovietiche) non poteva !asciarla cadere e non portarla a buon fine.

Con le ratifiche e le firme che sono oggetto del presente rapporto, ha virtualmente termine, almeno per quanto riguarda l'Europa (l'unico grande patto ancora in sospeso rimanendo, soltanto quello col Giappone) l'azione, concepita e condotta da Litvinoff in grande stile, della Russia sovietica e comunista (da tutti ritenuta il più grande pericolo per la pace del mondo e timorosa essa stessa fino all'esagerazione degli attacchi altrui) tendente a circondarsi di una catena dì patti di non aggressione con tutti i paesi limitrofi e con quelli. a torto o a ragione, ritenuti centro dell'azione anti~ovietica (Francia).

L'innegabile successo di questa azione. che ha avuto come fasi incidentali ma significative, in un primo tempo, la rottura del fronte unico Polonia Baltico e, in un secondo t~mpo, la sepnazione della Polonia c della Francia dalla R:.m.unil. ~:::c.~i:ui~v2 un ind'..lbbio successo per la Rus!:ia sovietica, la quale, attraverso di esso, come attraverso la sua partecipazione, non solo virtuale ma concreta, a tutte le grandi questioni internazionali del momento CPaneuropa prima, conferenza economica mondiale dopo, disarmo, Manciuria) ha affermato ed afferma, nonostante le sue intime profonde debolezze e deficienze, se non la sua potenza, il suo peso nel mondo.

489

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 8747/220 P. R. Cairo, 30 novembre 1932, ore 8,15 (per. ore 23,30).

Mio telegramma n. 204 (1).

In relazione al sopra-citato, permettomi far notare che fuorusciti libici in Egitto, notoriamente ascendenti molte migliaia, trovansi condizioni economiche gravi e costituiscono problema non trascurabile, essendo da tutti considerati nostri sudditi.

Vorrei insistere su valore politico della domanda del Saif el Din, di cui al mio rapporto n. 1227 del 3 novembre (2), per amnistia per fuorusciti meno responsabili e vorrei fare noto che visita Augusto Sovrano in Egitto molto opportunamente sarebbe preceduta da atto alta clemenza e da sottomissione importanti capi. Così superstite atmosfera ostile islamica, alimentata anche da fuorusciti, sarebbe eliminata con gesto cui significato, se compiuto in tale solenne occasione, supererebbe limite politico Libia e investirebbe, nel nostro interesse, più vasti rapporti italo-islamici sui quali ripetutamente ho intrattenuto V. E.

490

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4063/169 R. Mosca, 1u dicembre 1932, ore 18,45 (per. ore 22,15).

Mando in chiaro commenti stampa patto di non aggressione franco sovietico (3).

Ritengo che sarebbe bene pubblicarli insieme con quelli analoghi da Parigi, evitando per altro dare impressione che l'Italia sia comunque preoccupata possibili effetti nuovo patto di non aggressione relazioni italo-russe.

Sull'insieme patti di non aggressione U.R.S.S. Francia Polonia Romania ho riferito per corriere martedì (4). Patto con Francia costituisc~ indubbiamente rottura fronte diplomatico politico antibolscevico ma d'altra parte segna pure punto di arresto nelle possibilità sviluppo relazioni Germania e U.R.S.S.

(-4) Cfr. n. 488.
(l) -T. 8194/204 P. R. dell'8 novembre, non pubblicato: grande impressione suscitata dalla notizia dell'amnistia, concessa in occasione del decennale del regime, nei fuorusciti libici l quali ritenevano erroneamente di esservi compresi. (2) -Non pubblicato. (3) -Te!estampa 30 novembre n. 3010 e 1o dicembre n. 3016. [Nota del documento].
491

IL MINISTRO A BUDAPEST, COLONNA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4068/206 R. Budapest, 1° dicembre 1932, ore 21,30 (per. ore 0,30 del 2).

Telegramma di V. E. n. 148 (1).

S. E. Gdmbos, al quale ho dato stamane comunicazione telegramma suddetto, mi ha dichiarato quanto segue:

« Egli condivide punto di vista italiano circa necessità di adoperarsi presso Dollfuss perché questi rafforzi suo Governo mediante atteggiamento più energico e con appoggio Heimwehr, ritenendo che soltanto allora sarebbe possibile approfondire relazioni economiche e commerciali con Austria.

Presidente del Consiglio ha aggiunto aver impressione che esista possibilità di qualche accordo più stretto fra i due paesi, da servire come base a futuri accordi a tre. Gombos mi ha fatto presente necessità seguire attentamente opera Rintelen, uomo politicamente infido che sembragli strettamente legato Germania, .tanto da dare impressione di essere emissario politica tedesca in Austria.

Sebbene cancelliere Dollfuss abbia assicurato durante sua recente visita qui, che egli non si lascierà impressionare da manovre francesi e Piccola Intesa, tuttavia Gombds mi ha pregato di insistere nuovamente amnché da parte nostra venga seguita costante azione politica cancelliere austriaco, il quale facilmente potrebbe subire influenza ambienti agrari austriaci cui è strettamente legato.

S. E. Gombos ha concluso dicendomi aver insistito presso Dollfuss perché Austria si decida a fare una sua vera e propria politica prettamente austriaca sotto la parola d'ordine «Alt Oesterreich ».

492

COLLOQUIO F'RA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, IL MINISTRO D'UNGHERIA A ROMA, HORY, E IL CAPO DELLA SEZIONE ECONOMICA DEL MINISTERO DEGLI ESTERI UNGHERESE, WINKLER

APPUNTO. Roma, 1° dicembre 1932.

Accompagnato dal Ministro de Hory, il signor Winkler, che è il Capo della Sezione Economica del Ministero degli Esteri, è venuto a trovarmi, dicendomi di essere arrivato a Roma nell·a giornata per regolare al più presto le questioni di carattere economico, per le quali si era posta la base durante la visita di S. E. Gdmbos.

Il signor Wìnkler prima dì partire da Budapest è stato rìcevuto dal Presidente Gombos, che gli ha dato le più ampie facoltà di discutere sia le questioni relative alla Commissione Mista, che il progetto per un allargamento radicale dei rapporti commerciali fra l'Italia e l'Ungheria, al quale dovrebbe accedere in un secondo tempo anche l'Austria.

ll signor Winkler, salvo a regolare formalmente la questione della Commissione Mista, che ha un compito più circoscritto, vorrebbe approfittare della sua presenza a Roma per discutere a fondo tutti questi rapporti.

L'idea di S E. Gombos, condivisa dal signor Winkler (che tuttavia non si nasconde le gravi dilficoltà) è quella che senza parlare di unione doganale si possa arrivare allo stesso scopo attraverso un allargamento degli Accordi del Semmering. Gli ho fatto presenti le dilficoltà dell'applicazione di questo sistema, prospettato già dal Cancelliere austriaco, perché ci metteremmo contro tutti gli altri paesi coi quali abbiamo pure degli interessi fondamentali da difendere.

Ad ogni modo siamo rimasti d'accordo che, dato che il Cancelliere austriaco ha manifestato il suo proposito di marciare per questa via, conveniva non abbandonarla, pure tenendo in riserva altre proposte per il caso che il sistema previsto non fosse attuabile.

In questi giorni il Winkler avrà delle conversazioni con gli organi tecnici per chiarire i singoli punti e poi lo rivedrò.

(l) Cfr. n. 480, nota, l p. 594.

493

COLLOQUIO FRA IL CAPO GABINETTO, ALOISI, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 1° dicembre 1932.

Mi ha chiesto se credevo che MacDonald a Ginevra mi avrebbe parlato della Conferenza economica mondiale. Alla mia risposta che lo credevo probabile, mi ha detto di sperare che in questa faccenda mi sarei tenuto in contatto con Neurath. Mi ha ricordato i propositi scambievolmente manifestati al riguardo or è qualche tempo, relativamente al contatto da mantenere fra le due delegazioni in occasione di questa Conferenza economica.

Venuti a parlare della Jugoslavia, ha tenuto a comunicarmi il suo pensiero basato sulla esperienza di sette anni di permanenza in quello Stato.

Egli crede la crisi attuale assai grave, certo la più grave che il nuovo organismo politico abbia finora affrontato, ma non tale da poter condurre allo smembramento. Ed è scettico sulla possibilità della costituzione di un organismo statale croato autonomo nonché sulla saldezza dei sentimenti croati tanto verso l'Italia quanto verso la Germania.

494

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVENO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR.S.4568/2658. Vienna, 1° dicembre 1932.

Fo seguito al mio telegramma n. 256 in data 29 scorso 0).

Ricevuto il telegramma di V. E. n. 212 in data 29 novembre u. s. (2) ho creduto opportuno, prima di andare dal Cancelliere per confermargli le mie precedenti dichiarazioni (mio telespresso n. 2608 del 25 novembre) (3) e fargli le nuove secondo le istruzioni contenute nel telegramma stesso, di intrattenerne genericamente Starhemberg. È vero che egli, nel nostro colloquio di qualche giorno prima (mio telespresso n. 2606 del 28 u.s.) (4), mi aveva già manifestato il suo giudizio sulla situazione cosi del gabinetto come del proprio partito, nonché il suo programma di azione, relativamente alle attuali possibilità, per il prossimo avvenire. Senonché, dati i nuovi elementi che con il telegramma di istruzioni di V. E. mi erano forniti per le pressioni e le offerte da fare nei riguardi del Cancelliere, mi è sembrato opportuno, prima di recarmi da Dollfuss, di udire l'opinione di Starhemberg sulle nostre e sue possibilità in relazione alle mie comunicazioni al Cancelliere stesso. Ho creduto altresì opportuno sapere da Starhemberg se in vista delle mie comunicazioni in parola egli non fosse stato in grado di fornirmi dati che avessero rafforzato le nostre richieste e facilitat o la loro accettazione.

Starhemberg mi ha molto ringraziato della mia informazione e si è mostrato riconoscente a V. E, cosi per il nuovo aiuto che deriva al suo movimento dalla fiducia in esso confermata dall'E. V. al Cancelliere, come per le benevole e fattive disposizioni di V. E. nei riguardi delìa politica dell'Italia verso l'Austria e i suoi partiti d'ordine.

Starhemberg mi ha rip2tuto che in complesso è soddisfatto della situazione. Dollfuss, indubbiamente intelligente e abile, mentre mostra di saper tenere efficacemente a bada l'opposizione e guadagr..are così tempo, lascia completa libertà di azione a Fey, che lavora con capacità serietà e successo. Questi si adopera efficacemente a rafforzare i corpi armati statali e le « Heimwehren », e a stabilire tra quelli, e tra quelli e queste, più strotte relazioni che permettano, al momento opportuno, di volgerli tutti, con azione coordinata, all'unico scopo. Ma, specialmente per quanto riguarda l'esercito e le « Heimwehren >>, vi è ancora parecchio da fare, perché il primo deve essere meglio fornito di uomini e le seconde di armi. È evidente che se i socialisti, timorosi dell'avvenire, volessero, rompendo gli indugi, passare all'azione, non si esiterebbe a reagire. Ma se, com'è probabile, essi non credono pigliare tale iniziativa, le « Heimwehren » stimano miglior partito continuare nella loro attuale preparazione che richiede altro tempo. Il giorno in cui esse si presentassero a Dollfuss con una concreta proposta di più energica azione, occorre possano dirgli che la preparazione stessa è compiuta e che quindi non vi sono altre ragioni per una più lunga attesa. Ciò corrisponde del resto ai desideri del Cancelliere, il quale a qualche soileci

tazione già rivoltagli da Starhemberg ha sempre risposto doversi attendere a quando l'organizzazione necessaria sia stata terminata. Starhemberg mi ha consigliato di rinnovare lodi e incoraggiamenti a Dollfuss, di confermargli il nostro appoggio alle « Heimwehren », la volontà di queste di collaborare lealmente con lui e la loro soddisfazione per il suo contegno, essendo il Cancelliere non indifferente a tali discorsi: siamo rimasti intesi che ci saremmo rivisti dopo il mio colloquio con questo, colloquio che dovevo avere iersera e che a causa degli incidenti parlamentari, i quali hanno richiesto la presenza di Dollfuss alla camera, è stato rimandato a oggi.

Ho dato comunicazione al Cancelliere del contenuto del telegramma di V. E., spiegandolo e opportunamente commentandolo: non riferisco particolareggiatamente per brevità.

Il Cancelliere è rimasto molto e favorevolmente impressionato della comunicazione, non solo per l'importanza di questa ma anche perché in essa ha visto la migliore conferma della fiducia che V. E. continua ad avere in lui. Anche Dollfuss è preoccupato e malcontento della visita a V. E. di Rintelen, che teme voglia scalzarlo a proprio beneficio nella stima dell'E. V. Mi ha in proposito accennato all'attività speculatrice del suo collega e a certe sue attuali simpatie per la Germania, delle quali aggiungo io, l'affare della « Steweag » potrebbe essere una causa o un effetto.

Circa la parte per così dire economica della comunicazione, Dollfuss si è riservato una più ampia e specifica risposta dopo il ritorno di Schtiller da Parigi. Ha però fin da ora osservato che le trattative con la Germania e la Cecoslovacchia sono volte a ottenere concessioni dai due stati, senza reciprocità da parte dell'Austria, e ciò allo scopo di ridurre il forte «deficit» della sua bilancia commerciale nei riguardi di entrambe; che lo stesso del resto potrebbe dirsi anche per quanto riguarda la Polonia. Comprende a ogni modo il nostro giusto punto di vista.

Quanto alla parte politica della mia comunicazione, d'altronde la più importante, essa è stata quella che gli ha prodotto maggiore impressione specie per le nostre ampie offerte di aiuto. Dollfuss mi ha detto ch'egli vuol continuare senza impazienze, ma fermamente e sicuramente, nella sua politica di destra. In ciò intende procedere in stretto accordo con le « Heimwehren »: se fosse stato disposto nell'estate scorsa a sbarcare dal ministero Jakoncig, tutti i socialisti avrebbero votato per lui in occasione dell'approvazione del protocollo per il prestito. È indubbio che questi sono oggi indeboliti. Egli è stato il primo cancelliere che abbia osato valersi di una « Notverordnung » ciò che ha molto allarmato i sovversivi, i quali non osano fare più vero ostruzionismo in Parlamento, malgrado qualche breve chiassata per salvare le apparenze, ben sapendo che in caso contrario il Cancelliere non esiterebbe a far seguire alla prima altre « Notverordnungen ». Malgrado ciò, per ottenere quel solido e durevole rafforzamento del governo che è nei suoi intenti gli occorre attuare due premesse. La prima è il consolidamento dei corpi armati statali e delle « Heimwehren », e la predisposizione della relativa cooperazione, nel che Fey lavora bene; nulla infatti potrebbe intraprendere prima di disporre di una forza sicura ed efficace. La seconda è un qualche miglioramento della situazione economica che allievi la disoccupazione la quale è, specie nell'inverno, la migliore alleata dei socialisti. Egli è gratissimo all'E. V. della offerta di aiuto di cui apprezza l'importanza e il

42 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

valore, e appunto in considerazione di ciò preferisce, piuttosto che darmi una risposta immediata, prendere tempo per riflettervi e farmi conoscere la sua opinione ben ponderata. Già sa del resto quello che siamo pronti a fare in materia di armi, e vede già in ciò un principio di attuazione effettiva dell'aiuto stesso nonché un mezzo per il compimento di una delle due suaccennate condizioni poste da lui come premesse alla possibilità di una più vigorosa politica.

Seguendo il suggerimento di Starhemberg gli ho parlato delle mie frequenti e regolari relazioni con le « Heimwehren »; della loro soddisfazione per la sua opera, della loro volontà di continuargli a prestare la propria valida e volenterosa collaborazione.

Dollfuss se ne è rallegrato e mi ha rinnovato le espressioni della sua profonda gratitudine per V. E., riservandosi di riprendere un altro giorno il colloquio, di cui, ripeto, ha mostrato valutare adeguatamente l'importanza.

(l) -Cfr. n. 484. (2) -Cfr. n. 480. (3) -Cfr. n. 469. (4) -Non pubblicato.
495

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTÀ, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. POSTA 4638/526. Zagabria, 1° dicembre 1932 (per. il 5).

Poiché in questi ultimi giorni la stampa di Belgrado e di qui si è occupata a riportare e a commentare la «risoluzione» di cui ai miei telespressi n. 4459/502 del 16 corrente e n. 4509/516 del 22 corrente (2), il dott. Macek ha tenuto a farmi sapere, nei riguardi di tale «risoluzione», quanto segue, che dovrebbe chiarire la portata e gli scopi di essa.

Da qualche tempo, in seno alla stessa opposizione croata, erano sorti screzi personali e malumori per la passività del partito. La riunione, nella quale è stata firmata la «risoluzione ,> in parola, se non ha fatto cessare le diversità dei pareri, ha servito, oltre che richiamare ancora una volta l'attenzione europea sul grave dissidio Belgrado-Zagabria, a segnare una data dopo della quale questa opposizione intende passare dalla «resistenza passiva» -finora praticata -ad una azione violenta e forse risolutiva, che dovrebbe cominciare prossimamente.

Uno dei migliori fiduciari del Macek si recherà tra poco all'estero per organizzare in grande stile tale azione violenta e i mezzi adatti al suo sviluppo.

Prima della sua partenza sarà pubblicato un « manifesto » a tutti i Governi e agli Enti che più si interessano di tali argomenti. In esso sarà dichiarato che ormai la questione croata è una vera e propria questione europea, che le potenze maggiori hanno interesse a veder regolata. Se circa due mesi dopo tale manifesto i Governi esteri non se ne saranno occupati, la nazione croata cercherà di risolvere da sola, anche con la violenza, la sorte del paese, dolente se ciò potesse essere causa di nuove maggiori complicazioni in questa parte d'Europa.

L'assoluta indipendenza della Croazia, che dovrebbe comprendere la Siavenia e la Bosnia Erzegovina, sarebbe molto utile all'Italia, se pure non troppo ben vista dall'Inghilterra e dalla Francia, in quanto che il nuovo Stato assicurerebbe all'Italia l'assoluta tranquillità in Adriatico, che permetterebbe al nostro paese di svolgere indisturbato la sua missione in Oriente e nel nord-Africa.

I croati considerano il Duce come la sola persona capace di mettere in esecuzione tale grande concetto e credono che l'azione in tal senso non debba tardare molto, non tanto per timore che la Jugoslavia si consolidi, quanto per la maggiore estensione che sta ora prendendo il comunismo da queste parti, ciò che può seriamente compromettere il raggiungimento del programma in parola.

Mi riservo, con altro mio rapporto successivo, d'intrattenermi sulle probabilità di successo che può avere tale programma, dopo che avrò avuto occasione di sentire e valutare altre informazioni che, al riguardo, mi sono state promesse.

(l) -Inviato !n copia alla legazione a Belgrado. (2) -Non pubbllcati. I firmatari principali della «risoluzione » erano Macek, Trumb!é, Budak e Wilder. La «risoluzione», presa il 5 -6 novembre, stabiliva l'accordo di tutte le opposizioni croate sul punto di tornare alla situazione del 1918 prima della costituzione della Jugoslavia.
496

IL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, POLVERELLI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA

T. 11824/119 P. R. Roma, 2 dicembre 1392, ore 24.

Prego trasmetere urgenza testo conferenza politica che sarebbe stata tenuta 28 novembre scorso da prof. De Unamuno all'ateneo madrileno.

497.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4098/714 R. Berlino, 2 dicembre 1932 (per. il 4).

Da un colloquio da me avuto iersera col Segretario di Stato von BUlow risulta:

che non si nutrono molte speranze a Berlino che la Francia muti il suo atteggiamento negativo di fronte alla richiesta tedesca di parità di diritti;

-che la Germania scorgerebbe però una possibilità di uscire dal vicolo cieco presente qualora la Francia riconoscesse il principio della parità, alla condizione però che la Germania s'impegnasse a non aumentare i propri armamenti. In tal caso la Germania dichiarerebbe dal suo lato che essa non intende armarsi, se gli altri Stati disarmeranno, ma farebbe contemporaneamente riserve sul suo diritto di possedere subito, ancorché in numero esiguo, le stesse armi degli altri (soprattutto qualche cannone divisionale leggero in più degli attuali) ed un campionario di armi meccanizzate. Tali riserve reciproche non impedirebbero un accordo, anzi costituirebbero un utile addentellato per ulte

riori discussioni in cui la Germania cercherà sempre, date le sue condizioni finanziarie, di far valere il principio giuridico della parità più che di aumentare realmente i propri armamenti;

-che secondo notizie qui pervenute le speranze nutrite a Parigi nei primi giorni dopo l'enunciazione della proposta Herriot sarebbero scemate in seguito alle riserve e critiche formulate quasi ovunque;

-che anche questo ambasciatore di Francia si sarebbe espresso all'Auswartiges Amt in termini che lasciavano intravvedere come Herriot non si facesse ormai illusioni circa la sorte riservata al suo progetto;

-che il desiderio manifestato da Norman Davis che, qualora si raggiungesse un accordo fra la Germania e gli altri quattro grandi Stati sulla parità di diritto e fra l'Italia e la Francia sulla parità navale, la trattazione generale della questione del disarmo fosse rimessa ad epoca ulteriore, aveva suscitato non poca sorpresa a Berlino. Qui ci si domanda se ciò debba ascriversi al notevole nervosismo che regna presentemente a Washington a causa del prossimo mutamento di Governo o semplicemente all'intenzione personale di Norman Davis di rientrare al più presto possibile in America, attribuendoglisi l'intenzione di avere un portafoglio nel nuovo Gabinetto.

498

L'AMBASCIATORE A MADRID, GUARIGLIA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4089/117 R. Madrid, 3 dicembre 1932, ore 15,15 (per. ore 20,15).

Suo telegramma n. 119 (1).

Ho trasmesso per posta testo conferenza Unamuno.

Avverto però ad ogni buon fine che mi sembra il caso non dare troppa importanza e tanto meno larga diffusione possa... (2) nostra stampa a questa verbale manifestazione di vecchi intellettuali spagnoli che, malgrado la loro fama letteraria universale, sono però, in realtà, abbastanza sgonfi e privi ora di vera influenza politica. Essi si mostrano delusi di non trovare attuale Governo Azafia quell'atteggimento di assoluta libertà repubblicana corrispondente agli << immortali principi >> base dell'89 che essi venerano ancora con anacronistica mentalità di liberali. È esatto che spira in questo momento certo vento di fronda contro « manieraio » del signor Azafia e si parla di possibile crisi e si sussurra di nuovo complotto; ma è difficile far previsioni meditate. Tutto dipende dall'abilità e dal... (2) di Azafia il quale, per esempio, lotta contro le manovre parlamentari e non può certo cercare l'ordine e la tranquillità sempre minacciati in questo paese con i metodi ordinari, cari alle teorie repubblicane e liberali. L'eventuale trionfo di queste ultime ·non mi sembra favorirebbe migliori rapporti itala-spagnoli, poiché quanto più debole diventasse regime repubblicano, tanto più esso sarebbe dominato da influenze a noi contrarie.

(l) -Cfr. n. 496. (2) -Gruppo indecifrato.
499

IL CONSOLE A SPALATO, SEGRE, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4085/37 R. Spalato, 3 dicembre 1932, ore 18,30 (per. ore 21,30).

Nella notte sul 2 corrente elementi sokolisti di Traù, dopo trattenimento e ballo alla casa dei Sokol in occasione festa l o dicembre, danneggiavano gravemente 4 magnifici leoni veneti posti alla porta marina, alla porta di terraferma, sul municipio e nella loggia di quella città.

Opera vandalica venne completata stanotte con la distruzione totale non solo dei 4 predetti ma di tutti gli altri leoni che ornavano Traù: essi furono completamente frantumati e i pezzi dispersi o gettati in mare.

Sembra che distruzione totale sia stata ordinata dal capitano distrettuale di Spalato, il famigerato Aninic già in servizio a Veglia e Curzola, che questo bano aveva inviato ieri a Traù per compiere inchiesta.

Polizia restò completamente passiva.

Atto inaudito di vandalismo e barbarie, stigmatizzato dagli stessi jugoslavi ben pensanti, ha provocato sdegno e costernazione vivissima fra connazionali Dalmazia.

Telegrafato Roma e Belgrado.

500

IL DIRETTORE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, PIGNATTI

T. PER CORRIERE R. 1248 R. Roma, 3 dicembre 1932.

Secondo notizie pervenute a questo Ministero (l) il signor Patenòtre, sottosegretario alla presidenza del consiglio francese, di ritorno da un viaggio a Berlino, sarebbe stato richiesto da Herriot del suo avviso intorno alla situazione europea, la cui gravità impone alla Francia di cercare al più presto un accordo con la Germania o con l'Italia.

Patenòtre avrebbe risposto che a suo avviso la via da seguire sarebbe cercare un accordo con la Germania attraverso l'Italia. Egli vorrebbe cioè concludere intanto un accordo con l'Italia per giungere poi insieme ad una intesa con la Germania.

Parrebbe in ogni caso che negli ambienti di Governo in Francia nessun piano preciso sarebbe ancora formato dato che l'atmosfera non è ancora limpida, ma che verrebbe svolgendosi un processo di chiarificazione verso nn accordo tra le grandi potenze europee.

Quanto sopra si comunica per riservata informazione di V. E.

(l) Cfr. n, 428.

501

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO. Roma, 3 dicembre 1932.

!O) Com'è noto a V. E., il Barone Franchetti reca tosi nel maggio scorso ad Addis Abeba aveva ricevuto assicurazione personalmente dall'Imperatore che la sua richiesta, diretta ad ottenere la costruzione della strada Setit-Gondar, avrebbe trovato a tempo opportuno il favore imperiale, ma che, in base alla Costituzione etiopica, la questione doveva essere sottoposta all'esame del Senato per parere.

Tale comunicazione imperiale fu ripetuta al R. Incaricato di Affari dal Ministro degli Esteri etiopico. Tornato il Barone Franchetti ad Addis Abeba lo scorso ottobre per la riapertura del Senato, questo consesso ha adottato una deliberazione nella quale:

a) esprime il parere che il programma stradale etiopico debba, in un primo tempo, limitarsi alle strade partenti da Addis Abeba verso l'interno e che solo in seguito possa prendersi in considerazione la costruzione di strade periferiche, quali la Setit-Gondar; b) emette il voto che le costruzioni stradali siano affidate esclusivamente a Società etiopiche.

Essendo il Senato Etiopico uno strumento della volontà dell'Imperatore, i propositi negativi del Governo etiopico sono evidenti.

In analogia alle comunicazioni che il R. Incaricato d'Affari in Addis Abeba ebbe già istruzioni di fare sulla questione al Governo etiopico, precedentemente alla deliberazione del Senato, la Direzione Generale Affari Politici (Ufficio !ID riterrebbe opportuno di telegrafare al R. Rappresentante in Etiopia nel senso di cui alla prima parte dell'unito telegramma.

2°) La deliberazione del Senato etiopico solleva inoltre un problema più generale.

Com'è noto, nel 1928, noi abbiamo stipulato con l'Etiopia un patto d'amicizia, col quale, fra l'altro, nell'art. 3 il Governo etiopico si è impegnato ad «ampliare e far prosperare il commercio fra i due Paesi». Contemporaneamente a detto articolo, fu firmata una Convenzione per la costruzione di una strada fra Assab e Dessiè e per la concessione di una zona franca etiopica nel porto di Assab. Le disposizioni di tale Convenzione sono rimaste lettera morta, per fatto dell'Etiopia, che con pretesti e lungaggini ha praticamente rinviato la realizzazione di quanto nella Convenzione è contenuto.

La deliberazione del Senato, stabilendo il principio che le strade da costruirsi in un primo tempo sono solo quelle da Addis Abeba ai centri periferici, implica evidentemente che il Governo etiopico non ha intenzione di applicare la Convenzione stradale per l'Assab-Dessiè.

In conseguenza sarà da esaminarsi, dopo ricevuto l'esatto testo della deliberazione del Senato ed accertato che il Governo etiopico intende attenervisi, quale atteggiamento sia da adottarsi da parte nostra in conseguenza della vo

lontà espressa dal Governo etiopico di rinviare sempre più la realizzazione della Convenzione stradale, connessa e firmata contemporaneamente al Patto di Amicizia italo-etiopico.

Con la seconda parte del telegramma qui unito, si fa quindi riserva di ulteriori istruzioni per questo lato della questione.

3°) I rapporti con l'Etiopia non hanno, in questo momento, -né d'altronde da un certo tempo -carattere specialmente cordiale. Il telegramma che si propone di inviare apparirebbe tuttavia opportuno per dare all'Imperatore la sensazione dell'apprezzamento che noi facciamo della deliberazione senatoriale da lui provocata; mentre l'assenza di comunicazioni da parte nostra sarebbe certo interpretata come un segno di debolezza (1).

502

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 618 (2). Parigi, 3 dicembre 1932 (per. il 5).

Ho constatato sicuri sintomi di un mutamento di tendenza del presidente del consiglio, nel considerare il problema delle relazioni italo-francesi. Può darsi che si tratti di manovra tattica per suscitare un maggior interesse da parte nostra, ma non è escluso che il signor Herriot il quale, com'è noto, è facilmente influenzabile, si sia lasciato impressionare ed esiti al momento di passare dalle parole ai fatti.

La prima manifestazione di perplessità del presidente del consiglio si è avuta nel corso di una conversazione col Comm. Frigerio che rappresenta, da tempo, a Parigi, la Banca Commerciale Italiana. Il signor Herriot, parlando del riavvicinamento itala-francese, ha detto al suo interlocutore che stava per convincersi « della quasi impossibilità » di addivenire ad un accordo con l'Italia, senza tuttavia chiarire maggiormente il suo pensiero.

Da notizie pervenutemi da altra parte, che ritengo attendibile ma che mi riservo di controllare, mi risulta che in un colloquio con l'ex-ambasciatore a Roma, René Besnard, il signor Herriot avrebbe dimostrato grande perplessità, concludendo la conversazione con le seguenti testuali parole: «non possiamo sacrificare la Jugoslavia».

È questa del resto l'idea dominante presentemente nell'ambiente del Qual d'Orsay. Il mio informatore, che ha parlato con questo ministro di Jugoslavia e ne ha notata la nervosità nel considerare la possibilità di un chiarimento della situazione italo-francese, suppone che siano state esercitate pressioni su Herriot, da Belgrado, probabilmente per istigazione di Berthelot.

Risulta pure che l'ambasciata di Roma è stata offerta con insistenza a Béranger il quale non ha accettato. Il presidente della commissione degli esteri considera l'offerta una manovra del Quai d'Orsay nell'intento di staccarlo dalla

commissione senatoriale, nella quale egli ha una forte posizione, e di sacrificarlo dopo pochi mesi della sua missione romana.

L'ambasciata di Roma è stata sollecitata da René Besnard nel succitato colloquio con Herriot. Il presidente del consiglio si è riservato di dare una risposta al suo amico adducendo che la stessa domanda gli era stata rivolta da Georges Bonnet (presidente della conferenza di Stresa) per il quale era incerto fra la sede di Londra e quella di Roma.

L'azione della frazione radicale favorevole ad un accordo con l'Italia, pare sia diretta in questo momento a sbalzare Berthelot dal Quai d'Orsay. Il segretario generale del Ministero degli Esteri è un ostacolo insormontabile ad un cambiamento di politica verso l'Italia. Le condizioni di evidente deperimento fisico e di stanchezza mentale di Berthelot sono destinate, secondo i giovani radicali, a facilitare il di lui allontanamento.

In queste condizioni, ed anche perché la manovra in corso non è di esito sicuro, mi sembra indicato da parte nostra di persistere nell'atteggiamento riservato fin qui seguito.

L'informatore mi ha detto che Poincaré avrebbe manifestato, con grande vivacità ed in termini quasi violenti, a una personalità politica appartenente al partito radicale, la sua opposizione ad una politica di riavvicinamento all'Italia.

Comunico infine una voce che circola con insistenza negli ambienti politico-finanziari parigini, secondo la quale l'Italia si troverebbe nella necessità di ricorrere al credito estero fra cinque o sei mesi. La Francia -si dice dovrebbe attendere quel momento per trovare nel Governo italiano maggiore arrendevolezza a intese politiche.

(1) -A margine annotazione del 6 dicembre: «Visto da S. E. il Capo del Governo che ha firmato Il telegramma (spedito) ». Cfr. n. 510. (2) -Il telegramma è privo di numero di protocollo generale perché. com~ risulta dal r€glstro dei telegrammi in arrivo, fu <<ritirato dal Gabinetto di S. E. Il Ministro».
503

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4088/28 R. Ginevra, 4 dicembre 1932, ore 1,10 (per. ore 6).

Dietro richiesta MacDonald ho avuto oggi colloquio con lui e con Simon.

MacDonald mi ha espresso disappunto arrivo Neurath rimandato a lunedì,

giacché in tal modo resteranno disponibili solo 5 giorni per le conversazioni a 5

dovendo Herriot ripartire venerdì.

Mi ha chiesto se R. Governo riteneva possibile continuare lavori confe

renza disarmo Ginevra.

Ho risposto ritenere in tal caso continuazione perfettamente inutile.

Tanto lui quanto Simon mi hanno dichiarato punto di vista Governo

inglese prossimo convegno essere quello concedere alla Germania parità, evi

tando però possibilit,à riannamento.

Mi chiedevano se richieste germaniche, e cioè riaggiustamento trattato lli

Versaille::;, meccanizzazione, adozione ;::pecimen armi e abbreviamento ferma

fossero da considerare come riarm:unent0.

Evitando pronunciarmi con tropp:1 rcecisio~'!.O il1 prscedema imminenti ccnversaz!o!11 a 51 hJ ri~.pottc cbo !J. c,r1::.::,~i~n2 ~8 3 q:t:::.:]~8 ~J.!i r!~h!:::c: :vn_~,:;b

bero significato riarmamento dipendeva dalla natura della formula che prossimo convegno sarebbe riuscito a escogitare, al fine di permettere ritorno della Germania.

Venuti a parlare direttive prossimo convegno, siamo rimasti d'accordo, data estrema delicatezza situazione, essere necessario vigilare a che discussione rimanga strettamente limitata a principi generali.

Inglesi perplessi circostanza posizione nettamente antitetica richiesta tedesca riaggiustamento e richiesta francese sicurezza che sembra non lascino adito alcuna soluzione.

Ho detto sembrarmi possibile conciliare antitesi, offrendo in sede convegno a 5, all'uno e all'altro contendente promessa formale esaminare in ulteriore sede bureau conferenza disarmo la sostanza della loro richiesta.

Comunque tenevo a dichiarare opinione del Capo del Governo in tema di qualsiasi eventuale riarmamento era quella di non procedere se non per tappe ed in tema di sicurezza era quello di non andare oltre impegni già assunti, i quali potrebbero però venire riconfermati.

Miei interlocutori hanno dichiarato essere identica intenzione Governo inglese. Venuti a parlare del programma americano, mi ha chiesto opinione italiana al riguardo.

Ho detto che, poiché ritenevo massima necessità attuale essere quella d'uscire odierna «impasse » diplomatica ritenevo benefica la proposta di modificare quanto esiste di fino ad oggi acquisito in tema di disarmo, per quanto sia da considerarsi difficile raggiungere approvazione generale sui particolari tecnici; ma che sopratutto ritenevo promettente adozione vacanza armamenti per periodo tre ovvero quattro anni, garantendo così per il momento l'attuale statu qua.

Infine mi ha chiesto parere Capo del Governo su conferenza economica, di cui inglesi vorrebbero rimandare a giugno data convocazione.

Pur dichiarando che Capo del Governo non me ne aveva finora mai fatta speciale menzione, ritenevo potere dire che egli non poteva non considerare con simpatia tale iniziativa, ma che d'altra parte credevo dubitasse della serietà e importanza suoi possibili risultati qualora convocazione avvenisse prima orizzonte politico delle relazioni internazionali fosse rischiarato. Senza ritorno alla scambievole fiducia è inutile sperare successo conferenza.

Ho concluso dicendo che intanto ordine del mio capo era quello di collaborare con la massima buona volontà alla trattazione di tutte le questioni pendenti, del che MacDonald si è mostrato assai grato e mi ha pregato di restare in stretto contatto con lui.

504

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELEGPR. R. CONFIDENZIALE 25/';1. Ginevra, <"l dicembre 1932.

Ha chiesto di \'Cdermi il generale MorìtD, mio antico cono.:cente, membro dclh delee;azione si'1pponese pr;r h Questione della Mo.n:::iu.ria i! q:.w.le sarà probabi!I!1cntc i:1:ari:at o aneh:= dslle tn t~ati·>'c pc l disarmo.

Dopo avermi ripetute le ben note ragioni economiche e militari che costringono il Giappone a persistere nell'atteggiamento assunto, mi ha chiesto l'appoggio italiano alla tesi nipponica. L'atto tanto insolito per un giapponese, militare e diplomatico per giunta, mostra a che punto la situazione giapponese presso la Società delle Nazioni è divenuta difficilmente sostenibile. Ha tenuto a dichiararmi che se all'Assemblea, che il Giappone ha fatto di tutto per evitare, si pronunzierà una parola che indichi il Giappone come aggressore ovvero si voterà una mozione che leda il suo onore nazionale, il Giappone sarà obbligato ad uscire dalla Lega.

Dietro sua esplicita richiesta di consigli o di proposte, gli ho esposto un'idea che mi pareva fornisse l'unica possibile via di uscita alle difficoltà presenti. Essa consiste nel cercare un terreno di intesa fra Cina e Giappone al di fuori dell'Assemblea, sulla base del prolungamento dello statu qua in Manciuria per un certo numero di anni, salvaguardando le necessità di fatto militari ed economiche del Giappone mediante il sacrificio di qualche concessione di carattere formale da farsi alla suscettibilità cinese. Praticamente tale disegno potrebbe concretarsi mediante la nomina di una commissione di tipo Lytton ampliata nella sua formazione per l'inclusione dei rappresentanti degli Stati Uniti e della Russia. Suo compito sarebbe quello di sorvegliare l'applicazione degli accordi intervenuti tra Cina e Giappone ovverosia di controllare e garantire la continuità dello statu qua. Il Generale Marita ha ritenuto il progetto pienamente accettabile.

In ottemperanza alle istruzioni del Capo del Governo, la nostra azione in questo affare non potrà eventualmente esplicarsi se non sotto forma di mediazione. Non sottoporrò quindi la cosa ai rappresentanti cinesi se non dopo esplicita richiesta giapponese di mediazione, né farò passi ulteriori se non dopo il formale consenso dell'una e dell'altra parte.

505

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4107/246 R. Belgrado, 5 dicembre 1932, ore 13,15 (per. ore 16,30).

Ripeto il telegramma ricevuto stamane dal ~omm. Segre e che non risulta inviato contemporaneamente a V. E.:

«Recatomi stamane a Traù per accertarmi di persona quanto riferito con telegramma 5371 (l) in base informazioni avute, sono stato accolto da ostilissimo umore della popolazione con grida "abbasso l'Italia, abbasso i provocatori, viva Jugoslavia, viva l'Istria jugoslava, viva Gortan, ecc.".

Macchina fotografica colla quale mi accingevo riprodurre stato pietoso delle mura deturpate, mi fu strappata a forza dalla polizia. Accompagnato dal sindaco e protetto dai gendarmi a sciabola sguainata, ho potuto fare un breve giro per la città constatando che effettivamente tutti

i leoni sono stati abbattuti e si sta già lavorando per ripristinare le mura [da cui] furono asportati).

Se anche dettato da nobilissimi sentimenti patriottici e da giusto sdegno per il selvaggio procedere contro il ricordo di alta civiltà, stimo che il sopraluogo di Segre, munito per di più di macchina fotografica, sia stato del tutto inopportuno. Non mi parrebbe quindi il caso di intervenire da parte mia per le violenze delle quali è stato oggetto e le grida offensive che la sua presenza ha suscitato.

Ricordo che in occasione distruzione leoni Veglia, essendovi capitano distrettuale l'Anicic, ebbi colloquio il venti maggio 1930 con Marinkovich <vedi rapporto n. 1013). Sull'attuale vandalismo di Traù riservomi quindi di intrattenere al più presto Jeftic.

Prego V. E. telegrafarmi se approvi.

(l) Cfr. telegramma da R. Consolato Spalato 3 corr. n. 37 (n. 4085 R). [Nota del documento). Cfr. n. 499.

506

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, CERRUTI, A BRUXELLES, VANNUTELLI REY, A LONDRA, GRANDI, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, PIGNATTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DIANA, E ALLA DELEGAZIONE A GINEVRA

T. PER CORRIERE 1262 R. Roma, 5 dicembre 1932.

Questa ambasciata di Polonia per incarico del proprio Governo ha verbalmente fatto conoscere che il Governo polacco non si considererà impegnato dalle decisioni che saranno adottate dalle cinque Potenze nella riunione di Ginevra per la questione del disarmo per la parte che tali decisioni lo potessero eventualmente riguardare nel caso che le medesime vengano prese al di fuori del Governo polacco.

La predetta ambasciata ha fatto conoscere che analoga dichiarazione verbale è stata fatta contemporaneamente dai rappresentanti polacchi presso le altre quattro Grandi Potenze.

507

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 1266/215 R. Roma, 5 dicembre 1932, ore 23.

Sabato ho ricevuto Rintelen.

Egli ha confermato sua favorevole disposizione per accordo molto stretto con nostro paese sia terreno politico che economico. Considera prima necessità rinforzare Governo che potrà appoggiarsi sempre più sulle Heimwehren. Ritiene cancelliere attuale abbia qualità per fare una politica forte. Secondo Rin

.telen si potrà agire seriamente in Austria soltanto quando si sia disposti a

governare con le Notverordnungen e a sciogliere il consiglio municipale di

Vienna mettendo un commissario Governativo.

Rintelen ha tenuto a dimostrare sua ottima armonia con cancelliere sul quale intende agire per portarlo sempre più a una politica autoritaria.

V. S. potrà far uso riservato di questa comunicazione sia con cancelliere che con Jaconcig e Starhemberg.

508

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 5 dicembre 1932.

Ho l'onore di attirare l'attenzione di V. E. sull'articolo editoriale pubblicato il 28 novembre dalla Dépeche Coloniale sulle « mene italiane in Etiopia». Parimenti un simile accenno trovavasi sull'articolo di Marcel Lucain sul Paris Midi del 3 dicembre u.s.

In considerazione del noto nuovo atteggiamento che il R. Governo intende assumere d'ora innanzi in Etiopia, si ha l'onore di prospettare l'opportunità di far ribattere queste insinuazioni della stampa francese da uno o due grandi giornali italiani, allo scopo di dissociare qualsiasi eventuale connessione tra i futuri sviluppi della nostra politica in Etiopia e queste prime insinuazioni.

I nostri giornali dovrebbero smentire nostre mire sul territorio abissino, ed auspicare nuove ed intense relazioni commerciali fra l'Italia e l'Etiopia.

509.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 5880/2393. Ivlosca, 5 dicembre 1932.

Secondo confidenze fattemi da Litvinoii, il Governo Turco si sarebbe adombrato del discorso tenuto a Torino da S. E. il Capo del Governo, nella cui proposta per un accordo delle quattro grandi potenze europee avrebbe visto una menomazione della Turchia, così considerata fuori della grande politica europea.

Non mancai di accertare se questa confidenza non costituisse da parte di Litvinoff un modo indiretto per manifestarmi, attraverso il risentimento turco, quello sovietico. Il mio interlocutore si affrettò a chiarire che, per quanto naturalmente l'enunciazione eli Torino non fosse U.lc da poter costituire per l'URSS motivo di compiaeimento, pure il risentimento di cui mi aveva fatto parola era di marca turca e non sovietica. In sostanza, da una politica di accordi preventivi delle grandi nazioni europee, Tewfik Houscdi bey vedrebbe minacciata quella politica «societaria >> in cui egli vede una maggiore po:::sibilità di soddisfacimcnto dello proprie :l~l!bi::i::J:·!i pcrconali

Premetto che la informazione in parola mi fu data da Litvinoff in seguito alla mia assicurazione -fornitagli in risposta ad analoga domanda sua -che le nostre relazioni con la Turchia continuavano buone come per il passato. Risposi a Litvinoff che solamente un vanesio come Tewfik Rouscdi Bey avrebbe potuto trarre dal discorso di Torino motivo di risentimento. A parte il fatto che quel discorso si riallacciava a preesistenti proposte per discussioni a quattro sopra la questione della parità tedesca, era evidente che S. E. il Capo del Governo aveva inteso sopratutto di enunciare una situazione di fatto incontestabile: essere cioè impossibile in Europa una politica di pace senza l'accordo delle quattro maggiori potenze interessate su tutte le grandi questioni del momento.

510

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA

T. 11921/388 P. R. Roma, 6 dicembre 1932, ore 16,30.

Suo telegramma 708 (1).

Prego V. S. cogliere favorevole occasione per fare verbalmente presente al Blatingheta Herui che questo ministero, in attesa ricevere testo della deliberazione del senato, desidera preliminarmente far conoscere Governo etiopico che esito negativo pratiche Franchetti contrasta con affidamento imperiale, dato al Franchetti e comunicato a V. S. dal Blatingheta, affidamento che lasciava supporre non sarebbe stata opposta alcuna abbiezione di principio, quale quella risultante da deliberazione senato.

Inoltre questa appare in contrasto con art. 3 patto di amicizia del 1928, col quale Governo etiopico si impegnava di « ampliare e far prosperare il commercio fra i due paesi>>; e non influirà favorevolmente sui rapporti italo-etiopici.

Per sua norma avvertola che questo ministero si riserva, dopo esaminato testo deliberazione senato, eventuali ulteriori istruzioni in merito alla questione generale che tale deliberazione solleva, in vista dell'applicazione sia dell'art. 3 anzidetto che della convenzione stradale Assab-Dessié. Al riguardo si gradirà conoscere pensiero della S. V.

511

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 1269/147 R. Roma, 6 dicembre 1932, ore 17.

Suo 246 (2). Non è possibile passare sotto silenzio vandalismi Traù diretti contro segni nostra civilità ed è inammissibile contegno autorità e popolazione Traù a riguardo R. console generale Segre.

Pregola protestare presso codesto Governo. Mi telegrafi.

(l) -T. 8381/ P. R. del 14 novembre, ore 19, per. ore 21 del 15, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 505.
512

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

RELAZIONE. Roma, 6 dicembre 1932.

L'azione politica italiana nel Mar Rosso, ove si voglia in modo sommario riassumere nelle linee secondo le quali attualmente si svolge, deve essere esaminata in confronto ai paesi della costa araba, ed in confronto all'Etiopia, avendo a base la Colonia Eritrea.

lo -ARABIA -Fino al 1926 l'Italia non ha avuto alcun punto di appoggio e di riferimento per la propria poli~ica in Arabia, che si può dire sia stata fino allora del tutto insussistente. Nel 1926 è stato firmato il Trattato di amicizia con lo Yemen. Lo stabilimento di cordiali rapporti con quell'Imanato condusse alle conversazioni itala-britanniche di Roma del 1927.

A fine di mantenere e possibilmente sviluppare l'influenza italiana nello Yemen (che fu la ragione determinante e costituisce il presupposto delle suddette intese italo-inglesi per il Mar Rosso) abbiamo in un primo tempo:

a) istituito a Sanaa, Hodeida e Taiz degli ambulatori, diretti da medici in servizio presso la Colonia Eritrea;

b) aiutato l'Imam a organizzare l'ofl'icina meccanica di Sanaa, dove lavorano nostri operai;

c) impiantato infine una stazione radio a Hodeida servita da nostri telegrafisti.

Successivamente, allo scopo di dare incremento ai traffici italo-yemeniti, nei quali sono largamente interessati l'Imam e i notabili dello Yemen, abbiamo provocato la costituzione della Società Anonima Navigazione Eritrea, la quale, diretta dal Comm. Fagiuoli, ha già iniziato su larga scala il commercio di esportazione del caffè dallo Yemen, e quanto prima si propone, in relazione ad accordi con la Società Petrolea, di iniziare nello Yemen l'importazione del petrolio. La S.AN.E. ha ricevuto dal R. Ministero degli Esteri la somma di

L. 1.500.000, quale prestito a basso interesse, che essa ha impiegato quale capitale circolante per i suoi commerci.

L'azione cosi svolta rappresenta una prima tappa che è evidentemente interesse italiano di continuare a sviluppare; le linee di un tale sviluppo potrebbero essere:

a) l'istituzione di un Ospedale a Sanaa; b) l'assunzione del servizio veterinario nello Yemen; c) il facilitare allo Yemen l'acquisto di forniture varie e particolarmente

di armi; d) il dare incremento, a mezzo di un aumento del capitale circolante, all'azione commerciale della S.A.N.E.;

e) porre la S.A.N.E. in grado di gestire e sussidiare una linea di navigazione che eserciti il cabotaggio nel basso Mar Rosso.

Per realizzare tali scopi occorre poter disporre di mezzi adeguati.

È inoltre necessario disporre di mezzi per preparare opportunamente l'ambiente yemenita, secondo i costumi locali, distribuendo doni e regalìe. Ciò tanto più in quanto i nostri concorrenti commerciali e politici, quali gli agenti sovietici e recentemente anche un agente di nazionalità tedesca che è probabilmente agli stipendi inglesi, vanno scalzando, con la larghezza dei loro donativi, la posizione degli Italiani.

2° -ETIOPIA -Il processo di consolidamento, accentramento e attrezzamento militare dell'Impero etiopico è sempre più in sviluppo. La posizione dell'Imperatore non è tuttavia ancora del tutto salda. Sono frequenti le manifestazioni di malumore nell'una e nell'altra regione dell'Impero, che si tramutano talvolta in aperte ribellioni.

È nostro evidente interesse cercare di sviluppare gli elementi interni di disintegrazione dell'Etiopia e di fomentare il malcontento con un'azione che si suol chiamare di politica periferica. Tale azione consiste in sostanza nel far pervenire accortamente armi e sopratutto danari ai capi e alle popolazioni che mal sopportano l'affermazione sempre più effettiva della podestà imperiale.

L'efficacia di tale azione non può essere che relativa; ma sembra non vi sia altro mezzo per tentare di ostacolare, in quanto possibile, il rafforzamento dell'Impero.

In una recente riunione interministeriale (l) è stato valutato che la somma annua di 1.000.000 di Lire sembra sufficiente per lo svolgimento di tale azione periferica.

È inoltre da osservarsi che l'azione politica periferica, non può essere scevra da complicazioni con l'Etiopia. Essa dovrebbe quindi gradualmente svolgersi in relazione al progressivo rafforzamento militare delle nostre Colonie. Se queste oggi, secondo quanto ha autorevolmente dichiarato S. E. De Bono, dispongono già di sufficienti forze locali per fermare un'eventuale aggressione etiopica, occorre evidentemente continuare a rafforzarle ulteriormente, per metterle in grado di fronteggiare tutte le eventualità che possano presentarsi.

Sarebbe inoltre assai utile l'istituzione di un servizio di navigazione aerea che avrebbe evidenti vantaggi politici e militari, in quanto abituerebbe i piloti al sorvolo di quelle regioni, ed insieme riunirebbe per via aerea l'Italia alle due Colonie dell'Africa Orientale. Tale linea aerea potrebbe allacciarsi alla linea britannica Cairo-Capo della «Imperia! Air Ways », raggiungerebbe l'Asmara e da qui Addis Abeba, e terminerebbe a Mogadiscio.

Anche per lo stabilimento di tale servizio aereo occorrerebbe disporre di fondi per la relativa sovvenzione.

3° -GOLFO PERSICO -Lo s<:acchiere del Golfo Persico va assumendo sempre maggiore importanza politica, sia perché costituisce, dopo la conclusione dell'alleanza anglo-irakiana ed in relazione allo stabilimento di linee aeree inglesi

per l'India una nuova via imperiale, sia per i contrasti politici fra l'Inghilterra e la Persia, sia infine per l'azione politica inglese verso i sultanati arabi del Golfo Persico e della costa settentrionale dell'Arabia, a mezzo della quale la Gran Bretagna tende praticamente a rannodare il suo protettorato in tutta la parte orientale e meridionale della penisola arabica, dal sultanato di Koweit fino al protettorato di Aden.

La nostra azione in Persia ed i nostri interessi in Arabia consigliano di non rimanere assenti in una zona nella quale l'Inghilterra tende a costituirsi un monopolio politico e commerciale. A tale scopo sembrerebbe conveniente istituire una linea di navigazione italiana che dal Mediterraneo, ovvero da Massaua in coincidenza con le linee nazionali del Mar Rosso, toccasse gli scali principali della costa meridionale della penisola araba, e quelli del Golfo Persico, provocando l'incremento dei traffici itala-persiani ed aprendo nuove possibilità per la nostra influenza in Persia.

Parrebbe inoltre opportuno di riaprire il Consolato Italiano già esistente a Mascate, principale centro della zona orientale della penisola araba ed insieme importante punto di osservazione per sorvegliare i maneggi inglesi verso i sultanati arabi del Golfo Persico.

Evidentemente tale azione politica e commerciale nel Golfo Persico va svolta con ogni prudenza, tenendo presente che essa può urtare interessi che l'Impero britannico considera vitali·; e comunque dovrebbe essere iniziata dopo cessato l'attuale periodo di tensione anglo-persiana, provocata dalla denuncia persiana della Convenzione con la Anglo-Persian. Anche per le iniziative di cui sopra occorrerebbe disporre di congrui fondi.

Non si ritiene possibile, nel momento attuale, di ottenere dalla Finanza le somme necessarie per attuare il programma che si è, nelle linee generali, più sopra esposto.

Si prospetta però la possibilità che siano attribuiti al R. Ministero degli Esteri, ai fini di cui sopra, gli annui proventi derivanti dalla gestione della Società Anonima Fosfati di Kosseir, di proprietà dello Stato; proventi che, in luogo di essere impiegati ad altri scopi di carattere generale, potrebbero convenientemente servire al potenziamento e allo sviluppo della nostra azione politica in Arabia, in Etiopia e nel Golfo Persico.

(l) Cfr. n. 393, p. 506.

513

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 5876/2390 (1). Mosca, 6 dicembre 1932 (per. il 12).

Anche giudicando da Mosca, mi sembra che la linea concordata a Roma in merito ad una possibile rinnovazione della proposta per un patto di non aggressione Itala sovietico (2) sia giusta e del resto non in contrasto con le

stesse dichiarazioni fatte da S. E. Grandi a Litvinov l'ultima volta ch'essi hanno parlato della questione (Telegramma di S. E. Grandi da Ginevra n. 7 del 4 settembre 1931) (1).

Nel colloquio avuto con lui dopo il mio ritorno -durato oltre un'ora e mezza -Litvinov non mi ha fatto il più lontano accenno alla cosa. Da notare anche che, nel commentare con me il valore e la portata del patto francosovietico, Litvinov non ha neanche creduto necessario (e forse non lo era) di rinnovare l'assicurazione già data a S. E. Grandi che il nuovo patto non avrebbe alterato in nulla la politica di buona amicizia con l'Italia. L'unico accenno positivo ai rapporti italo-sovietici mi fu fatto da Litvinov sotto forma di compiacimento per le assicurazioni date in materia da S. E. il Capo del Governo al nuovo Ambasciatore sovietico a Roma. Dal che io ho tratto peraltro occasione per portare Litvinov sul terreno dei rapporti concreti economicocommerciali, sottolineando la loro importanza come sostrato e sostegno della politica realistica perseguita dai due Governi.

Pur sotto certe riserve, di cui faccio accenno in comunicazione separata, Litvinov ha convenuto con me sulla necessità che questo settore dei nostri rapporti sia, anche da parte sovietica, oggetto di speciali cure.

(l) -Questo rapporto ha il numero di protocollo anteriore a quello del 5 dicembre (n. 509) sebbene sia di data posteriore. Evidentemente i due documenti furono protocollati e spediti insieme. (2) -Cfr. n. 452.
514

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4116/31 R. Ginevra, 7 dicembre 1932, ore 1,10 (per. ore 5).

Rappresentanti cinque Potenze hanno tenuto oggi due lunghe riunioni nelle quali sono stati discussi seguenti punti:

l) Questione uguaglianza diritti e possibilità del ritorno della delegazione tedesca alla conferenza;

2) Programma dei futuri lavori della conferenza.

Circa primo punto, in seguito dichiarazioni di Herriot, è stato formulato un progetto di comunicato nel quale si afferma che delegati delle cinque Potenze hanno convenuto:

«Che uno degli scopi della conferenza del disarmo è quello di accordare alla Germania ed alle altre Potenze disarmate uguaglianza di diritti mediante un sistema che garantisca sicurezza per tutte le nazioni ».

Von Neurath, senza accettare né respingere tale proposta, si è riservato di comunicare la sostanza a Berlino e farà sapere domani se dichiarazione del genere possa essere considerata sufficiente per permettere ritorno della delegazione tedesca a Ginevra, dopo di che si dovrebbe procedere alla redazione comunicato che presenterà ulteriori difficoltà.

{l) Cfr. serle VII, vol. X, n. 458.

-43 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Sul secondo punto si è manifestatJ. forte divergenza fra delegazione americana e delegazione francese.

Davis insiste perché rappresentanti cinque Potenze esaminino senz'altro misure di disarmo immediato attuale, che potrebbe formare oggetto di convenzione preliminare, mentre convenzione definitiva sarebbe rinviata fra tre anni.

Delegazione francese chiede invece che, appena ottenuto ritorno della Germania, conferenza riprenda suoi lavori regolari per esaminare fra l'altro progetto francese.

Stasera partono Herriot e MacDonald.

Riunioni però proseguono domani.

515

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4117/32 R. Ginevra, 7 dicembre 1932, ore 1,10 (per. ore 5,30).

Consiglio Società Nazioni seduta di oggi ha esaminato questione conflitto Bolivia-Paraguay decidendo invio commissione d'inchiesta neutri sul posto.

Assemblea straordinaria sedute antimeridiane e pomeridiane ha trattato conflitto cino-giapponese. Dopo delegati cino-giapponesi, hanno parlato rappresentanti Irlanda, Svezia, Norvegia e Cecoslovacchia, pronunciandosi tutti più

o meno decisamente per soluzione che riaffermi nettamente prestigio Società Nazioni. Intonazione discorsi odierni conferma notizia che in riunione avvenuta ieri sotto la presidenza Benès rappresentanti Belgio, Cecoslovacchia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Svezia, Svizzera e Spagna avrebbero deciso fare innanzi assemblea dichiarazioni molto energiche affinché principii del patto siano rispettati.

516

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4135/247 R. Belgrado, 7 dicembre 1932, ore 17 (per. ore 20,45).

Thlegramma di V. E. 147 (1).

Jeftic (col quale era mio intendimento parlare -vedi mio telegramma 246 del 5 corrente ultimo periodo) (2) essendo partito per Ginevra, ho stamane protestato con Juricich, ministro aggiunto affari esteri per barbara distruzione leoni Traù. Ho aggiunto che fatto colpiva profondamente nostro sentimento, come esso era già stato colpito per distruzione leoni Veglia di che avevo nel

l'anno 1930 intrattenuto convenientemente Marinkovich. Gli ho anche ricordato che per tale fatto capitano distrettuale Anicich aveva lasciato quella sede, e pur senza voler nulla affermare od affermativamente dedurre, dovevasi pur rilevare coincidenza con presenza a Spalato dello stesso Anicich sotto la cui giurisdizione politica travasi Traù. Gli ho poi messo in rilievo l'inammissibile contegno quella popolazione contro Segre, che per un legittimo sentimento si recava a vedere la devastazione, che l'autorità in modo brutale gli aveva anche impedito di fotografare.

Juricich mi ha risposto che il Governo jugoslavo deplora anche egli devastazione operata da incoscienti ed inconsulti e non poteva ammettere che privati si scagliassero contro opere d'arte che non facevano male a nessuno, mentre che con ciò si danneggiava anche rinomanza jugoslava all'estero. Se tali opere d'arte potevano in qualche modo offendere sentimento politico, era al Governo, e solo al Governo, che sarebbe spettato decidere se rimuoverle e collocarle in un museo. Ha dichiarato che era in corso una inchiesta rigorosa per la scoperta e punizione dei colpevoli.

Quanto alle violenze usate contro nostro console egli le ignorava, ma, se le cose stavano come io gliele dicevo, le deplorava pure.

A tale proposito mi ha fatto cenno di incidenti antijugoslavi che sarebbero accaduti a Zara contro cittadini jugoslavi e consolato la sera del 5 corrente. Egli ha però dato ad essi carattere meno grave di quanto apparirebbe da odierno stampa di Belgrado (vedi telegramma StefanO (1).

Su andamento inchiesta per i vandalismi contro leoni veneti e per accoglienze popolazione Traù ed atteggiamento autorità verso nostro console, si è riservato darmi al più presto altri dettagli, che telegraferò immediatamente a V. E.

(l) -Cfr. n. 511. (2) -Cfr. n. 505.
517

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4139/33 R. Ginevra, 7 dicembre 1932, ore 19,45 (per. ore 22).

Mio telegramma 31 del 6 corrente (2).

Riunione di stamane dei rappresentanti cinque Potenze è stata di corta durata, non solo a causa della contemporaneità dei lavori dell'assemblea per il conflitto cino-giapponese, ma anche per mancanza d'accordo circa materia da discutere.

Rappresentante tedesco avendo riferito che sua risposta circa accettazione formula relativa all'uguaglianza dei diritti non avrebbe potuto comunque essere

data prima della serata, il signor Boncour si è opposto in tali circostanze alla discussione del merito della proposta americana.

È apparso evidente che la Francia è ostile all'idea di una convenzione preliminare che implicherebbe accettazione immediata di certe misure di disarmo senza alcun corrispettivo di sicurezza.

Da parte sua delegato americano Davis preoccupasi su urgenza di concretare qualche misura effettiva di disarmo, anche prima affrontare grosse questioni politiche sollevate dal piano francese.

Per il momento questo conflitto di tendenze non mostra via di uscita, mentre appare chiaro che la Germania non ha fretta di pronunziarsi su proposta che è stata fatta per regolare questione di eguaglianza.

Riunioni saranno riprese questa sera.

(l) -Telestampa n. 3093. [Nota del documento]. (2) -Cfr. n. 514.
518

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4140/34 R. Ginevra, 7 dicembre 1932 ore 21,30 (per. ore 23).

Rappresentanti Grandi Potenze hanno deciso stamane intervenire nella discussione conflitto cino-giapponese, soprattutto in vista di portare assemblea sopra un terreno pratico ed evitare adozione di risoluzioni demagogiche di condanna all'opera del Giappone.

Discussione ha avuto luogo oggi. Hanno parlato prima Boncour e Simon poi io e poi Neurath.

Io mi sono attenuto al concetto che S.d.N. doveva trovare soluzione pratica nel facilitare conciliazione tra Cina e Giappone, ed ho svalutato tendenza a trarre dal conflitto argomento in favore rafforzamento della sicurezza. Ho anzi riaffermato concetto italiano flessibilità del patto e necessità di mantenere elasticità.

Proposta concreta che ho presentato è nomina commissione che compia opera di conciliazione Cina Giappone e assicuri collaborazione delle Potenze in Cina.

Mio scopo è naturalmente ottenere che, come per commissione d'inchiesta, noi siamo rappresentati direttamente nell'opera di ricostruzione cinese, prevista nel rapporto Lytton.

Ho tenuto linguaggio molto obiettivo equidistante tra i punti di vista dei due paesi. Rappresentante cinese Koo ha qualificato mio discorso amichevole e co

struttivo.

Anche delegati giapponesi hanno mostrato loro soddisfazione.

Invio per corriere discorso.

519

IL VICE CAPO GABINETTO, JACOMONI, AL CAPO GABINETTO ALOISI, A GINEVRA

L. P. Roma, 7 dicembre 1932.

Nell'inviarti, col corriere che sta per partire, i principali telegrammi della giornata e qualche rapporto che ritengo Ti possa interessare, Ti informo che la Tua proposta di controbattere con qualche articolo su giornali italiani la campagna tendenziosa sulle mene italiane in Etiopia (l) è stata approvata dal Capo del Governo. Me ne sto interessando con l'Ufficio Politico competente e con l'Ufficio Stampa.

Circa il contenuto del Tuo rapporto sul colloquio col Generale Marita (2), le istruzioni del Capo del Governo, cui è stato sottoposto, sono di «seguire la cosa senza prendere iniziative"·

Tutto bene per la nota questione; te ne scriverò più a lungo.

S. E. il Capo del Governo è contrario alla destinazione di Mameli all'aeronautica. S. E. Balbo è fuori Roma. L'appuntamento con tuo fratello sarà per 1'11 o il 12.

520

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 4679/2732. Vienna, 7 dicembre 1932.

Ho dato stamane confidenziale comunicazione al Cancelliere del telegramma di V. E. n. 215 (3) circa le dichiarazioni fatteLe dal ministro Reintelen. Dollfuss si è mostrato assai riconoscente per questo nuovo atto di premura e considerazione dell'E. V. e mi ha pregato esprimerLe i suoi più vivi ringraziamenti. Mi risulta che al riguardo il CanceUiere non sapeva finora se non quanto aveva qui riferito Egger, e cioè che Rintelen aveva detto a quest'ultimo non avere parlato di politica con V. E. nell'udienza accordatagli. La ragione della soddisfazione del Cancelliere non sta solo nell'avere, grazie alla comunicazione dell'E. V., potuto conoscere quanto codesto ministro d'Austria non era riuscito a sapere, bensì anche e maggiormente nell'avere avuto una nuova e più decisiva prova che l'E. V. non gli ha tolto, a beneficio di Rintelen, la fiducia già accordatagli, e che V. E., contrariamente ai di lui primitivi timori, continua a voler trattare, non con terzi, bensì direttamente con lui le questioni politiche interessanti i due paesi.

Quanto alle dichiarazioni di Rintelen così riguardose e amichevoli per il Cancelliere, queste hanno destato una qualche maraviglia in Dollfuss e lo hanno tratto a sorridere. Conosce l'animo del ministro dell'Istruzione, i suoi progetti

di successione e i suoi intrighi per attuarli, e suppone che se Rintelen ha parlato con V. E. diversamente da quanto pensa, ciò si deve al fatto che egli, furbo com'è, si è reso conto che un altro linguaggio non sarebbe stato favorevolmente ascoltato dall'E. V. Alla quale ragione io credo possa aggiungersene una seconda, e cioè che tanto più a Rintelen è apparso opportuno astenersi da apprezzamenti sfavorevoli per il Cancelliere, che ha potuto intuire non sarebbero riusciti graditi all'E. V., in quanto comprendendo forse non esservi, almeno per ora, possibilità di sostituirsi a Dollfuss, ha preferito evitare di scoprire le sue batterie, e limitarsi a ottenere da V. E. il favore di un consenso alle sue dichiarazioni mantenendole entro i limiti di una stretta ortodossia.

Circa le dichiarazioni stesse, Dollfuss ha osservato, a conferma della sua convinzione sulla loro insincerità, che se veramente la causa delle «Heimwehren » stesse così a cuore a Rintelen, questi ne darebbe efficace prova adoperandosi a ricondurre sotto gli ordini di Starhemberg quei notevoli gruppi dissidenti stiriani che preferisce invece mantenere in disaccordo a beneficio del proprio influsso. Il Cancelliere mi ha ripetuto ch'egli è stato il primo a valersi di una « Notverordnung » e che è deciso a valersi di altre qualora i socialisti vogliano tentare di impedirgli l'esercizio del suo potere. D'altra parte, per ciò che concerne la possibilità dello scioglimento del Consiglio Comunale e la sua sostituzione con un commissario governativo (possibilità alla quale proprio stamane accennava in un articolo di fondo evidentemente ispirato dal Rintelen stesso il suo Neues Wiener Journal) il Cancelliere, pur non dissimulandosi le attuali difficoltà derivantegli dalla ancora sussistente debolezza dei corpi armati statali e delle «Heimwehren >> (riconosciuta anche da Starhemberg) nonché dalla grave crisi economica, non escludeva l'eventualità di dover giungere a tale rimedio qualora vi fosse stato costretto dalle difficoltà che i socialisti fossero per suscitagli contro. A riprova della sua recisa volontà di attuare la propria politica senza transazioni con questi ultimi egli mi citava una sua lettera parecchio secca diretta a questo sindaco socialista per confermargli, malgrado i pubblici dinieghi di obbedienza del signor Seitz, la volontà del governo di far rispettare l'ordine del maggiore Fey con il quale è stata vietata per il mese di dicembre qualunque adunata all'aria aperta.

Tornando a parlarmi del nostro precedente colloquio (mio telespresso

n. 2658 del lo dicembre) (l) e della risposta ch'egli si è riservato dare alla nostra offerta di appoggi per una più energica politica, Dollfuss mi ha pregato non voler credere che ritardando la risposta stessa egli tenda a esimersene: aspetta, come già mi disse, Schiiller con il quale, data la sua competenza e riservatezza, vuoi discutere a fondo tutta la questione dei rapporti economici dell'Austria con l'Italia e i loro possibili maggiori sviluppi.

Da quanto questa risposta preliminare consente desumere e il ragionamento conferma, è da prevedere che le eventuali richieste con cui Dollfuss risponderà alle nostre offerte saranno di carattere economico. Allorché nel nostro precedente colloquio si parlò della possibilità di attuare una politica interna energica, V. E. rammenterà ch'egli, pur mostrandovisi deciso, la subordinò a due premesse e cioè a un rafforzamento dei corpi armati e a un miglioramento della situazione economica. Ora la prima condizione racchiude un duplice pro

blema: quello degli uomini e quello delle armi. Quanto agli uomini, se ne stanno occupando il ministero dell'esercito e il Segretario di Stato per la Sicurezza Pubblica e nulla, per il momento almeno, può essere fatto da noi; quanto alle armi, Dollfuss ha manifestato efficacemente il desiderio di avere quelle anteriormente da noi offerte all'Austria in seguito alle richieste di Schober, ha tolto quindi i divieti dei precedenti cancellieri alla loro introduzione nel territorio austriaco, e se vorrà far nuove richieste queste probabilmente ci saranno rivolte dopo che saranno stati effettuati e senza inconvenienti i primi arrivi. Al riguardo ho confidato a Dollfuss che il nostro addetto militare si trova a Roma per discuterne con le competenti autorità, ed egli ha accolto la notizia con visibile soddisfazione. Rimane perciò la seconda condizione, che è da un certo punto di vista di più diffici.le attuazione, in quanto un miglioramento della situazione economica è problema più complesso dell'invio di vagoni di armi; e su di esso suppongo che vorrà per ora discutere con noi.

Ad ogni modo credo che una o due settimane passeranno prima che Dollfuss ci dia la risposta promessa: l'affermazione ch'egli deve attendere il ritorno di Schuller, il quale del resto sembra non tarderà molto, contiene, secondo me, solo una parte della verità. L'altra parte credo sia questa: che Dollfuss vuole aspettare ad essere sicuro della concessione della quota francese del prestito. La sua importanza è di doppia natura. Vi è innanzi tutto quella economica: il prestito. oltre ai suoi benefici effetti intrinseci per il rafforzamento della valuta, deve servire a ridare la fiducia nel risparmiatore austriaco il quale danneggiato, oltre che dall'inflazione della fine della guerra, dai susseguiti numerosi e gravi dissesti finanziari della maggior parte delle più grandi banche austriache, preferisce tenere nel cassetto o in impieghi all'estero i capitali che è riuscito a salvare, e non si indurrebbe a partecipare al progettato prestito interno se non dopo convintosi che la finanza dei maggiori stati europei sta dietro quella austriaca a sostenerne e garantirne la ricostituzione. Ma importanza, e non minore, ha dal punto di vista politico la concessione del prestito da parte della Francia, che è il principale contributore. È noto quale lotta Dollfuss abbia dovuto sostenere nella Camera e fuori per ottenere l'autorizzazione parlamentare alla sua conclusione; ancor ora le accuse di aver tradito il pangermanismo e di aver asservito l'Austria alla Francia si leggono quotidianamente su questi giornali di opposizione, che ricevono da Berlino la parola d'ordine nella loro campagna contro il Cancelliere. È evidente che la conclusione del prestito, la quale del resto è desiderata da coloro che per speculazione politica gli sono avversari con ardore non minore di quello dei suoi fautori, rinvigorirà di parecchio la ancora non solida situazione parlamentare di Dollfuss, specie se ne seguirà lo sperato miglioramento dell'economia del paese. Mentre dunque una rafforzata situazione economica e personale gli darebbe maggiore fiducia nell'avvenire e gli consentirebbe una politica di più larghe vedute e a meno breve scadenza, finché tale rafforzamento non sia avvenuto è probabile ch'egli si asterrà da qualunque iniziativa che potrebbe comprometterne il risultato. È quindi da supporre voglia per il momento evitare tutto quanto possa come che sia accrescere le presenti diffidenze francesi che stanno molto all'erta. Non so fino a che punto il contegno attuale di questo ministro di Francia corrisponda alle istruzioni del suo governo, ma a giudicare dalla

sua attività di questi ultimi tempi si direbbe che le sue preoccupazioni non siano più volte verso la Germania ma si appuntino tutte contro di noi. Ho già riferito sulle sue inquietudini quando si sparse la falsa voce che il ministro Jakoncig si fosse segretamente recato a Roma in occasione del viaggio di Gombos. Maggiori inquietudini ha mostrato allorché, al ritorno di quest'ultimo a Budapest, Dollfuss è andato a fargli visita. Ma, a quanto mi risulta, le sue agitazioni si sono vieppiù accresciute alla notizia del viaggio di Rintelen, agitazioni previste dal Cancelliere e ragione non ultima della sua contrarietà al viaggio stesso.

Questo stato d'animo del collega di Francia impressiona tanto più il Cancelliere in quanto, indipendentemente dal peggioramento che dalla notizia dei suoi progetti di più stretti vincoli con l'Italia potrebbe derivare alla situazione dell'Austria nei riguardi della Francia relativamente alla concessione del prestito, tale concessione appare di per se stessa tutt'altro che sicura. Il presidente di questa Banca Nazionale Kienbock, persona energica capace ed accusato di francofllia dai pangermanisti, mi ha confidato stamane le sue trepidazioni in proposito. Egli dice che per essere sicuri della votazione del parlamento francese occorrerebbe che Herriot ponesse la questione di fiducia, il che, pur essendo questi sinceramente desideroso dell'accoglimento del progetto, non sembra disposto a fare. Ciò si spiega con i pericoli che lo stesso Presidente del Consiglio corre con la questione della diminuzione degli stipendi ai funzionari e che non sembra voler accrescere esponendosi personalmente, con maggiore rischio per sé e senza sicuro vantaggio per l'Austria, nella votazione per il prestito. Questo stesso ministro di Francia non cela le sue preoccupazioni, pur riconoscendo il danno che deriverebbe agli interessi del suo paese in Austria ove il progetto fosse respinto. Mentre qualche giorno fa mi diceva che, seguendo il consiglio di Herriot, sarebbe andato a Parigi a far opera di persuasione a vantaggio dell'Austria con i deputati francesi più influenti, stamane mi ha confessato aver rinunciato a tale progetto, evidentemente troppo pericoloso per la sua situazione personale e per la sua speranza di una prossima ambasciata europea. Se ne resterà perciò qui, limitandosi a confidare nel «civismo'>, come dice lui, dei suoi deputati, e nel mezzo che secondo gli ha indicato il Presidente della Repubblica francese sarebbe escogitato per facilitare il successo della votazione, quello di effetuarla in una seduta antimeridiana della camera.

In ogni caso questi ostacoli a una risposta del Cancelliere in merito alle nostre offerte non dovrebbero essere di lunga durata. Schuller, come dicevo più sopra, non tarderà di molto il suo ritorno e la votazione francese, secondo n conte Clauzel, dovrebbe avvenire tra otto o dieci giorni.

Se il prestito sarà concesso Dollfuss potrà riprendere con maggiore autorità e fiducia le sue conversazioni con noi. Ma se il prestito non sarà accordato o se prima della votazione cadrà Herriot, che avverrà non dico di tali conversazioni ma dello stesso gabinetto Dollfuss? Dove troverà i cento milioni che gli occorrono per rafforzare la situazione economica dello Stato e la propria situazione politica? (1).

s. -4680/2733 dell'8 dicembre, non pubblicato.
(l) -Cfr. n. 508. (2) -Cfr. n. 504. (3) -Cfr. n. 507.

(l) Cfr. n. 494.

(l) -Auriti fece a Starhemberg la stessa comunicazione che a Dollfuss. Ne riferì con telespr.
521

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER TELEFONO 4178/36 R. Ginevra, 8 dicembre 1932, ore 17,15.

Stamattina prima della riunione a cinque ha avuto luogo scambio di vedute fra italiani, americani, inglesi e francesi per esaminare possibilità discutere programma concreto di disarmo da adottarsi subito secondo suggerimento di Davis. Ci siamo trovati d'accordo su opportunità di conoscere prima risposta di Neurath circa accettazione della formula suggerita per regolare questione della uguaglianza.

Riunitici in seguito con rappresentanti tedeschi, von Neurath ha dichiarato che non si sentiva in grado di pronunciarsi sulla formula dell'uguaglianza prima di aver ricevuto necessari chiarimenti su alcuni punti.

Nella seduta pomeridiana von Neurath ha formulato seguenti due domande:

l) Futura conferenza applicherà praticamente uguaglianza diritti sotto tutti gli aspetti? Sarà quindi tale uguaglianza di diritti punto di partenza per future discussioni della conferenza nei riguardi degli Stati disarmati?

2) La frase «regime che comporti la sicurezza per tutte le nazioni» comprende anche quell'elemento di sicurezza che, come l'ha già riconosciuto l'assemblea, può derivare dal disarmo generale?

A sua volta Boncour ha chiesto a von Neurath di precisare cosa intendesse per «applicazione pratica della uguaglianza di tutti sotto tutti gli aspetti».

È rimasto inteso che per seduta di domattina von Neurath ci farà conoscere quali sono le misure grazie alle quali Germania considererebbe applicata in modo soddisfacente uguaglianza di diritti.

522

L'INCARICATO D'AFFARI A TOKIO, WEILL SCHOTT, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4156/294 R. Tokio, 9 dicembre 1932, ore 18,30 (per. ore 14,45 dellO).

Stampa giapponese mette in massima evidenza le dichiarazioni delegato italiano all'assemblea di Ginevra (l) rilevandone alto senso realistico.

A questo ministero affari esteri mi si è espressa viva gratitudine ed ho potuto comprendere che le linee generali delle dichiarazioni stesse potrebbero servire di guida ad una soluzione del problema.

Non si volle tuttavia entrare in maggiori dettagli.

Telegrafato Ginevra.

(l) Cfr. n. 518.

523

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4160/38 R. Ginevra, 9 dicembre 1932, ore 19,30 (per. ore 21).

Ho veduto stamane Neurath, il quale mi ha detto che codesto ambasciatore Germania lo aveva telefonicamente informato di un suo colloquio col Capo del Governo, colloquio nel quale il Capo del Governo lo aveva assicurato che linea politica italiana e atteggiamento verso la Germania restavano immutati.

Ho detto a Neurath che queste erano infatti le istruzioni che S. E. il Capo del Governo mi aveva dato alla mia partenza per Ginevra. Neurath ha tenuto a mettere in rilievo nostra cordiale collaborazione a Ginevra e sua soddisfazione per nostro atteggiamento qui.

Mi ha aggiunto che è suo personale desiderio di compiere un viaggio a Roma e che spera di poter realizzare questo suo progetto. Viaggio avrebbe eventualmente luogo in febbraio.

524

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4161/39 R. Ginevra, 9 dicembre 1932. ore 22,10 (per. ore 24).

Come ho informato per telefono, ho avuto stamane lungo colloquio con MacDonald. Egli mi ha detto che teneva mettermi al corrente delle sue impressioni dopo la visita a Parigi e del suo colloquio con Herriot e con Germain Martin.

In questo colloquio egli aveva informato i francesi che l'Inghilterra restava ferma alla politica di Losanna e che essa era in condizioni di pagare. Avrebbe dunque pagato la quota dovuta, considerando tuttavia tale quota non come quota normale, ma come pagamento in conto capitale di una somma da considerare parte di un regolamento finale. Tale regolamento dovrebbe essere raggiunto entro il 15 giugno 1933. Quanto ai suoi debitori restava fermo impegno dell'Inghilterra a non chiedere nulla ad essi durante tempo che accordo di Losanna è in vita.

Egli mi ha poi messo al corrente scambi di idee con Governo americano circa pagamento della quota di dicembre in buoni e circa possibilità separare pagamenti in conto interessi da quelli in conto capitale. Né per l'uno né per l'altro di questi suggerimenti, Governo degli S.U.A. ha potuto dare garanzia che il congresso li avrebbe accettati.

Circa atteggiamento francese MacDonald (dopo aver premesso che posizione di Herriot è molto debole e correnti contrarie al pagamento sono molto forti) mi ha detto che Governo francese si trova in difficoltà procedere pagamenti per impegni che Hoover contrasse con Lavai, impegni che furono resi pubblici, e che indicavano che Hoover avrebbe esteso moratoria.

Il che non si è verificato. Herriot ha tenuto poi a ricordare che moratoria del 1931-1932 ha distrutto meccanismo debiti e riparazioni e tale moratoria fu offerta da Hoover senza alcuna consultazione preliminare.

Conclusione Herriot è che, ove la Francia si decida a pagare, essa lo farà nelle stesse condizioni di quelle che faranno inglesi e italiani, e cioè come pagamento ultimo.

MacDonald crede di essere riuscito ad esercitare una certa pressione su Herriot. Prima di separarsi, lo ha informato che del loro colloquio egli avrebbe messo al corrente subito V. E.

MacDonald teneva a farmi queste comunicazioni ed a pregarmi di presentare a V. E. i suoi saluti. Teneva poi a mettere in chiaro che egli non era andato a Parigi per mettersi d'accordo con i francesi, ma per scambio d'idee. Ove avesse avuto in mente un accordo che portasse a un fronte unico, avrebbe desiderato che anche. Italia fosse presente.

Invio per corriere maggiori dettagli.

525

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DIANA

T ... (l) Roma, 9 dicembre 1932.

Ministero ha richiamato ufficiosamente attenzione di questo Incaricato d'Affari degli Stati Uniti su tutti i vari punti della deliberazione del Gran Consiglio. Premesso che con la sua deliberazione ed in conformità delle sue funzioni statutarie il Gran Consiglio aveva tracciato la linea politica del Governo nella questione, è stato fatto rilevare che la deUberazione di lunedì scorso conferma la condotta costantemente seguita dall'Italia in materia di obbligazioni interstatali: che la deliberazione teneva conto anche della osservazione contenuta nella risposta americana alla nota inglese che il pagamento della prossima scadenza avrebbe facilitato le ulteriori discussioni. Il Governo si riserva di prendere una decisione (in conformità d'altronde della deliberazione del Gran Consiglio) quando sarà in possesso di tutti gli «elementi» che avessero ad intervenire nella questione. Non esistendo finora una decisione di governo, la comunicazione aveva intanto carattere ufficioso. Non appena il Governo avrà preso una decisione l'Incaricato d'Affari sarà tenuto al corrente. Il Governo Italiano a sua volta avrebbe apprezzato di essere tempestivamente informato ove da parte del Governo americano avesse dovuto manifestarsi l'intenzione di modificare, verso uno o verso più Governi debitori (secondo certa stampa aveva indicato), il proposito fin qui mantenuto di attenersi rigidamente alle disposizioni dei Settlements vigenti in materia di debiti.

È stato pure detto a Kirk che Governo prenderà presto anche decisione relativa apertura negoziati per prossima scadenza, conforme deliberazione Gran Consiglio. Relativa notifica al Governo americano avverrà probabilmente con

temporaneamente comunicazione relativa decisione circa pagamento prossima scadenza. Si è concluso confermando che Governo italiano intendeva non tralasciare niente di quanto potesse servire alla ripresa politica ed economica del mondo, che da tale spirito esso era animato anche nell'attuale fase di questo grave problema ed era sicuro di trovare in avvenire come in passato lo stesso spirito di collaborazione e di comprensione da parte del Governo americano. A questo fine si ispirava quindi la comunicazione odierna.

(l) Poiché il telegramma non risulta protocollato né conservato nei registri dei telegrammi in partenza manca la certezza della sua trasmissione. Analoghe considerazioni vanno fatte per altri due telegrammi più concisi diretti a Londra e Parigi.

526

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. 3724/1343. Cairo, 9 dicembre 1932.

In occasione della visita di congedo che gli ho fatta, il Presidente del Consiglio con uno dei soliti sfoghi personali che ha sempre con me, mi ha voluto chiarire alcune frasi di un colloquio che avevo avuto con lui tempo fa. Come avevo riferito col mio sopracitato telespresso (1), egli mi aveva data l'impressione di essere entrato in questo ordine di idee: poiché la questione rappresentata dalla indipendenza dell'Egitto e dalla sovranità sul Sudan non è risolubile in alcun modo, e poiché si corre rischio -inseguendo la chimera sudanese -di perdere la realtà egiziana, meglio sarebbe fare d'un colpo il gravissimo gesto di rinunziare subito al Sudan, per ottenere l'indipendenza dell'Egitto.

Evidentemente preoccupato di avermi dato tempo fa questa impressione, sulla cui gravità è superfluo io dia lumi, Sidki Pascià ha trovato modo di precisarmi che «quelle sono idee da momenti di disperazione'>, ma che in realtà egli non potrà mai rinunziare al Sudan. Gli ho allora domandato se, ciò premesso, sperava ancora di poter concludere il trattato; a questa mia domanda, fatta in tono confidenziale ed amichevole, Sidki ha risposto dicendo che non vede nulla all'orizzonte, che Loraine «non marcia più come prima :o>, che è tornato dal congedo freddo e meno autorevole di prima, che ha molta paura di spingere avanti le trattative, eccetera. Il Presidente del Consiglio in termini estremamente energici ha sferrato un attacco contro gli inglesi, la loro politica, la loro morale, la loro slealtà: ha coperto il Regno Unito, l'isola britannica e la razza anglo-sassone, dei più espliciti vituperi che labbra orientali abbiano mai in mia presenza pronunziati.

Ha concluso col dire che l'Inghilterra è anche libera di non negoziare, ma che egli ricorderà allora di essere l'antico wafdista deportato, e che farà appello al patriottismo delle masse, eccetera.

Sidki ha trovato anche modo di dirmi che l'Inghilterra è più che mai gelosa dell'Italia in Egitto, e che tutti i giorni egli ha occasione di constatarlo. Ha fatto quindi questa interessante osservazione: non essere vero che essi

sono gelosi della possibilità che l'Italia voglia occupare il Paese qualora l'Impero inglese si ritiri; questa è la voce che essi fanno circolare, ma sanno bene che non è vero; sono invece gelosi dell'opposto: sanno che l'Italia ha una politica di simpatia sincera per l'indipendenza dei popoli orientali del Mediterraneo, e temono che la conoscenza di tale politica da parte delle masse arabe possa alienare simpatie all'Inghilterra. «Essi sono gelosi -ha detto Sidki -poiché voi fate loro la concorrenza con armi opposte alle loro».

(l) Il testo che si pubblica è una copia in cui manca il riferimento a questo telespresso.

527

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4164/42 R. Ginevra, 10 dicembre 1932, ore 0,50 (per. ore 2) (1).

Molti giornali francesi presentano conversazioni che hanno luogo tra le cinque Potenze come se esistesse un accordo tra Italia, Francia, Inghilterra e America, e questi Stati esercitassero ora una pressione su Germania per farle accettare loro punti di vista comuni.

Richiamo ad ogni buon fine attenzione sul fatto che tale modo di presentare la situazione è assolutamente tendenzioso.

528

IL MINISTRO A TIRANA, KOCH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4228/3533/1362 R. Tirana, 10 dicembre 1932 (per. il 14).

Mio telegramma n. 97 del 7 corrente (2). Crisi tuttora aperta Sovrano non mostrando particolare urgenza nel comporla.

Mi adopero col dovuto tatto perché siano sostituiti elementi del Gabinetto uscente meno favorevoli a nostra politica e in ogni modo che nuovo Ministero si presenti per noi in migliore veste. Pare assicurato che Pandeli Evangjeli resti alla direzione del nuovo Governo. Con tutta probabilità usciranno ministro finanze e ministro istruzione pubblica che -come è noto -sono appunto i membri del Governo meno favorevoli a noi. Si dà anche come probabile l'uscita dal Gabinetto del ministro dell'economia nazionale e del ministro della giustizia.

Ho preso motivo dall'attuale crisi per fare opportunamente presente convenienza di sostituire anche alcuni alti funzionari dell'amministrazione notoriamente avversi alla nostra politica.

(l) -La minuta reca la data 9 dicembre, ore 23,40. (2) -T. 4127/97 R. non pubblicato: dimissioni del Gabinetto Pandell.
529

L'INCARICATO D'AFFARI A TOKIO, WEILL SCHOTT, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4182/296 R. Tokio, 11 dicembre 1932, ore 13,50 (per. ore 23,30).

In questi ultimi giorni si è notevolmente rafforzata nella stampa e nell'opinione pubblica giapponese la corrente favorevole al ritiro del Giappone dalla Società delle Nazioni.

A questo ministero degli affari esteri si cerca tuttavia di attenuare tale atteggiamento.

Telegrafato Ginevra.

530

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4189/43 R. Ginevra, 11 dicembre 1932, ore 16,20 (per. ore 18).

Stamane è stata definitivamente approvata e firmata dichiarazione circa uguaglianza di diritti grazie alla quale Germania decide di tornare alla conferenza.

Ha poi avuto luogo discussione circa possibilità di far continuare cooperazione delle cinque Potenze per spingere conferenza verso risultati concreti. Norman Davis ha insistito sulla sua idea di una convenzione preliminare e parziale che registri subito il massimo dei risultati ottenuti, in modo che opinione pubblica mondiale possa attendere risultato finale che richiederà certamente lunghe e laboriose discussioni. Per questo, Davis avrebbe voluto che riunione dei cinque abbordasse, senz'altro, discussione di un programma di lavori per arrivare ad una pronta conclusione di una convenzione preliminare di disarmo. Da parte francese è stata mostrata finora forte opposizione contro tale discussione che Boncour ritiene possa essere fatta utilmente solo in seno alla conferenza e non in riunioni particolari delle cinque grandi Potenze.

Boncour ha fatto sapere che desiderio del suo Governo è che si riunisca al più presto commissione generale. È stato poi invitato alla riunione presidente della conferenza signor Henderson al quale MacDonald ha rimesso testo della dichiarazione circa uguaglianza di diritti.

Henderson è stato poi invitato a partecipare alle future riunioni dei cinque, ma finora non è stato chiaramente precisato quale seguito pratico potrà avere tale iniziativa.

MacDonald, Neurath e Boncour partono questa sera.

531

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL CAPO GABINETTO, ALOISI, A GINEVRA

T. 1291/215 R. Roma, 11 dicembre 1932, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 39 (1). Ringrazi MacDonald dei suoi saluti che contraccambio e della comunicazione di cui l'ha incaricata per me.

Per sua informazione e perché ella n'abbia norma di linguaggio nella conversazione che avrà con lui confermale che la deliberazione del Gran Consiglio relativa al pagamento della prossima scadenza verso l'America (come d'altronde risulta dal suo contesto) si inspira al criterio di niente tralasciare di quanto possa facilitare la liquidazione delle obbligazioni interstatali di guerra tenendo nel debito conto le manifestazioni della opinione pubblica americana e nella fiducia di agevolare la ripresa economica e politica del mondo. Anche noi annettiamo la maggiore importanza al protocollo di Losanna che si inspira del resto al criterio del «colpo di spugna» e faremo quanto è in nostro potere perché la linea di condotta allora concordemente seguita possa trovare la sua continuazione e il suo pieno sviluppo.

532

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4249/723 R. Berlino, 11 dicembre 1932 (per. il 15).

Il presidente del Reichstag, Goering, offerse 10 corrente pranzo in onore di S. E. il ministro Balbo, al quale invitò pure l'ambasciatrice e me, il generale Pellegrini, il maggiore Liberati, il tenente colonnello Senzadenari addetto aeronautico, il marchese Antinori, capo dell'ufficio stampa della R. ambasciata, il maggiore Renzetti con la sua consorte. Per parte tedesca intervennero il direttore ministeriale Brandenburg, capo dell'aeronautica al Ministero delle comunicazioni, il dr. Goebbels, capo del partito nazionalsocialista a Berlino, con la moglie, il principe e la principessa Vittorio di Wied, con la figlia principessa Maria Elisabetta, il principe Wolfango di Assia, il presidente del Landtag prussiano Kerrl con la moglie, il generale Von Epp ed un'altra diecina di persone.

Tutti gli invitati tedeschi -ad eccezione del direttore ministeriale Brandenburg -erano persone prominenti del partito nazional-socialista.

Alla fine del banchetto 1l presidente Goering, che, come vari altri invitati, vestiva l'uniforme del partito con le decorazioni di guerra, fece un caloroso brindisi, esprimendo la sua gioia di poter salutare in S. E. il ministro Balbo il rivoluzionario, l'artefice della magnifica aviazione italiana, il transvolatore atlantico e sopratutto il collaboratore del più grande uomo di Stato dei nostri tempi, del Duce. a cui mandò un saluto entusiastico.

Aggiunse che i patriotti tedeschi guardano con fede al fascismo, perché esso per primo si sollevò contro il bolscevismo e diede al mondo la sensazione che vi potesse ancora essere salvezza per la civiltà.

Si dilungò poi a parlare della situazione politica in Germania, dicendo che solo l'avvento al potere dei nazionalsocialisti poteva porre questo paese sulla via della rinascita e terminò, bevendo alla salute di S. E. Balbo, di S. E. il Capo del Governo e dell'Italia.

S. E. Balbo fu felicissimo nella sua risposta, nella quale tralasciò ogni accenno al partito nazionalsocialista, rievocando invece il glorioso passato della Germania con particolare acceno a Federico II. Egli bevve alla salute del presidente del Reich, del cancelliere, del presidente del Reichstag e del partito nazionalsocialista.

(l) Cfr. n. 524.

533

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4210/725 R. Berlino, 12 dicembre 1932, ore 21,45 (per. ore 0,45 del 13).

Trasmetto con «Stefani-Speciale" commento Deutsche Diplomatische Politische Korrespondenz sui risultati Ginevra (1). Trovo deplorevole che agenzia ufficiosa menzioni esclusivamente discorso Simon parlamento britannico come segno mutamento intenzioni altre Potenze circa parità diritto della Germania.

Nessun accenno è fatto discorso Torino del Duce ed all'atteggiamento costantemente amichevole dell'Italia di fronte questa aspirazione tedesca. Anche nei giorni scorsi stampa tedesca non ha mai accennato appoggio ricevuto dall'Italia Ginevra.

Sarebbe mia intenzione parlare riguardo questo ministero affari esteri.

534

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (2)

L. Roma, 12 dicembre 1932.

Ricevo la tua di ieri. La notizia non mi è nuova; l'ho avuta io pure, non so se dalla stessa fonte. La mia accennava, specialmente, ad armi e munizioni per l'esercitino permanente del Negus, il quale, come sai, è istruito da ufficiali belgi.

Con l'occasione permetti che io richiami attentamente la tua osservazione personale sulla nostra politica Eritrea-Etiopica-Jemenita. Io scrivo ufficialmente agli Esteri; abbiamo fatto una riunione, ma finora di concreto non si è nulla ottenuto.

Principio con lo Jemen. Ho scritto 2 lettere io, compilate da me, e quindi poco burocratiche e molto perentorie. In una chiedevo che si ottenesse dallo Iman l'espulsione del tedesco dalla officina meccanica; ma quel che più inte

ressava che fosse dimesso l'attuale direttore Jemenita dell'officina, il quale non sa che fare dispetti agli italiani. Secondo che si liquidasse la questione degli assegni per le molte prestazioni sanitarie.

Lo Jahia non vuol più pagare quel che pagava; vuol ridurre a metà gli assegni. Questo è indecoroso per noi, non solo; ma io penso che sia un giuochetto dello Jman, il quale tenta di disgustarci per toglierei dai piedi. Sono troppi che giuocano contro di noi facendo il dumping con le merci, portando denari, facendo servizi senza compensi.

Ci vuol altro con gli Arabi che i trattati di amicizia! Soldi; solo i denari hanno potere. Perciò, d'accordo anche con Astuto, io proponevo di fare il gesto di mantenere la nostra assistenza sanitaria gratuitamente. Sarà un modo di imporci e di fare una bella figura.

Etiopia. Vi si parla -come saprai -insistentemente delle nostre intenzioni guerresche e conseguentemente si preparano. Sai che il Senato Etiopico (sic!) ha dato il veto per la costruzione della strada Setit-Gondar. Vi si dice che la nostra superiorità nell'aviazione ed altri mezzi tecnici sarà paralizzata dal fatto che essi faranno soltanto guerriglia non riunendosi in grandi masse. Dicono più precisamente che, al caso, imiteranno i Boeri. E noi faremo ciò che ha fatto Lord Roberts. Che la nostra preparazione possa svolgersi facendo fronte a tutte le necessità e si potrà vincere qualunque forma di guerra. È un male, però, che anche in Italia si parli troppo della volontà di fare questa guerra. Gasparini (che è sospetto un pochino, perché, a suo parere, via lui in Eritrea, non si son fatte che fesserie) dice addiritura che è il discorso di tutti i caffè. Ho letto il buon articolo sul Corriere della Sera, ma occorre continuare.

Saprai che tra Esteri e Colonie abbiamo bilanciato 1/2 milione per favorire il brigantaggio alla periferia abissina. È qualche cosa. Ma certo, Presidente, se si vorrà realmente fare bisognerà essere pronti a spendere e tenere presente fin d'ora che, per ben che la vada, le spese di un'eventuale spedizione offensiva non saranno inferiori ai 3 miliardi e mezzo. Meglio veder largo.

Quanto all'importazione di armi tu sai che vi è una convenzione a 4: Italiano, Inglese, Francese e Abissino, la quale, però non è ancora perfezionata. Se si riuscisse davvero a prendere in castagna Belgio e Abissinia si potrebbero denunziare a Ginevra!

In ogni modo non dubitare che per mio conto vigilo e fo vigilare. Ma ti raccomando vivamente di considerare quel che qui ti scrivo.

(l) -Telestampa n. 3155. [Nota del documento]. (2) -Da ASMA!, Fondo segreto.
535

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4247/447/256 R. Belgrado, 12 dicembre 1932 (per. il 15). Mio telecorriere n. 253 del 10 c.m. (1).

Riferisco peraltro, con ogni mia riserva, che da seria fonte mi si assicura

H -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

che iniziativa riunione Piccola Intesa risalirebbe a Re Alessandro che a tal fine avrebbe inviato improvvisamente a Bucarest questo Ministro di Rumania il 16

o 17 novembre (vedi mio telecorriere n. 235 del 22 nov.) per assicurarsi preventivamente l'adesione di Re Carol.

Le ragioni della riunione sarebbero effettivamente connesse con i mancati accordi della riunione militare, ma scopo principale di essa sarebbe ottenere una pubblica e clamorosa dimostrazione di solidarietà antirevisionista, diretta principalmente contro l'Ungheria, ma effettivamente contro l'Italia. Non mancherebbe in questa manifestazione un segno diretto o indiretto del consenso francese.

Sulla nervosità inquietudine e sospetto, qui ora sempre più dominanti da un paio di mesi a questa parte, richiamo tutte le mie ultime comunicazioni.

(l) T. per corriere 4200/443/253 R., non pubblicato: annuncio di una riunione della Piccola Intesa a Belgrado per l giorni 14-16 dicembre.

536

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4346/648 R. Parigi, 12 dicembre 1932 (per. il 23).

Mi riferisco al pregiato telegramma di V. E. per corriere n. 1248 del 3 corrente (1).

La risposta data dal signor Patenòtre, sottosegretario all'economia nazionale, al presidente Herriot «di doversi ricercare un accordo con l'Italia per giungere poi assieme ad un'intesa con la Germania», risponde, in questo momento, al pensiero di molti, in Francia. Il giornale Volonté, radicale opportunista, seriveva 1'11 corrente: «Bisogna che la Francia conquisti l'amicizia con l'Italia visto che non le mancherà quella dell'Inghilterra e degli Stati Uniti d'America. La Germania si accosterà alla Francia se questa riuscirà a sormontare il cattivo umore con l'Italia».

Sta di fatto che la Francia ha avuto campo di sincerarsi, negli ultimi mesi, riguardo al valore dell'amicizia britannica e sa che può contare su di essa solo fino ad un certo punto. La pressione esercitata sul Governo francese dall'Inghilterra nella questione della parità di diritto, ha aperto gli occhi ai francesi e ha fatto loro considerare con paura (sottolineo espressamente), l'eventualità di trovarsi un giorno a faccia a faccia con la Germania, per un regolamento generale delle questioni controverse.

I giovani radicali, consci del pericolo d'isolamento che corre il paese, hanno spinto Herriot a rivedere l'indirizzo di politica estera della Francia. Il patto di non aggressione con la Russia e le trattative in corso per addivenire ad un accordo commerciale coi sovietici, la politica di avvicinamento con la Spagna, i tentativi di associare il capitale francese a quello tedesco in iniziative d'ordine economico, i consigli dati alla Polonia di mostrarsi arrendevole nella questione del corridoio, rispondono a direttive volute e quasi imposte dai giovani ra

dicali al Governo di Herriot. È noto che il signor Patenòtre è il finanziatore della frazione giovane radicale e dei giornali che ne sono i portavoce. La République di Emile Roche riceve 50.000 franchi al mese dalla cassetta privata del sottosegretario all'economia nazionale. Il signor Patenòtre è l'esponente maggiore della tendenza filo-italiana. Ma come del resto risulta dalla sua risposta a Herriot, il giovane sottosegretario di stato concepisce l'amicizia con l'Italia nell'ambito di una larga politica di accordi e d'intese. I giovani radicali considerano d'altra parte con diffidenza la politica della Francia nei riguardi della Piccola Intesa, politica che costa cara e non dà al paese la sicurezza alla quale aspira.

Ho detto che la frazione radicale che fa capo a Patenòtre è riuscita in molte questioni a rimorchiare il presidente del consiglio.

Il discorso di Tolosa e le altre manifestazioni analoghe del signor Herriot sono state dettate, a parere mio, da considerazioni di opportunità politica e di partito.

Credo di non essere lontano dal vero nell'affermare che Herriot ha seguito riluttante le iniziative filo-italiane dei suoi giovani amici.

Inoltre è pure vero che i giovani radicali non vedrebbero malvolentieri in questo momento un cambiamento di Governo. Il candidato del loro cuore, nel quale ripongono la più grande fiducia, è il signor Caillaux.

Essi credono che col ritorno dell'ex-presidente del consiglio anche il riavvicinamento italo-francese potrebbe essere considerato con maggiore fiducia.

(l) Ctr. n. 500.

537

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. R. 4718/2747. Vienna, 12 dicembre 1932.

Telegramma ministeriale per corriere n. 1263 del 5 dicembre u s. A. P. II (1).

Convengo con Gombos nella necessità di seguire con attenzione l'opera di Rintelen, del quale, credo giustamente, tanto Dollfuss quanto Starhemberg diffidano assai, e che quest'ultimo, secondo ho già riferito, considera ora come l'unico serio pericolo alla ulteriore permanenza nel potere dell'attuale Cancelliere.

Rintelen è indubbiamente uno dei deputati più in vista del partito cristiano-sociale. È intelligente, non privo di energia, ma dotato, anche più che di energia, di furberia. È stato sempre sostenitore di una forte politica antisovversiva, ed è rammentata ancora adesso un'aggressione dei rossi contro di lui, poco dopo la fine della guerra, dalla quale si salvò saltando dal finestrino di un vagone ferroviario. Malgrado il contegno antisocialista nel quale persevera ostentatamente e malgrado la violenta opposizione che i suoi avversari continuano a fargli, si afferma da molti, ed io propendo a credervi, che di sottomano non si astenga da qualche rapporto anche con i suoi nemici. Il suo feudo è la Stiria, di cui, pur essendo ora Ministro dell'Istruzione, ha voluto ri

manere Capitano Provinciale, per timore che, come già nel suo precedente ministero del 1927, non si cerchi colà approfittare della sua assenza per scalzare la sua posizione. La carica di Capitano Provinciale gli consente di dire una parola decisiva in tutti gli affari finanziari di quella regione, e molti affermano che nel caso specifico non il silenzio ma la parola sia d'oro. Parecchi dei suoi amici si sono fatti cogliere con le mani nel sacco; senonché Rintelen è volpe vecchia, e la coda non l'ha mai lasciata nella tagliola.

Da lunghi anni Rintelen ha l'ambizione del Cancellierato, ma finché Seipel è vissuto non gli è riuscito d'appagarla. Ora la pianta della speranza si è rinverdita e Castigliani ne è il giardiniere. Tuttavia, almeno per il momento, non sembra abbia a dare frutti, anche perché fra gli stessi deputati dell'ala destra del partito cristiano-sociale si odono voci ostili. Una delle ragioni di tale ostilità -fra le altre vi sono i sospetti di affarismo e relativi rapporti con Castigliani -è appunto la sua tendenza germanofila manifestatasi in questi ultimi tempi. Si vuol mettere in relazione con questa tendenza il suo efficace intervento, auspice Castigliani, per il passaggio in mani tedesche della maggioranza italiana delle azioni della « Steweag », con evidente danno degli interessi almeno politici dell'Italia, della quale il Rintelen si era sempre finora dichiarato amico dandone anche qualche prova. Simile tendenza è tanto più strana in quanto, come reazione alla propaganda nazionalista hitleriana, si è andata qui accentuando in questi ultimi tempi, e proprio nell'ala destra dei cristiano-sociali, l'affermazione della necessità di ritornare alle tradizioni della vecchia Austria. Il consiglio dato pertanto da Gombos a Dollfuss di assumere come parola d'ordine il motto «Alt Oesterreich » mi sembra sensato ed avveduto, perché può efficacemente svegliare o ravvivare le, benché non grandi, energie sopite e volgerle a combattere la propaganda nazionalista germanica, trovando una certa base e giustificazione nel già esistente stato d'animo dei cristiano-sociali. Quel consiglio di Gombos a Dollfuss corrisponde al mio, da tempo, a Starhemberg: insistere sul carattere tedesco dell'Austria, ma tedesco tradizionale, cosi da evitare il pericolo dell'accusa nazionalista di tradimento all'idea pangermanista senza cadere in quello conseguente del consenso all'annessione.

La recente germanofilia di Rintelen può spiegarsi con motivi di politica interna. È nota la violenta campagna della stampa tedesca, di questa legazione di Germania e dei pangermanisti austriaci e relativi giornali contro Dollfuss per aver egli accettato il prestito di Losanna. È anche noto come i suoi sforzi, prima e dopo il prestito stesso, per far entrare nel gabinetto qualche rappresentante pangermanista e attuare così la vecchia idea di Seipel dell'unione di tutti i partiti parlamentari borghesi, siano fino adesso rimasti infruttuosi malgrado che fra gli stessi deputati pangermanisti parecchi sarebbero assai lieti di avere anch'essi qualche fetta della torta governativa. È quindi assai probabile che l'attuale lavoro di Rintelen per attirarsi la benevolenza germanica abbia come scopo di giungere, dopo rovesciato Dollfuss nella prima favorevole occasione, a sostituirlo facendosi forte di raggiungere l'intesa inutilmente desiderata dal suo predecessore.

Oltre però alle suaccennate diflì.coltà nel suo stesso partito, altre ve ne sono che fanno credere egli non senta una sicurezza di riuscita che se avesse avuto lo avrebbe forse indotto a parlare altrimenti con V. E. Sembra infatti che .n Presidente della Repubblica, cristiano-sociale anche lui, gli sia ostile; e quanto alle stesse « Heimwehren » c'è da dubitare, dal modo con cui i capi giudicano ora Rintelen, che consentirebbero a partecipare a un suo gabinetto. Indubbiamente Rintelen è stato uno dei loro più antichi e più grandi protettori. Ricordo che una delle prime volte in cui ho avuto occasione di occuparmi di esse è stato un colloquio con lui nel 1926 (1). Rammento altresì che allo scopo di cercare d'ottenere da noi armi e sussidi per il movimento, Rintelen venne a Roma, si intrattenne con qualche membro del partito fascista, e non so se chiese soltanto, o anche ottenne, di essere ricevuto da V. E. Senonché il suo contegno verso le « Heimwehren », pur essendo apertamente favorevole si è manifestato in realtà sempre un po' ambiguo, specie negli ultimi tempi. Egli ha dato l'impressione -simile in ciò a Schober, con cui non fu sempre in cattivi rapporti -che in tanto fosse amico delle « Heimwehren » in quanto queste fossero sue amiche, e che in realtà esse avessero per lui soltanto valore di mezzo per il fine della propria ascesa al cancellierato. Il suo presente contegno verso i gruppi stiriani dissidenti delle « Heimwehren » conferma del resto tali supposizioni. Egli mi sembra voler seguire il divide et impera, e non è escluso si proponga mantenere aperto il dissidio per potere, nel momento opportuno, negoziare con Starhemberg, in cambio del di lui appoggio al proprio eventuale gabinetto, il ritorno all'ovile delle pecorelle smarrite.

Dato tutto ciò, ripeto che convengo con Gombos nella necessità di sorvegliare Rintelen, e aggiungo che convengo con lui anche nella necessità di sorvegliare Dollfuss. Dollfuss è certo, finora, moralmente superiore a Rintelen, e, per quanto più giovane e meno pratico, non gli sembra inferiore in furberia. Fino adesso non ci ha dato motivo di dubitare di lui, ma questo è il paese in cui conviene stare sempre ad occhi aperti. Tutti gentili compiti sorridenti cordiali, tutti «!eh habe die Ehre » e <<Bitte schon », ma di nessuno, anche del migliori, non si è mai sicuri a priori che al momento buono non faccia la ciriola alla balcanica. Nel caso di Dollfuss quello che ci potrebbe essere da temere sarebbe, secondo me, non che egli andasse completamente dalla parte della Germania o della Francia ma che dopo averci mostrata l'intenzione di una più stretta politica con noi e con l'Ungheria, si astenesse dal dar seguito a questi propositi e riprendesse il gioco d'altalena. Come V. E. può rilevare dalla mia corrispondenza, cerco quindi mantenere con Dollfuss quanto più possibile i contatti, e di avere anche da altri notizie sulla sua attività e i suoi propositi. Cerco sopra tutto convincerlo dell'utilità per l'Austria e conseguentemente per il suo Cancellierato di stringere di più i rapporti con noi. Rinnoverò insistenze, dopo tornato Schiiller e risolta la questione del prestito francese, per indurlo, se non a qualche impegno, almeno a qualche risposta in relazione alle nostre offerte.

Ma logicamente e più probabilmente egli non dovrebbe in seguito distaccarsi da noi, anzi dovrebbe sempre più avvicinarsi -sia pure tra soste e apparenti indietreggiamenti -perché, indirizzatosi adesso verso destra, quanto pm avanzerà in tale direzione tanto più procederà verso l'Italia e l'Ungheria. Ignoro quali possibilità veda fin da ora Gombos di qualche suo più stretto

accordo con l'Austria, e forse converrà esaminare se non potrebbe essere utile che in seguito io mi .recassi a Budapest ad abboccarmi con lui, come già negli anni scorsi mi abboccai con Bethlen, tanto più che l'attuale ministro d'Ungheria a Vienna sta per andare a riposo e il nuovo non sarà nei primi tempi molto orientato. Ma è certo che, quali che siano tali possibilità, un grande rafforzamento del Gabinetto è condizione necessaria per più strette relazioni economiche e commerciali dell'Austria cosi con l'Italia come con l'Ungheria. Anche in questo quindi convengo con Gombos, aggiungendo per conto mio che, più ancora che per le relazioni economiche e commerciali, tale r-afforzamento è necessario per quelle politiche. Un qualsiasi accordo vantaggioso per l'Austria potrà forse trovare l'approvazione della Camera finché sia evidente la mancanza di qualsiasi sustrato politico; ma, appena questo apparirà

o sarà solo sospettato, i socialisti per-una ragione e i pangermanisti per un'altra si uniranno, e con certezza quasi assoluta di vittoria, nella lotta contro l'Italia e contro l'Ungheria, gli uni in nome della democrazia gli altri del pangermanesimo.

Appunto per facilitare a Dollfuss la costituzione di un governo forte gli abbiamo offerto il nostro appoggio chiedendogli di discutere con noi sulla forma e il modo. Cercare di indurlo a risponderei, e in guisa soddisfacente, deve essere per ora il nostro scopo. Ma intanto continuando, come facciamo, a aiutare moralmente e materialmente le «Heimwehren » per rafforzarle, mi pare svolgiamo opera anche indirettamente utile a conseguire il fine che cl proponiamo nei riguardi del Cancelliere.

(l) Col quale veniva rltrasmesso a Vlenna Il n. 491.

(l) Cfr. se:·!~ VII, v;:.!. IV. n. 262.

538

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4221/729 R. Berlino, 13 dicembre 1932, ore 21 (per. ore 1 del 14).

Ho trovato Neurath molto soddisfatto risultato Ginevra, che mi ha detto essere stato però diiDcile conseguire. Dopo aver esposto come passarono le cose, mi ha pregato far pervenire nuovamente a V. E. ringraziamenti vivissimi già trasmessile da Aloisi. Ha aggiunto che MacDonald si era mostrato abilissimo nel dirigere discussioni e scartare certe proposte, come ad esempio quella presentata da Norman Davis. Appoggio Inghilterra era stato da lui molto apprezzato, ma doveva naturalmente considerarlo di gran lunga minore di quello italiano, poiché V. E. era stato primo uomo di Stato riconoscere diritto parità della Germania e proclamarlo solennemente.

Ho osservato che quanto mi diceva mi riusciva tanto più gradito dopo silenzio assoluto stampa tedesca nei riguardi azione svolta dall'Italia Ginevra e dopo comunicato di ieri Deutsche Diplomatische Politische Korrespondenz che, facendo storia negoziati, non ha citato atteggiamento assunto da V. E., sebbene esso abbia avuto cosi grande influenza far modificare linea di condotta inglese (1).

(ll Cfr. n. 533.

Neurath ha risposto non aveva letto giornali e tanto meno comunicato Deutsche Diplomatische Politische Korrespondenz. Se non era stato menzionato atteggiamento tanto cordiale amichevole dell'Italia e di V. E. personalmente, ciò significava che stampa tedesca commette soventi errori. Ne era ad ogni modo spiacente e sperava che R. Governo non vi avesse dato mai importanza.

539

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELL

APPUNTO. Roma, 13 dicembre 1932.

Ho fatto presente all'Ambasciatore von Hassell la trasmissione della Diplomatische Korrespondenz (1), richiamando la sua attenzione sulla sconvenienza del modo come erano stati presentati gli avvenimenti che hanno portato al recente accordo, dimenticando che la posizione iniziale e l'azione più costante in favore del punto di vista tedesco erano stati presi da S. E. il Capo del Governo.

L'Ambasciatore si è mostrato molto dispiacente dell'accaduto, osservando che per delle «gaffes » a Berlino si sta distruggendo l'opera assidua di collaborazione fra i due Paesi, di cui egli è un convinto assertore.

Osserva in ogni modo che la Diplomatische Korrespondenz non è un organo di grande importanza pur avendo la veste semi-ulll.ciosa. Ringrazia per la segnalazione fattagli che considera un atto di fiducia nei suoi riguardi.

540

IL DIRETTORE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 dicembre 1932 (2).

l) La situazione in Arabia va considerata sotto due aspetti: uno più generale che interessa nei riguardi della sistemazione del Mar Rosso, l'altro particolare nei riguardi dell' Assir.

Circa il primo aspetto, sembra opportuno continuare a mantenere atteggiamento riservato nella lotta fra la casa hascemita e Re Ibn Saud per il trono dell'Hegiaz e quindi confermare al Governatore dell'Eritrea istruzioni di non dar corso alle sollecitazioni dei fuorusciti liberali hegiazeni di ottenere armi (3). A parte altre considerazioni più generali, è infatti da tener presente che la sostituzione di Ibn Saud con un hascemita sembrerebbe determinare una situazione meno favorevole ai nostri interessi.

2) Circa il secondo aspetto, sembra sempre più opportuno un nostro maggior interessamento nei riguardi dell'Assir; e per determinarlo appare neces

sario prendere contatto con l'Imam Yahia. In tal senso si proporrebbe di rinnovare le istruzioni, già date in proposito, al Governatore dell'Eritrea e di completarle opportunamente (si veda telegramma unito) (1).

3) Con le spiegazioni che si sono avute col Governo hegiazeno e con i contatti che ci proponiamo di prendere con l'Imam vengono evidentemente meno le ragioni che avevano fatto soprassedere alla proposta di inviare la R. Nave Azio sulle coste dell'Assir. Col telegramma unito quindi si danno istruzioni al Governatore dell'Eritrea circa il viaggio di detta nave.

4) Inoltre pare opportuno, richiamandosi alle conversazioni di Roma del 1927, di prendere contatto con Londra per sentire come il Governo britannico consideri la situazione, particolarmente per quanto riguarda l'Assir. A tale scopo è stato predisposto il telegramma per corriere, pure qui unito (2).

(l) -Cfr. n. 533. (2) -Sic, ma un'annotazione a margine reca: «Consegnato al Gab. Min. Il 12 dicembre •· (3) -Cfr. nn. 447, 459.
541

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4261/50 R. Ginevra, 13 dicembre 1932 (per. ore 21,30 del 15).

Litvin6ff è venuto a Ginevra per partecipare eventualmente alla discussione della proposta Norman Davis relativa al disarmo. L'ho incontrato e abbiamo sfiorato principali questioni pendenti.

Disarmo. -Mi ha chiesto varie informazioni sulla conferenza, tra cui quella se le riunioni a cinque avranno seguito, e mi ha espresso uno scetticismo completo sulle sorti della prossima ripresa e specialmente sul nuovo piano francese presentato da Herriot che non mira ad altro se non ad impedire il disarmo della Francia. Avendogli io chiesto quale sarebbe stata la sua attitudine di fronte a questo piano. egli ma ha detto che la Russia, potenza asiatica oltre che europea, non può prendere in considerazione un progetto che prevede misure di sicurezza limitate alla sola Europa e che si appoggia all'istituto della Società delle Nazioni di cui la Russia non fa parte.

Conflitto cino-giapponese. -Gli ho chiesto quale sarebbe stata l'attitudine del suo Governo nel caso che esso fosse stato invitato a cooperare con la commissione dei diciannove nell'opera di conciliazione. Litvinoff mi ha detto che il suo Governo è deciso a rifiutare un eventuale invito. In primo luogo nel comitato dei diciannove sono rappresentati dieci Stati che non hanno relazioni diplomatiche con la Russia -anzi undici qualora vi accedessero anche gli Stati Uniti d'America -e in secondo luogo, dati i noti sentimenti nippofili della Francia e specialmente dell'Inghilterra, il Governo russo teme di venir spinto a prendere con gli altri posizione di fronte al Giappone, per essere poi da tutti abbandonato in momenti di difficoltà, nei quali si verrebbe a trovare solo di fronte all'ostilità giapponese. assai probabilmente sostenuta

dalla Francia e dall'Inghilterra. Un eventuale invito della S.d.N. alla Russia a cooperare alla risoluzione del conflitto mancese avrebbe tutto il carattere di un tentativo di addossare alla Russia il triste compito di «trarre le castagne dal fuoco » ora che i molti errori commessi e il lungo tempo perduto con l'invio di inutili commissioni di inchiesta, hanno condotto alle difficoltà presenti, che si sarebbero potute evitare solo prendendo in tempo utile energiche misure per arrestare l'avanzata giapponese. Oltre le altre ragioni, la Russia non potrebbe quindi accettare un eventuale invito anche perché non potrebbe esimersi dal fare una carica a fondo contro l'operato della S.d.N. in tale questione.

Relazioni russo-giapponesi. -Nel gennaio u.s. Litvinofi ha fatto a Mosca a Yoshizawa, allora ministro degli esteri giapponese, la proposta di un patto di non aggressione, a cui il Giappone non ha mai dato risposta, prendendo tempo per aver la possibilità di manovrare nei momenti di maggiore difficoltà della sua impresa in Manciuria. Questa mancata accoglienza della proposta russa, acquista uno speciale significato nel momento attuale della ripresa delle relazioni cino-russe. Giacché credo opportuno far notare a V. E. che esistono attualmente in Cina non meno di sette armate cinesi «sovietizzate », le quali malgrado le continue voci di sconfitte, restano sempre un efficace strumento in mano dei sovieti, tanto più che esse sono opportunamente dislocate sia nelle regioni sotto il comando di Nanchino e sia in quelle sotto il comando del Kuomintang. Alla minaccia costituita da queste armate esistenti nel cuore della Cina si aggiunge quella che incombe sulla stessa Pechino da parte della Mongolia sovietizzata (o Mongolia), i cui confini sono oramai tanto vicini alla ex capitale cinese, al punto da costituire una seria preoccupazione per il Giappone.

Trattato di non aggressione con la Francia. -Da esso Litvinofi si attende un rilassamento delle relazioni tra Francia e Polonia, mentre crede che esso abbia lasciato inalterate le relazioni tra la Germania e la Russia. Da Berlino non gli è stata finora segnalata alcuna reazione contro questo patto. Ciò è perfettamente comprensibile dato che nel momento in cui la Germania firmò il patto di Locarno, la Russia non sollevò alcuna obiezione.

Patto di non aggressione con la Romania. -Litvinofl' non sa spiegarsi la linea di condotta seguita da Titulescu in queste trattative. Dato che è la Russia che avrebbe da reclamare qualche cosa dalla Romania (Bessarabia), e non viceversa, il patto era evidentemente a tutto vantaggio rumeno. Comunque egli considera ora i negoziati come definitivamente interrotti. A questo punto egli non ha saputo fare a meno di lanciare una freccia contro la amoralità della politica rumena, della quale vi erano pure grandi Stati che sembravano fare un certo conto. Avendo compreso l'allusione alla politica del nostro Governo in Romania, ho creduto opportuno far notare in primo luogo che la eventuale amoralità non diminuisce l'importanza politica di alcune pedine del giuoco internazionale e in secondo luogo che queste conservano tutta intera la loro importanza sopratutto nella condotta di una politica di moderazione quale può essere per es. una politica del tipo di quella italiana.

Prima di congedarsi mi ha chiesto che cosa noi ci proponevamo di fare circa la proposta da lui avanzata alla conferenza del disarmo di un boicottaggio contro lo Stato aggressore. Ho risposto vagamente evitando di precisare il nostro eventuale atteggiamento.

A titolo di informazione, mi ha comunicato pure che l'ambasciatore sovietico ad Angora, Souritz, gli ha manifestato il desiderio di porre termine alla sua missione in Turchia e che il Governo sovietico pensava di atlìdargli una nuova sede.

(l) -Gli allegati non si pubblicano. (2) -Annota~lone a margine del 14 dicembre. << Tclcgramrrci ~ono partiti».
542

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 13 dicembre 1932.

Conversazioni a cinque.

Nel corso delle conversazioni a cinque tenutesi ultimamente a Ginevra, mia direttiva costante, nelle varie fasi delle trattative, è stata quella di riuscire ad una soluzione che armonizzasse l'interesse comune a tutti della rientrata della Germania alla Conferenza del Disarmo con il nostro interesse particolare di affermare quel tanto che per il momento era possibile dei principi generali della nostra politica dettati da V. E. Bisognava cioè mirare ad ottenere la ripresa della Conferenza attraverso la proclamazione, in una forma soddisfacente tanto per la Germania quanto per la Francia, della eguaglianza di diritto, senza però vincolare preventivamente la nostra condotta futura né pagare qu,esto successo con impegni sostanzialmente superiori a quelli già assunti. In fondo, non oltre la linea Locarno-Kellogg, magari riconfermata.

Attraverso numerose discussioni, di cui ho di volta in volta tenuto al corrente V. E., è stato raggiunto lo scopo, dosando con opportuno criterio di eguaglianza le concessioni ai due maggiori contendenti, in modo da cedere il minimo necessario a vincere il punto morto, senza però assicurare a nessuno dei due una situazione di favore che alterasse a suo pro l'attuale posizione di relativo equilibrio.

Cosi si è concesso alla Francia il minimo sine qua non della dichiarazione che l'eguaglianza è per il momento solo un «principio di guida» e non una concessione pregiudiziale; che l'attuale accordo non esaurisce le esigenze della sicurezza, la quale resta ancora da discutersi e da stabilirsi e che infine le modalità della applicazione dell'attuale Patto saranno discusse in sede di conferenza.

Dall'altra parte si è concesso alla Germania il minimo sine qua non della richiesta parità di diritto, se pure non pregiudiziale, ma tale da costituire, in quanto «guida», un pegno dato in sua mano da poter servire per manovrare in qualunque stadio della futura Conferenza.

Estesa anche agli altri paesi «disarmati dal Trattato», la parità di diritto è il primo riconoscimento del decadimento delle clausole del Trattato di Versailles.

Quanto a noi, noi guadagnamo con l'entrata della Germania, oltre il beneficio comune della porta lasciata aperta alle trattative del disarmo, anche la continuazione della tradizione che l'Italia è un elemento indispensabile di ogni mediazione europea, il merito dinanzi all'opinione pubblica mondiale di aver contribuito a salvare la Conferenza, la via schiusa a un sempre maggiore equilibrarsi fra le forze militari e politiche dei due maggiori antagonisti continentali, con conseguente nostra accresciuta sicurezza verso la Francia, e infine l'affermazione del principio da noi bandito della riduzione e non della semplice limitazione degli armamenti.

Assodato oramai il principio della parità di diritto, è da prevedere che il tema principale della prossima Conferenza resterà l'altro termine del quale è prevista la discussione in quella sede e su cui batterà con tutte le sue forze la Francia; l'argomento della « sècurité ». Assai probabilmente quindi la prossima Conferenza, piuttosto che del disarmo, dovrà denominarsi la «Conferenza della sécurité ».

543

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Ginevra, 13 dicembre 1932.

Come previsto, le piccole Potenze hanno profittato dell'unica occasione finora presentatasi, in tredici anni di vita della Società delle Nazioni, di una convocazione straordinaria dell'Assemblea allo scopo previsto dal Patto di intervenire in un conflitto fra due Stati membri, per cercare contemporaneamente una affermazione della Lega in un momento per essa tanto pericoloso, il rafforzamento della loro posizione in essa di fronte a quella delle grandi Potenze e infine la possibilità di una esplicita condanna dell'azione giapponese che potesse costituire l'inizio di una tradizione di «giurisprudenza » antimperialista della Società delle N azioni.

L'Irlanda, la Cecoslovacchia, la Svezia, la Norvegia, la Spagna, la Svizzera, la Grecia e qualche piccola Potenza sud-americana, con maggiore o minore energia, hanno tutte attaccato la politica giapponese, cercando di avocare a Ginevra la risoluzione del conflitto.

Le nippofile Francia e Inghilterra che da principio, dato l'ambiente, avevano temuto un troppo energico successo cinese che potesse condurre a un voto di condanna del Giappone, con la quasi sicura conseguenza della sua uscita dalla Lega, e che quindi avevano cercato, coi mille mezzi procedurali che offre Ginevra, di indebolire l'azione cinese, visto ormai che il Giappone aveva superato il punto critico, hanno tenuto a far discorsi, se non sinofili, per lo meno imparziali.

La Francia non ha voluto compromettersi. Ha elogiato l'opera della Commissione d'inchiesta, ha proposto un appello alle parti per una soluzione conciliatrice e ha concluso raccomandando un esame approfondito delle proposte del rapporto Lytton da servire a una soluzione di accordo fra i contendenti o, in mancanza, a una decisione dell'Assemblea.

La Gran Bretagna, anch'essa con raggirato eloquio, ha proposto lo studio di una soluzione basata sul rapporto Lytton, da farsi con l'assistenza dei rappresentanti degli Stati Uniti e della Russia.

Il tedesco ha appoggiato l'inclusione russa e americana e ha trovato il modo di intrufolare nella discussione la necessità della perequazione delle forze militari di tutti per garantire l'efficacia del Patto.

Quanto a me, seguendo le istruzioni di V. E, ho avuto presenti due scopi:

l) non alienarci né l'uno né l'altro contendente con un parteggiamento deciso, ma insieme non perdere nemmeno di vista la realtà di fatto della situazione mancese e la fatalità dell'espansione giapponese;

2) tendere a ottenere un secondo e più significativo riconoscimento del diritto dell'Italia a esser presente nel regolamento delle questioni politiche dell'Estremo Oriente. Nella commissione Lytton, in sede di inchiesta, si poté avere un rappresentante dell'Italia. In questa nuova commissione da formarsi, in sede non più inquirente ma esecutiva, in quanto dovrebbe controllare l'applicazione degli accordi, e cooperarvi, si avrebbe di nuovo un rappresentante dell'Italia. Con che resterebbe ribadito il nostro diritto ad aver voce in capitolo nella politica del Pacifico.

Ho quindi mirato al primo scopo parlando della « flessibilità >> del Patto, la quale consente tanto la fedeltà ai principi quanto l'adattamento alla realtà politica, e consigliando di favorire in tutti i modi negoziati diretti fra le due parti. Ho mirato al secondo, consigliando la creazione di un nuovo organo di cooperazione internazionale che possa agire non solo da intermediario, ma anche da autorevole ed efficace collaboratore nella applicazione degli accordi raggiunti.

Finiti i discorsi, il ben noto Madariaga, uno degli esponenti del movimento demagogico di sollevazione delle piccole potenze contro le grandi, ha tirato il colpo mancino, presentando una risoluzione di vera e propria condanna del Giappone. L'hanno firmata, oltre la Spagna, l'Irlanda, la Svezia e la Cecoslovacchia.

Allora il Giappone ha raffreddato molti entusiasmi di bellicosità ginevrina chiedendo il ritiro della mozione o la sua messa ai voti. Ha fatto una velata minaccia ricordando il suo ingresso nella Lega, mentre i suoi grandi vicini, gli Stati Uniti e la Russia, se ne tenevano lontani, e ha dichiarato il suo accordo col rappresentante dell'Italia circa la necessità di tener presente la «flessibilità » delle clausole del Patto nella loro applicazione. Ha chiuso dicendo che nulla, nemmeno le minacce più gravi, potrebbe mai distogliere dalla sua via un popolo di 65 milioni di uomini che non hanno che un sol pensiero sulla sorte della Manciuria.

Contemporaneamente i giapponesi invitavano tutte le delegazioni ad assistere alla proiezione di un film di documentazione sulla situazione in Manciuria. L'opera compiuta ivi dal Giappone nel campo agricolo. in quello industriale, in

quello edilizio, in quello dei trasporti, c la profondità della presa di possesso

che balza fuori dalle opere compiute, hanno prodotto una profonda impressione.

Naturalmente l'ordine del giorno di Maderiaga svani e l'Ufficio di Presidenza, senza nemmeno più nominarlo, propose una sua risoluzione che fu approvata all'unanimità, secondo cui l'esame del Rapporto Lytton e dell'intera questione era rinviato al Comitato dei Diciannove. Questo ha nominato una commissione di redazione che riferirà nel più breve termine all'Assemblea.

544

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO UNGHERESE, GOMBOS, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

L. Budapest, 14 dicembre 1932.

Permetta V. E. che gli esprima in primo luogo il ringraziamento più sentito per l'interesse col quale Ella ha seguito il mio programma e i miei discorsi che vi si riferiscono.

V. E. vedrà da questi che i principii espressi negli stessi sono identici con i Suoi e che anche io considero solo lo scopo finale come dogma. Le diverse condimoni dei singoli Paesi indicano la strada attraverso cui si deve raggiungere lo scopo finale.

Colgo l'opportunità di comunicare devotamente a V. E. che nel mese di ottobre di quest'anno ho sviluppato corrispondentemente ad un uomo di fiducia dell'ex ministro germanico della Difesa, Generale von Schleicher, le mie idee intorno ad una collaborazione itala-tedesco-ungherese. Ora io ricevo la risposta del Generale von Schleicher, nominato nel frattempo Cancelliere.

Questa risposta suona: Il Generale von Schleicher attribuisce un grande significato alle relazioni italiane e tedesche e anche egli considera l'ulteriore sviluppo di queste relazioni in senso politico e militare. Il Generale Schleicher spera di poter realizzare i piani che egli ha in questo riguardo.

Sul conto del Generale von Schleicher ricevo del resto le seguenti informazioni confidenziali:

in politica interna il nostro Cancelliere germanico seguirà in generale le direttive del governo Von Papen, tuttavia in forma prudente, e cercherà di guadagnare l'appoggio dei partiti di destra e particolarmente dei nazionalsocialisti.

Malgrado la leggera tensione già avutasi in conseguenza della detta direttiva, non appare escluso che in caso di nuove complicazioni i comunisti e i nazional-socialisti provochino uno sciopero generale. Sarebbe da contare con una tale eventualità anche se le maestranze social-democratiche non vi partecipassero.

In tal caso verrebbe messo in vigore immediatamente lo stato di eccezione militare. In caso estremo, il Governo sarebbe deciso a far intervenire la Reichswehr senza riguardi.

545

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE RR. 4291/3048 R. Bucarest, 14 dicembre 1932 (per. il 18).

Titulescu, che ho visto iersera, ha fatto cadere la conversazione sulla questione del rinnovo del Patto di amicizia italo-romeno.

I suoi accenni s0no stati saltuari e imprecisi, senza alcun apparente nesso logico, ed evidentemente intesi più a farmi sortire dall'ovvia gelosa mia riserva, che a svelarmi tutt'intero il suo pensiero. Tuttavia. credo di non andare troppo errato nel rappresentare come segue il suo modo di vedere.

0 ) Titulescu ha mostrato di non voler annettere :soverchia importanza alle lettere segrete accompagnanti il patto di amicizia (1). Ad ogni modo egli mi è sembrato ormai convinto che dette lettere non possano più sussistere, e pertanto del tutto disposto a farle cadere.

2°) Titulescu considera invece come utile ad entrambe le parti il mantenimento del patto di amicizia. Al riguardo egli ha detto: «Se la Romania, pur restando lealmente fedele alla Piccola Intesa, desidera di mantenere relazioni di particolare amicizia con Roma (ed a tale proposito egli mi ha ricordato il comunicato che, dietro sua proposta, diramò la conferenza della Piccola Intesa riunitasi a Bucarest nel 1928, nonché tutte le aperture che egli in quel tempo ebbe a farmi e che io riferii a V. E. nel mio carteggio di quella primavera), anche l'Italia ha interesse di conservare tali legami con un membro della Piccola Intesa, non lasciando così questa alleanza interamente nell'orbita francese:.. In seguito, ho rilevato che tale ha dovuto essere del resto il pensiero dello stesso Governo italiano che, pur avendo denunziato i patti di amicizia con Belgrado e con Praga, ha finora conservato quello con Bucarest.

3°) D'altra parte Titulescu riferendosi evidentemente alla discreta indagine fatta l'anno scorso dall'ambasciatore Guariglia presso il signor Zanescu, mi ha fatto comprendere che egli non è disposto ad accettare una clausola generale di neutralità. Al riguardo, e come di passaggio, ha notato: «Questa clausola lascerebbe oggi troppo scoperta la Romania nei riguardi di Mosca, mentre d'altra parte essa clausola non avrebbe alcuno speciale valore per l'Italia nel caso di un conflitto italo-jugoslavo, giacché in tale occorrenza la neutralità della Romania sarebbe dettata dagli impegni ad essa derivanti dal patto della Sd.N.».

4°) Titulescu infine, prendendo pretesto dalla nota campagna antirevisionista del giornale Universul, ha creduto riferirsi ancora una volta al nostro trattato di amicizia, osservando che sebbene l'art. I di esso impegni l'Italia al rispetto dei trattati, non mai il Governo romeno ha rivolto in proposito una benché minima osservazione al Governo di Roma, considerando quel trattato non alla stregua del suo valore letterale, ma a quella ideale, d'una espressione cioè del sentimento di amicizia che ha sempre legato i due popoli.

In succinto, gli accenni vaghi e sporadici del signor Titulescu, che ho più sopra riprodotto quanto più fedelmente possibile, lasciano dedurre che egli sia favorevole alla soppressione delle lettere segrete, ma che farà di tutto per mantenere l'attuale trattato, che, a suo avviso, soddisferebbe il reciproco interesse dei due paesi, non intralciando d'altra parte la politica revisionistica italiana, dato il modo con cui il Governo romeno ha interpretato finora (Titulescu non si è spiegato in alcun modo per l'avvenire) la portata dell'art. I del patto stesso.

Gli è insomma che Titulescu ritiene forse di essere completamente garantito, verso la Russia, dagli artt. II e III del patto, i quali indubbiamente oltrepassano la portata dei soliti trattati di amicizia, e pertanto considera le lettere segrete come un'appendice od una precisione procedurale.

È poi da rilevarsi che Titulescu, !ungi dall'inspirarsi alla nota suggestione del signor Argetoianu, e cioè dell'ottenimento di una garanzia di neutralità italiana nei riguardi di un eventuale conflitto ungaro-romeno, quale corrispettivo di una garanzia di neutralità romena in caso di conflitto italo-jugoslavo, ha portato la questione della neutralità esclusivamente nei rispetti di un conflitto romeno-russo e d'un conflitto italo-jugoslavo.

E questa sua disposizione a me sembra il punto più importante della confidenza a me fatta. Difatti a me pare che noi dovremmo avvalercene allo scopo di procurare! un impegno preciso di neutralità, o quanto meno una clausola generale di neutralità: ed al riguardo mi riferisco a quanto ebbi l'onore di esporre oralmente a S. E. l'onorevole Suvich.

Tale nostra linea di condotta, anche se dovesse restare sterile di risultati, potrebbe sempre avere il vantaggio di farci maggiormente leggere nelle recondite disposizioni romene in caso di un conflitto italo-jugoslavo. A tale riguardo rilevo che l'accenno del signor Titulescu che la neutralità romena, in caso di conflitto italo-jugoslavo, proverrebbe sempre dai suoi impegni societari, richiede tutta la nostra attenzione. Esso difatti riposa su troppo fragili motivi per rappresentare una seria garanzia; e lascia anzi l'impressione che il signor Titulescu, malgrado l'isolamento in cui la Romania è venuta a trovarsi di fronte ai Soviety, desidera far di tutto per evitare un suo impegno preciso, verso di noi, per quanto riguarda il mantenimento della neutralità romena in caso di un conflitto italo-jugoslavo.

Come V. E. rileverà nel telegramma dal n. seguente (1), circa il prossimo convegno della Piccola Intesa in Belgrado, il signor Titulescu ha l'intenzione di recarsi in Roma, dopo aver assistito alla predetta conferenza. Evidentemente, malgrado la speciosa ragione che egli mi ha addotto per motivare il suo viaggio, questo deve mettersi in relazione con l'evidente suo desiderio di portare a termine lui stesso, a Roma, i negoziati per il rinnovo del patto di Amicizia. Titulescu non ha definito tale suo viaggio come sicuro; ed è mia impressione che la sua evenienza dipenderà sopratutto dalla probabilità o meno di successo che egli intravvederà nel corso dei negoziati costà dal principe Ghika.

(l) Cfr. serle VII, vol. X, n. 383, allegato.

(l) T. per corriere 4292/3049 pari data, non pubblicato.

546

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI

L. P. Bucarest, 14 dicembre 1932.

Ti accludo la copia di un mio odierno telegramma (1). Vi troverai importanti informazioni circa il pensiero di Titulescu nei riguardi della questione del rinnovo del Patto d'Amicizia itala-romeno.

Il mio modo di vedere ti è noto. Lo ribadisco del resto nel telegramma in questione. È cioè mia impressione che occorra insistere per un Patto speciale di neutralità, o quanto meno per una clausola generale di neutralità.

Circa il Patto speciale di neutralità, e cioè la stipulazione di un impegno reciproco di neutralità nel caso di un conflitto russo-romeno od itala-jugoslavo, io penso che noi potremmo far valere gli Artt. II e III dell'attuale Patto di Amicizia itala-romeno, i quali oltrepassano di molto la portata degli usuali Patti di Amicizia.

Si potrebbe cioè chiedere, in compenso della precisa assicurazione che i predetti due articoli indubbiamente danno alla Romania nei riguardi della temuta aggressione da parte della Russia, che il Governo romeno ci rilasci una lettera, eventualmente segreta, constatante che i predetti due articoli, per suo conto, si riferiscono specialmente all'eventualità di un'aggressione jugoslava contro l'Italia confermando l'impegno della Romania di attenersi, in tal caso, alla più stretta neutralità. Qualora richiesti, e come estrema concessione noi potremmo a nostra volta fare una dichiarazione dello stesso genere per quanto concerne un'aggressione sovietica contro la Romania.

Nel caso poi non riesca possibile addivenire a tale negoziato, noi dovremmo, come ti ho detto innanzi, insistere almeno per una clausola generale di neutralità, innestando nell'attuale Art. I del Patto la stessa formula che trovasi nel Patto di Amicizia itala-jugoslavo del 1924: «Au cas où l'une des Hautes parties contractantes deviendrait l'object d'une agression non provoquée de la part d'une ou de plusieurs Puissances, l'autre Partie s'engage à rester neutre pendant toute la durée du conflit ».

Come ho fatto rilevare nel telegramma, anche se questi negoziati dovessero restare sterili di risultati, io penso che essi ci offrirebbero sempre il vantaggio di sondare il più possibile le reali intenzioni romene nel caso di un conflitto itala-jugoslavo. E tale indagine avrebbe un grande valore. Se poi la Romania effettivamente avesse a rifiutare l'uno o l'altro impegno, il Patto potrebbe essere dichiarato decaduto, o tutt'al più sostituito da un semplice Patto di Conciliazione e d'Arbitrato.

Perdona la fretta con cui ti scrivo. Spero tuttavia di aver espresso chiaramente il mio pensiero.

(l) Cfr. n. 545.

547

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DIANA

T. U. 1323/562 R. Roma, 15 dicembre 1932, ore 15.

Ministero finanze ha ieri, 14 corrente, disposto il versamento della rata di debito verso gli Stati Uniti che scade oggi a mezzo della banca Morgan che è stata incaricata di versare la somma alla Federai Reserve Bank di New York perché essa la versi a sua volta alla Tesoreria degli Stati Uniti.

Prego V. S. presentare in giornata al Dipartimento di Stato la seguente nota verbale:

«L'ambasciata d'Italia, d'ordine del suo Governo, ha l'onore di informare il Dipartimento di Stato che, in conformità della deliberazione del gran consiglio del fascismo del 5 dicembre corrente, il ministero delle finanze italiano ha versato, in data odierna, alla tesoreria americana la somma di dollari 1.245.437 (ripeto dollari un milione duecentoquarantacinquemila quattrocentotrentasette), importo della rata del debito italiano di guerra verso gli Stati Uniti scaduta oggi».

Nel presentare questa nota, V. S. vorrà verbalmente aggiungere che, quantunque il Dipartimento di Stato conosca certamente la deliberazione del gran consiglio, ella si riserva di fargliene avere brevi manu un esemplare che le viene trasmesso separatamente.

548

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 1328/161 R. Roma, 15 dicembre 1932, ore 21,30.

Prego S. V. riferirmi circa ripercussioni costì della seduta di ieri al Senato e discorso del Capo del Governo.

549

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, HASSELL

APPUNTO. Roma, 15 dicembre 1932.

L'Ambasciatore è venuto a mostrarmi un telegramma del Ministro Neurath in risposta al rimarco fatto giorni addietro sulla questione delle Diplomatische Korrespondenz (1).

15 -Documenti diplomatici -Serie VII -Vol. XII

Il Ministro Neurath afferma che la Diplomatische Korrespondenz pubblica molte corrispondenze, come quella in questione, senza alcun controllo del Governo; per quanto riguarda la Diplomatische Korrespondenz non è per nulla ufficiosa.

Il Ministro Neurath, pur non prendendo nessuna responsabilità per queste pubblicazioni, le deplora vivamente ed ha richiamato al riguardo la redazione del cotidiano!

Ha tenuto in questa occasione a dichiarare all'Ambasciatore Cerruti che in Germania si apprezza al massimo il rettilineo atteggiamento del Capo del Governo ed il contributo da lui portato alla soluzione della questione della « Gleichberechtigung » e non può che essere lieto dell'occasione che gli si offre per riaffermare ancora una volta la sua gratitudine.

Osserva anche che in quei giorni in cui è comparsa la pubblicazione incriminata, il Barone von Reinbahen parlando alla radio esprimeva la gratitudine della Germania per il Capo del Governo Italiano.

(l) Cfr. nn. 533, 538, 539.

550

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 4791/2792. Vienna, 15 dicembre 1932.

Starhemberg ha incontrato Rintelen di ritorno da Roma. Questi si è manifestato ammirato dei concetti politici manifestatigli da V. E. e della loro chiarezza e giustezza: lo svolgimento degli avvenimenti prova la previggenza dell'E. V. e il fondamento della sua azione nel campo internazionale. Rintelen sembra ora calmato dalle sue smanie per il cancellierato, e Starhemberg ne deduce dipendere ciò dall'essersi egli reso conto che V. E. non aveva ritirato la sua fiducia a Dollfuss: questo favorevole stato d'animo di Rintelen potrà valere a rafforzare il gabinetto, che Starhemberg continua a non considerare minacciato dagli avvenimenti parlamentari francesi e dal pericolo che Parigi non ratifichi il prestito di Losanna. Del resto le difficoltà per Rintelen di sostituire Dollfuss si sono recentemente confermate. Il signor Nadelstock, redattore capo del Neues Wiener Journal, sostenitore del ministro dell'Istruzione, in una udienza ottenuta in questi giorni dal Presidente della Repubblica, gli ha detto ch'egli stimava fosse giunto il momento di affidare il cancellierato a Rintelen, al che il signor Miklas ha risposto non pensarvi minimamente ed essere quindi opportuno consigliare Rintelen di starsene tranquillo.

Avendomi poi Starhemberg ripetuto gli accenni che, secondo Rintelen, V. E. avrebbe fatto a quest'ultimo circa una eventuale visita di Dollfuss a Roma, ho nuovamente discusso con lui la questione e le allusioni di Dollfuss in proposito dopo i miei primi sondaggi. Siamo rimasti d'accordo che Starhemberg intratterrà al più presto il Cancelliere su tale progetto e lo spingerà a venire a Roma, se possibile prima ancora di andare a Berlino. Gli ho fatto notare come egli possa intervenire più efficacemente di me, giacchè le mie eventuali

insistenze apparirebbero dettate da interessi italiani mentre le sue risulteranno ispirate dagli interessi austriaci. Starhemberg ha detto ch'egli farà notare al Cancelliere come, dati i nostri buoni rapporti con i nazionalsocialisti germanici, questi non potranno mettergli su una nuova campagna di attacchi se si recherà a Roma. Quanto ai socialisti austriaci, Starhemberg osservava che se si inveleniranno anche più contro il Cancelliere tanto meglio: il fosso già scavato diverrà più profondo tra gli uni e l'altro. Ho convenuto con Starhemberg. Gli ho confidato sembrarmi come, pur con le migliori intenzioni verso di noi, Dollfuss appaia timoroso di avvicinarsi maggiormente, almeno per ora. Due mesi fa l'Austria cl ha proposto l'ampliamento degli accordi del Semmering, e noi abbiamo risposto che vi vedevamo diiDcoltà, ma che eravamo pronti a discutere sulle possibilità di nuovi e più stretti accordi. Dopo di che

V. E. ha offerto l'appoggio dell'Italia al Cancelliere per lo stabilimento di una più energica politica, dichiarandosi pronto a esaminare con lui la forma e il modo. Dollfuss, parecchio impressionato dalla nostl'a offerta, dopo fatte presenti le diiDcoltà che per ora ostano alla istaurazione di un più forte reggimento in Austria, diiDcoltà da lui indicate precipuamente nella tuttora insumciente preparazione dei corpi armati statali e nella grave crisi economica con relativa disoccupazione e malcontento delle masse, si è riservato una risposta. Tornato in seguito da lui, mi ha confermato la promessa di darmi tale risposta dopo il ritorno di Schiiller. Era evidente che le sue future discussioni con Schiiller potevano essere basate soltanto sulla prima iniziativa austriaca, e quindi non potevano avere altro carattere di quello economico. Ma era altrettanto evidente che la proposta di aiuto di V. E. a Dollfuss era assai più ampia e aveva contenuto assai più politico che economico. In caso contrario sarebbe bastata la nostra prima risposta favorevole alla richiesta austriaca di allargamento degli accordi del Semmering, e sarebbe stata superflua quindi la nostra nuova offerta. Dollfuss invece, dichiarando dover prima intrattenere SchOller, mostrava volersi mantenere nei limiti della anteriore proposta austriaca, in quelli cioè dell'economia, e non comprendere o non voler comprendere la portata della nostra susseguente. Avevo già appuntamento per domani con lui: mi proponevo chiarire bene tutto ciò e fargli notare come, se alla nostra offerta egli non avesse dato risposte di altra natura, ciò non avrebbe potuto favorire un miglioramento dei nostri rapporti: se l'Austria non voleva maggiormente legarsi con noi mi domandavo perché avremmo dovuto fare per essa maggiori sacrifici sia accordandole nuove concessioni nel campo economico sia mandandole in regalo le armi che essa ci chiede. Tanto più quindi sarebbe stato utile se Starhemberg fosse riuscito a indurlo ad andare a Roma, e quanto più presto tanto meglio: occorre che Dollfuss si comprometta pubblicamente con noi facendo un nuovo e più lungo passo verso l'Italia, il quale gli impedisca meglio di tornare indietro, o di farne altri anche verso altri.

Starhemberg ne ha convenuto e mi ha promesso un nuovo colloquio per la prossima settimana, dopo che avrà conferito con il Cancelliere.

551

L'AMBASCIATORE ROSSO AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA. Ginevra, 15 dicembre 1932.

Ieri sera, partendo per Parigi in viaggio verso gli Stati Uniti, il Signor Norman Davis, Delegato americano, mi aveva informato che le Delegazioni americana e britannica avevano elaborato in comune uno schema destinato a servire come base di discussione per un accordo franco-italiano sulla questione navale.

Il Signor Davis, senza darmi il testo di questo progetto, me ne aveva indicato i punti fondamentali, che sono riassunti nel mio telegramma odierno

n. 50 (1).

Il Signor Davis si proponeva di fermarsi a Parigi per vedere il Signor Herriot e, qualora non fosse nel frattempo sopravvenuta la possibile crisi ministeriale, di rimettergli il testo delle proposte che sarebbero state in tal caso contemporaneamente comunicate al Governo italiano.

La caduta del Gabinetto Herriot ha modificato tale programma, in quanto non è stato possibile al Signor Davis di sottoporre ufficialmente al Gabinetto dimissionario le proposte anglo-americane.

Ieri notte mi è pervenuta però dal Ministero degli Affari Esteri britannico la lettera della quale accludo l'originale ed una traduzione (2). Contemporaneamente il mio collega americano, Ministro Wilson, mi scriveva (3) per dire che era perfettamente d'accordo con quanto mi aveva comunicato Sir John Simon.

La lettera di Simon mostra che i Governi di Washington e di Londra

hanno creduto utile, malgrado la crisi francese, di far conoscere ufficiosamente a Roma ed a Parigi le loro proposte per un accordo navale fra Italia e Francia che permetta di completare il Trattato di Londra.

Ho l'onore di trasmettere qui accluso l'originale del Memorandum allegato alla lettera di Sir John Simon ed una sua traduzione (4).

È evidente che, in presenza della crisi francese, i negoziati desiderati dai Governi americano e britannico non potranno essere immediatamente iniziati. Si può però presumere che, appena la crisi ministeriale francese sarà stata risolta, da parte inglese ed americana si cercherà di spingere la questione verso una soluzione.

In vista della prossima partenza del sottoscritto per gli Stati Uniti, sembra opportuno che eventuali riunioni per discutere la questione col competente Ministero della Marina vengono tenute con la maggior possibile sollecitudine.

(41 Non si pubblica.

ALLEGATO

ROSSO A MUSSOLINI

T. POSTA 50. Ginevra, 14 dicembre 1932.

Fra le delegazioni americana e britannica ha avuto luogo in questi ultimi giorni attivo scambio di vedute per preparazione di un progetto comune da sottoporre a Governi italiano e francese come base di accordo su questione navale.

Signor Davis mi ha informato che due Delegazioni avevano elaborato progetto che si riservavano di sottoporre ai due Governi direttamente interessati qualora Herriot riuscisse superare presente crisi parlamentare. Davis è partito ieri sera per Parigi in viaggio di ritorno per America. Contava vedere Herriot per decidere circa opportunità dare corso alla proposta che verrebbe comunicata contemporaneamente a queste Delegazioni italiana e francese. Attendo in giornata notizie al riguardo, riservandomi partire domani per Roma portando testo del documento.

Data incertezza della situazione interna francese che potrebbe sospendere corso dell'iniziativa anglo-americana Davis non ha creduto potermi comunicare preventivamento testo del progetto ma me ne ha indicato punti fondamentali che sono:

l) per navi da battaglia e porta-aerei rimangono ferme stipulazioni di Washington e Londra basate su parità di diritto;

2) statu quo per grandi incrociatori cioè parità di fatto;

3) per incrociatori leggeri e cacciatorpediniere mantenimento della situazione esistente nelle unità costruite ed in costruzione al l • dicembre 1932. Fra tale data e 31 dicembre 1936 Italia e Francia sarebbero autorizzate ad impostare rispettivamente

27.000 e 34.000 tonnellate, differenza venendo giustificata dal fatto che bilancio francese è in anticipo di sei mesi su bilancio italiano;

4) viene chiesto ai francesi di ridurre tonnellaggio globale dei sottomarini di circa

20.000 tonnellate entro 31 dicembre 1936.

Informazioni di cui sopra vengono riferite con riserva. Telegraferò ulteriormente se ed appena mi sarà data comunicazione formale del progetto.

P. S. -Il presente telegramma era in corso di cifrazione quanto è pervenuta qui la notizia delle dimissioni del Gabinetto Herriot. Lo trasmetto pertanto per corriere a titolo di documentazione.

ALLEGATO Il

SIMON A ROSSO

L.P. (traduzione). Ginevra, 14 dicembre 1932.

Voi non ignorate che in queste ultime settimane tanto la Delegazione americana che quella britannica hanno portato la loro attenzione sulla questione del completamento dell'Accordo di Londra attraverso un accordo franco-italiano. Noi avevamo sperato di poter sottoporre all'esame del Vostro Governo e simultaneamente del Governo francese alcune proposte (« suggestions »). La crisi politica sopravvenuta a Parigi non permette di dar corso al nostro proposito in questo momento; ma, visto che il Signor Norman Davis è partito per gli Stati Uniti e che io debbo ritornare a Londra questa notte, sembra che la cosa migliore da fare sia quella di dare tanto a Voi che a Massigli copia di un progetto che, per il momento, io vorrei chiedervi di considerare come consegnato a Voi a titolo non ufficiale per Vostra considerazione confidenziale, e, per quanto possibile, puramente personale.

Hugh Wilson è al corrente della lettera che Vi scrivo e, credo, Vi scriverà egli stesso per dirvi che è d'accordo con me. Noi comunichiamo contemporaneamente con Massigli chiedendogli di trattare il documento nel modo che vi ho indicato. Suggeriamo anche a Massigli che, appena un nuovo Governo sarà stato formato in Francia ed il nuovo Primo Ministro sarà in grado di esaminare coi suoi Colleghi le proposte dei Governi americano e britannico, si veda di procedere all'esame della questione.

Siamo sicuri che tanto Voi quanto il Vostro Governo Vi renderete conto dello spirito di buona volontà col quale ci siamo permessi di sottoporvi le nostre proposte.

(l) -Recte del 13, cfr. n. 541. (2) -Si pubblica solo la traduzione. (3) -La lettera d! Wilson non sl pubblica.
552

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

T. 4276/266 R. Belgrado, 16 dicembre 1932, ore 23,40 (per. ore 1,30 del 17).

Telegramma di V. E. n. 161 (1).

Questa stampa non ha fino ad ora fatto cenno di manifestazione senato e dichiarazioni S. E. Capo del Governo. Ciò si è cominciato ad apprendere soltanto stamane attraverso nostra stampa e quella straniera; debbo ritenere che questo ministro degli affari esteri abbia avuto solo oggi testo completo dichiarazioni. Stampa jugoslava non ha del resto fino ad ora dato che notizie molto sommarie e incomplete distruzioni Traù e taciuto dimostrazioni italiane, eccezione fatta di quella di Zara.

Come elementi politici sani serbi, alla pari dei dalmati e dei croati, considerano con sdegno atti selvaggi di Traù, così prime impressioni medesimi elementi fanno risalire al Governo jugoslavo responsabilità inasprimento relazioni con l'Italia fino a giungere ad alta dichiarazione ammonitrice di S. E. Mussolini. Viene in pari tempo osservato che dalla partenza di Marinkovic tutte le relazioni coi vicini sono peggiorate e che incidenti di frontiera si moltiplicano impressionantemente a tutte frontiere, meno verso la Grecia.

Aggiungo che ieri dopo intrattenuto Jeftic della questione Traù (mio telegramma n. 262) (2) egli mi ha lungamente e gravemente parlato dei rapporti itala-jugoslavi con allusioni e accenni, che pur non essendo restati senza mie precise repliche, non ho compreso interamente che stamane, dopo lette dichiarazioni di S. E. Mussolini.

Raccolgo e riferisco che taluni interpretano dichiarazioni di S. E. Capo del Governo come anticipata risposta a riunione Piccola Intesa, che qui si ritiene voluta, ingiustificatamente ed inopportunamente, da Re Alessandro per averne principalmente una clamorosa manifestazione antitaliana di solidarietà contro campagna revisionisti della quale sopratutto Belgrado crede essere sempre più minacciata.

Mi riservo ulteriori comunicazioni non appena potranno risultarmi nuovi elementi (3).

(l) -Cfr. n. 548. (2) -T. per corriere 4267/262 R. del 16 dicembre, non pubblicato. (3) -Cfr. n. 556.
553

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AL CAIRO, NONIS (l)

T. 1345 R. Roma, 16 dicembre 1932, ore 24.

Rapporto di cotesta R. legazione n. 1227 (2) e telegramma n. 220 (3).

Ministero Colonie comunica Saif-ed-din deve, ove lo creda, sottomettersi incondizionatamente e con atto scritto. Nessun provvedimento particolare di amnistia potrà essere disposto né per lui né per altri fuorusciti, i quali, come lui, avranno sempre salva la vita ove si presentino fare atto sottomissione.

Inoltre sottomissione Saif-ed-din non deve essere comunque collegata con quella altri fuorusciti.

Ove egli intenda sottomettersi secondo quanto sopra è detto, V. E. è autorizzata procurargli imbarco su piroscafo nazionale diretto nel Regno, ove si determinerà quale possa essere residenza definitiva Saif-ed-din. Starà alla generosità R. Governo stabilire quale debba essere situazione personale Saif-ed-din, i cui beni in Cirenaica non gli saranno in ogni caso restituiti.

V. E. potrà far fare conseguenti verbali comunicazioni a Saif-ed-din e riferirne esito a questo Ministero.

554

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4295/264-265 R. Vienna, 17 dicembre 1932 (4).

con telespresso 2792 (5) che giungerà costì con il corriere domani. Stamane ho parlato a lungo con il cancelliere. Riassumo:

l) Spera ancora che Parlamento francese ratificherà entro il mese corrente accordo prestito Losanna. Crede sarebbe utile, come inglesi, anche noi ratificassimo al più presto. Risulterebbe in tal caso evidente al mondo intero che se il prestito non fosse concluso responsabilità ne ricadrebbe tutta e solo sulla Francia e ciò potrebbe forse meglio indurla a ratificare.

2) Non crede che anche qualora prestito non sia concluso, suo Gabinetto possa trovarsi in pericolo. Si tratterà solo di sapere manovrare tra gli scogli ed egli ha fiducia vi riuscirà.

3) Si rallegra moltissimo della voce udita per la quale la maggioranza della Steweag non passerebbe ai tedeschi secondo il progetto di Rintelen ma rimarrebbe agli italiani. Considera ciò anche più importante dal punto di vista politico che non da quello economico.

(265 segreto) 4) Invierà dopo le feste Schiiller o altra persona di fiducia a Roma, per discutere di tutto il complesso dei nostri rapporti e quindi non solo di quelli economici, ma anche di quelli politici in risposta ampia offerta di V. E., di cui nel suo telegramma n. 212 (l) circa la quale mi ha rinnovato le espressioni della sua gratitudine. Ha toccato qualche punto specifico del suo programma di Governo pur non avendo egli ancora concretato le sue idee in modo preciso e completo. In tali punti ha, oltre armi per l'esercito, e le Heimwehren, accennato a qualche possibile intesa circa Jugoslavia, ove avvenire si presenta oscuro.

5) Mi ha di nuovo spontaneamente accennato in modo generico alla eventualità di una visita a V. E.

(264) Ho avuto 'ieri colloquio con Starhemberg circa il quale ho riferito

(1) -Inviato per conoscenza al Ministero delle Colonie. (2) -Non pubbllcato. (3) -Cfr. n. 489. (4) -Il t. 264 partì alle ore 9,50 e pervenne alle 10,30; il t. 265 partì alle 14.30 e pervenne alle 16,15. (5) -Cfr. n. 550.
555

RIUNIONE PRESSO IL CAPO GABINETTO, ALOISI (2)

VERBALE. Roma, 17 dicembre 1932.

S. E. Aloisi. -Espone quelle che debbono essere le direttive generali dell'azione che dovrà svolgere il Ministro Vinci in Addis Abeba: l) calmare le diffidenze sorte in questi ultimi tempi in Etiopia nei nostri riguardi; 2) svolgere verso il Governo Centrale etiopico una politica di amicizia che sia tuttavia dignitosa e ferma, e che lasci comprendere all'Imperatore la nostra insoddisfazione per il nessun beneficio a noi derivato, per malvolere da parte etiopica, dai trattati del 1928, trattati dai quali l'Imperatore ha invece potuto trarre notevoli vantaggi di ordine politico. Si tratta insomma di venire ad una specie di redde rationem morale, di presentare all'Imperatore il bilancio dei rapporti italo-etiopici degli ultimi cinque anni, assicurandoLo della nostra leale volontà di collaborazione con l'Etiopia. nel campo economico, ma facendogli al tempo stesso chiaramente comprendere come da parte nostra si attende che il Governo etiopico dimostri la stessa leale e buona volontà e tenga nel dovuto conto, nel regolare la sua azione nei nostri riguardi, le lettere e lo spirito dei trattati del 1928. Indipendentemente dall'azione che il Conte Vinci dovrà svolgere al centro, verrà provveduto d'accordo fra i RR. Ministeri degli Esteri e delle Colonie a svolgere dall'Asmara e da Mogadiscio una politica periferica tendente a creare ostacoli alla politica di accentramento che l'Imperatore sta notariamente attuando.

Fa dare lettura del Pro-memoria in data 8 settembre 1932 (3), approvato da S. E. il Capo del Governo e che costituisce la base e contiene le direttive dell'azione che il R. Governo intende svolgere da ora innanzi nei confronti dell'Abissinia.

S. -E. Gasparini. -Si dichiara d'accordo con quanto è contenuto nel promemoria sopra accennato, sia per quanto riguarda le direttive da darsi al nuovo Ministro in Addis Abeba, sia per quanto si riferisce al programma d'azione periferica. In tema di politica periferica osserva che ogni nostra azione tendente ad ostacolare il programma di accentramento perseguito dal Negus deve, a suo modo di vedere, tener conto della fondamentale differenza che esiste fra i territori che costituiscono l'Etiopia propriamente detta (Acrocoro abissino: Harrar-Scioa-Goggiam-Tigrè) e i territori divenuti etiopici soltanto alla fine del secolo scorso in seguito alle guerre di conquista condotte da Menelik (Aussa territori a nord della Somalia -Gimma Kaffa, Ovest etiopico). Mentre nei primi lo spirito nazionale dei capi e sottocapi anche di quelli ostili al Governo centrale è assai elevato e difficilmente potremmo, a suo avviso, svolgere con successo una azione politica che tradisca la nostra intenzione di provocare il collasso dell'impero, nei secondi, in cui le popolazioni non sono né si considerano etiopiche e mal sopportano il giogo del conquistatore scioano, appare più facile lo svolgere una azione politica che fomenti il malcontento contro il Governo di Addis Abeba e che, oltre ad ostacolare l'opera accentratrice dell'Imperatore, determini movimenti di insurrezione contro il Governo Centrale, movimenti dei quali potremmo trarre profitto per denunciare eventualmente a Ginevra il malgoverno abissino in quei paesi e il desiderio di questi di liberarsi dal giogo etiopico: si potrebbe in tal modo provocare lo sfaldamento dell'impero.

Ritiene tuttavia che tale azione deve venir condotta, almeno nel periodo preparativo, con prudenza, in modo da non destare sospetti né ad Addis Abeba né altrove e a tale proposito osserva che con uguale prudenza dovrebbe venir condotto anche il rafforzamento militare delle nostre Colonie; la stessa organizzazione aerea delle medesime dovrebbe avere per ora, formalmente un carattere civile più che militare (linea Karthum-Massaua).

S. E. Aloisi. -Si dichiara d'accordo con quanto ha esposto S. E. Gasparini.

Conte Vinci. -Prospetta l'opportunità che, nello svolgere il programma di politica si tenga conto dell'attuale stato d'animo di diffidenza esistente in Etiopia nei nostri riguardi e osserva che sarebbe conveniente dare inizio a tale politica dopo calmate ad Addis Abeba le diffidenze stesse.

S. E. Aloisi. -Concorda col Conte Vinci. Ritiene ora venuto il momento di determinare come e da chi la politica periferica debba venir concretata e svolta. Chiede a tale riguardo di conoscere l'avviso di S. E. Gasparini.

S. E. Gasparini. -Ritiene che la politica periferica debba venir eseguita dai due Governi Coloniali, in stretto contatto fra di loro e con la Legazione in Addis Abeba, e diretta da Roma, d'accordo fra il Ministero Esteri e il Ministero delle Colonie.

S. E. Aloisi. Chiede se occorre a tal fine organizzare al Ministero un apposito ufficio.

Comm. Buti. -Osserva che l'Ufficio III della Direzione Generale Affari Politic.i è in grado di assumere e svolgere tale compito.

Conte Vinci. -È del parere che l'azione periferica pur venendo svolta dai Governi Coloniali e d'accordo col Ministero delle Colonie, debba venire diretta dal Ministero degli Esteri.

S. E. Gasparini. -Concorda nel parere espresso dal Conte Vinci; ritiene che la collaborazione fra i due Ministeri potrebbe attenersi mediante la costituzione di una Commissione ristretta composta di funzionari dei due Dicasteri.

On. Cantalupo. -Ricorda a tale riguardo che quando era Sottosegretario alle Colonie egli ebbe a costituire una commissione come quella suggerita da

S. E. Gasparini.

Cornm. Buti. -Di che egli ha del resto già avuto modo di constatare che il Ministero delle Colonie desidera collaborare con quello degli Esteri.

S. E. Aloisi. -Ritornando all'esposizione fatta da S. E. Gasparini e alla opportunità da questi accennata di eventualmente determinare in Etiopia una situazione che potrebbe venire efficacemente denunciata alla S.d.N. di cui l'Etiopia fa parte, osserva che concorda completamente in tali concetti e che a tal fine potrebbe anche venire sfruttata la questione della schiavitù.

Comm. Buti. -Espone quale è stato negli ultJimi anni il nostro atteggiamento di fronte alla questione della schiavitù in Etiopia; in un primo tempo vennero da parte nostra avversati i progetti inglesi di portare a Ginevra tale questione, e ciò pel timore che, una volta sollevata, la questJione stessa dovesse condurre ad un intervento della Lega in Etiopia; ultimamente invece si è ritenuto opportuno assumere un diverso atteggiamento e venne da parte nostra data adesione alla costituzione di un Comitato per la schiavitù presso la S.d.N.

YEMEN

S. E. Aloisi. -Fa presente l'opportunità di meglio organizzare e coordinare la nostra azione politica nel Mar Rosso in generale e nello Yemen in particolare.

Comm. Buti. -Osserva che tale azione venne sinora diretta dal Governo della Colonia Eritrea.

S. E. Aloisi. -Ritiene opportuno affidare ad una persona competente, non avente veste ufficiale, l'organizzazione e il coordinamento di tale azione.

On. Cantalupo. -Concorda.

S. E. Gasparini. -Concorda. Ritiene tuttavia che occorrono maggiori mezzi. La SANE può fare molto nello Yemen ma è lontana dal poter svolgere un'azione di penetrazione economica adeguata ai nostri interessi nel Mar Rosso.

S. E. Aloisi. -Accenna alla opportunità che i proventi della Kosseir vengano messi a disposizione della nostra politica nel Mar Rosso.

On. Cantalupo. -Rileva che i proventi della Kosseir ammontano a circa 10-12 milioni all'anno. Osserva che debbono venir intensificate e migliorate le nostre relazioni con l'Imam Yahia per riportarle possibilmente, dall'attuale

stato di diffidenza, allo stato in cui si trovavano nel 1926-27 dopo la visita a Sanaa del Governatore Gasparini e la conclusione del Trattato.

S. E. Gasparini. -Dice di aver ricevuto una lettera dall'Imam, lettera contenente un vago accenno alla opportunità che egli abbia a recarsi a Sanaa in occasione di un suo prossimo viaggio in Eritrea. Egli è disposto ad andarvi, osserva che in tal caso gli sarà necessario disporre di adeguati fondi per regali.

(l) -Cfr. n. 480. (2) -Alla riunione erano presenti Aloisi, Buti, Vinci, Gasparini, Cantalupo e Zoppi. (3) -Si tratta probabilmente del n. 248.
556

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. R. 139. Belgrado, 17 dicembre 1932.

Ie11i l'altro 15 corrente alle ore 20, dopo parlatomi dei fatti di Traù come ho telegrafato all'E. V. in [quel] giorno (1), e dopo ... (2) da me nuovamente quali [elementi] autorizzano a [creder]e che autorità jugoslave [non siano estra]nee a quella ... devastazione, Jeftic è ... mente alla si[tuazione ge]nerale itala-jugoslava [che attravers]a sicuramente un [diffi]cile periodo .

... ha avuto accento gra[ve ed] accorato, ... certo lasciato ... mancante perciò mie ... [Jef]tic mi ha detto egli ... fosse per me personalmente, a me che con ... per vari mesi [n interminabili colloqui la possibilità, e le basi concrete e durature di un riavvicinamento fra i nostri due Paesi, non era diretto al Governo, né per sua conoscenza. E conteneva allusioni e riferimenti che non avevo del tutto compreso. Solo stamani dopo letti i giornali italiani che recavano, con l'alta manifestazione al Senato, la dichiarazione ammonitrice e piena di forte calma dell'E. V. ho afferrato tutta la portata delle sue parole.

Riproduco ora con accurata maggiore precisione ed esattezza possibile il discorso di Jeftic.

Egli ha cominciato col chiedermi se avevo notizie delle dimostrazioni di Trieste. (V. E. [non] ignora che giornaletti secondari jugoslavi hanno pu[bblicato che] la dimo[strazio]ne per Traù erasi cambiata in dimostr[azione] ... [con]tro la guerra). Ho risposto che non ne ... soltanto che qu[asi] in ogni città italiana ... colpito la ... gioventù, ma che le dimostr[azioni eran]o dovunque state rigorosamente contenute dalla forza pubblica, dove per avventura la naturale disciplina delle nostre masse studentesche non aveva spontaneamente evitato ogni eccesso. Egli ha poi continuato:

«Non comprendo bene la ragione di tale esplosione generale che non sembra trattenuta dalla volontà del Governo. Anzi, coloro che hanno le più alte responsabilità giungono ad affermazioni che non concordano con le nostre informazioni, e la vostra stampa pubblica versioni di devastazioni che abbiamo ragione di credere non esatte, sulla base dei primi rapporti che ci sono venuti da Traù. Sapete poi anche bene che dichiarare nelle vostre assemblee più alte che la morte del giovane di Veglia è dovuta alla ferita infertagli nell'estate

scorsa da un jugoslavo, e non per complicazioni successive non curate e per la partecipazione ad una partita di calcio, non è conforme al vero. Come non è affatto vero, come la vostra stampa ha affermato, che il feritore sia stato decorato di una medaglia d'argento. Nei nostri regolamenti scolastici tale forma di premiazione non esiste.

Gli ,incidenti di cui mi avete parlato l'altro giorno e di cui mi parlate adesso vogliamo esaminarli tutti e risolverli, punendo quegli agenti che [hanno ecce]duto ma [vi] prego non date loro alcun significato ... [non] hanno e non debbono averne. Dovete ormai s[apere per la vostra st]essa esperienza che ogni incidente è stato [risolto per inter]vento del Governo secondo vostra intera soddisfaz[zione anch]e se talora delle autorità secondarie hanno fatto delle resistenze, esse hanno poi dovuto cedere di fronte alla ferma nostra volontà ed ai nostri ordini.

Chi mi ha preceduto a qu[est]o posto, come io che vi sono adesso, e chi mi seguirà non potrà seguire che tale linea di condotta, perché se in cima al nostro pensiero vi è sempre stato il desiderio di un completo e pieno accordo con l'Italia, ove questo non sia possibile, vogliamo almeno che le nostre relazioni possono svolgersi senza urti e senza frizioni pericolose.

Se malgrado questa nostra buona volontà vediamo che si eccita tutta l'Italia per delle devastazioni che siamo i primi a devlorare perché colpiscono la stessa nostra dignità, e sono contro il nostro stesso interesse, ma che hanno un significato puramente locale e non sono così gravi e generali come è stato affermato da chi ha da voi le maggiori responsabilità, e da questo punto si parte per eccitare contro d.i noi tutti i sentimenti di una Nazione che amiamo e rispettiamo, allora dobbiamo credere che n vostro disegno e la vostra volontà mirano ad obiettivi che ci sono interamente ostili, e nutrono disegni ... la nostra distruzione.

Dico questo a voi, proprio a [titolo personal]e, non per il vostro Governo, perché è con [voi che ci] siamo incontrati per tante ore e per molte settimane [alla ric]erca di una base solida e sicura di amicizia pronta e definitiva per l'Italia, che vorremmo mettere al primo posto nella nostra amicizia. Eravamo molto vicini [a risolvere] il faticoso problema che ci angustiava ed io [sarei] pronto a ricominciare i colloqui domani per giungere subito all'accordo sperato e voluto sempre da noi. Ma se dobbiamo persuaderei che non lo volete, allora dobbiamo prendere le nostre misure di difesa. Perché pensiamo che se un accordo non è realizzabile e le politiche dei nostri due Paesi non possono avere uguali obiettivi, non v'è motivo di aizzare la nostra rispettiva opinione pubblica, ma che se voi lo fate allora dobbiamo riflettere. In ogni modo sappiate che non ci lasciamo facilmente intimidire, e che i metodi di intimidazione hanno scarsa presa su di noi. La nostra storia prova di quale resistenza morale e militare ha dato prova il nostro popolo >>.

Ho risposto al Signor Jeftic sostanzialmente cosi: «Non posso seguirvi bene 1n tutto quanto mi avete detto. Ma mi preme stabilire due punti precisi: D gli incidenti di Veglia della scorsa estate se sono stati troncati dall'intervento delle autorità centrali non hanno però condotto ad alcuna sanzione contro autorità e cittadini jugoslavi responsabili. Essi sono ancora nella memoria della nostra gente. Per ora vi è [una] sola sanzione, quella che ha colpito Lusina. Se la ferita infertagli il 25 agosto non è forse la causa diretta della morte, sta anche in fatto che, senza quella ferita, egli non sarebbe morto; ID se la distruzione dei leoni di Traù era realmente avvenuta ad opera di vandali dissennati, era singolare che fosse stata preceduta dalla visita del comitagio Kosta Pecanac a Spalato e Sebenico, [e che si] fosse verificata essendo Capitano Distrettuale quel m[edesim]o Anicic sotto la cui amm[nistrazione era avvenuta la distruzione dei leoni di Veglia, e che per questo fatto insieme ad altri atti di anti-italianità era stato richiamato da Veglia dal Generale Zivkovic su richiesta di Marinkovic e dopo le mie precise segnalazioni. Una inchiesta severa a Traù non domandava troppo tempo né eccezionale abilità pol·iziesca per identificare i responsabili. Se egli voleva glieli avrei indicati io in 24 ore; III) la serie degli incidenti che gli avevo esposto, e fra questi gravissmo quello del Rink (spero riferirne a V. E. per il prossimo corriere indicando la chiusura della prima fase delle trattative che però non posso ancora prevedere sicuramente soddisfacente, ciò che esigerà io chieda istruzioni a V. E.) erano avvenuti, come gli incidenti di Veglia, come i fatti di Traù, in Jugoslavia, non in Papuasia, e ad opera di autorità ed agenti jugoslavi vari. E tutto ciò nel corso di poche settimane. Nulla di simile io conoscevo in Italia contro interessi e sudditi jugoslavi. E se a que[sto] aggiungevo le fandonie, le notizie torbide e tendenz [iose] che leggevo ogni giorno in tutti i gio [rnali eh] e si pubblicano da un capo all'altro, della Jugosl[avia ce n'Jera abbastanza per giustificare lo sdegno delle nostre folle e la preoccupazione della nostra pubblica opinione. Non bastava fare buon viso all'Italia solo quando si dovevano trattare gli interessi ed i rapporti commerciali reciproci, ma così vantaggiosi alla Jugoslavia; IV) potevo come lui esprimere molto rincrescimento che i nostri colloqui non fossero giunti a conclusione. Ma egli doveva ricordarsi bene tutto il loro andamento dal primo all'ultimo giorno. Mentre da parte nostra vi era un cedimento su tutti i punti che interessavano la Jugoslavia e che pure erano canoni fondamentali della nostra politica generale europea, sul solo punto che interessava l'Italia, la questione albanese, non v'era stato da parte jugoslava un solo passo verso di noi; V) la nostra politica non si proponeva la distruzione di nessuno, e non si proponeva di impaurire nessuno, come di nessuno poteva aver paura. L'azione di V. E. era chiara e limpida difesa della pace europea senza egemonie e sopraffaZiioni di nessun popolo su di un altro. Ma era però difesa precisa dei nostri interessi legittimi e dei nostri cittadini in qualunque luogo ed in ogni prevedibile contingenza.

Ho preso atto alla fine della sua dichiarata volontà di volere con ogni energia impedire il sorgere di qualsiasi nuova causa di in[quietJudine e di allarme per la nostra pubblica opinione. Se tale linea venisse realmente e seriamente seguita, egli potrebbe constatare che non sarebbero certo la nostra stampa ed ancor meno le nostre autorità a dare motivo di turbamento e di nervosità alla Jugoslavia.

E cosi il nostro colloquio si è chiuso, sul ritornello della mancata conclusione degli accordi che parevano possibili ed imminenti. E nel congedarmi Jeftic ha pronunciato la seguente testuale frase: «A meno che tutto questo fuoco attuale non valga a meglio temperarli e renderli indistruttibili quando potremo concluderli! ''• frase che è restata senza mia replica alcuna.

Mi preme adesso riepilogare ed indicare con brevità e chiarezza quale è lo stato d'animo che si è andato progressivamente formando nel Re e nel Governo jugoslavo, e come a mia convinzione esso sia quello che domina ogni pensiero ed ogni sentimento.

Le conclusioni cui giungo scendono dall'esame attentissimo di ogni possibile sintomo della situazione, da colloqui cauti ed accorti con elementi di autorità e di prestigio di questi circoli politici, da confidenze amichevoli di miei colleghi che hanno frequenti contatti col Re. E quanto affermo non [è] a cuore leggiero, e senza matura ponderazione.

Dalla conclusione dei nostri accordi albanesi si è sviluppato gradualmente un vago sentimento che l'Italia volesse, dalla base albanese, attaccare la Jugoslavia raggiungendo in tal modo quel possesso adriatico che durante la Conferenza della Pace non era stato realizzato. Si è dimenticato subito (perché l'oblio delle proprie malefatte è qui singolare caratteristica) che agli accordi albanesi l'Italia era stata costretta per contrapporre una sua azione di difensiva contro la crescente ingerenza francese nelle cose militari jugoslave, e per troncare l'intrigo jugoslavo diretto a scalzare a suo esclusivo profitto, e contro le garanzie assicurate dalla dichiarazione del '21, la posizione di preminenza italiana in Albania, che attenuava la troppo infelice posizione strategica italiana in Adriatico.

Questo sentimento (che sopratutto interessi francesi hanno cooperato a rafforzare ed aumentare ogni giorno) è andato man mano crescendo per vedere in ogni manifestazione più chiara, aperta e legittima della politica italiana una oscura finalità minacciosa per la Jugoslavia, e per creare realtà da ogni più strano fantasma. La decadenza del patto di amicizia alla fine del '28 marca l'inizio della fase più acuta di tale stato d'animo, e nel gennaio del '30 il Governo jugoslavo arriva a credere in tale maniera a voci venutegli chi sa da dove, di una balorda fola relativa ad un imminente colpo di mano italiano sulla Dalmazia (finta [rib]ellione di equipaggi della marina italiana, occupazione da parte di navi italiane di punti strategici della Dalmazia, successivo intervento ufficiale italiano a sorreggere le forze indipendenti della Marina e rendere definitivo il fatto compiuto), che Marinkovic ne dà comunicazione al Ministro d'Inghilterra Henderson, giungendo a chiedergli intervento e protezione inglese contro il brigantesco progetto. Lo stesso Ministro d'Inghilterra replicò subito spontaneamente che si trattava di una fandonia, ma non riuscì per questo a smontare subito i timori, che solo il primo colloquio tra S. E. Grandi e S. E. Jeftic, quasi contemporaneo, riuscì a far decrescere (1). Un senso di tranquillità e di fiducia era andato aumentando progressivamente mano mano che si riteneva alla possibilità e prossimità dell'accordo. Meno che per brevi tratti di tale periodo, che giunge fino all'ottobre del corrente anno, la stampa continua bensì nel suo attuale ritmo antitaliano, ma ciò ha scarso significato, ed in fondo non è che manovra tattica per mascherare la esistenza dei colloqui, e poterli smentire se qualche sentore fosse venuto all'orecchio di Potenze interessate a farli fallire.

Dall'ottobre ultimo invece è un crescente parossismo di preoccupazione che confina con la « paura ». Posso assicurare V. E. senza tema di sbagliarmi

che la visita di Gombos a V. E. segna per ora il massimo della ascesa di questo sentimento, che Re Alessandro crede fermamente ad una presunta volontà italiana di muovere guerra alla Jugoslavia per dislocar... e non fa misteri di questo suo timore, né con quei Ministri stranieri nei quali ripone qualche fiducia (l'inglese) né con i Ministri di Francia e della Piccola Intesa. So che egli aveva anche pensato a chiamarmi, ma non ha per ora attuato tale suo proposito. Se mi chiamasse del resto io non farei che «ascoltare e riferire».

In corrispondenza di questo sentimento sta la convinzione dello Stato Maggiore che fra V. E. e Gombos siasi concluso un segreto patto militare, come il fatto che al progetto di incremento della marina jugoslava (che effettivamente avrebbe dovuto avere in questi giorni un principio di attuazione -e ne riferisco con telegramma a parte -) si è rinunciato solo perché si ritiene che in ogni caso la marina jugoslava anche aumentata non sia in grado di opporsi alla italiana, e che è miglior consiglio dare tutti i mezzi di cui lo Stato jugoslavo può disporre alle necessità dell'esercito e tutto concentrare su questo anziché frazionare inutilmente lo sforzo. Ed è concorde e generale persuasione dello Stato Maggiore jugoslavo che la guerra con l'Italia è fatale ed inevitabile.

Ciò mi premeva mettere in evidenza alla E. V. che [troverà] conferma di queste mie conclusioni in molte notizie di fatti già trasmesse costà ed in quelle nuove che giungono ogni giorno.

(l) -T. per corriere 4267/262 R. del 16 dicembre, non pubblicato. (2) -Le lacune nel testo sono dovute al deterioramento dell'originale.

(l) Cfr. serie VII, vol. VIII, n. 302.

557

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4299/269 R. Belgrado, 18 dicembre 1932, ore 15,20 (per. ore 18,30).

Mio telegramma n. 200 (1).

Ministero dell'Interno diramato iersera comunicato ufficiale per devastazione Traù che appare tardivo e pietoso. Stampa odierna pubblica poi tre dichiarazioni Jeftic di tono modesto e dimesso (vedere telegramma Stefani) (2).

Ciò, con altre notizie, tende a confermarmi che impressione fondamentale di questo Governo è di rafforzamento dei timori che esso nutre da tempo circa intenziond italiane sulle quali si fanno circolare notizie le più allarmanti che sono credute anche dal Governo stesso.

Posso affermare che in questo momento è il sentimento della «paura» quello dominante.

Circoli diplomatici che hanno stlgmatizzato devastazioni di Traù, giudicano dichiarazioni di S. E. il Duce moderate ed in Croazia (dove le autorità non hanno sequestrato Corriere della Sera ma invece hanno comprato tutti i numeri in vendita al pubblico) si è grati per distinzione fatta tra serbi e croati.

Odierna riunione p,iccola Intesa si apre perciò in atmosfera estremamente delicata per la situazione interna ed estera jugoslava.

(l) -Riferimento errato: dovrebbe essere n. 266 del 16 corrente (n. 4276 R.). [Nota del documento]. Cfr. n. 552. (2) -Telestampa n. 3264. [Nota del documento].
558

L'INCARICATO D'AFFARI A ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4312/754 R. Addis Abeba, 19 dicembre 1932, ore 15 (per. ore 18,30).

Mi pare di notare un miglioramento nei rapporti franco-etiopici, che erano

stati caratterizzati finora da una certa asprezza. Lo stesso mdnistro di Francia

non mi ha nascosto che in quest'ultimi tempi ha incontrato minore difficoltà

nella soluzione di talune questioni.

Riterrei assai utile controllare e indagare a Parigi.

Ho l'impressione che Governo etiopico, timoroso di trovarsi di fronte alla

ostilità concorde delle tre Potenze confinanti e diffidando sopratutto delle mire

dell'Italia, cerchi di riaccostarsi all'antica tradizionale sua protettrice, della

quale ha esperimentato utile appoggio anche recentemente alla S.d.N. nelle

discussioni del comitato sulla schiavitù.

559

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4348/658 R. Parigi, 19 dicembre 1932 (per. il 23).

Col mio telespresso del 17 corrente n. 6989/3886 (l) ho attirata l'attenzione della E. V. su alcune sintomatiche coincidenze nelle informazioni di fonte jugoslava diramate negli ultimi tempi, in relazione a una voce che circola qui e attribuisce all'iniziativa del signor Benès l'offensiva di notizie allarmanti, destinate a mettere in cattiva luce l'Italia verso l'opinione pubblica mondiale, attribuendole il proposito di preparare una prossima decisiva azione per il riassetto politico-territoriale dei paesi del centro Europa e della Balcania.

Per quel che riguarda l'azione del signor Benès, osservo che il noto articolo di Wickham Steed ha seguito di poco la visita del ministro degli esteri cecoslovacco a Parigi e a Londra. L'agitazione manifestatasi contro di noi in Dalmazia è in diretto rapporto con quell'articolo. Se Benès è l'ideatore di questa nuova offensiva centro-europea-balcanica, anti italiana, egli non ha fatto male i suoi calcoli perché è riuscito a gettare il turbamento in molte anime che credono ancora alla sincerità del suo pacifismo disinteressato.

Col mio telegramma del 16 corrente n. 651 (2) informando V. E. della avvenuta pubblicazione del sunto del suo discorso al Senato, dicevo che la stampa non l'aveva fino allora commentato. Ed infatti non vi sono stati commenti

immediati, fatta eccezione di alcuni accenni al senso di misura e di modera

zione delle parole pronunciate dalla E. V. Ma, col seguire delle dimostrazioni

di piazza, in Italia e in Jugoslavia, anche questa stampa è uscita dal suo riserbo

ed è di questi giorni apparsa qualche acre allusione, non al discorso della E. V.

ma alla reazione italiana ai fatti di Traù, giudicata eccessiva.

Come di consueto, Pertinax è in prima linea. L'Echo de Paris pubblica stamane uno dei suoi articoli di fiele, contro di noi, nel quale trovano larga giustificazione l'apprensione della Piccola Intesa e i suoi preparativi guerreschi, per essere pronta ad ogni evenienza. Solo il giornale La République diretto da

E. Roche, scrive, per la penna di Pierre Dominique, parole sensate, e, anziché all'Italia rivolge un monito alla Jugoslavia e la invita a sorvegliare i suoi agenti, citando fra costoro il Ministro jugoslavo a Parigi, per un suo recente discorso che l'ufficio stampa della R. ambasciata ha segnalato a codesto R. Ministero. Il pubblicista francese termina dicendo: «il est probable que les Spalaikovitch abondent en Dalmatie: ils abondaient jadis en Bosnie, nous avons vu le résultat de leur agitationé ».

La Piccola Intesa, e in modo speciale il signor Benès creatore e animatore dell'alleanza centro-balcanica, sono rimasti sorpresi e turbati dalle parole pronunciate al congresso radicale di Tolosa dal signor Herriot e più ancora dalla favorevole eco suscitata, dell'atteggiamento del presidente del consiglio, negli ambienti politico e economico-finanziari francesi. Il risentimento dei centro balcanici si è acuito ancora più a causa delle direttive politiche seguite a Ginevra dal binomio Herriot-Boncour in tema di disarmo, e per i criteri di parsimonia adottati dal Gabinetto Herriot, nel considerare la domanda di finanziamento degli Stati centro-balcanici.

Non sorprende perci5 che il signor Benès, famoso alchimista d'intrighi, abbia ideata la manovra che gli viene attribuita, la quale del resto ha già conseguito, in parte, il suo scopo, sollevando negli ambienti francesi una nuova ondata di sospetto sulle intenzioni dell'Italia, a tal punto che, se la nefasta opera del ministro cecoslovacco non fosse ostacolata, potrebbe generare un'atmosfera di maggiore freddezza e forse peggio, fra t nostri due paesi.

Nei riguardi della manovra di Benès è da tener presente inoltre che lo spauracchio dell'Italia agitato al cospetto dell'Europa serve a giustificare in certa misura i preparativi della Piccola Intesa, la quale, nel comune pericolo, rinsalda i vincoli alquanto dilasciati.

Non è escluso, che i calcoli del signor Benès, se è veramente lui l'ideatore dell'intrigo, non sortano questa volta pieno successo. Se il ministro degli esteri cecoslovacco ha avuto ragione di lagnarsi delle direttive di politica estera del signor Herriot, forse si troverà a disagio ancora più nelle sue relazioni con Paul Boncour, e col nuovo ministro della guerra Daladier. Non so quale sarà l'atteggiamento del primo nei riguardi dell'Italia, ma se egli ha temperamento d'uomo di stato, pari alla cupidigia del potere, farà tutto il possibile per fare dimenticare la sua stupida nota boutade. Quanto al Daladier egli è, coi suoi amici de La République, forse più vicino a noi che alla Piccola Intesa. In ogni modo se Herriot è stato parsimonioso verso la Piccola Intesa, è facilmente prevedibile che Paul Boncour e il suo ministro della guerra faranno verso di essa una politica da avari.

46 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(l) -Non pubblicato. (2) -N. 9147 P. R. assegnato all'Uff. Stampa; visione Politici [Nota dal documento].
560

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (I)

T. PER CORRIERE 4368/177 R. Mosca, 19 dicembre 1932 (per. il 25).

Per mia norma gradirei conoscere se e quali ripercussioni abbiano avuto sui circoli politici e sul Governo bulgaro i recenti successi diplomatici sovietici: ratifica trattato non aggressione con la Polonia; firma trattato analogo con la Francia; ristabilimento relazioni con la Cina; prospettiva di riconoscimento da parte degli Stati Uniti. Sarebbe interessante di sapere se tutto ciò abbia svegliato in Bulgaria tendenze allo stabilimento di relazioni diplomatiche con l'URSS.

Analoga indagine gioverebbe fare per l'Ungheria.

Io non credo che a noi convenga, nei paesi sopra citati, di incoraggiare alcun movimento filo-sovietico; ma d'altra parte -ove questo esistesse -non credo che dovremmo rimanervi estranei.

561

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 4820/2801. Vienna, 19 dicembre 1932.

Come ho riferito con il mio telegramma segreto n. 265 del 16 corrente (2), dopo il colloquio con Starhemberg, di cui nel mio telespresso n. 2792 del 15 dicembre (3), ne ho avuto uno con il Cancelliere, nel quale con alcuni adattamenti di forma gli ho ripetuto in sostanza le osservazioni che già avevo fatte a Starhemberg circa il nuovo ed importante contributo dato ai nostri rapporti dall'offerta di V. E. di eventuali aiuti al gabinetto, contenuta nel suo telegramma 212 del 29 novembre u.s. (4) e circa l'opportunità di una sollecita risposta austriaca, sia pure formulandola in semplice linea di massima e riservando l'enunciazione precisa delle proposte ad un ulteriore più maturo esame.

Il Cancelliere convinto del fondamento delle mie osservazioni mi ha promesso avrebbe dopo le feste inviato a Roma persona di sua fiducia, che sarebbe stata assai probabilmente Schuller, di cui apprezza assai la competenza e la riservatezza. Questi sarebbe autorizzato a trattare la questione dei rapporti itala-austriaci nel loro complesso e cioè non solo nella parte economica ma anche in quella politica. Non era ancora possibile a Dollfuss indicarmi quali sarebbero state le sue proposte, che tuttavia si riservava comunicarmi appena da lui concretate. Mi chiese però se credevo saremmo stati disposti alla concessione di armi non solo per l'esercito ma anche per le «Heimwehren », e fece anche vaghi accenni all'utilità di qualche nostra intesa nei riguardi della Jugoslavia in considerazione degli avvenimenti che potrebbero colà svolgersi e di cui pareva preoccupato.

(-2) Cfr. n. 554. (-4) Cfr. n. 480.

Ho risposto al Cancelliere che l'importante era rafforzare in V. E. la sua fiducia verso di lui, convincendola del suo proposito di far uscire l'Austria dal suo contegno oscillante o quanto meno indeciso e di farla venire risolutamente dalla parte dell'Italia e dell'Ungheria. Quando questa fiducia fosse stata stabilita in V. E., ero sicuro che le varie proposte austriache sarebbero state esaminate con la maggiore benevolenza.

Circa le altre dichiarazioni di Dollfuss, mi limito a confermare quanto ho riferito con il mio telegramma su citato non avendo particolari aggiunte da fare.

Alla fine del colloquio ha di nuovo spontaneamente accennato alla possibilità di una sua visita a V. E.

Ieri, avendo dovuto conferire per altri argomenti con il Cancelliere, questi mi ha chiesto se avessi già trasmesso la sua risposta a V. E., e io gliene ho dato assicurazione.

(l) -Il telegramma venne Inviato anche alle legazioni a Budapest e a Sofia. (3) -Cfr. n. 550.
562

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

PROMEMORIA 237772/210. Roma, 20 dicembre 1932.

Appare ormai chiaro, sia dalle notizie e gli articoli pubblicati dalla stampa, anche ufficiosa, francese, sia dalle stesse informazioni pervenute in questi ultimi tempi dalle RR. Rappresentanze in Siria, sia infine dalle dichiarazioni fatte recentemente dal Signor Ponsot Alto Commissario Francese a Beirut, alla Commissione Permanente dei Mandati, che la Francia si prepara, come già l'Inghilterra in Iraq, a predisporre localmente e più tardi a proporre a Ginevra la cessazione del Mandato sulla Siria.

Dalle stesse notizie, informazioni e dichiarazioni appare ormai anche in modo non dubbio quali siano gli intendimenti della Francia circa l'assetto che essa dovrebbe dare ai paesi del Levante attualmente sotto mandato francese.

Tali intendimenti possono così prospettarsi: l) Lo Stato di Siria, quale è stato costituito e definito dalla Potenza Mandataria (e cioè con l'esclusione del Libano, del Gebel Druso e del Territorio degli Alauiti) verrebbe ad ottenere l'indipendenza sulla base di un trattato franco-siriano analogo a quello a suo tempo concluso fra l'Inghilterra e l'Iraq.

2) La Francia continuerebbe invece a mantenere sino ad epoca non determinata il mandato sul Libano, sul Gebel Druso e sul territorio degli Alauiti, e ciò togliendo a pretesto sia la tendenza dei Drusi a voler godere di una certa autonomia ,sia la necessità di assicurare la protezione delle minoranze cristiane nel Libano, ma in realtà col preciso scopo di conservare nell'Oriente Mediterraneo un vasto pied-à-terre politico, commerciale e militare.

A tale riguardo la Direzione Generale Affari Politici (Ufficio III) ha l'onore di sottoporre all'esame di V. E. quanto qui di seguito viene esposto: l) Per quanto si riferisce alla cessazione del Mandato francese in Siria, sembra che l'atteggiamento del R. Governo debba essere favorevole a che, come

già l'Iraq, anche la Siria abbia ad acquistare l'indipendenza e ad entrare a far parte della Società delle Nazioni.

2) Mentre tuttavia nel caso dell'Iraq, sia perché la Potenza Mandataria era l'Inghilterra, sia per altre ragioni (e pur ottenendo come contropartita determinati compensi quali ad es. la compartecipazione nello sfruttamento dei petroli iraqueni) da parte nostra, come da parte di tutti gli altri Stati, venne in definitiva consentito che la ex Potenza Mandataria mantenesse nel territorio ex Mandato una speciale situazione di privilegio, per la Siria invece sembra che, con la cessazione del mandato, si debba da parte nostra cercare di ottenere che il nuovo Stato acquisti, per quanto possibile, una piena e reale indipendenza; e che gli accordi che il Governo francese intende concludere con la Siria stessa in vista della cessazione del regime mandatario, non precostituiscano a favore della Francia situazioni di privilegio nel campo politico, economico e militare.

3) Per quanto si riferisce alla divisione del territorio di mandato, una parte soltanto del quale acquisterebbe l'indipendenza, mentre altre continuerebbero a rimanere, per un periodo indefinito, sotto l'autorità della Potenza Mandataria, sembra che da parte nostra debba assumersi atteggiamento contrario, e ciò sia perché tale smembramento è in contrasto coi nostri interessi economici, politici e militari nell'Oriente Mediterraneo, sia perché esso non appare conforme né alle disposizioni contenute nella Carta del Mandato Siriano, né allo spirito dell'art. 22 del Patto che regola la materia dei mandati, né agli interessi e ai desideri della maggioranza delle popolazioni locali.

Sembra quindi che da parte nostra debba sostenersi l'unicità del Mandato Siriano e la contemporaneità della sua cessazione in tutto il territorio oggetto del mandato stesso.

Ciò premesso, e ove l'E. V. ritenesse di approvare l'atteggiamento sopra prospettato, che il R. Governo sembra dovrebbe assumere di fronte al problema della cessazione del Mandato siriano, la Direzione Generale Affari Politici (Ufficio III) riterrebbe opportuno, sempre che V. E. in ciò concordi, che la stampa italiana, prendendo lo spunto da articoli che sulla questione di cui trattasi sono recentemente comparsi in giornali francesi e stranieri, incominciasse ad occuparsi della questione stessa prospettando sin da ora le ragioni e gli inconvenienti di carattere vario che sembrano doversi opporre ai progetti della Francia in Siria e che inducono a considerare come non ammissibile la loro pratica attuazione.

Ciò potrebbe in un primo tempo ottenersi fornendo a persona idonea per competenza in questioni di mandati e per pratica giornalistica, gli elementi necessari a svolgere, in una rivista o in un autorevole quotidiano del Regno, i concetti sopra accennati (1).

corso».

Annotazione di Buti: <<Tener presente l'ultimo rapporto da Ankara».

Buti aveva già espresso gli stessi concetti di questo promemoria In un appunto per suvich del 25 novembre.

(l) Annotazione di Suvich del 23 dicembre: «Visto dal Capo del Governo. Va bene -dare

563

L'INCARICAO D'AFFARI AD ADDIS ABEBA, SCAMMACCA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

R. s. 921/276. Addis Abeba, 20 dicembre 1932.

Ho l'onore di rispondere al telegramma di V. E. n. 388 del 7 corrente (1). Da qualche mese a questa parte, nell'atteggiamento del Governo Etiopico si nota verso di noi una diffidenza maggiore che per il passato.

Le cause occasionali di ciò non hanno in se stesse gran valore: la causa prima risiede, a mio avviso, nella insanabilità dei contrasti e degli interessi che stanno alla base delle rispettive posizioni dell'Italia e dell'Etiopia.

Questa realtà -insopprimibile -non potrebbe essere né annullata né dissimulata da alcun accordo politico. Ed il tentativo, sia pure concorde, di adattarsi a una politica di accomodamenti e di modus vivendi (come quello che è in corso) è più o meno efficace nella risoluzione delle pratiche, dirò così, di ordinaria amministrazione, ma, ogni qualvolta importanti questioni siano in giuoco, viene necessariamente ad urtarsi, prima o poi, nel contrasto degli interessi reali che rivelano appieno la insincerità su cui il tentativo è fondato.

Per tali motivi il Patto di amicizia non può essere uno strumento operante.

Esso resterà fatalmente lettera morta: non può, per sua propria virtù, sopprimere i timori e le diffidenze dell'Etiopia nei nostri riguardi, né distogliere l'Impero dalle sue aspirazioni nazionali verso l'Eritrea.

Conscia dei pericoli che la circodano, l'Etiopia contrasta fermamente ogni tentativo straniero che possa significare un accaparramento di qualsiasi natura sul suo territorio, ma, prima di ogni altro, ogni tentativo che venga dall'Italia.

È da molto tempo, mia convinzione che qualunque siano gli espedienti ed i mezzi adottati noi non riusciremo ad ottenere in Etiopia alcuna concessione che possa aprirci la via ad allargare la nostra influenza politica, ad estendere la nostra penetrazione economica, ad accrescere i nostri pegni.

Si tratta di un programma politico che l'Etiopia ha adottato e non abbandonerà più: di una pregiudiziale, direi quasi vitale, con la quale il Governo Etiopico mira a difendersi dal solo pericolo vicino che esso veda per l'indipendenza dell'Impero.

Delle tre Grandi Potenze che l'accerchiano, l'Etiopia sa bene che nella Francia può trovare anche un'alleata, che l'Inghilterra occupata da ben più gravi ed assillanti problemi tende a rifuggire dal prendere qui iniziative; ma non ignora la vitalità dell'Italia e le necessità che la spingono.

Farò al Blatingheta Herui la dichiarazione verbale di cui V. E. mi incarica. Essa farà certo impressione, ma, per le ragioni che ho sopra esposte, non nutro speranza che possa bastare a far desistere il Governo Etiopico dal suo atteggiamento.

Di fronte a tale stato di cose, in relazione anche con l'ultima parte del telegramma di V. E. n. 388, pongo a me stesso il problema se sia il caso e il momento di pensare a una denunzia del Patto di amicizia itala-etiopico.

Su questo punto non posso darmi che una risposta unilaterale, perché non ho a mia disposizione che la visione ristretta di questo settore, mentre ignoro quelle situazioni di politica generale ed europea di cui un nostro nuovo atteggiamento verso l'Etiopia potrebbe essere un corollario.

In questa limitatezza di orizzonti, mi permetto di esprimere l'avviso che unf1 denunzia del Patto di amicizia non potrebbe sortire effetti positivi per se stessa; se cioè essa non fosse fatta in rapporto con la nostra situazione anche nei riguardi delle Potenze cointeressate in Abissinia, e come preludio immediato di una azione suscettibile di imporre all'Etiopia un mutamento di politica nei nostri riguardi.

Una denunzia non fatta in queste circostanze avrebbe, a mio subordinato avviso, soltanto effetti negativi: l'Abissinia concepirebbe contro di noi più profondo mncore, si getterebbe con maggior trasporto nelle braccia delle altre Potenze (Francia, Inghilterra e America), e, a costo di qualunque sacrificio, accrescerebbe i suoi armamenti e la sua organizzazione militare; inoltre, appena scorgesse inattuata la minaccia implicita nel nostro gesto, intraprenderebbe, senza più alcun ritegno, un'azione aperta contro tutto ciò che può avere attinenza all'opera e agli interessi dell'Italia: bandendo non soltanto le grandi, ma anche le nostre piccole iniziative; rendendo difficile la vita ai nostri connazionali; esercitando continui arbitri di polizia, fiscali e giudiziari; favorendo apertamente l'irredentismo eritreo; ostacolando con mille mezzi e mezzucci, contro i quali sarebbe difficile difendersi, il funzionamento dei nostri Consolati; ponendoci, in una parola, di fronte ad una nuova «Jugoslavia».

A una situazione di questo genere, che si risolverebbe anche in un grave colpo contro il nostro prestigio, è certamente preferibile, malgrado i suoi inconvenienti, l'attuale situazione di modus vivendi, la quale, se non ci permette di fare progressi, ci conserva per lo meno, nell'attesa del nostro momento, le posizioni raggiunte attraverso molti anni: attività private di Italiani che ci fanno onore, l'esercizio della più importante linea telegrafica abissina, e sopratutto quella fitta organizzazione di Consolati, Agenzie, Ambulatori, Scuole e Missioni Religiose che, nella soddisfacente libertà di azione finora loro lasciata, costituiscono altrettanti posti di osservazione e di politica utilissimi per diffondere fra le popolazioni la conoscenza e il rispetto del nostro Nome, per seguire la situazione del Paese, e, al momento opportuno, anche per influenzarla.

Concludendo quindi, mi consenta l'E. V. di esprimere l'opinione che la denuncia del Trattato non potrebbe avere effetti utili, e non sarebbe esente da conseguenze perniciose, che se essa fosse fatta, in un momel'lto favorevole della politica europea, come preludio ad una nostra azione concreta ed efficace a breve scadenza (1).

564.

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4325/278 R. Belgrado, 21 dicembre 1932, ore 15,15 (per. ore 19,30).

Riservandomi riferire più ampiamente per corriere 0), sono in grado confermare a V. E. che riunione della Piccola Intesa fu effettivamente voluta da Re Alessandro per manifestazione solidarietà contro revisionismo propugnato dall'Italia (2).

Nelle intenzioni dei ministri degli affari esteri riuniti (si sono tutti e tre compiaeiuti rapidità risultati e lavoro proficuo) risposta sta non in eventuale manifestazione verbale ma nella sicura prova della unione dei tre Stati, manifestata per l'avvenire in una sicura unità, per ogni possibile manifestazione. Unità è espressa nel comitato permanente costituito con un segretariato a Ginevra (delegato jugoslavo sarà probabilmente Fotich) ed una delegazione in ogni Capitale, composta probabilmente dal ministro affari esteri e dal ministro plenipotenZiiario dei due altri Stati.

Titulescu in conversazione confidenziale, avuta ieri, ha detto che la Piccola Intesa si è adesso trasformata in una «federazione».

Disarmo ha formato secondo oggetto deliberazione conformandosi punto di vista (comune alla Polonia) che Piccola Intesa non ha ancora raggiunto minimo armamento riconosciuto necessario per sua difesa e potrà parlare di riduzioni realizzate, al raggiungimento di tale minimo. Conferma tale punto di vista, tanto più g'iustificato da parità diritto ora riconosciuto anche alla Bulgaria, Austria, Ungheria, cui armamenti possono prevedersi in aumento.

Secondo medesime informazioni, da fonte diretta confidenziale, conferenza militare Piccola Intesa ha avuto per oggetto principale esame misure militari da prendere da Jugoslavia, in caso azione militare contro la Jugoslavia da parte itala-bulgaro-ungherese ed appoggio da parte romena e cecoslovacca.

Informatore ignora risultati.

(l) Cfr. n. 510.

(l) Allegato al documento il seguente appunto: «Visto dal Capo del Governo. Decisione "Non denunciare il trattato". Inviata copia a S. E. Aloisi a Ginevra. 26 gennaio-XII».

565

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4327/281 R. Belgrado, 21 dicembre 1932, ore 21 (per. ore 0,30 del 22).

Mio telegramma n. 276 (3).

Discorso Jeftic, salvo che nella qualifica di incaute dichiarazioni di V. E., è in tono calmo. V. E. troverà nella chiusa qualche corrispondenza con · dichiarazioni fatte a me il 15 corrente e che giungeranno costà domani mattina (4).

Inoltre Jeftic isola fatti di Veglia e Traù da altri fatti analoghi che li hanno preceduti anche di recente.

Discorsi senatori interpellanti sono invece volgarmente insolenti.

Sfrontata è l'interpellanza Angelinovich alla Scupcina. Questa sarà, sembra, trattata dopo Natale cattolico.

Accoglienza senatori a dichiarazioni Jeftic ed agli interpellanti è stata calda ma non entusiastica. Vari membri del corpo diplomatico assistevano alla seduta.

Notato che interpellanza e discorso contengono ritornello desiderato migliori relazioni con l'Italia.

Ma è impressione generale che il Governo abbia colto con rapidità occasione per impressionare Piccola Intesa e Francia su quadro allarmante che Jugoslavia tende a creare sulla sua situazione estero, per giustificare regime interno e distrarre sua opinione pubblica da altre impellenti realtà.

Fino ad ora nessuna nuova pubblica dimostrazione. A complemento telegrammi stampa Stefani (1), trasmesso oggi stesso per posta espressa traduzione interpellanze e discorsi.

(l) -Cfr. n. 571. (2) -Cfr. n. 535. (3) -T. n. n. 4324/276, pari data, non pubblicato: Jeftlc risponderà ad un'lterpellanza al Senato jugoslavo circa l fatti di Veglia e di Traù. (4) -Cfr. n. 556.
566

L'AMBASCIATORE A PARIGI, PIGNATTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE 4347/657 BIS R. Parigi, 21 dicembre 1932 (per. il 23).

Persona attendibile che ha fatto colazione, stamane, a lato della signora Berthelot mi ha riferito che secondo la moglie del segretario generale del Quai d'Orsay, vi sono in lizza, per il posto di Roma,. due candidati. Il signor Laroche, ambasciatore a Varsavia, è appoggiato dal signor Berthelot. Il presidente del consiglio, signor Boncour, desidera, invece, nominare a palazzo Farnese il senatore de Jouvenel.

L'ambasciatore Laroche è una creatura di Berthelot. È stato consigliere di codesta ambasciata di Francia. Mi pare che non ci sia da augurarsi che la scelta cada su di lui.

Henry de Jouvenel, senatore della Corrège, è nato a Parigi nel 1876. È stato redattore capo al Matin, poi capo di gabinetto del ministro della giustizia nel 1902, indi ministro del commercio nel 1905 e delegato della Francia alla Società delle Nazioni nel 1921 e nel 1924, e infine, ministro della pubblica istruzione, per non lungo tempo invero, con Poincaré. Il de Jouvenel è uomo colto, fine, spregiudicato nella vita privata, dilettante in quella pubblica. Ha sposato successivamente la signora Boas e la scrittrice Colette, divorziando da ambedue. La signora Jouvenel, del momento, è la vedova del banchiere Dreyfus. Il de Jouvenel è uomo di sinistra, appartiene al Senato, al gruppo della sinistra democratica radicale e radicale socialista. Non risulta che appartenga alla. massoneria.

Egli è, come ho detto, uomo leggero nella vita pubblica e in quella privata. Queste sue debolezze, se abilmente sfruttate, potrebbero però non disturbare.

680_

(l) Telestampa n. 3323 (e 3323 bis-ter-quater) n. 3331, 3332, 3333. [Nota del documento].

567

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4338/741. Berlino, 22 dicembre 1932, ore 18,45 (per. ore 21)

Sono stato ricevuto stamane da cancelliere, il quale mi ha accolto pregandomi trasmettere a V. E. suo ringraziamento sincero per l'aiuto dato alla Germania nella questione parità diritti. Egli ha aggiunto che senza tale appoggio non sarebbe stato possibile avere ragione opposizione francese.

Riferirò estesamente con il corriere che parte domani sera circa colloquio che durò oltre mezz'ora (1).

568

L'AMBASCIATORE A BERLINO, CERRUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

TELESPR. S. 4392/1906. Berlino, 22 dicembre 1932.

Il R. Addetto Militare mi comunica che nel corso di una conversazione avuta con il Tenente Generale von Bockelberg, capo del «Waffenamt » (Ufficio Armamenti) della Reichswehr, questi gli disse che sarebbe stato desiderabile che si stipulassero, fra l'Italia e la Germania, gli stessi accordi esistenti, in materia di collaborazione militare, fra l'Italia e l'Ungheria.

Il Tenente Colonnello Mancinelli ha aggiunto che, conformemente alle istruzioni di massima da me impartitegli, egli ha risposto trattarsi di un argomento che rientrava nella politica generale fra i due paesi e che doveva essere pertanto trattato eventualmente in via diplomatica.

569

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA 9021/2045. Belgrado, 23 dicembre 1932 (per. il 29).

A parziale adempimento della richiesta contenuta nella circolare n. 00013 del 23 luglio 1931, trasmetto qui unito riassunto della situazione politica interna jugoslava durante il 1932.

Mi riservo trasmettere al più presto i capitoli riferentisi alla situazione itala-jugoslava, ai rapporti con gli altri Stati esteri, alla situazione militare, ed alla situazione economico-finanziaria.

Do qui di seguito le conclusioni cui giungo relativamente alla situazione interna.

Esaminando brevemente il corso della politica interna nell'anno 1932 alcuni punti sembrano essenziali:

l) *Il paese in generale è sempre più avverso al regime dittatoriale ed approfitta di ogni occasione per manifestare la propria disapprovazione. Questa stanchezza peggiora la posizione della Monarchia la quale comincia ad essere investita, anche nella stessa Serbia, dal malcontento* (1). Questo trova la sua espressione nelle forme terroristiche, alimentate da forze esterne (emigrati croati, comitato macedone), dalle rivolte comuniste o contadine (Lika) ed infine da tutte le dimostrazioni che si susseguono.

2) Il Re, punto determinante di tutta la situazione politica è deciso perché conscio della cattiva prova fatta dai suoi ministri e dai suoi consiglieri, di arrivare a poco a poco ad una situazione normale di libertà. La sua volontà si manifesta tuttavia indecisa ed ostacolata dalla posizione intransigente delle opposizioni che desidererebbero arrivare d'un colpo alla normalità, e senza adattamenti intermediari anche di coscienza o di principi.

3) *Le correnti d'opposizione, pure concordi nella soppressione del regime attuale non sono unite nei mezzi e nei fini*.

a) Le extraparlamentari serbe non vogliono ancora totalmente cedere sulla questione dell'unitarismo, pur concedendo larghe autonomie alle altre nazionalità e sul principio della egemonia serba. La tendenza repubblicana pur essendo forte è programmatica, perché tutto si risolve nell'odio di singoli verso la persona dell'attuale Sovrano. Però la convinzione anche fra i serbi, che il federalismo sarà la sistemazione di domani, si va facendo sempre più strada. Con

serbi sono i mussulmani bosniaci.

b) *Le opposizioni croate, divise durante l'anno, hanno trovato colla risoluzione di Zagabria del 5-6 novembre (2) un punto di contatto che è quello di ritornare al 1918 prima della costituzione della Jugoslavia*. Ma, mentre la corrente di Macek sembra restare ferma sul principio della separazione da Belgrado, e della indipendenza croata (3), la corrente di Pribicevic, alla quale finisce con l'aderire fondamentalmente anche Trumbic, accetta il principio unitario della Jugoslavia con larghissime autonomie federali e sotto la forma repubblicana, quale nucleo per una più grande Jugoslavia. *Ciò, anche se temperato, ripeto, dall'accordo testè fatto resta tuttavia uno dei segni maggiori della debolezza della opposizione croata che non potrà mai costituire, da sola, la forza predominante per l'abbattimento del regime*. Ma la corrente di Pribicevic ha più facili consensi nelle opposizioni serbe, slovene e mussulmane.

L'appunto reca a margine questa annotazione: «Informato opportunamente Wodlaner. 27 dicembre ».

In sostanza però *la lotta croata dal 23-24 ad oggi è una lotta per raggiungere una posizione di << parità » nel nesso statale, non per uscire da esso e distruggerlo *. I gruppi centrifughi, sono paralizzati dai centripeti anche non croati e sono ostacolati dal timore di perdere tutta o parte della Dalmazia alla quale appuntano le loro aspirazioni manifeste i gruppi irredentisti italiani.

c) * La opposizione slovena aderisce al programma delle opposizioni serbe, escludendo perciò una separazione dalla Jugoslavia, anche perché guidata da forte odio antitaliano *. Le manifestazioni di simpatia della primavera-estate verso l'Italia hanno sopratutto lo scopo di recare dispetto e creare imbarazzi al Governo di Belgrado.

d) Le opposizioni macedoni, come le minoranze albanesi, tedesche e ungheresi, non possono entrare nel giuoco delle forze ostili al regime ed alla Jugoslavia che in caso di guerra e sotto determinate condizioni.

e) Ne segue che la finora mancata unità costruttiva delle opposizioni in Jugoslavia, la mancanza di uomini capaci di assumere coraggiose e rischiose responsabilità e di guidare i propri seguaci ad un fine prestabilito, sono tutti elementi che rendono meno probabile che il regime dittatoriale possa cadere ignominiosamente, come tutta l'opinione pubblica jugoslava desidera e spera.

4) Il governo jugoslavo sotto Marinkovic mira a risolvere rapidamente la situazione con l'organizzare rapidamente le forme favorevoli al Governo, concedendo in pari tempo una maggiore libertà d'azione agli altri partiti che spera di incanalare in una via legale. * Sotto Srkic invece il governo ricorre ad un maggiore stringimento di freni per impedire mali maggiori *. La debolezza di Marinkovic è forse stata la causa precipua di una situazione caotica nella primavera inizio estate, che è sboccata nella sommossa della Lika, nel complotto di Maribor, ma forse avrebbe avuto il vantaggio di risolvere una situazione dove fino ad oggi nessuna forza riesce ad avere un sopravvento definitivo. Il governo Srkic pur non avendo evitato totalmente incidenti, appare tuttavia con mezzi di resistenza e difesa serbisticamente crudeli ed appropriati alle tradizioni storiche, più padrone della situazione.

5) *L'esercito, unica sicura forza del regime insieme alla polizia, ha dato segni questo anno di ribeLlione nel complotto di Maribor *. Se e quanto il male sia stato profondo, difficile è dirlo. Ma poiché nessuna altra manifestazione si è avuta non si ha oggi nessun diritto di affermare che l'esercito possa schierarsi contro il regime, o più ancora contro il Sovrano. * La repressione della Lika dimostrerebbe anzi che le forze militari, sopratutto di polizia, sono nelle mani del governo.

6) Più impressionante e mvece la situazione economica che non tende a stabilizzarsi ma che per cause di carattere mondiale peggiora gradatamente* pur, lo ripeto, non essendo certo più catastrofica di quella di altri Stati balcanici come la Rumenia.

La situazione interna della Jugoslavia tra tutte queste forze contrastanti è quindi estremamente complessa involuta e contradittoria. Ma non si può tuttavia dimenticare che nell'incertezza, e forse nella effettiva impotenza delle opposizioni, *il Re ed il Governo hanno il vantaggio di tenere fortemente: il potere e di avere ancora il mezzo di riaffermare una politica eh~ soddisfacendo alle masse potrebbe rendere sempre più di!llcile l'elemento imprevisto o lo scoppio violento di una soluzione radicale o rivoluzionaria*. Può quindi darsi anche nel prossimo tempo, salvo il suddetto imprevisto che esce dal normale calcolo politico ed entra invece nel campo profetico, la Jugoslavia continui nella travagliata ricerca di una stabilizzazione e di una convivenza o su basi federali od autonomistiche della sua unità statale. Ma questa *nelle condizioni odierne non può essere seriamente minacciata che da una ribellione dell'esercito, o da una guerra sfortunata *.

(l) È 11 t. per corriere 4367 del 22 dicembre, non pubblicato.

(l) -I brani fra asterischi sono sottolineati da Mussolini. (2) -Cfr. n. 495. (3) -Cfr. Il seguente appunto mlnlsterlale anonimo del 27 dicembre: « Macek vivendo in Jugoslavia -e pure essendo separatista -ha dovuto fare una dichiarazione circospetta: il ritorno alle condizione del 1918 secondo l'interpretazione d! Macek significa la facoltà della Croazia d! scegliere qualunque regime le convenga, anche fuori dello Stato jugoslavo».
570

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

L. P. [Roma], 24 dicembre 1932.

Le sono molto grato per le cortBsi espressioni che Ella mi rivolge circa la mia azione a Ginevra perché il suo apprezzamento mi è doppiamente caro, essendo tecnico ed amichevole.

S. E. il Capo del Governo era manifestamente contento nel leggere il suo rapporto: già in precedenza mi aveva fatto esprimere il suo elogio che ha trovato perciò una confermazione nella lettera di MacDonald.

Come avrà visto da un telegramma che Le inviai direttamente dalla Svizzera, cercai di appoggiare l'azione da Lei intrapresa per la venuta di Sir John Simon a Roma. Spero che ciò possa avvenire prossimament€ a beneficio del lavoro che sta svolgendo a Londra e come indice sicuro delle relazioni tra i due paesi che, come Ella sa, stanno tanto a cuore a S. E. il Capo del Governo.

Credo che il Ministero abbia soddisfatto tutti i suoi desiderata per le questioni secondarie ed ho il piacere di annunziarle che il decreto di nomina di Bosio a Londra è in corso.

571

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. POSTA RR. 9036/2052. Belgrado, 24 dicembre 1932.

Mio telegramma n. 278 del 21 dicembre 1932 (1). La riunione della Piccola Intesa testè avvenuta a Belgrado e della quale

V. E. conosce i risultati u!llcialmente comunicati attraverso i telegrammi Stefani anche se ha prodotto sensazione per la rapidità colla quale fu convocata ed ebbe luogo, era realmente il risultato di una situazione politica internazionale che formatasi negli ultimi mesi di quest'anno doveva necessariamente portare

da parte degli Stati della Piccola Intesa ad un riesame delle loro posizioni militari e politiche e delle loro direttive.

Si ponga mente infatti che innanzi tutto la conferenza di Losanna coll'abolizione delle riparazioni metteva in non cale gli interessi notevoli che dalle riparazioni germaniche traevano questi Stati, specialmente la Jugoslavia. D'altra parte questa revisione delle Grandi Potenze nei riguardi delle riparazioni precedeva di poco quella ancora più importante della dichiarazione della parità dei diritti nel disarmo, parità che inauditae partes veniva estesa automaticamente a tutti gli Stati ex nemici e precisamente ad Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia, la cui posizione giuridica e politica interessa sopratutto gli stati confinanti e precisamente quelli della Piccola Intesa.

Ma soprattutto è il prendere piede della politica revisionista che, fattasi strada nelle questioni singole e che trova la sua applicazione concreta negli accordi delle Grandi Potenze su altra parte dei trattati rende sospettoso ogni Stato della Piccola Intesa che la revisione si estenda alle clausole territoriali. Ed il timore è pari al desiderio di vivere che essi hanno. In fondo gli accordi di Losanna e di Ginevra, liberando gli Stati ex nemici dai pesi economici e concedendo loro una certa libertà d'azione negli armamenti hanno fatto pensare che la politica revisionista territoriale dal puro campo teorico sia ormai in atto e si avvii a toccare i punti sensibili delle clausole che hanno stabilite le frontiere dei tre Stati della Piccola Intesa.

Se i fatti sopra descritti per la loro natura interessavano la Piccola Intesa nella sua unità, non deve dimenticarsi che altri avvenimenti nuovi allo scorcio di questo anno hanno motivato questa improvvisa riunione.

La firma del patto di amicizia franco-sovietico e polacco ha dato alla Rumenia la sensazione di essere oramai isolata verso il suo potente vicino del Nord ed anche se la Francia ne ha voluto tutelare la sicurezza obbligando l'URSS a non prendere le armi contro la Rumenia, questa ha compreso che l'importanza della sua alleanza con la Polonia e di riflesso la protezione della Francia perdeva ormai il suo valore, scomparso ogni pericolo di aggressione da parte dei russi.

Altrettanta preoccupazione è sorta in Cecoslovacchia per i nuovi accordi commerciali austro-ungheresi e per tutta la nuova politica danubiana inauguratasi col viaggio di Dollfuss e di Poglacnik a Budapest che, anche se di dubbio sviluppo, hanno un valore non indifferente nella nuova situazione politica.

Ma nel complesso della Piccola Intesa la Jugoslavia ha una importanza quasi preponderante. Ora io ho già nei miei precedenti rapporti, specialmente nel mio tel. n. 278 del 21 corrente lumeggiato, quale sensazione di timore si provi in Jugoslavia per i supposti disegni dell'Italia. Dovrei persino aggiungere, a correzione di quanto ho già detto, che questo timore si presenta già concreto ancora innanzi il settembre di questo anno e se vari gesti del governo e degli organi responsabili jugoslavi sono stati sopratutto ideati per rimediare alla situazione interna, anche se ad ombre insomma, si è voluto dare un corpo reale, non si può escludere che fino dalla campagna del Vreme del maggio, i circoli responsabili agitano lo spauracchio delle intenzioni aggressive dell'Italia, coll'impressione che essi non sono lungi dalla verità. E non tanto l'intenzione aggressiva quanto il lavoro immaginario dì tutta la nostra politica per una scissione della Jugoslavia è l'ossessione dominante dì questa politica dal maggio di questo anno.

A rafforzare e consolidare questo timore sì sono aggiunti nel settembreottobre la sommossa della Lìka, che questo Governo con la dichiarazione del Presidente del Senato e attraverso la stampa ha denunziato come opera organizzata, aiutata, ed in ogni caso sviluppatasi sotto gli occhi compiacenti italiani. Ed al viaggio dì Gi:imbi:is a Roma si è voluto qui dare un valore e risultati limitati ma in effetto esso è stato seguito e considerato come la prova della formazione di accordi militari e politici antijugoslavi.

Accordi questi che l'articolo menzognero dello Steed voleva confermare. Come è naturale l'articolo ha trovato qui persone disposte a credere, anzi desiderose di trovare nelle fantasie dei giornalista inglese la riprova di quel timore verso l'Italia che è oggi una delle linee direttive della politica jugoslava, mentre il timore sta trasformandosi in paura.

Non è quindi da dubitarsi che, pur ammettendo la necessità politica di una simile riunione (Titulescu ha detto ad un mio collega che la riunione è avvenuta a Belgrado solo perché egli non poteva recarsi a Ginevra) è stata voluta dalla Jugoslavia con precisi scopi. L'iniziativa anzi è partita, come già ebbi a comunicare a V. E. col mio T.P.C. n. 235 del 22 novembre (1), proprio da Re Alessandro, il quale, dopo avere conferito con questo Ministro di Romania lo ha inviato immediatamente presso Re Carol per ottenere il consenso alla riunione. Dopo pochi giorni Re Alessandro ha fatto partire per Bucarest anche il suo Ministro di Corte, Colak Antic il quale tuttora conserva il posto di Ministro presso la Corte Rumena. Ho infine saputo che qualche giorno innanzi la riunione Re Alessandro attraverso un corriere speciale di questa Legazione rumena ha mandato a Re Carol un altro messaggio.

Nell'intenzione di Re Alessandro, per la convocazione urgente a Belgrado della Piccola Intesa vi era sopratutto il desiderio che dalla sua capitale partisse il monito dei tre Stati contro ogni piano revisionìstico e quindi contro l'Italia che la Jugoslavia (e non solo la Jugoslavia) considera come inspìratrìce e la guida di tutte le campagne revisìonìstìche.

Né di questa intenzione e di questo spirito ha fatto mistero la stampa jugoslava in tutti i suoi articoli di fondo e di commento, in articoli immediatamente precedenti, come l'editoriale della Politika del 7 dicembre 1932, sulla politica revisionìstica ungherese. L'articolo dì fondo del Vreme dell'll dicembre, inspirato direttamente dal Governo, afferma che la prima questione all'ordine del giorno della riunione (e l'articolista anzi parla solo di quella) è l'esame di tutte le mene revìsioniste e la conferma che lo statu quo deve essere mantenuto. Tale tema è poi svolto, con speciale riguardo all'Ungheria ed in relazione alle fantasie dì Steed in un altro editoriale del Vreme del 15 dicembre. L'altra stampa, sia dì Belgrado che dì Zagabria riprende pure questo tema, in tono minore, ma con altrettanta fermezza e sicurezza che la conferenza della Piccola Intesa esprimerà il suo volere di non ammettere alcuna revisione dei trattati di pace.

L'atmosfera politica era già quindi piuttosto vivace quando i fatti di Traù e la magnifica reazione italiana prima ed il discorso di V. E. al Senato hanno aumentato la preoccupazione di questo Governo. Perché se il discorso è stato fatto in tono moderato, l'alta personalità di V. E. ed il luogo dove esso è stato pronunciato lo hanno fatto interpretare non solo come l'espressione di un legittimo sdegno, ma come un alto e preciso monito agli jugoslavi.

E per dare rilievo a questa impressione ai ministri stranieri gli jugoslavi hanno taciuto persino gli stessi fatti di Traù e il discorso di V. E. per scatenare la campagna proprio nel giorno della riunione della Piccola Intesa.

In questo quadro che ho cercato di rendere più preciso possibile nei suoi particolari si è aperta e si è svolta la conferenza della Piccola Intesa.

La sessione ha durato due giorni con quattro sedute.

Aggiungo solo che contrariamente alla ultima sessione di maggio il Corpo Diplomatico non ha avuto alcun contatto con i Ministri degli Esteri. Mi risulta solo che Titulescu si è recato a far visita al mio collega tedesco al quale è legato da amicizia per essere stato questi lungo tempo sottosegretario alla Società delle Nazioni, senza fargli altre comunicazioni che quelle di carattere generale.

Al termine di due giorni usciva il comunicato che qui allego per conoscenza, che fu già a suo tempo trasmesso dalla Stefani.

Dall'esame del comunicato faccio rilevare a V. E. che il primo risultato concreto della riunione è appunto la creazione del Comitato permanente costituito con un segretariato a Ginevra il quale rappresenterà presso la Società delle Nazioni l'unità di azione, in tutta la politica estera della Piccola Intesa. Nelle varie capitali poi i Ministri Plenipotenziari dei tre Stati dovrebbero formare col Ministro degli Esteri una Delegazione che avrà veste di parlare a nome di questo nuovo ente politico.

In questa maniera si vuol dare alla Piccola Intesa una personalità che Titulescu, in colloqui privati, non ha esitato a chiamare «federazione». Non posso per ora dire fino a che punto il significato giuridico della parola corrisponda alla realtà dei fatti. Il tempo e l'attività della Piccola Intesa diranno se effettivamente a Belgrado si sia vista la creazione di qualche cosa che superi e comprenda le personalità distinte dei tre Stati. Ad ogni modo io debbo attirare fino da ora l'attenzione di V. E. su questo concetto unitario della politica estera della Piccola Intesa perché essa rappresenta il vero fatto nuovo ed importante di questa riunione.

Esaminando i risultati pratici di questa riunione credo poter dire:

l) La riunione come pura e solenne manifestazione antitaliana ed antiungherese è completamente mancata. Se ne è avuta subito la sensazione quando Titulescu al suo arrivo ha fatto delle dichiarazioni nelle quali ha voluto escludere che la riunione avesse carattere di disposizione avversa agli altri Paesi. Nel comunicato poi si parla della politica di pace ed amicizia verso tutti i popoli senza far menzione di atteggiamenti verso Potenze o gruppo di Potenze.

2) Il vero risultato della riunione è invece la riaffermazione del principio antirevisionista territoriale. Su questo terreno la solidarietà dei tre Stati si presenta oggi di una solidità così sicura che essi non hanno menomamente

dubitato che i dissensi interni possano distruggere il fronte unico sia verso la Società delle Nazioni come verso i singoli Stati. Resta certamente a vedersi quali mezzi essi potrebbero disporre al momento che la crisi si aprisse realmente, ma fino a quando la politica revisionista resterà nell'ambito di discussioni e di progetti, la Piccola Intesa resterà ferma nel suo atteggiamento intransigente e negativo. Tanto intransigente che l'unità di politica estera della Piccola Intesa significa in un certo senso qualcosa più che il timore di ogni Stato verso il suo supposto diretto nemico, significa invece che il pericolo di uno è pericolo di tutti, che ad es. l'interesse della Jugoslavia a non subire revisioni del Trattato nei riguardi dell'Ungheria è oggi alla pari degli interessi che la Rumenia può avere a resistere ai tentativi revisionisti dell'URSS nei riguardi della Bessarabia.

Ecco perché la questione revisionista si è spostata dal campo ristretto di uno Stato verso l'altro. Trasportato a Ginevra, il problema dovrà essere eventualmente discusso in una sede più vasta, contrapponendosi gruppi di potenze contro altre, e cercando di risolverlo, quando questo sia possibile, nella sfera superiore di tutta quanta la politica mondiale. A volere anzi condurre fino in fondo queste deduzioni, io non temo di affermare che il problema deLla revisione dei trattati che in un certo senso si è sempre risolto nella cerchia dei rapporti di Stato con Stato o fra le Grandi Potenze (Francia-Germania, Germania-Polonia, Ungheria-Jugoslavia etc.) diventa oggi problema di indole esclusivamente generale dalla cui discussione niuno può essere escluso, mentre il comunicato della Piccola Intesa si affanna ad affermare una posizione intransigente, contemporaneamente dà al problema una vitalità che farebbe pensare all'approssimarsi di una impellente risoluzione.

3) Dallo stesso punto di vista è stato esaminato il problema del disarmo.

La dichiarazione della parità dei diritti (che in realtà è il diritto alla parità) ha provocato la dichiarazione che la Piccola Intesa, come del resto la Polonia non ha ancora raggiunto, quel minimo di armamenti necessario per la sua difesa e solo quando detto minimo sarà raggiunto potrà parlarsi di riduzione.

La posizione negativa verso il disarmo è quindi una ulteriore giustificazione della conformazione unitaria che sta assumendo la Piccola Intesa. Direi anzi che il Comitato permanente è quasi una risposta al Comitato dei Cinque il quale decidendo sulla parità dei diritti ha dimostrato di essere estraneo e superiore alla S.d.N. in quanto ha disposto della revisione dei trattati, senza tener conto dell'art. 19 del patto, estraneo e superiore alla stessa Conferenza del disarmo.

4) Ed in realtà le decisioni della Piccola Intesa sono anche un larvato rimprovero alla Francia per avere dimenticato o trascurato gli interessi dei tre Stati. E di ciò che era stato la mia prima impressione trovo oggi conferma in un articolo dell'Echo de Belgrade del 21 dicembre, certamente di intonazione ufficiosa. Riporto la parte interessante:

«Gli Stati della Piccola Intesa non hanno mai cambiato i loro punti di vista sull'organizzazione della sicurezza e dell'assistenza reciproca. Ma allorché la Conferenza di Ginevra ricomincerà i suoi lavori essi si troveranno davanti alla risoluzione del Cinque alla discussione alla quale essi non hanno preso alcuna parte.

Questa risoluzione pur riconoscendo l'uguaglianza dei diritti alle potenze disarmate in base ai trattati, costituisce un progetto di innovazione nel riguardi dello statuto di pace le cui ripercussioni nello stato attuale delle relazioni internazionali possono essere pericolose. Non vi è dubbio che la Francia abbia posto come condizione che un regime di sicurezza fosse garantito a tutti gli Stati, ma l'uguaglianza di diritto e la sicurezza sono poste sul medesimo piano, infatti si può dire che la rivendicazione della Germania e dei suoi vecchi alleati ottiene la priorità giacché l'uguaglianza una volta riconosciuta sarà immediatamente acquistata mentre il regime promesso appartiene al dominio vago del futuro~.

5) La affermazione antirevisionistica ed antidisarmo ha certamente avuto la sua applicazione pratica in accordi, per lo meno di massima, di carattere militare. V. E. sa che la riunione dei Capi di Stato Maggiore della Piccola Intesa si sarebbe chiusa con disaccordo. Si dice anche, e lo riferii a V. E., che uno dei motivi dell'attuale riunione era appunto il bisogno di trovare un compromesso. A questo si sarebbe subito giunti per ciò che concerne la decisione di non disarmare; niente invece di positivo risulterebbe per ciò che concerne lo scambio di eventuali reciproci aiuti in caso di conflitto.

Circolano al riguardo delle voci che non essendo ancora possibile controllare, credo opportuno riferire ulteriormente non appena sarò in possesso di più precisi elementi.

Fra esse è anche quella di una nuova riunione di Capi di Stato Maggiore della Piccola Intesa che dovrebbe aver luogo a Belgrado verso la metà di gennaio.

6) Tutto il resto di cui accenna il comunicato e precisamente la questione delle riparazioni orientali ed ogni altro aspetto economico della Piccola Intesa è stato oggetto secondario di discussione né in ogni caso sono state prese decisioni di importanza notevole. Lo ha detto del resto anche Titulescu al corrispondente del Temps.

In ultimo preme rilevare che Titulescu è qui rimasto un giorno di p1u a conversare con Jeftic. Si è giustificato questo soggiorno per risolvere alcune questioni pendenti tra Rumenia e Jugoslavia, questioni in verità di puro carattere economico commerciale per le quali non so vedere l'utilità di conversazioni dirette fra i due Ministri degli Esteri. Non dovrebbe forse essere di1Ilcile supporre, essendo Titulescu partito il giorno innanzi le dichiarazioni di Jeftic al Senato per i fatti di Traù, che oggetto del colloquio fra i due uomini di Stato siano appunto state fra l'altro le relazioni fra Jugoslavia ed Italia. La intervista di Titulescu fatta dal corrispondente del Temps potrebbe essere una riprova di ciò che questi intende mantenere con noi un atteggiamento amichevole, facendo tuttavia ricordare che legami di ogni genere obbligano la Rumenia a considerare la Jugoslavia quasi come la naturale sua alleata.

Quanto poi è stato fatto dai Ministri della Piccola Intesa a Belgrado è oggetto di cronaca rosea, che tralascio di riferire a V. E.

68.9

47 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(l) Cfr. n. 564.

(l) T. per corriere 3988/419/235, del 22 novembre, non pubblicato.

572

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, UMILTA, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI (l)

T. POSTA R. P. 4953/576. Zagabria, 24 dicembre 1932 (per. il 27).

Il dott. Maéek, capo del partito dei contadini croati, mi ha mandato oggi un suo fiduciario, atll.nché io faccia conoscere a V. E. quanto segue:

l) Riguardo ai recenti avvenimenti e alle discussioni avvenute nel Senato a Roma e alle dichiarazioni di V. E.; nel Senato a Belgrado e alle dichiarazioni del Ministro Jeftié, questa opposizione croata respinge qualunque solidarietà con le dichiarazioni utll.ciali e gli articoli apparsi nella stampa jugoslava, sicura di interpretare i sentimenti di tutto il popolo croato.

2) Ringrazia V. E. per la distinzione da Lei fatta tra le responsabilità ~~rbe e croate e tra le angherie agli italiani e i vandalismi a Traù ordinati dai serbi e il desiderio dei croati di migliorare invece sempre più le loro relazioni con gli italiani.

3) Ringrazia V. E. per l'atteggiamento italiano -Governo, stampa e popolo -verso il Governo e il Regime di Belgrado per avere ormai portata davanti all'Europa la questione croata e per gli aiuti morali e materiali dati finora alla causa croata.

4) Spera che l'interesse e il benevolo atteggiamento di V. E. continueranno anche per l'avvenire e che la libera Croazia potrà ben presto mostrare all'Italia la sua riconoscenza.

5) La indipendenza della Croazia sarà utile non solo alla felicità del suo popolo, ma conveniente anche per la tranquillità dell'Italia alle sue frontiere orientali.

Dopo tali dichiarazioni, che rispondono quasi parola per parola a quanto il dott. Macek ha desiderato che trasmettessi a V. E., ho avuto una breve conversazione col suo fiduciario. Nel corso di essa mi è stato confermato che alcuni giorni or sono ha avuto qui luogo una riunione dei capi delle opposizioni nelle regioni ex austro-ungariche. Oltre a varie questioni di organizzazione dei partiti separatisti ecc., si sarebbe trattato a fondo anche la questione delle relazioni tra la futura Repubblica croata e l'Italia, ciò che avrebbe dato luogo ad una vivace discussione tra i convenuti, su alcuni punti particolarmente sensibili. Tutti però infine avrebbero convenuto che l'Italia sarà il fattore determinante della indipendenza croata e che il futuro Stato non potrà poi né vivere né prosperare se non sarà in un deciso, perfetto e leale accordo con l'Italia nella sua politica internazionale, interna, militare ed economica.

Richiamandomi ora a quanto riferivo a V. E. con rapporto del 20 corrente,

n. 4894/570/ A-1/16 (2), rilevo che non ho potuto avere la conferma della parte essenziale del predetto rapporto di quella cioè che riguarda la futura sorte della

(2.) Non pubblicato.

Dalmazia. Dal colloquio col fiduciario del dott. Macek ho peraltro tratto la impressione profonda che tale questione sia stata realmente trattata, ma che per ora, 11 dott. Macek e i suoi collaboratori non desiderano chiarire con noi il punto pure cosi importante, sul quale, probabilmente, loro stessi non hanno raggiunto un definitivo accordo.

Il fiduciario del dott. Macek mi ha poi dichiarato che questi capi dell'opposizione continuano ad avere sempre tutta la loro fede nel dott. Pavelié e nella sua opera, specialmente in Italia, ma che, in causa della aumentata sorveglianza nella Polizia e dei tremendi rischi che ora si corrono qui, i contatti tra il dott. Pavelié e questi capi sono adesso meno frequenti di quanto sarebbe necessario.

Mi ha inoltre confermato quanto già ho ripetutamente scritto a V. E., che cioè questi croati separatisti collaborano col Sig. Pribicevié fino a raggiungere il comune scopo di abbattere il Regime e la Monarchia. Se ciò sarà raggiunto, la collaborazione non potrà mai continuare, poiché il Signor Pribicevié vuole una repubblica jugoslava, magari più estesa dell'attuale Stato, mentre questi croati mirano alla completa indipendenza delle ex regioni austro-ungariche da Belgrado, dato che quattordici anni di vita in comune hanno ad esuberanza mostrato la impossibilità per loro di continuare ad essere malmenati e sfruttati da un popolo che ha natura, fini e mezzi cosi diversi da quelli croati.

(l) Inviato anche alla legazione a Belgrado.

573

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 1376/149 R. Roma, 25 dicembre 1932, ore 22.

V. S. riferendosi al passo fatto da questo ministro di Romania relativamente al rinnovamento del patto italo-romeno può informare codesto Governo che R. Governo è pronto discutere quanutunque non si nasconda che tempo è assai ristretto dato anche periodo feste.

Per averne norma e stabilire sede trattative gioverebbe conoscere se e quando Titulescu intenda recarsi a Roma come gliene ha accennato possibilità. Nel corso della conversazione cercherà opportunamente di accertarsi del pensiero del signor Titulescu nei riguardi del trattato italo-romeno dopo i convegni militari e politici di Belgrado.

574

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4389/162 R. Bucarest, 26 dicembre 1932, ore 20,40 (per. ore 23).

Telegramma di V. E. n. 149 (1). Titulescu si è recato diretamente da Belgrado in Svizzera dove si proporrebbe restare fino al 15 gennaio (mio telespresso 1152 in data corrente) (2). Ciò

mi toglie opportunità indagare maggiormente circa atteggiamento Titulescu verso trattato di· amicizia italo-romeno, dopo convegno Piccola Intesà. Ad ogn'i modo mia impressione è che intenzione questo Governo nèi riguardi predetto patto sia tuttora quella di cui ai miei telegrammi per corriere 3048 (l) e 3098 (2).

Relativamente poi venuta Titulescu in Italia, mi riferisco a quanto ho comunicato col mio telespresso 1147 (3) circa imminente visita costà di questo ministro pubblica istruzione, e cioè che Titulescu subordini probabile sua venuta Roma al favorevole sviluppo negoziati costà iniziati da Ghika.

Tale stato di cose attendo conferma da parte V. E. delle istruzioni contenute nella prima parte del telegramma cui mi riferisco. Sembrami difatti che un nostro eventuale accenno alla ristrettezza di tempo che rimane disponibile per negoziati per patto amicizia potrebbe dare appiglio questo incerto Gabinetto chiedere senz'altro nuova proroga attuale trattato, il che domando se sia nelle intenzioni di V. E.

575.

IL CAPO GABINETTO, ALOISI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 26 dicembre 1932.

L'incaricato d'affari di Francia, Conte Dampierre, ha comunicato che il Signor Paul Boncour desiderava informare V. E. che il Trattato di Amicizia tra la Francia e la Jugoslavia che scadeva nel novembre, è stato rinnovato per 5 anni, secondo quanto è previsto dall'art. 9 del Trattato stesso.

Prima di renderlo pubblico e di farlo reg:istrare al Segretariato della.S.(LN, il Signor Paul Boncour teneva a far sapere a V. E. che il governo francese· è animato anche oggi dalle medesime disposizioni di quando l'Accordo fu firmato la prima volta e cioè che si sarebbe stimato l'elice se il Governo italiano avesse voluto associarsi al Trattato rendendolo così tripartito.

Il Conte Dampierre ha tenuto a porre in rilievo il significato di questo gesto di Paul Boncour al momento in cui egli ha assunto la Presidenza del Consiglio e che deve essere inteso come un atto di riguardo verso il Governo italiano (4).

(l) -Ctr. n. 573. (2) -Non pubblicato.
576

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

APPUNTO RISERVATO. Roma, 26 dicembre 1932.

In occasione di una visita che mi ha fatto oggi questo Ministro di Romania l'ho informato che S. E. il Capo del Governo aveva dato incarico al R. Ministro a Bukarest di far sapere al Governo romeno, in risposta alla richiesta prece

(-4) Annotazione marginale di Suvich: «Visto dal Capo del Governo. Ringraziare l'incaricato d'affari per la comunicazione, 28 dicembre 1932 ». Altra annotazione: «'Fàtto ~-· ·

nentemente fattaci, che il ·Governo italiano era pronto a parlare per il rinnovv

del Patto di collaborazione cordiale fra l'Italia e la Romania. Gli ho pure detto

che, riferendosi all'accenno del Signor Titulescu di una sua possibile venuta a

Roma, il Ministro Preziosi era stato incaricato di accertare se e quando il Signor

Titulescu sarebbe effettivamente venuto in Italia per stabilire anche la sede

dei negoziati pel rinnovo del Patto (1).

Nel corso della conversazione il Principe Ghika mi ha lasciato comprendere

di sua iniziativa che probabilmente da parte romena si sarebbe disposti a

lasciar cadere le lettere segrete (2).

(1) -Cfr. n. 545. (2) -T. 4387/3098 del 20 dicembre, non pubblicato. (3) -Non pubblicato.
577

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

RELAZIONE. Roma, 27 dicembre 1932.

l) L'll dicembre corrente il Governo romeno, a mezzo di questa Legazione di Romania ha informato che è pronto a trattare per il rinnovo del « Patto di <tmicizia e di collaborazione cordiale» tra l'Italia e la Romania, firmato a Roma dall'E. V. e dal Generale Averescu il 16 settembre 1926.

Pochi giorni dopo il Signor Titulescu ha intrattenuto il R. Ministro a Bukarest sulla questione (telegramma da Bukarest n. 3048 del 14 corrente) (3).

2) Si allega copia del Patto italo-romeno, richiamando l'attenzione sia sul Preambolo, sia sugli articoli l, 2 e 3 (4).

Nel Preambolo l'Italia e la Romania dichiarano tra l'altro che è loro desiderio di « consolidare la stabilità politica necessaria al progresso morale ed economico dell'Europa »; che sono decise a « sostenere l'ordine giuridico e politico internazionale »; che desiderano di « dare ai loro popoli garanzie complementari nel quadro del Patto della Società delle Nazioni».

L'art. l impegna le due Parti «all'appoggio reciproco ed alla collaborazione cordiale pel mantenimento dell'ordine internazionale e pel rispetto e l'esecuzione delle obbligazioni stipulate nei Trattati di cui le Parti sono firmatarie».

L'art. 2 stabilisce che ove « gli interessi comuni dell'Italia e della Romania siano o possano essere minacciati, le parti si impegnano a concertarsi sulle misure da prendere in comune per salvaguardare tali interessi».

L'art. 3 fa il caso che «la sicurezza o gli interessi di una delle Parti contraenti siano minacciati a seguito di incursioni violente dal di fuori » e stabUlsce «l'obbligo per l'altra Parte di prestare col suo concorso benevolo il proprio appoggio politico e diplomatico allo scopo di far sparire la causa esterna di tali minaccie ».

3) Al Patto italo-romeno va annesso uno scambio di lettere nel quale è detto che «se, malgrado il desiderio e gli sforzi comuni dell'Italia e della Romania per il mantenimento della pace, le forze armate di una delle Alte Parti Con

(-3) Cfr. n. 545. (-4) L'allegato non si pubblica.

traenti si trovassero nella necessità dl respingere con le armi un'aggressione non provocata, gli Stati Maggiori dei due Paesi procederanno a scambi di \'edute sui mezzi tecnici per una eventuale cooperazione~.

Tale scambio di lettere è segreto.

A questo proposito giova ricordare (Relazione a S. E. il Ministro del 27 giugno 1931 (1), che il Governo romeno durante le trattative aveva proposto un vero trattato di Alleanza; che da parte italiana era stata invece proposta una clausola di reciproca neutralità; che, abbandonata questa clausola perché il Governo romeno la trovava in troppo evidente contrasto con il progetto di alleanza da esso formulata, si fece luogo alla clausola segreta relativa ad accordi degli Stati Maggiori, contenuta in tale scambio di lettere.

4) II Patto italo-romeno fu firmato il 16 Settembre 1926. Le ratifiche furono scambiate il 19 Luglio 1927. La durata fu stabilita per 5 anni. L'art. 5 stabilisce che esso può essere denunciato o rinnovato un anno avanti la sua scadenza. Esso fu rinnovato il 14 luglio 1931 per 6 mesi, e precisamente fino al 18 gennaio 1932; fu prorogato di nuovo per una seconda volta per altri 6 mesi, fino al 18 luglio 1932, e quindi una terza volta fino al 18 gennaio 1933. I rinnovi sono avvenuti a mezzo di un semplice scambio di lettere, e per quanto non se ne faccia menzione, si è sempre assunto che anche le lettere siano state contemporaneamente prorogate.

5) Le circostanze ed evidentemente anche i fini per cui il Patto di amicizia e di Collaborazione italo-romeno fu concluso nel 1926, sono mutati da un pezzo. Si tratta di avvenimenti troppo noti per insistervi.

Fin dal principio del 1931 si pose quindi il problema del suo rimaneggiamento, soprattutto per quanto riguarda le lettere segrete. L'atteggiamento preso pare si possa con sufficiente approssimazione riassumere così:

anzitutto lasciar cadere le lettere segrete;

eventualmente sostituirle con una clausola di neutralità o generale (aggressione di uno dei due Stati da parte di un terzo Stato qualsiasi) o particolare (aggressione dell'Italia da parte della Jugoslavia, e rispettivamente aggressione della Romania da parte dell'Ungheria o dell'URSS);

oppure rimaneggiamento dei primi tre articoli del Patto in guisa da fare del Patto un Trattato di Amicizia puro e semplice ed aggiungere la clausola di neutralità al Trattato così limitato.

6) Due ordini di ragioni hanno indotto alle proroghe finora avvenute. La prima che un mutamento delle stipulazioni del Patto, specie dell'articolo l relativo al mantenimento dell'« ordine internazionale:. sarebbe stata certamente considerata «come la prova di un nostro marcato atteggiamento in favore della revisione dei Trattati di pace ed avrebbe potuto perciò avere una ripercussione internazionale». La seconda che essendo incerte le relazioni tra l'Italia e la Jugoslavia, non sembrava conveniente di contrarre un impegno di neutralità nei riguardi di un'agressione dell'URSS, contro la Romania -come contropartita di un impegno di neutralità della Romania nel caso di aggressione dell'Italia da parte della Jugoslavia -quando le ragioni di tale impegno potevano forse venir meno se le relazioni con la Jugoslavia fossero venute a cambiare.

Per quanto riguarda in particolare la clausola di neutralità, giova ricordare che ne è già stato parlato col Governo romeno, sia pure senza approfondire la questione. Nel luglio 1931 (telegramma diretto a Bukarest n. 727 del 4 luglio 1931) fu accennato infatti a questa Legazione di Romania alla possibilità di sostituire le lettere segrete con una clausola di neutralità e si intese evidtntemente parlare di clausola generale di neutralità. Nel dicembre dello stesso anno (rapporto del R. Ministro a Bukarest del 12 dicembre 1931 n. 3017/1148) (l) il Signor Argetoiano allora Ministro delle Finanze e dell'Interno parlò a sua volta confidenzialmente di una clausola particolare di neutralità per cui la «Romania resterebbe neutrale in caso di conflitto itala-jugoslavo, e l'Italia in caso di attacco ungherese contro la Romania». Allora (Dicembre 1931) la preoccupazione romena nei riguardi dell'URSS, sembrava di molto attenuata «stante la crescente persuasione che i Sovieti avrebbero finito con l'essere sempre più attratti in Estremo Oriente» (Rapporto citato). Di fatto poi il Signor Argetoiano, venuto di lì a poco a Roma e ricevuto da V. E., non accennò più alla possibilità di una clausola di neutralità (telegramma a Bukarest n. 233 dell'8 gennaio 1932) (2).

Ultimamente il signor Titulescu (telegramma da Bukarest del 14 dicembre corrente n. 3048) ha ripreso l'argomento della clausola generale di neutralità ed ha osservato che « questa clausola lascerebbe oggi troppo scoperta la Romania nei riguardi di Mosca mentre d'altra parte non avrebbe avuto alcuno speciale \'alore per l'Italia nel caso di un conflitto itala-jugoslavo, giacché in tale occorrenza la neutralità romena sarebbe dettata dagli impegni ad essa derivanti dal Patto della Società delle Nazioni».

7) Oltre al criterio del rimaneggiamento del Patto, va ricordato per l'esattezza che occasionalmente, si era anche pensato a lasciar cadere il Patto di collaborazione senza sostituirlo con altri Patti o Convenzioni. Nel luglio scorso, all'atto della sua proroga si è aggiunto verbalmente che non si sarebbe addivenuti ad ulteriori rinnovi nel caso che i negoziati da condursi per mettersi d'accordo sulle modifiche da apportare, non avessero portato a pratici risultati.

Una considerazione è stata anche tenuta presente nelle more di queste proroghe: quella che nella situazione esistente era preferibile di non far mente per iniziare discussioni in merito al Patto. Ove la Romania non ne avesse preso l'iniziativa, il Patto sarebbe così decaduto da sé. Ma la Romania ha chiesto ogni volta di procedere al suo rinnovo.

8) Non v'è dubbio che, come è stato detto e ripetuto, il Patto (sopratutto se lo si guardi, come va guardato, quale uno strumento di valore essenzialmente diplomatico) è più vantaggioso per la Romania che non per noi, specie in questo momento in cui le trattative per un Patto di non aggressione fra l'URSS e la Romania, condotte parallelamente a quelle tra l'URSS e la Francia e l'URSS e la Polonia, e a differenza di queste ultime, sono fallite. La questione della Bessarabia resta infatti sempre aperta tra Mosca e Bukarest. L'URSS, a differenza di quello che avviene per gli altri due Stati della Piccola Intesa, costi

tuisce per la Romania ragione di preoccupazione, e di preoccupazione più grave di quella che non sia l'Ungheria per essa e per il resto della Piccola Intesa.

Non v'è dubbio pure che talune parti del Preambolo, e si può dire in genere i primi 3 articoli e specialmente il primo, non armonizzino con l'atteggiamento italiano in materia di revisione, o se si vuole, di applicazione dei Trattati, come è vero del pari che da quando il Patto dura, e più negli ultimi anni, la collaborazione che è nel titolo e nelle sue stipulazioni, non si è pressoché mai realizzata. La quistione del disarmo, tra l'altro ed in particolare, ha trovato l'Italia e la Romania in due campi diversi, e così pure tutto quello che riguarda l'azione di adeguamento dei Trattati ·alle condizioni della realtà della vita internazionale.

D'altra parte però il rafforzamento o il tentativo palese di rafforzamento della Piccola Intesa, che si desumono dai recentissimi incontri di Belgrado, sia dei Capi di Stato Maggiore, sia dei Ministri degli Esteri della Jugoslavia, Cecoslovacchia e Romania -non ancora ben precisati nei loro risultati -se non sono in armonia con il Patto italo-romeno. non ne fanno apparire meno una certa utilità anche per noi, ove non si voglia abbandonare completamente l'addentellato che, mediante la Romania, noi conserviamo tuttora con la Piccola Intesa.

In una conversazione avuta ultimamente dal Signor Titulescu col R. Ministro a Bukarest (1), il Ministro degli Esteri romeno, prendendo pretesto dalla nota campagna antirevisionista del giornale Universul ha osservato che, sebbene l'art. l o del Patto «impegni l'Italia al rispetto dei Trattati, il Governo romeno non ha mai rivolto in proposito qualsiasi osservazione al Governo di Roma, considerando quel Trattato non alla stregua del suo valore letterale, ma a quella ideale di una espressione cioè del sentimento di amicizia che ha sempre legato i due popoli». Se è evidente il proposito del Signor Titulescu di diminuire con questa osservazione la portata del Patto per renderne più facile il rinnovo a cui egli tiene, specie dopo le note vicissitudini sue col Governo di Mosca per il mancato Patto di non aggressione, è altrettanto vero però che l'osservazione del Signor Titulescu è forse quella che più si avvicina alla realtà delle cose e che in ogni caso (e qualunque possa essere stato il suo scopo) costituisce un'interpretazione restrittiva da parte romena del Patto stesso.

9) Come detto da principio, la Romania ha fatto sapere che desidera trattare per il rinnovo del Patto, e V. E. ha fatto rispondere il 25 corrente che è disposto ad entrare in discussione. L'E. V. ha contemporaneamente incaricato il

R. Ministro a Bukarest di accertare anche opportunamente 11 pensiero della Romania nei riguardi del Patto dopo i convegni militari e politici di Belgrado (2).

10) Prima di ricevere queste istruzioni il R. Ministro a Bukarest. che si è sempre mostrato favorevole alla conclusione dl una clausola di neutralità o particolare nei riguardi della Jugosiavta o tn ogni caso generale, riportandosi alla sua ultima conversazione con Tltulescu (telegramma da Bukarest n. 3048 del 14 corrente) ha osservato quanto segue:

« In succinto, gli accenni vaghi e sporadici del Signor Titulescu, che-i:to · piu aopra riprodotto (vedi telegramma anzidetto e paragrafi 6 ed 8 della presentè relazione), lasciano dedurre che farà di tutto per mantenere l'attuale Trattato, che, a suo avviso, soddisfarebbe il reciproco interesse dei due Paesi, non intralciando d'altra parte la politica revisionista italiana, dato il modo con cui il Governo romeno (Vedi dichiarazioni Titulescu di cui al n. 8) ha interpretato finora (Titulescu non si è spiegato in alcun modo per l'avvenire) la portata dell'art. l del Patto stesso.

Gli è insomma che Titulescu ritiene forse di essere completamente garantito, verso la Russia, dagli artt. II e III del Patto, i quali indubbiamente oltrepassano la portata dei soliti Trattati di Amicizia, e pertanto considera le lettere segrete come un'appendice ad una precisione procedurale. È poi da rilevarsi che Titulescu, lungi dall'inspirarsi alla nota suggestione del Signor Argetoianu, e cioè dell'ottenimento di una garanzia di neutralità italiana nei riguardi di ùn eventuale conflitto ungaro-romeno, quale corrispettivo di una garanzia di neutralità romena in caso di conflitto itala-jugoslavo, ha portato la questione della neutralità esclusivamente nei rispetti di un conflitto romeno-russo e d'un conflitto itala-jugoslavo.

E questa sua disposizione a me sembra il punto più importante della confidenza a me fatta. Difatti a me pare che noi dovremmo avvalercene allo scopo di procurare! un impegno preciso di neutralità, o quanto meno unà. clausola generale di neutralità. Tale nostra linea di condotta, anche se dovesse restare sterile di risultati, potrebbe sempre avere il vantaggio di farci maggiormente leggere nelle disposizioni romene in caso di un conflitto itala-jugoslavo. A tale riguardo rilevo che l'accenno del Signor Titulescu che la neutralità romena, in caso di conflitto itala-jugoslavo, proverrebbe sempre dai suoi impegni socletari, richiede tutta la nostra attenzione. Esso difatti riposa su troppo fragili motivi per rappresentare una seria garanzia; e lascia anzi l'impressione che il Signor Titulescu, malgrado l'isolamento in cui la Romania è venuta a trovarsi di f;:onte ai Sovietici, desidera far di tutto per evitare un suo impegno preciso, verso di noi, per quanto riguarda il mantenimento della neutralità romena in caso di un conflitto itala-jugoslavo».

Con successivo telegramma n. 138 del 21 corrente (l) lo stesso R. Ministro ha avvertito però che «anche altre personalità romene gli hanno confidenzialmt>nte confermato che Romania non potrebbe assolutamente accedere questione accennata al punto 3° del telegramma per corriere n. 3048 del 14 corrente», alla questione cioè della clausola di neutralità.

11) È evidente che prima di venire a qualsiasi conclusione circa il rinnovo

-o meno del Patto, conviene di aspettare ora l'esito del passo affidato ieri al Ministro· Preziosi. In attesa però si possono fin d'ora anticipare provvL.;oriamente le seguenti conclusioni, assumendo che dalle conversazioni PreziosiTitulescu o da altra fonte non risultino nei riguardi dei convegni di Belgrado fatti od elementi di giudizio che, modificando o completando le notizi~ che

finora si hanno, portino a dare alla Piccola Intesa e in particolare alla parte che vi ha la Romania carattere diverso da quello finora avuto nei rig11ardi dell'Italia.

Come le volte precedenti sono tre le possibilità che si presentano alla scadenza del 18 gennaio 1933:

non rinnovo, stipulazione di un nuovo Patto, rinnovo temporaneo (6 mesi) del Patto esistente.

Pur colle riserve già fatte, valgono all'incirca oggi per le prime due ipotesi le considerazioni fatte in passato. È anche da prevedere che il mancato rinnovo del Patto o la sua modificazione in senso restrittivo avrebbero una rip.:rcussione vieppiù larga sulla situazione internazionale dopo le manifestazioni più recenti che da varie parti ed in vario senso si sono avute relativamente al rapporti tra l'Italia e i vari Stati della Piccola Intesa e l'Ungheria e l'Austria. Senza esagerare la portata di un simile fatto, è evidente che esso va tenuto presente nel prendere una decisione.

Quanto in particolare alla seconda soluzione (modifica del Patto) la situazione attuale nei rapporti con la Romania e con gli altri Stati della Piccola Intesa è assai incerta e tale da non consentire o far apparire conveniente di dare a tale situazione corrispondente espressione in un nuovo Patto o convenzione della durata di alcuni anni. Occorrerebbe in ogni modo procedere all'uopo ad un negoziato vero e proprio e quindi ad un chiarimento, non solo dei rapporti colla Romania ma di molte altre questioni interessanti anche altri Stati, né è detto che per questo convenga incominciare dalla Romania. Colla possibilità di modificare il Trattato si collega quella della stipulazione di una clausola di neutralità. Ad essa si riferisce diffusamente il paragrafo precedente, ma lo stesso Ministro a Bukarest conferma da ultimo la generale opposizione romena ad accettarlo. Inoltre è da tener presente la considerazione già addotte le volte precedenti, che l'importanza di tale clausola è in funzione dei nostri rapporti colla Jugoslavia che continuano tuttora incerti.

Resta la terza soluzione: proroga di altri sei mesi. Essa è a così dire automatica. Implica, è vero, la conferma delle stipulazioni esistenti che non corrispondono alla situazione attuale, ma per l'assieme delle circostanze essa è forse quella che, appunto per la sua automaticità, e in assenza di un chiarimento nei rapporti dei due Paesi, toglie, invece di aggiungere, importanza al Patto stesso riportandolo cosi nella sostanza a quello che è o può essere nelle circostanze il suo effettivo contenuto. Questa soluzione parrebbe conveniente sopratutto se portasse questa volta alla soppressione delle lettere segrete, come il R. Ministro a Bukarest non sembra escludere nel suo ultimo telegramma già ricordato. Il rinnovo potrebbe accompagnarsi anche questa volta da una dichiarazione verbale che, quantunque il Patto non risponda più alla situazione esistente, lo si proroga in vista di trattative per il suo rimaneggiamento. Per quanto col rinnovo le stipulazioni restino (e se anche non abbiano un vero e proprio valore giuridico, giacché è dubbia la validità del rinnovo di un Patto ratificato, fatta a mezzo di un semplice verbale di proroga) ed esse conservino tuttavia un valore politico e diplomatico, la prassi di questi sei anni e mezzo di applicazione, ne stabilisce a cosi dire l'interpretazione ed il valore vero, specie se si eliminino le lettere segrete. Eliminate d'altronde le lettere, eliminata cioè la parte più spinta del Trattato, ci troveremmo in una migliore situazione per determinare il da farsi, a seconda degli sviluppi della situazione internazionale nei 6 mesi di tempo per cui il Trattato verrebbe oggi prorogato (1).

578.

IL MINISTRO A PRAGA, ROCCO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. PER CORRIERE S. 4412/160 R. Praga, 27 dicembre 1932 (per. il 29).

Continuazione del telegramma precedente n. 159 (2).

Benès non ha voluto mancare l'occasione di spezzare una lancia per il famoso riavvicinamento italo-francese, esprimendo rammarico pel fatto che la politica italiana si sarebbe andata distaccando dai suoi alleati di guerra.

Al riguardo egli mi ha detto, pregandomi di tener segreta tale sua confidenza, che nel suo recente viaggio a Londra MacDonald gli avrebbe fra l'altro detto di raccomandare a Herriot di fare il possibile per accordarsi con l'Italia. Senza pretendere di esserne stato l'ispiratore, Benès mi ha segnalato che le dichiarazioni fatte da Herriot a Tolosa seguirono di qualche giorno la conversazione nella quale esso Benès aveva riferito le parole di MacDonald.

Riferisco quanto precede per dovere di cronaca ed in via riservatissima.

579.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO GABINETTO, ALOISI

L. B. P. Mosca, 27 dicembre 1932.

Mi riferisco al mio telespresso in pari data n. 6201/2487 (3).

Vi troverai un cenno a taluni «avvertimenti~ che sarebbero stati fatti da noi e precisamente 1'8 dicembre da S. E. il Capo del Governo all'Ambasciatore tedesco a Roma nei riguardi dell'URSS.

In sostanza S. E. Mussolini avrebbe detto:

l) che il fronte di Rapallo è, col trattato franco-sovietico, rotto; 2) che era quindi necessario che la Germania agisse, chiedendo all'URSS spiegazioni ed assicurazioni.

Dichiarazioni intonate allo stesso c pessimismo :. sarebbero pure state fatte all'Ambasciatore di Turchia. Cosa sai tu di tuttò questo e cosa puoi dirmi? Ti sarei grato, come ben comprendi, di una qualche informazione in proposito (4).

(l) -C!r. n. 573. (2) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Capo del Governo 27 dlc. ».

(l) Cfr. serle VII, vol. X, n. 367.

(l) Cfr. serie VII, vol. XI, n. 123.

(2) Cfr. ibid., n. 157.

(l) -Cfr. 11 già citato n. 545. (2) -Cfr. n. 573. (l) -Non pubblicato. (l) -Appunto a margine di Suvich del 28 dicembre: «Visto e approvato dal Capo del Governo. Proroga del patto senza le lettere segrete. La motivazione della proroga è quella che, in pendenza d! problemi molto gravi -debiti, disarmo, ecc. -da cui può dipendere un mutamento di indirizzo d! politica generale, non conviene mutare gli accordi attuali che rientrano In ultima analisi In questo quadro più generale •· (2) -T. per corriere 4411/159 pari data, non pubblicato. (3) -Non pubblicato. (4) -A marsine appunto d! Alolsl: c Prego Buti d! dtrmt ·~ ha qualche notizia In proposito».
580

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. 1390/203 R. Roma, 28 dicembre 1932, ore 20,50.

Data attitudine intransigente signor Levenson delegati italiani hanno dovuto notificargli che ritengono inutile proseguimento trattative e riferiranno

R. Governo.

In .questi giorni verrà notificato ambasciata Soviet denuncia trattato çommercio e convenzione doganale. Se pertanto V. E. avesse qualche osservazione da fare pregoLa telegrafare urgenza.

581

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4405/163 R. Bucarest, 28 dicembre 1932, ore 22,20 (per. ore 0,30 del 29).

Con particolare riferimento al mio telegramma n. 158 del 20 corrente (l) segnalo che giornali demo-massoni Dimineata ed Adverul recano oggi articoli di contenuto analogo a quelli da essi stessi pubblicati or sono sei mesi, cioè allorquando fu concessa ultima proroga del trattato amicizia italo-rom1_mo.

Loro assunto è che l'Italia subordinerebbe conclusione patto alle seguenti due inaccettabili condizioni:

1° .., Obbligo da parte della Romania di mantenere assoluta neutralità in caso di conflitto itala-jugoslavo: il che significherebbe il disfacimento della Piccola Intesa, il cui mantenimento è invece fortemente voluto da tutti i partiti politici romeni.

2° -Obbligo da parte della Romania di pareggiare bilancia commerciale attualmente sfavorevole per l'Italia.

·Corrispondente Stefani ha telegrafato largo riassunto articoli, sui quali attiro attenzione di V. E. pel caso Ella credesse opportuno provocare o .procedere [smentita]. Al riguardo faccio di nuovo presente che questo Governo, riferendosi alle dette stesse informazioni qui propalate nel luglio scorso, ebbe allora a diramare il comunicato di smentita che trovasi annesso al mio rapport-o n .. '717 del 21 luglio scorso (2).

Aggiungo che corrispondente Stefani telegrafa altresì sunto articolo dell'Adverul, che sostieP:E!' !esi ~}le allft: Romania_ :non :import~ tanto patto, quanto conoscere precisa posizione Italia nella questione revisione trattati.··

(l) -T. 4323/158 R., non pubblicato. (2) -Non pubblicato...
582

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. 'Roma, 28· dicembre 1932.

Le notizie che si hanno nei riguardi della rivolta nell'Assir confermano la sua 'serietà e le ripercussioni che essa potrebbe avere sulla compagine del Regno d1·· Ibri' SaÙd, nonché le aspirazioni che essa desta da parte degli · Hascemiti e particolarmente di Re Faisal. Contemporaneamente alla rivolta dell'Assir, si sta svolgendo un. movimento di fuorusciti hegiazeni (liberali hegiazeni).

La linea direttiva tracciata dall'E. V. fin da quando la rivolta si è .ini:?:iata. si basa sui principi informatori della nostra politica nel .Mar Rosso, .quali risultano daJ Trattato di Sanaa e dalle conversazioni di Roma fra Italia e Gran Bretà'gna del 1927. Riconoscendo cioè ìl nostro interesse di favorire e fomentare il movimento insurrezionale, l'E, V. ha stabilito che ogni attivita dà ·spiegare in tal senso fosse regolata dallo stato dei nos~ri rapporti con lo Yemèri e dalle nostre relazioni con l'Inghilterra. In questo senso sono state impartite precise e ripetute istruzioni ai Governatore dell'Eritrea e l'Ambasciatore a Londra è stato incaricato di· prendere contatti éon quel Governo.

Il Governatore dell'Eritrea~ anche per non trovarsi in grado di corrispondere direttamente con l'Imam Yahia, ha prospettato un diverso programma di azione che, accomunando i ribelli deH'Assir con i liberali hegiazeni;· orienterebbe la nostra ·azione· piuttosto verso l'Hegiaz-Assir anziché verso· lo Yemen-Assir. Questo con le evidenti conseguenze da un lato di sollevare le giustificate difffàenze dell'Imam per qualunque aiuto noi dessimo ai. ribelli e dall'altro di dare motivo agli Inglesi di richiamarsi alle conv~rsazioni _di Roma per un nostro intervento nelle questioni interne dell'Hegiaz .

. . Essendosi attinJ.ta l'attenzione del Governatore dell'Eritrea. ~u tutto ciò, egli è tornato a insistere sul proprio punto di vista, ed in conseguenza di esso, propone di dare 3.000 fucili direttamente ai rivoltosi dell'Assir (1).

Mentre è evidente che la éoncessii:me di armi è un mezzo ottimo per fomentare la rivolta come è nostro interesse di fare, è però altrettanto eviden:tè che noi non p~ssiàm~ fare concessioni di armi altro che secondo i principi' informatori della nostra politica nel Mar Rosso, quali risultano dal Trattato di Sanaa e dalle conversazioni di Roma del l927, e secondo le istruzioni già impartite (2).

per aeroplano -parlare con s. E. De Bono». .-.:;:.,_._; ;... ...,......

(l) -Con t. 4396/12, Asmara 12 dicembre, non pubblicato. (2) -Annotazione a margine di Suvich del 29 dicembre: «Far venire a Roma :Astuto·-· magari
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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

T. 4423/181 R. Mosca, 29 dicembre 1932, ore 23,45 (per. ore 7,40 del 30).

Telegramma di V. E. n. 203 (1).

Onoromi aver già esposto a V. E. mio pensiero in merito trattative commerciali italo-russe nel mio rapporto 2518 del 27 corrente (2) che arriverà costi sabato. Per quanto esso muova da presupposti che sono ormai superati riterrei utile V. E. lo attendesse. Comunque, nello stadio ora raggiunto mi sembra necessario tenere presente che:

1°) U.R.S.S. tratta in questo momento con Germania anche con Inghilterra e Francia e successivamente anche con Stati Uniti, paesi da cui a torto od a ragione attende grandi cose, starei per dire propria salvazione;

2°) prospettiva in questo momento che U.R.S.S. potrebbe stabilire precedenti suscettibili essere invocati da quelle Nazioni, per aiuti commerciali di gran lunga più importanti;

3°) dato che trattative accennate prenderanno molti mesi, come anche nuovi negoziati con noi, che seguissero denunzia dopo qualche giorno convenzione doganale e trattato commercio, sarebbero necessariamente lunghissime pratiche dipendendo risultato definitivo altri negoziati sopra accennati;

4°) dovremmo quindi essere pronti ad una parentesi di scambi durante la quale U.R.S.S. potrà ridurre e ridurrà ogni giorno matematici [sic] suoi acquisti in Italia, mentre sarà per noi difficile se non impossibile fare altrettanto; U.R.S.S. godendo inoltre, attraverso proprio regime monopolio, possibilità esercitare rappresaglie di fatto -specialmente nei riguardi nostra marina mercantile -alle quali non potremmo opporre alcune adeguate contromisure;

5°) U.R.S.S. è un paese col quale, data impossibilità per noi sviluppare rapporti politici a somiglianza Germania e Turchia e stessa Francia, un minimo relazioni commerciali è indispensabile stesse normali nostre relazioni politiche. Trattato commercio convenzione doganale costituiscono soli legami che abbiamo con U.R.S.S.;

6°) sconsiglio (dico sconsiglio) in ogni caso denunzia del trattato (dico trattato) di commercio, prima di aver attentamente considerato possibilità rappresaglie, sopra esercizio (art. 20) nostre linee di navigazione Mar Nero.

Da ultimo, ad ogni buon fine, informo che avendo, giusta indicazione data nel mio rapporto 27 corrente, avuto colloquio con Litvinoff proprio in merito andamento trattative Roma non ho potuto fare a meno di accennare gravità possibili conseguenze attuale «impasse , indicata nel telegramma chiaramente intendendo che essa potrebbe giungere alla denunzia dei due atti indicati.

Litvinoff ha promesso intervenire efficacemente, ma dal suo atteggiamento mi è sembrato che informazioni da Levenson non facessero affatto prevedere una rottura.

Denunzia da parte nostra arriverebbe quindi presso che completamente inattesa.

(l) C!r. n. 580.

(2) Non pubb.Ucato.

584

COLLOQUIO FRA IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, E L'INCARICATO D'AFFARI DI FRANCIA A ROMA, DAMPIERRE

APPUNTO. Roma, 30 dicembre 1932.

Il Conte Dampierre è venuto a chiedere, per incarico del signor Paul Boncour, il gradimento per il Senatore de Jouvenel quale Ambasciatore a Roma.

Ha aggiunto che il signor Paul Boncour lo incaricava di far presente al Governo Italiano che aveva scelto una personalità della politica francese per dimostrare la grandissima importanza che egli dà ai rapporti fra i due Paesi.

585

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 30 dicembre 1932.

Questo Ministro di Romania mi ha informato che il signor Titulescu gli aveva telefonato da S. Moritz, dove resterà fino al 15 gennaio, incaricandolo di far sapere che il Governo romeno avrebbe desiderato che il Trattato attualmente esistente fosse rinnovato per un periodo di alcuni anni, magari con le modifiche che al Governo italiano fosse piaciuto di apportare. Il principe Ghika era quindi disposto a discutere quali queste modifiche avrebbero potuto essere. Gli ho risposto che era stato deciso di dare istruzioni al R. Ministro a Bucarest di far sapere che per parte nostra non esistevano difficoltà a prorogare il Patto esistente, però per un periodo di 6 mesi e purché si intendessero decadute le lettere segrete. In questo momento, in cui sono aperte questioni di così vasta portata come quella del disarmo, dei debiti ecc., non pareva infatti conveniente di modificare le convenzioni esistenti.

È apparso chiaro dalla conversazione col Ministro di Romania che il signor Titulescu nella presente situazione diplomatica del proprio Paese avrebbe tenuto alla conclusione di un patto che rappresentasse l'affermazione di rapporti di amicizia con l'Italia.

Il principe Ghika ha pure avuto occasione di rilevare che i recenti convegni di Belgrado (sia quello dei Capi di Stato Maggiore sia quello dei Ministri degli Esteri) non avevano innovato in nulla la situazione della Piccola Intesa sia per quanto riguarda i rapporti dei tre Stati che la compongono, sia per quanto riguarda i rapporti con Stati terzi: che il signor Titulescu aveva in tale occasione esercitato un'azione di moderazione, in conformità del resto con quello che era stato il carattere delle due riunioni.

586

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. s. 1399/150 R. Roma, 31 dicembre 1932, ore 17.

Ho esaminato con interesse i suoi telegrammi circa il patto italo-romeno. Condivido suo avviso che occasione possa prestarsi per sapere qualcosa di più circa i convegni di Belgrado, e al ritorno di Titulescu a Bucarest, Ella potrà adoperarsi a tal fine, giacché non credo che questa legazione di Romania possegga sutficienti notizie per utili conversazioni con essa. Intanto V. S. potrà informare che è autorizzato a discutere questione rinnovo patto. Quanto clausola neutralità (a parte articolo 3 dell'attuale patto) Titulescu ha indicato esplicitamente che vi è contrario, confermando così atteggiamento romeno al riguardo, quale è apparso in due altre occasioni. Nella presente situazione, in pendenza cioè di problemi molto vasti quali debiti, disarmo ecc. da cui può dipendere un mutamento di indirizzo di politica generale, non ritengo del resto che convenga mutare gli accordi attuali che rientrano in ultima analisi in questo quadro più generale e sono quindi pronto accettare una nuova proroga di 6 mesi del patto, lasciando però decadere le lettere segrete.

Mi tenga informato.

587

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 1400/151 R. Roma, 31 dicembre 1932, ore 24.

Successivamente al telegramma n. 150 diretto alla s. V. Cl) questo ministro di Romania è venuto a dire che Titulescu gli aveva telefonato da S. Moritz per informare che egli desiderava di rinnovare il patto italo-romeno per più anni ed era pronto a discutere le varianti che avessimo desiderato di proporre (2). Gli sembrava che il rinnovo per più anni fosse più conforme ai rapporti dl amicizia esistenti fra i due paesi.

Tra le modifiche da apportare era disposto a includere la soppressione delle lettere segrete. Ho fatto rispondere, in conformità del telegramma citato di sopra ultima parte, che in pendenza di vaste questioni internazionali quali disarmo, debiti ecc., non credevo fosse il momento di modificare il patto esistente e che pertanto ero disposto a prorogare per 6 mesi quello attuale, ma non altro. Naturalmente dovevano lasciarsi cadere le lettere segrete. Ghika ha ripetutamente insistito pel rinnovo per un più lungo periodo e, quanto alle lettere, ha confermato che il loro abbandono pareva rientrare in una revisione del trattato, non in un rinnovo puro e semplice. Ad ogni modo avrebbe informato Titulescu. Questi, in riassunto, i punti fondamentali della conver

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sazione che nel suo svolgimento ha toccato i vari aspetti dei rapporti italaromeni senza però aggiungere nulla di nuovo. A proposito dei convegni di Belgrado e per quanto con meno particolari e precisione, Ghika ha tenuto un linguaggio intonato a quello di codesto segretario generale da Lei riferiti col suo telegramma n. 3098 (1).

La terrò informata della risposta di Titulescu.

(l) -Cfr. n. 586. (2) -Cfr. n. 585 che è però· del 30 dicembre.
588

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 1401/152 R. Roma, 31 dicembre 1932, ore 23.

Suo telegramma n. 163 (2).

In relazione anche altro mio telegramma odierno (3) con cui le indico direttive R. Governo circa il patto italo-romeno, pregola richiamare attenzione codesto Governo sull'inopportunità delle notizie stampa, che ella mi segnala, se si vuole arrivare a una conclusione del patto medesimo.

589

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI POLITICI, BUTI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 31 dicembre 1932.

La politica nel Mar Rosso come la politica in Abissinia, pur essendo di competenza del Ministero degli Esteri, non può prescindere dall'azione dei due Governatori delle Colonie limitrofe. Tenendo presente questo fatto, S. E. il Capo del Governo disponeva, nel 1925, la costituzione di un Comitato interministeriale (Esteri-Colonie) per la trattazione di tutte le questioni che importavano decisioni di massima al riguardo. Il Comitato funzionò con evidente utilità e soddisfazione.

Anche in relazione agli ultimi sviluppi della situazione in Mar Rosso e in Abissinia, parrebbe opportuno che il Comitato tornasse a funzionare (4).

48 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

(l) -T. per corriere 4387/3098 del 20 dicembre, non pubblicato. (2) -Cfr. n. 581. (3) -Cfr. n. 586. (4) -Annotazione a margine di Mussollni: «Si».
<
APPENDICI

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 1° luglio 1932)

AFGANISTAN

Kabul -GALANTI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

ALBANIA

Tirana -MELI LuPI DI SoRAGNA marchese Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BARBARICH conte Alberto, console con funzioni di segretario; ZAMBONI Guelfo, console con funzioni di segretario; ANTINORI marchese Orazio, vice console con funzioni di segretario; PARIANI Alberto, generale di brigata, addetto militare; DANISCA Pietro, interprete.

ARABIA SAUDITA

Gedda -DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ARGENTINA

Buenos Aires -PIGNATTI MORANO DI CusTozA conte Bonifacio, ambasciatore; FRANSONI Francesco, primo segretario con funzioni di consigliere; BERTELÈ Tommaso, primo segretario; MACCHI, dei conti di Cellere, Pio, console con funzioni di segretario; DE PINEDO marchese Francesco, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -AuRITI Giacinto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossi LoNGHI Alberto, primo segretario; STRANEO Carlo Alberto, console con funzioni di segretario; GmsTINIANI Raimondo, vice console con funzioni di segretario; FABBRI Umberto, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico; Dx NoLA Carlo, addetto commerciale.

BELGIO

Bruxelles -MARTIN FRANKLIN conte Alberto, ambasciatore; GEISSER CELESIA DI VEGLIAsco Andrea, consigliere; PERRONE, dei conti di San Martino, Ettore, primo segretario; BERAUDO, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi); FuMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRASILE

Rio de Janeiro -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; GUGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; STRIGARI Vittorio, vice console con funzioni di segretario.

BULGARIA

Sofia -CoRA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; WIEL Ferdinando, console con funzioni di segretario; CoccoNI Francesco, tenente colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico; SoLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale Cresidente ad Angora); BARIGIANI Andrea, reggerente la delegazione commerciale.

CECOSLOVACCHIA

Praga -PEDRAZZI Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosTA SANSEVERINO Francesco, principe di Sant'Agata, primo segretario; VANNI, dei duchi di Archirafi, Francesco Paolo, console con funzioni di segretario; CADORNA conte Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; BRENTA Giacomo, maggiore, addetto aeronautico (residente a Belgrado); BENEDETTI Gian Paolo, reggente la delegazione commerciale.

CILE

Santiago -N.N., ambasciatore; AssERETO Tommaso, primo segretario con funzioni di consigliere; CuTURI Antonio, console con funzioni di segretario.

CINA

Pechino -CIANO, dei conti di Cortellazzo, Galeazzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANFuso Filippo, console con funzioni di segretario; VENTURINI Antonio, vice console con funzioni di segretario; Ros Giuseppe, interprete; TONA Pietro, tenente di vascello, comandante del distaccamento della R. Marina e della guardia della R. Legazione, con mansioni di addetto navale e militare; DI RENZO Marco, interprete.

COLOMBIA

Bogotà -GAZZERA Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

COSTARICA

NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama).

CUBA

Avana -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

DANIMARCA

Copenaghen -VARÈ Daniele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI conte Pier Adolfo, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello, addetto militare <residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); Luzi Renato, addetto commerciale.

DOMINICANA (Repubblica)

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

EGITrO

Cairo -CANTALUPO Roberto, deputato al Parlamento, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NONIS Alberto, primo segretario; MIGONE Bartolomeo, console con funzioni di segretario; SPERANZA Vincenzo, interprete; OMAR Umberto, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

EQUATORE

Quito -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallin (Reval) -TosTI, dei duchi di Valminuta, conte Mauro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -PATERNÒ DI MANCHI DI Bn.rci marchese Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ScAMMACCA Michele, primo segretario; MACCHI, dei conti di Cellere, conte Francesco, vice console con funzioni di segretario; RuGGERO Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MoRENO Martino Mario, direttore coloniale.

FINLANDIA

Helsinki (Helsingfors) -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -MANZONI conte Gaetano, ambasciatore; VINci GIGLIUCCI conte Luigi Orazio, consigliere; CAPRANICA DEL GRILLO marchese Giuliano, primo segretario; DE PAOLIS Pietro, console con funzioni di segretario; LANDINI Amedeo, console; SALLIER DE LA TouR CoRIO duca Paolo, vice console con funzioni di segretario; BERAUDo, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; FUMAGALLI Filippo, capitano di vascello, addetto navale; PICciO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; COLETTI Silvio, consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale.

GERMANIA

Berlino -ORSINI BARONI Luca, ambasciatore; CICCONARDI Vincenzo, consigliere; 0TTAVIANI Luigi, primo segretario; BADOGLIO, dei marchesi del Sabotino, Mario, vice console con funzioni di segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale.

GIAPPONE

Tokio -MAJONI Giovanni Cesare, ambasciatore; WEILL ScHOTT Leone, consigliere; GARBACCIO Livio, console con funzioni di segretario; MELKAY Almo, interprete; FRATTINI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico.

GRAN BRETAGNA

Londra -CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, ambasciatore; MAMELI Francesco Giorgio, consigliere; PRuNAS Renato, primo segretario; JANNELLI Pasquale, console con funzioni di segretario; DEL BALZO, dei duchi di Presenzano, Giulio, vice console con funzioni di segretario; REVEDIN, dei marchesi di San Martino, conte Giovanni, vice console con funzioni di segretario; PALLICCIA Giuseppe, addetto speciale; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; INFANTE Adolfo, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; IACHINO Angelo, capitano di fregata, addetto navale; BITOSSI Pier Francesco, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; CECCATO Giovan Battista, consigliere commerciale.

GRECIA

Atene -BASTIANINI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERARDIS Vincenzo, primo segretario; FECIA DI CossATO Ca,rlo, console con funzioni di segretario; TRIONFI marchese Luigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; TRIONFI marchese Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; DE SANTO Demetrio, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

HONDURAS

Tegucigalpa -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

IRAQ

Bagdad -RuLLI Guglielmo, incaricato d'affari.

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRTINI Claudio, primo segretario; COPPINI Maurilio, console con funzioni di segretario; FRANCESCHINI Antonio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GIARTOSIO Carlo, capitano di fregata, addetto navale; BRENTA Giacomo, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; DE SARNO SAN GIORGIO Pietro, interprete; ScELDIA Antonio, interprete.

LETTONIA

Riga -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DE Rossi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -VIGANOTTI GIUSTI conte Gianfranco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NICARAGUA

Managua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NORVEGIA

Oslo -DE MARSANICH Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROVASENDA DI ROVASENDA Vittorio, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SILENZI Renato, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PANAMA

Panama -NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

1'eheran -VIOLA Guido, conte di Campalto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RossET DESANDRÈ Antonio, console con funzioni di segretario; DI MoNTEFORTE Giuliano, interprete.

PERU'

Lima -SuMMONTE Gonsalvo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -VANNUTELLI REY conte Luigi, ambasciatore; PETRUCCI Luigi, consigliere; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare, navale ed aeronautico; CoRVI Antonio Menotti, addetto commerciale; ANGLE Romano, interprete.

PORTOGALLO

Lisbona -ARoNE Pietro, barone di Valentino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARIANI Luigi, primo segretario; AMARI di Sant'Adriano Eduardo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Madrid); SPALICE Luigi, capitano di vascello, addetto navale (residente a Madrid); GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Madrid); MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PASETTI Vittorio, primo segretario; MARINI Vittorio, console con funzioni di segretario; ZANOTTI Mario, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; GIARTOSIO Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Belgrado); DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RaccHI Cesare, archivista interprete.

SANTA SEDE

Roma -DE VECCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ministro di Stato, senatore del Regno, governatore onorario di colonia, ambasciatore; TALAMO ATENOLFI Giuseppe, marchese di Castelnuovo, primo segretario; BAZZANI Attilio, commissario regionale di seconda classe; PELIZZOLA monsignor Antonio, consulente ecclesiastico.

SIAM

Bangkok -CAVICCHIONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bovo Goffredo, console interprete di seconda categoria.

SPAGNA

Madrid -DuRINI DI MONZA conte Ercole, ambasciatore; DELLA PORTA Francesco, primo segretario; MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Falchetto, console con funzioni di segretario; AMARI di Sant'Adriano Eduardo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; SPALICE Luigi, capitano di vascello, addetto navale; GELMETTI Umberto, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; MARIAr-TI Erminio, consigliere commerciale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -DE MARTINO Giacomo, senatore del Regno, ambasciatore; MARCHETTI di Muriaglio conte Alberto, consigliere; RoNCALLI, dei conti di Montorio, Guido, primo segretario; MoNAco Adriano, primo segretario; SOARDI Carlo Andrea, vice console con funzioni di segretario; PENNAROLI Marco, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; NoTARBARTOLO, dei duchi di Villarossa Luigi, capitano di vascello, addetto navale; SBERNARDORI Paolo, maggiore, addetto aeronautico; FIGAROLO, dei conti di Gropello Giulio, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, reggente la delegazione commerciale.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA conte Natale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SVEZIA

Stoccolma -CoLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAFFARELLI Filippo, primo segretario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Berlino); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE ANGELIS Mariano, consigliere; TALIANI Pio, console con funzioni di segretario; AssETTATI Augusto, vice console con funzioni di segretario; PERRONE Adolfo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi).

TURCHIA

Angora -ALOISI barone Pompeo, ambasciatore; KocH Ottaviano Armando, consigliere; SERRA, dei duchi di Cassano, Giovanni Battista, vice console con funzioni di segretario; MANNERINI Alberto, tenente colonnello di fanteria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare; SOLDATI Roberto, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; PISA Ezra, interprete; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PODESTÀ Giuseppe, interprete.

UNGHERIA

Budapest -ARLOTTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELLARDI RICCI Alberto, primo segretario; GUERRINI MARALDI Agostino, console con funzioni di segretario; PEsCATORI Federico, vice console con funzioni di segretario; OxiLIA Giovanni Battista, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; DI NOLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna).

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE .SOVIETICHE

Mosca -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; CANTONI MARCA Antonio, primo segretario, con funzioni di consigliere; DI STEFANO Mario, primo segretario; LANZA Michele, addetto; DE FERRARI Aldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; BALLERINI Efisio, consigliere commerciale.

URUGUAY

Montevideo -BERNARDI Temistocle Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

VENEZUELA

Caracas -VIVALDI Guglielmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 1° Zuglio 1932)

MINISTRO

GRANDI Dino, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

FANI Amedeo, deputato al Parlamento.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del Ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del Ministro col Parlamento e col Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna Diplomatica.

Capo di Gabinetto: GHIGI Pellegrino, primo segretario di legazione di P classe.

Segretari: JACOMONI Francesco, con funzioni di vice capo di gabinetto; BoNARELLI DI CASTELBOMPIANO conte Vittorio Emanuele, COSMELLI Giuseppe, primi segretari di legazione di P classe; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo, primo segretario di legazione di 2a classe; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, BORGA GUido, DEL DRAGO Marcello, consoli di 2a classe; TORELLA Raimondo, CHASTEL Roberto, vice consoli di P classe.

Aggregato: TALVACCHIA Giovanni, questore.

UFFICIO STAMPA

Rivista della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Informazioni a giornali ed agenzie italiane ed estere Traduzioni.

Direttore: FERRETTI Lando, deputato al Parlamento.

Vice Direttore: Rocco Guido, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: VIDAU Luigi, console di la classe; MAserA Luciano, primo segretario di legazione di 2a classe; NICHETTI Carlo, vice console di l a classe; BRuGNOLI Alberto, vice console di 2aclasse; CAVALLETTI Francesco, volontario diplomatico -consolare.

UFFICIO STORICO-DIPLOMATICO

Raccolta e compilazione di materiale storico sopra questioni di politica estera d'interesse pratico contemporaneo a complemento e illustrazione dei documenti ufficiali -Raccolta, custodia e aggiornamento di collezioni cartografiche e studi geografici -Diario storico del Ministero Classificazione e diramazione degli atti diplomatici -Libri verdi -Raccolta, coordinamento e valorizzazione sistematica di tutti gli elementi tratti dal carteggio delle R. Rappresentanze all'estero e da ogni altra fonte -Studi e preparazione di carattere politico ed economico.

Capo ufficio: SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: CoRTESE Luigi, console di 2a classe; CIPPrco Tristram Alvise, vice console di P classe; TASSONI EsTENSE Alessandro marchese di Castelvecchio, MAzro Aldo Maria, volontari diplomatici -consolari.

TIPOGRAFIA RISERVATA

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO DEL PERSONALE

Personale di ogni categoria dipendente dal Ministero (eccetto il personale delle scuole italiane all'estero) -U!fici diplomatici e consolari all'estero: loro istituzione e soppressione -Addetti militari, navali, aeronautici e commerciali e loro uttici -Servizio d'ispezione agli u!fici all'estero -Questioni di ordinamento del Ministero e delle carriere dipendenti -Commissioni di avanzamento -Consiglio del Ministero Concorsi -Ammissioni -Annunzi e bollettini del personale -Personale e u!fici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Rapporti informativi sul personale -Matricola generale -Disciplina del personale subalterno del Ministero -Passaporti diplomatici.

Capo utncio: Tuozzi Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 28 classe.

Segretari: GLORIA Ottavio, console di P classe; TuRCATO Ugo, FoRNARI Giovanni, consoli di 2a classe; DE FERRARIS SALZANO Carlo, volontario diplomaticoconsolare; FERRINI Guglielmo, primo segretario dell'emigrazione.

Addetto all'Utncio: EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

no

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai R. agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di Capi di Stato, Principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: TALIANI Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: CAPECE GALEOTA Giuseppe, console di 2a classe; MUZI FALCONI Filippo, CHIAVARI marchese Gian Girolamo, vice consoli di P classe; LEPRI Stanislao, addetto consolare.

SERVIZIO ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo Servizio: SALATA Francesco, senatore del Regno, consigliere di Stato, presidente della Commissione per la pubblicazione dei documenti diplomatici.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei R. Uffici all'estero -Conservazione degli orginali degli atti inter·· nazionali -Conservazione delle carte riversate dagli archivi del Ministero e dai R. Uffici all'estero -Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali per incarico del Ministero -Inventari, schedari e rubriche.

Direttore: FossATI Oreste.

BIBLIOTECA

Conservazione ed incremento delle pubblicazioni, proposte per acquisto di libri e periodici -Scambio di pubblicazioni con altri Ministeri od Istituti italiani ed esteri -Cataloghi, schedari -Raccolta sistematica della legislazione straniera per ciò che può concernere le relazioni internazionali e l'Amministrazione degli Affari Esteri -Forniture di pubblicazioni ufficiali a corredo di R. Uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

Vice bibliotecario: RONZANI Francesco.

Addetto all'ufficio: MILLI Angiolo.

BIANCHERI CHIAPPORI Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario

di 2a classe, incaricato di dirigere il riordinamento degli archivi politici; CARISSIMO Agostino, primo segretario di legazione di P classe, a disposizione per il ,riordinamento degli archivi politici.

-49 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI D'EUROPA,

LEVANTE ED AFRICA

Direttore generale: GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Monaco -Norvegia -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati Baltici -Svezia -Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo umcio: QuARONI Pietro, consigliere di legazione.

Segretari: MoscA Bernardo, primo segretario di legazione di 2a classe; SCAGLIONE Roberto, console di 3a classe; MELLINI PONCE DE LEON Alberto, vice console di 1a classe.

UFFICIO II

Austria -Cecoslovacchia -Romania -Ungheria.

Capo umcio: RocHIRA Ubaldo, console generale di 2a classe. Segretario: CITTADINI-CESI Gian Gaspare, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO III

Bulgaria -Grecia -Jugoslavia -Turchia -Attari concernenti le Isole

Italiane dell'Egeo.

Capo umcio: N.N.

Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di 2a classe; GALLI Guido, console di 18 classe; VITA-FINZI Paolo, console di 28 classe; DE BoSDARI Girolamo. volontario diplomatico -consolare.

UFFICIO III A

Albania.

Capo umcio: N.N. Segretario: Lo FARO Francesco, vice console di 2a classe.

UFFICIO IV

Africa -Penisola arabica -M esopotamia -Palestina -Siria -Affari

concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo umcio: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, console di la classe.

Segretari: ZoPPI Vittorio, console di 2a classe; GRENET Filippo, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI DI AMERICA, ASIA ED AUSTRALIA

Direttore generale: PAGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

UFFICIO I

America del nord, Oceania ed Asia, tranne le regioni attribuite all'uffi

cio IV della Direzione Generale Europa, Levante ed Africa.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione.

Segretario: Rossi Paolo Alberto, console di la classe.

UFFICIO II

America Latina.

Capo ufficio: SERPI Giuseppe, console di la classe, reggente.

Segretario: CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE AFFARI SOCIETA NAZIONI

Direttore generale: Rosso Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Aggregati alla Direzione Generale per compiti speciali: PILOTTI Massimo, primo presidente di Corte di Appello; Burr Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; RusPOLI Fabrizio, capitano di vascello in ausiliaria.

UFFICIO I

Coordinamento generale tra i vari Uffici del Ministero e tra i vari Ministeri -Collegamento tra gli organi della Società delle Nazioni e gli enti internazionali con le varie Amministrazioni -Lavori preparatori per le sessioni dell'Assemblea e del Consiglio della Società delle Nazioni e delle diverse Conferenze e Riunioni ad essi attinenti -Congressi e Conferenze in oenere -Ordinamento deoli Atti e documenti relativi .

Capo ufficio: DIANA Pasqual<e, consigliere di legazione.

Segretari: FERRERO Andrea, vice console di 2a classe; LANZA n'AJETA marchese Blasco, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Studio delle questioni politiche e giuridiche in relazione ai lavori della Società delle Nazioni -Corte permanente di Giustizia internazionale Cooperazione intellettuale.

Capo umcio: VITETTI Leonardo, primo segretario di legazione di la classe. Segretario: PLETTI Mario, vice console di la classe.

UFFICIO III

Studio delle questioni economiche e tecniche della Società delle Nazioni -Ufficio Internazionale del Lavoro -Istituto Internazionale di Agricoltura -Banca dei Regolamenti Internazionali e questioni delle Riparazioni.

Capo ufficio: BERIO Alberto, primo segretario di legazione di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI CON LA SANTA SEDE E SERVIZI AMMINISTRATIVI

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato.

UFFICIO I

Trattati, Atti.

Capo umcio: N.N.

Segretari: BERGAMASCHI Bernardo, LANZARA Giuseppe, consoli di 2a classe; DE FRANCHIS Carlo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo umcio: CAVRIATI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: Rossr LoNGHI Gastone, console di 2a classe.

UFFICIO III

C.A.S.E.

Capo umcio: TORTORA BRAYDA Camillo, conte di Policastro, consigliere di legazione.

UFFICIO IV

Pubblicazioni e raccolte amministrative.

Capo umcio: ToscANI Angelo, console generale di P classe.

Addetto all'uMcio: RAFFAELLI Pietro.

UFFICIO V

Amministrativo.

Capo umcio: RINVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BONAVINO Arturo, AaosTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; BoNTEMPs Aldo, ToRRES Oreste, primi commissari consolari; MoNACO Potito, MANZO Ciro, vice commissari consolari.

Addetti all'ufficio: MoNTESI Giuseppe, direttore capo divisione; PAzzAGLIA Gino, segretario capo di ragioneria; MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, primo segretario di ragioneria; PIRODDI Mario, ROTA Armando, segretari di ragioneria.

UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA

Segreteria della Commissione interministeriale per l'azione economica all'estero -Collegamento in materia economico-commerciale fra le Direzioni generali Europa, Levante ed Africa; America, Asia ed Australia ed i Ministeri tecnici competenti.

Capo ufficio: CIANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Segretari: GRAZZI Umberto, SANTOVINCENZO Magno, consoli di 2a classe; Lo SAVIO PIO, vice console di la classe.

Comandato: DEI MEDICI conte Ugo, vice intendente di finanza.

DIREZIONE GENERALE ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE Diretore Generale: PARINI Piero, console generale di P classe.

UFFICIO I

Fasci e istituzioni italiane all'estero.

Capo ufficio: FARILLI Igino Ugo, console generale di 2a classe. Segretari: CASERTANO Raffaele, vice console di l a classe; MONTANARI Franco, volontario diplomatico-consolare. Comandato: DINI Ottavio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO II

Assistenza agli italiani all'estero.

Capo ufficio: NN. Segretario: MoNTECCHI Romeo, console di 38 classe.

UFFICIO III

Scuole italiane all'estero.

Capo ufficio: PuLLrNo Umberto, console generale di P classe.

Segretari: CANNICCI Achille Angelo, console di 28 classe.

Addetto all'ufficio con incarico speciale: RIMONDINI Felice, R. provveditore agli studi.

Comandati: DE FINA Andrea, segretario capo nei R. Provvedimenti agli studi; Fosco Camillo, FERRUZZI Raffaello, capi sezione del Ministero dell'Educazione Nazionale; MALGERI Eugenio, professore nei R. Istituti tecnici; BIscOTTINI Umberto, professore nei R. Ginnasi; MoscHETTI Edoardo, professore nelle R. Scuole secondarie di avviamento al lavoro; FAssARI Cesare, insegnante nelle R. Scuole italiane all'estero.

DIREZIONE GENERALE DEL LAVORO ITALIANO ALL'ESTERO Direttore generale: LoJACONO Vincenzo, ambasciatore:

UFFICIO I

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Progetti di colonizza

zione -Paesi continentali -Bacino del Mediterraneo -Africa -Canadà.

Capo ufficio: VINCI Adolfo, consigliere dell'emigrazione di P classe.

Segretari: 0LIVIERI Umberto, FAGO Cataldo Amedeo, PATRIZI DI RIPACANDIDA, dei duchi di Castelgaragnone, Ernesto, vice consigliere dell'emigrazione.

UFFICIO II

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Trasporti ferroviari e

marittimi -Americhe ed Australia.

Capo ufficio: GrANNINI Torquato Carlo, consigliere superiore dell'emigrazione.

Segretari: MASI Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2a classe: LAMPERTICO Gaetano, vice consigliere dell'emigrazione; VACCHELLI Alessandro, segretario dell'emigrazione.

Addetto all'ufficio: Russo Giovanni, commissario onorario dell'emigrazione.

Comandati: PRisco Achille, colonnello medico in S.P.E. della R .Marina; CoTTAFAVI Francesco, console generale della M.V.S.N., ispettore centrale dell'emigrazione; DE FEo Giuseppe, giudice capo; PAGANI Aldo, commissario di P.S., COSTANTINI Icilio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO III

Politica del turismo e del lavoro straniero in Italia.

Capo ufficio: LANDUCCI Publio, console generale di 2a classe.

Segretario: COTTAFAVI Antonio, console di 28 classe.

Aggregato alla Direzione Generale: PERASSI Tommaso, professore di diritto nel R. Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma.

Addetti alla Direzione per compiti speciali: DI GIURA Giovanni, primo segretario di legazione di 18 classe; Bosco Giacinto, segretario dell'emigrazione; TRONCELLITTI Francesco.

SERVIZIO DEGLI AFFARI PRIVATI

Capo del servizio: BEVERINI Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Aggregato al servizio: CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nella R. Università di Roma.

Addetti al servizio per compiti speciali: RABBY Ezio, GRANDINETTI Eugenio, MARCHIONI Pietro, vice consiglieri dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, segretario dell'emigrazione.

UFFICIO I

Affari privati Europa, Africa, Palestina, Siria, Irak, Turchia, Penisola arabica -Legalizzazione di atti -Corrispondenza e contabilità relativa.

Capo ufficio: BARTOLUCCI GonOLINI Giovanni Battista, marchese di Castelletta, console generale di l a classe.

Segretario: BoLLATI Attilio, console di 2a classe; SIMONE Nicola, vice console di la classe.

UFFICIO II

Affari privati America, Oceania e tutta la parte dell'Asia non compresa nella competenza dell'Ufficio I.

Capo ufficio: MACCOTTA Luigi, console generale di 2a classe.

Segretario: MAJOLI Mario, volontario diplomatico-consolare.

SERVIZIO CORRISPONDENZA ED ARCHIVI

'Japo del servizio: DE Rossi DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario

e ministro plenipotenziario di 2a classe.

UFFICIO I

Affari generali.

Capo ufficio: MAz zoLINI Quinto, console di la classe.

Segretario: ARNÒ Guglielmo, console di 3a classe.

Addetti all'ufficio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2a classe; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione; CoRSI Fernando, segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Citra.

Capo ufficio: SPECHEL Augusto, console di la classe.

Segretari: CASCIARO Marco, MALFATTI DI MONTE TRETTO barone Carlo; BOSIO Giovanni Jack, SEGANTI Vittorio, vice consoli di l a classe.

UFFICIO III

Archivi e corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione, ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti e archivi di deposito -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: N.N.

Segretario: SALLIER DE LA TouR conte Carlo, segretario dell'emigrazione.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo di ragioneria: FANO Alberto.

DIVISIONE I

(alla diretta dipendenza del direttore capo di ragioneria)

Stato di previsione, variazioni, consuntivo -Tenuta degli impegni e scritture relative, registrazione di mandati -Agenti di riscossione e contabilità relative -Conti giudiziali -Conto corrente intruttitero con il Tesoro dello Stato -Giornale della contabilità extra bilancio -Accettazione delle tratte emesse dai R. Agenti all'estero -Conto con il Portajoglio dello Stato -Conti correnti coi R. Agenti all'estero e servizi relativi -Partitario dei depositi per successioni, atti e diversi -Richieste vaglia del tesoro e postali -Contabilità dei valori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità dei R. Uffici diplomatici e consolari Servizio cambiario relativo -Liquidazione dei conti delle società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti -Emissione de mandati relativi -Rendiconti delle spese relative alla assistenza militare, smobilitazione, ecc. -Servizio dei cambi -Competenze al personale -Riscontro sugli atti amministrativi dell'ufficio amministrativo ed emisisone dei mandati relativi.

Capo sezione: DE SANTIS Paolo.

Segretari: CASONI Enrico, MONTUORI Pietro; consiglieri; ASBOLLI Attilio, TOSI Emilio, SALVATI Settimio, primi segretari; CoNTI Roberto, Lo SARDO Domenico, VOLPE Mario, segretari; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

Comandato: MASSIMO Luigi, capitano di fanteria.

DIVISIONE II

Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici demaniali all'estero -Monte pensioni dei maestri elementari -Scritture generali e speciali -Contabilità scolastiche mensili e varie (riscontro e liquidazione delle spese, scritture e corrispondenza relativa) -Emissione dei mandati di pagamento -Materiale scolastico -Gestioni speciali e relative scritture.

Direttore capo divisione: SENESI Alessandro.

Capo sezione: N.N.

Segretari: SuGLIANI Augusto, consigliere; ZAFARANA Gino, TuRA Michele, primi

segretari. Addetto all'ufficio: VIGNOLO Carlo. Comandato: ANTINUCCI Umberto, capitano di artiglieria.

DIVISIONE III

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e regolamento sull'emigrazione -Scritture generali e speciali Servizio delle marche da bollo da applicarsi ·sugli atti di arruolamento e sulle richieste ferroviarie per i viaggi dei connazionali rimpatrianti Liquidazione delle competenze ai RR. Commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesseda parte dei vettori -Tenuta degli impegni, emissione e registrazione dei mandati di pagamento per le spese relative ai servizi dell'emigrazione -Liquidazione ed approvazione di contabilità per le spese medesime -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Stralcio delle contabilità di guerra -Inventari.

Direttore capo divisione: CIOTTI Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: RISOLDI Giuseppe Arturo, ispettore di ragioneria.

Segretari: BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, TEDEsco Pietro Paolo, primi segretari di ragioneria; RiccA Alfredo, segretario di ragioneria.

CONSULENTI GIURIDICI

CONSULENTE GENERALE

SciALOJA Vittorio, Senatore del Regno, Ministro di Stato, professore di diritto nella R. Università di Roma.

CONSULENTI

PILOTTI Massimo, primo presidente di Corte d'Appello; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato; BRoccHI Igino, consigliere di Stato; MONTAGNA Raffaele, consigliere di Stato, con titolo onorario di consigli.ere di legazione; ALBERTAz zi conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nel R. Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma; CuciNOTTA Ernesto, giudice di tribunale, incaricato di diritto e legislazione coloniale nella R. Università di Roma.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: GRANDI Dino, ministro degli Affari Esteri.

Vice-presidente: SciALOJA Vittorio, senatore nel Regno, ministro di Stato, professore di diritto nella R. Università di Roma.

Consiglieri: BARZILAI Salvatore, senatore del Regno; BERIO Adolfo, senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato; BONIN LONGARE conte Lelio, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno; CAMMEO Federico, professore di diritto nella R. Università di Firenze; CAvAGLIERI Arrigo, professore di diritto nella R. Università di Napoli; CoNTARINI Salvatore, ministro di Stato, ambasciatore, senatore del Regno, consigliere di Stato; CusANI CoNFALONIERI marchese Girolamo, ambasciatore; D'AMELIO Mariano, senatore del Regno, presidente della Corte di Cassazione; DE MrcHELis Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; DIE~A Giulio, professore di diritto nella R. Università di Pavia; FEDOZZI Prospero. professore di diritto nella R. Università di Genova; GASPERINI Gino, presidente della Corte dei Conti; GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe; IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, ambasciatore, senatore del Regno; LANZA DI ScALEA principe Pietro, ministro di Stato, senatore del Regno; PERLA conte Raffaele, presidente del Consiglio di Stato a riposo, senatore del Regno; ROLANDI RICCI Vittorio, senatore del Regno, ambasciatore onorario; ROMANO Santi, presidente dd Consiglio di Stato; SALANDRA Antonio, professore di diritto nella R. Università di Roma, senatore del Regno; SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, ambasciatore, senatore del Regno; SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe, consigliere di Stato; SOLMI Arrigo, professore di diritto nella R. Università di Pavia, deputato al Parlamento; VALVASSORI PERONI Angelo, senatore del Regno.

Segretario generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nella R. Università di Roma.

Segretario aggiunto: N.N.

Ufficio del segretario generale: TOFFOLO Giovanni Battista, vice console di 2a classe.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione al 15 luglio 1932)

Afganistan -HusEIN Az1z Abdul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Az1z Abdul Hamid, segretario.

Albania -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SHTYLI.A Tahir, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Argentina -PEREZ Fernando, ambasciatore; LEGUIZAMON PoNDAL Honorio, consigliere; CHIAPPE Felipe, consigliere di legazione, primo segretario; ONETO ASTENGO Oscar, primo segretario; MEJIA Claudio A., primo tenente aviatore, addetto aeronautico; BREBBIA Carlos, consigliere commerciale; SusiNI Telemaco, addetto.

Austria -voN EGGER MoELLWALD Lothar, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoLLGRUBER Alois, consigliere; ROTTER Adrian, segretario; FRIE· BERGER Kurt, addetto per la stampa.

Belgio -DE LIGNE principe Albert, ambasciatore; PATERNOTTE DE LA VAILLEE Alexandre, consigliere; LAMY Leon, addetto.

Bolivia -SAENZ Jorge, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARANA URIOSTE Julio, primo segretario.

Brasile -PEçANHA Alcibiades, ambasciatore; PARANHOS DO RIO BRANCO Gastao, primo segretario; DE GALvA.o BuENO America, secondo segretario; LATOUR Jorge, secondo segretario; PIMENTEL DuARTE Galdino, capitano di corvetta, addetto navale; SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -VoLKOFF Ivan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario: STAMENOFF Ivan, primo segretario; STANCIOFF Ivan D., segretario; BALABANOFF Nicolas, segretario di legazione, capo dell'ufficio stampa; DASKALOFF Teodossi, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEJNOHA Jaroslav, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); ZAHN-STRANIK Viktor, segretario; CHARous Jaromir, segretario; STANE Vojtech, addetto; KRATOCHViL Antonin, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; PLECHATY Ladislav, segretario, addetto per la stampa; PEcHACEK Josef, addetto per la stampa.

Cile -HuNEEUS Antonio, ambasciatore; FIGUEROA Francisco, primo segretano; DEL CAMPO Carlos, addetto.

Cina -TsiANG Lu-Fo, incaricato d'affari; OuANG Raymond Y. C., primo segretario; TcHou Yin, secondo segretario; CHANG Chia-Yung, terzo segretario; TCHANG Kien, addetto.

Colombia -ROBLEDO Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SANTOS GUSTAVO, primo segretario.

Cuba -IzQUIERDO Y ORIHUELA José Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FORCADE Y JORRIN Alfonso, consigliere; EsPINOSA Miguel Angel, terzo segretario.

Danimarca -KRusE J. C. W, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoLLIN Hialmar, segretario.

Dominicana (Republica) -GARCIA MELLA Moisés, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PARADAS Salvador Emilio, addetto, incaricato d'affari (ad interim); PELLERANO ALFAU Arturo J., addetto commerciale; TRUJILLO MOLINA Anibal, maggiore, addetto militare.

Egitto -SADEK Wahba pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SIMAIKA Michele, addetto; TAHER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo.

El Salvador (Repubblica di) -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Estonia -ScHMIDT August, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON David, primo segretario.

Etiopia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WEULDE GABRIEL Ylma, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Finlandia -ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -DE BEAUMARCHAIS Maurice, ambasciatore; DE DAMPIERRE conte Robert, consigliere; RocHAT Charles, primo segretario; VERGÉ Jean, secondo segretario; ELIE Hubert, terzo segretario; DE MENTHON conte Bernard, addetto; LELONG Albert, tenente colonnello, addetto militare; DE LA GIRAUDIERE Jacques, maggiore, addetto aeronautico; SANSON Pierre, capitano di corvetta, addetto navale; BouRGEOis Jean, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; SANGUINETTI J oseph, addetto commerciale; RouMILHAC Georges, addetto finanziario.

Germania -voN ScHUBERT Karl, ambasciatore; SMEND Hans, consigliere; voN Bfu.ow Dankward-Christian, consigliere di legazione con funzioni di primo segretario; SCHMID KRUTINA Hermann, segretario; MARSCHALL VON BIEBERSTEIN Viktor Heinrich, segretario; HOLM Fritz Viktor, segretario; STROHEKER Heinrich, consigliere di commercio; BussE W alter, addetto per l'agricoltura.

Giappone -YosHIDA Shigeru, ambasciatore; OKAMOTO Takezo, consigliere; OGAWA Noboru, secondo segretario; AKIYAMA Masatoshi, terzo segretario; lNOUYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; KATSUDA Naokichi, addetto; SAKAI Yasushi, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; lKEDA Jin, capitano di corvetta, addetto navale.

Gran Bretagna -GRAHAM sir Ronald, ambasciatore; MuRRAY John, consigliere; STEVENS H. R. G., colonnello, addetto militare; RAMSAY Robert, capitano di vascello, addetto navale, HETHERINGTON T. G., colonnello, addetto aeronautico; VILLAR G., tEmente colonnello macchinista, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); MuLOCK E. H., consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; KIRKPATRICK I. A., primo segretario; Mc CLEURE W. K., addetto per la stampa, con rango di primo segretario; CREEK H. D., addetto onorario; LINDSAY J. L., addetto onorario; ANDREWS J. G., consigliere commerciale aggiunto.

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Alexandros, primo segretario; MELAS Michael, secondo segretario.

Guatemala -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PALACIOS José Maria, incaricato d'affari (ad interim).

Haiti -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Hegiaz -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia -RAKié Milan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANTié Milan, consigliere; RisTié Jovan, segretario; KNEZEVIé Nikolas, addetto; KoTNIK Cyrille, addetto; VuKOTié J o v an, addetto; ZAJCié Bozidar, addetto per la stampa; YANKOVIé Radivoje, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e navale; SoNDERMAYER Vladislaw, maggiore, addetto aeronautico.

Lettonia -SEYA Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KAMPUS Roberto, primo segretario.

Lituania -CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrLEISIS Petras, segretario.

Messico -DE NEGRI Manuel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; REYES SPINDOLA Octavio, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); PERALTA CoRONEL Vicente, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare aggiunto; PADILLA AviLA Jesùs, capitano di artiglieria, addetto militare aggiunto; LoYo Gilberto, addetto commerciale; ALANIS PATINO Emilio, addetto agronomo.

Monaco -CouGET Femand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -lRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGESTEN Ove C. L., primo segretario.

Paesi Bassi -PATIJN Jacob A. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SILLEM J. G., primo segretario; VAN RIJN J. J., addetto commerciale.

Panama -PoRRAS Belisario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Paraguay -GuBETICH Andrès, incaricato d'affari.

Persia -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoTAMÉDY Alì, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Perù -EsPANToso Felipe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ORTIZ DE ZEVALLOS Emilio, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim).

Polonia -PRZEZDZIECKI conte Szczepan, ambasciatore; DE RoMER Taddeo, consigliere; KOMIEROWSKI Ludomir, segretario; MICHALOWSKI conte Jozef, addetto onorario; MIKULSKI Boleslaw, addetto onorario.

Portogallo -DE CASTRO Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEBRE BARBOSA DE MAGALHAES José, primo segretario; DE BIVAR BRANDEIRO José, secondo segretario.

Romania -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANEscu Costantin, consigliere, incaricato d'affari (ad interim); VLADEscu Nikolae Michael, primo segretario; GHEORGHIU Ermil, maggiore di aeronautica, addetto militare ed aeronautico; NICULEscu George, comandante, addetto navale (residente a Londra); PORN Eugenio, consigliere commerciale; IsOPEsco Claudio, addetto onorario per la stampa.

Santa Sede -BoRGONGINI DucA monsignor Francesco, arcivescovo di Eraclea, nunzio apostolico; TESTA monsignor Gustavo, consigliere; SERENA monsignor Carlo, uditore.

Siam -AMORADAT KRIDAKARA principe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, secondo segretario; PRASERT MAITRI Luang, terzo segretario.

Spagna -ALOMAR Gabriel, ambasciatore; DE MuNs Francisco, ministro plenipotenziario di terza classe, consigliere; JoRRo Jaime, segretario; DE LA GANDARA José, addetto onorario; CARRAsco Manuel, addetto onorario; FIGUEROA Eduardo, addetto onorario; SICARDO José, colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico per l'esercito; NAVARRO Enrique, capitano di corvetta, addetto navale ed aeronautico per la marina; BADIA Carlos, consigliere commerciale (residente a Parigi).

Stati Uniti d'America -GARRETT John Work, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; MrLNE Mac Gillivray, capitano di vascello, addetto navale; MAc CABE E. R. Warner, colonnello, addetto militare ed aeronautico; MITCHELL Mowatt M., addetto commerciale; TITTMANN Harold H., primo segretario; PENNOYER Frederick W. Jr., luogotenente comandante, addetto navale aggiunto; BRADY Francis N., capitano, addetto militare ed aeronautico aggiunto; SEYMOUR HoRWARD Herbert, capitano di vascello del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HANSON Ralph Trowbridge, capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HEINMAN BRYANT Eliot, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); CHAPIN Selden, terzo segretario.

Sud Africa (Unione del) -PIENAAR Barend Jacobus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANS Albert, primo segretario.

Svezia -SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARNANDER Folke, primo segretario.

Svizzera -WAGNIÈRE Georges, invia to straordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; DE BAVIER Charles-Edouard, primo segretario; REz zoNrco Clemente, primo segretario.

Turchia -VAssrF bey, ambasciatore; KADRI Riza, consigliere; RECHIT Mehmet, primo segretario; FEHMI Mustafà, terzo segretario; TAHSIN Hassan, tenente colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico; KAZIM Omer, capitano di corvetta, addetto navale.

Ungheria -DE HoRY Andras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE WonrANER Andras, consigliere; DE LuKAcs-KIRALDY Gyorgy, primo segretario; TELEKI conte Gyula, addetto; SzABO Ladislas, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; HuszKA Istvan, addetto stampa.

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste -KuRSKY Dimitrij, ambasciatore; ERDMANN Boars, secondo segretario; WEINBERG Haim, secondo segretario; TAu Garald, addetto militare ed aeronautico; ANzrPo-CrKUNSKI LEV, addetto navale; LEVENSON Michail, rappresentante commerciale.

Uruguay -RAMON GuERRA Ubaldo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federico, primo segretario; DE CASTRO Julio, addetto commerciale onorario; RAMON GuERRA José Carlos, addetto.

Venezuela -PARRA-PÉREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASAS BRICENO J. M., consigliere; RoJAs Hugo, addetto.

50 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

TAVOI.A METODICA<1>

(l) I numeri rmvlano al document!.

I. -QUESTIONI

Accordi commercali itala-austro-ungheresi: 317, 337, 380, 381, 389, 395, 408, 414, 437, 469, 475, 480, 492.

Albania:

l) in generate, 15, 28, 163, 219, 231, 310, 355, 431, 528.

2) rapporti economici itala-albanesi, 47, 52, 60, 141, 152, 187, 208, 215, 431.

Alto Adige: 331, 383, 399, 404, 417, 427, 436, 442, 450, 456, 458, 463.

Anschluss: 20, 35, 50, 65, 98, 106, 140, 159, 175, 184, 234, 414, 456, 537.

Antifascismo: 271, 283, 318, 361.

Conferenza economica mondiale, (progetto di): 297, 304, 377, 430, 493.

Conflitto cino-giapponese: 21, 22, 79, 133, 394, 422, 430, 441, 448, 481, 504, 515, 518, 519, 522, 529, 541, 543.

Croazia: 16, 34, 53, 80, 135, 226, 353, 357, 363, 397, 402, 414, 419, 440, 493, 495, 569, 571, 572.

Danzica: 149, 157.

Dimissioni di Grandi: 162, 164, 168, 170, 185, 206.

Disarmo:

l) in generale, 11, 19, 21, 22, 24, 33, 37, 48, 91, 92, 93, 94, 95, 96, 103, 104, 107, 110, 111, 113, 114, 115, 117, 121, 129, 133, 137, 145, 168, 171, 193, 203, 206, 211, 221, 228, 230, 232, 235, 236, 238, 239, 244, 250, 252, 253, 257, 268, 276, 296, 301, 306, 308, 309, 311, 312, 313, 314, 315, 319, 320, 322, 325, 326, 327, 328, 332, 333, 334, 336, 339, 340, 345, 346, 347, 348, 349, 350, 354, 365, 369, 372, 373, 378, 384, 385, 388, 396, 405, 409, 410, 411, 423, 428, 434, 439, 461, 462, 467, 468, 471, 472, 473, 478, 486, 503, 506, 514, 517, 521, 527, 541, 571.

2) disarmo navale, 21, 33, 48, 63, 96, 117, 140, 213, 312, 316, 365, 369, 373, 378, 390, 391, 400, 407, 409, 430, 434, 445, 461, 468, 551.

3) parità dei diritti, 48, 93, 95, 104, 177, 179, 225, 246, 247, 251, 254, 255, 257, 258, 260, 261, 262, 264, 266, 272, 273, 274, 276, 278, 280, 281, 282, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290, 291, 292, 301, 302, 303, 304, 306, 307, 339, 347, 377, 383, 407, 425, 428, 430, 435, 439, 443, 454, 457, 461, 462, 478, 497, 503, 509, 514, 517, 521, 530, 533, 538, 539, 542, 567, 571.

4) patto di fiducia, 146, 147, 151, 153, 154, 156, 161, 167, 172, 174, 182, 194,

196.

Etiopia:

l) camionabile Assab-Dessiè, 27, 73, 223, 248, 501.

2) direttive generali della politica italiana verso l'Etiopia (vedi anche politica periferica), 38, 66, 67, 76, 86, 105, 222, 223, 248, 393, 449, 508, 519, 534, 555, 563.

3) frontiera con la Somalia, 23, 41.

4) frontiera con il Somaliland, 41, 209, 233, 305.

5) missione Franchetti, 27, 29, 32, 39, 54, 58, 59, 73, 77, 82, 86, 217, 222, 223, 248, 501, 510, 534.

6) politica periferica, 78, 81, 82, 105, 138, 248, 393, 512, 555.

Heimwehren: 5, 17, 35, 57, 69, 74, 98, 101, 106, 127, 131, 132, 144, 158, 160, 166, 169, 175, 184, 201, 205, 210 227, 234, 277, 351, 360, 408, 414, 483, 494, 507, 520, 537, 550, 561.

Libia:

l) confini, 75, 136.

2) ribelli, 489, 553.

Malta (lingua italiana): 293, 368, 378, 385, 398, 426.

Mandati: 356, 562.

N azionalsoctalismo:

l) in Germania, 35, 36, 86, 108, 118, 198, 225, 235, 298, 324, 331, 352, 364, 366, 372, 375, 401, 532.

2) in Austria, 17, 30, 35, 36, 65, 74, 106, 175, 210, 360.

Patto di amicizia itala-romeno (rinnovo del): 100, 150, 155, 299, 545, 546, 573. 574, 576, 577, 581, 585, 586, 587, 588.

Patto di amicizia itala-turco (rinnovo del): 7, 9, 10, 13, 25, 26, 31, 237. Penetrazione economica:

l) in Africa, 3. 2) in Persia, 191, 512. Piccola Intesa: 45, 147, 535, 552, 557, 559, 564, 571, 577. Polemica Grandi-Balbo: 193, 203, 211. Questione economica danubiana:

l) in generale, 13, 14, 19, 20, 21, 22, 33, 37, 40, 42, 44, 96. 2) conferenza di Stresa, 229, 245.

Riparazioni e debiti di guerra interalleati:

l) in generale, 61, 377, 406, 524, 525, 531, 547, 571. 2) conferenza di Losanna, 19, 21, 22, 88, 90, 95, 102, 107, 109, 111, 114, 116, 121, 122, 125, 126, 130, 133, 134, 139, 142, 143, 145, 147.

Sionismo: 180.

Società delle Nazioni: 12, 162, 185, 193, 195, 206, 242, 274, 275, 286, 321, 322, 330, 335, 338, 341, 349, 482, 52~. 543.

II. -RAPPORTI DELL'ITALIA CON GLI ALTRI STATI Albania: 15, 28, 47, 52, 60, 141, 152, 163, 187, 208, 215, 219, 231, 310, 342, 355, 400, 431, 528. Austria: 17, 35, 36, 40, 42, 50, 57, 65, 69, 74, 98, 99, 101, 109, 111, 127, 131, 132, 139, 144, 158, 159, 160, 166, 169, 175, 184, 192, 201, 205, 210, 227, 234, 277, 337, 348, 351, 360, 362, 380, 381, 389, 395, 404, 408, 414, 417, 427, 436, 437, 442, 450, 456, 458, 463, 466, 469, 480, 483, 484, 491, 492, 494, 507, 520, 537, 550, 554, 561. Bulgaria: 26, 348. Cecoslovacchia: 45, 46, 49, 182, 241, 322, 344, 559, 578. Cina: 394, 422, 441, 504, 518, 543. Egitto: 489, 526.

Etiopia: l, 6, 23, 27, 29, 32, 38, 39, 41, 54, 58, 59, 66, 67, 73, 76, 77, 78, 81, 82,

86, 97, 105, 138, 140, 165, 209, 217, 220, 223, 248, 393, 460, 501, 508, 510, 519,

555, 558, 564, 589.

Francia: l, 2, 6, 8, 18, 37, 51, 55, 56, 61, 63, 75, 89, 96, 97, 105, 111, 119, 123, 124, 126, 133, 136, 140, 143, 147, 159, 172, 204, 220, 221, 223, 224, 228, 229, 230, 238, 239, 244, 255, 267, 271, 283, 284, 286, 287, 289, 291, 292, 294, 295, 301, 304, 308, 321, 343, 354, 356, 361, 370, 374, 382, 400, 403, 409, 410, 411, 413, 421, 425, 428, 430, 432, 438, 439, 445, 449, 453, 462, 464, 472, 474, 476, 485, 487, 500, 502, 508, 519, 520, 536, 551, 559, 566, 575, 578, 584.

Germania: 14, 19, 20, 22, 36, 44, 50, 65, 85, 87, 93, 94, 95, 102, 104, 107, 108, 110, 115, 118, 122, 130, 134, 139, 140, 147, 148, 149, 153, 154, 156, 161, 164, 167, 174, 177, 179, 198, 207, 212, 214, 225, 236, 238, 240, 244, 246, 247, 254, 255,

256. 257. 260. 262. 264, 266, 273, 278, 280, 281, 285, 286, 289, 291, 292, 294. 297, 298, 301, 311, 313, 315, 324, 330, 331, 335, 338, 341, 345, 352, 364, 366, 372, 375, 377, 383, 401, 405, 408, 412, 414, 420, 423, 425, 438, 443, 457, 464, 467, 482, 493, 500, 523, 532, 533, 538, 539, 549, 567, 568, 579.

Giappone: 79, 394, 422, 441, 448, 504, 518, 519, 522, 543.

Gran Bretagna: 33, 95, 103, 107, 110, 114, 125, 129, 133, 137, 139, 142, 145, 147, 151, 154, 156, 170, 193, 206, 211, 213, 230, 232, 253, 255, 259, 263, 265, 270, 282, 287, 288, 293, 301, 302, 303, 306, 307, 309, 314, 319, 320, 323, 327, 332, 334, 346, 347, 368, 369, 371, 378, 385, 398, 406, 407, 425, 426, 428, 445, 446, 454, 455, 471, 472, 473, 503, 524, 531, 551, 570, 582.

Grecia: 62, 71, 342.

Hegiaz: 279, 447, 459, 540, 582, 589.

Irlanda: 482.

Jugoslavia: 4, 15, 34, 44, 53, 68, 80, 84, 120, 135, 147, 176, 178, 181, 186, 189, 190, 195, 197, 199, 214, 216, 226, 353, 357, 363, 397, 414, 415, 416, 419, 424, 440, 477, 493, 495, 499, 505, 511, 516, 535, 546, 548, 552, 556, 557, 559, 564. 565, 571, 572, 577, 581.

Norvegia: 482.

Persia: 191, 512.

Polonia: 149, 157, 188, 506.

Romania: 100, 150, 155, 299, 358, 545, 546, 573, 574, 576, 577, 581, 585, 586, 587,

588.

Spagna: 243, 269, 318, 329, 371, 496, 498.

Stati Uniti: 21, 33, 79, 90, 103, 110, 114, 117, 121, 137, 146, 230, 235, 251, 252. 254, 255, 261, 264, 276, 304, 312, 314, 316, 320, 325, 365, 373, 378, 384, 390, 391, 409, 445, 461, 468, 474, 486, 497, 525, 531, 547. 551.

Svizzera: 22, 128, 482.

Turchia: 7, 9, 10, 13, 25, 70, 72, 83, 112, 196, 218, 237, 382, 509.

Ungheria: 22, 132, 159, 195, 197, 299, 300, 317, 337, 348, 362, 381, 383, 392, 395, 408, 414, 418, 429, 437, 451, 466, 469, 470, 491, 492, 544, 556.

U.R.S.S.: 115, 194, 297, 359, 382, 386, 452, 490, 509, 513, 541, 579, 580, 583.

Yemen: 512, 534, 540, 555, 582, 589.

III. -ALTRI STATI: SITUAZIONE INTERNA E RAPPORTI INTERNAZIONALI

Albania:

l) situazione interna, 528.

2) rapporti con:

Francia, 400. Jugoslavia, 15.

Austria:

l) situazione interna, 5, 17, 30, 35, 36, 57, 65, 69, 74, 106, 127, 131, 158, 184, 192, 201, 205, 210, 277, 351, 360, 408, 414, 480, 494, 507, 520, 550.

2) rapporti con: Cecoslovacchia, 465, 466, 475, 479, 480, 494. Francia, 159, 466, 491, 520, 554. Germania, 35, 50, 65, 98, 106, 140, 159, 175, 184, 212, 234, 408, 414, 456, 469. 480, 491, 494, 537. Jugoslavia, 466. Romania, 466. Ungheria, 132, 159, 337, 362, 392, 395, 414, 437, 444, 451, 466, 469, 491, 520,

537.

Belgio:

rapporti con: Francia, 326, 345. Germania, 345.

Bulgaria: rapporti con: Francia, 216. Jugoslavia, 173, 183, 216. Turchia, 26, 382. U.R.S.S., 560. Cecoslovacchia: rapporti con: Francia, 45, 182, 578. Germania, 46. Giappone, 543. Gran Bretagna, 182, 578. Jugoslavia, 564, 571, 577. Polonia, 45, 49. Romania, 564, 571, 577. Ungheria, 475. Cina: rapporti con: Francia, 543. Giappone, 22, 448, 504. 541. Gran Bretagna, 543. Stati Uniti, 21. U.R.S.S., 541, 560. Egitto: rapporti con: Gran Bretagna, 526. Etiopia: l) situazione interna, 78, 81, 82, 105, 202, 222, 393, 449, 512. 2) rapporti con: Francia, l, 6, 97, 105, 140, 220, 222, 223, 393, 449, 460, 508, 558, 563. Gran Bretagna, 41, 202, 209, 222, 233, 305, 393, 460, 563. Francia: l) situazione interna, 377, 551. 2) rapporti con: Germania, 33, 133, 134, 140, 148, 161, 172, 174, 179, 221, 225, 239. 244, 250, 257, 258, 260, 262, 267, 273, 278, 280, 284, 286, 228, 291, 230, 295, 232, 315, 746

339, 340, 345, 375, 383, 420, 430, 433, 435, 438, 443, 457, 467, 497, 500, 536. Giappone, 394, 430, 541, 543. Gran Bretagna, 88, 95, 103, 113, 114, 115, 143, 147, 151, 172, 182, 232, 270, 319, 322, 327, 328, 332, 347, 425, 439, 457, 462, 524, 536, 551. Grecia, 326. Jugoslavia, 44, 63, 214, 216, 559, 575. Polonia, 249, 326. Romania, 200. Spagna, 329, 367, 371, 387, 536. Stati Uniti, 113, 114, 115, 325, 373, 376, 378, 384, 409, 474, 517, 524, 551. Turchia, 83, 382. Ungheria, 466. U.R.S.S., 200, 249, 452, 488, 490, 513, 536, 541, 560.

Germania:

l) situazione interna, 35, 108, 148, 225, 364, 372, 375, 414, 532, 544.

2) rapporti con:

Gran Bretagna, 174, 232, 270, 273, 278, 281, 282, 309, 311, 313, 314, 319, 323, 328, 332, 333, 334, 336, 339, 345, 347, 383, 407, 425, 435, 454, 503, 538. Jugoslavia, 214, 493. Santa Sede, 85. Stati Uniti, 235, 264, 272, 276. Ungheria, 383, 414, 544. U.R.S.S., 115, 297, 383, 490, 579.

Giappone:

l) situazione interna, 79.

2) rapporti con:

Gran Bretagna, 21, 394, 541, 543. Irlanda, 543. Spagna, 543. Stati Uniti, 21. Svezia, 543. U.R.S.S., 448, 541.

Gran Bretagna:

rapporti con: Hegiaz, 459. Persia, 512. Spagna, 371. Stati Uniti, 21, 113, 114, 115, 312, 314, 316, 319, 365, 369, 378, 406, 407, 409, 445, 524, 551.

Grecia:

rapporti con: Turchia, 72, 342.

Hegiaz:

situazione interna, 279, 447, 459, 540, 582.

Jugoslavia:

l) situazione interna, 16, 34, 43, 53, 64, 68, 178, 195, 214, 353, 357, 363, 397, 402, 414, 416, 424, 493, 495, 557, 569, 571.

2) rapporti con:

Polonia, 45. Romania, 535, 546, 564, 571, 577, 581. Ungheria, 195, 197, 414, 535.

Polonia:

rapporti con: Romania, 200. U.R.S.S., 200, 488, 560.

Romania:

rapporti con: Ungheria, 577. U.R.S.S., 200, 488, 541, 577.

Spagna:

situazione interna, 318, 498.

Statt Uniti:

rapporti con: U.R.S.S., 560.

Turchia:

rapporti con: U.R.S.S., 382.

Ungheria:

l) situazione interna, 408, 414, 429, 470. 2) rapporti con: U.R.S.S., 560.

INDICE DEI NOMI<1>

(l) l numeri rinviano alle pagine.

ABD-ALLAH IBN AL-HUSAIN, emiro di Transgiordania, 385, 386.

AcH, HERMANN, segretario di Stato per la Sicurezza Pubblica austriaco dal 20 maggio al 16 ottobre 1932, 74, 75, 170, 176, 177, 178, 266, 383.

AGHNIDES, THANASSIS, diplomatico greCO, capo della sezione disarmo al Segretariato della Società delle Nazioni, 182.

ALDROVANDI-MARESCOTTI, LUIGI, conte di Viano, ambasciatore, membro della commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, 507, 508, 509, 510.

ALESSANDRINI, ADOLFO, console a Klagenfurt fino al 21 aprile 1932, 47.

ALESSANDRO I, re di Jugoslavia, 2, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 43, 44, 45, 54, 70, 83, 93, 111, 162, 256, 257, 258, 259, 267, 268, 269, 270, 278, 300, 302, 305, 454, 455, 456, 457, 516, 537, 538, 542, 642, 662, 670, 671, 679, 682, 683, 684,

686.

ALFONSO XIII, ex re di Spagna, 430,

495.

'ALI IBN AL-HUSAIN, ex re dell'HigHi.z,

385.

ALOISI, PoMPEO, barone, ambasciatore ad Angora, dal 22 luglio 1932 capo gabinetto del ministro degli Esteri, 5, 6, 7, 11, 28, 30, 37, 91, 152, 263, 270, 278, 279, 280, 291, 292, 300, 306, 308, 309, 328, 342, 346, 363, 367, 373, 380, 381, 384, 386, 387, 388, 390, 391, 393, 394, 395, 396, 400, 401, 403, 404, 407, 424, 425, 429, 431, 434, 437, 439, 442, 449, 452, 457, 461, 464, 470, 478, 498, 502, 503, 505, 506, 507, 508, 510, 511, 512, 514, 536, 537, 545, 546, 547, 555, 563, 570, 571, 572, 573, 579, 588, 589, 590, 594, 595, 596, 607, 616, 617, 620, 625, 626, 627, 628, 629, 633, 634, 637, 638, 639, 646, 648, 650, 651, 664, 665, 666, 678, 684, 692, 699.

ALOMAR, GABRIEL, ambasciatore di Spagna a Roma, 340, 369, 421.

AMBRÒZY VON SEDEN UND REMETE, LAJOs, conte, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Ungheria a Vienna, 170, 568, 646.

ANGELINOVIé, BUDISLAV, uomo politico jugoslavo, 680.

ANICié, capitano distrettuale di Spalato, 613, 619, 627, 669.

ANTINORI, FRANCESCO, marchese, addetto stampa a Berlino, 639.

ANTié, CoLAK, ministro della Casa del Re di Jugoslavia, 686.

ANTié, MILAN, consigliere della legazione di Jugoslavia a Roma, incaricato d'affari, 255, 256.

ANZILOTTI, DIONISIO, professore UniVersitario, giudice della Corte Permanente di Giustizia Internazionale dell'Aja, 338, 342.

APIS (DIMITRIJEVIé DRAGUTIN), colonnello, nazionalista serbo, 162.

APPONYI, ALBERT, conte, UOmO politico ungherese, 42, 545, 587, 588.

APOR ZU ALTORIA GABOR, barone, direttore degli Affari Politici del ministero degli Esteri ungherese, 177.

ARGETOIANU, CONSTANTIN, ex ministro delle Finanze romeno, 655, 695, 697.

ARLOTTA, MARIO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Budapest fino al 5 ottobre 1932, 179, 520, 521, 522, 526.

ARNAL, PIERRE, consigliere dell'ambasciata di Francia a Berlino, incaricato d'affari, 246.

AsBURGO, OTTO, arciduca, pretendente al trono d'Austria-Ungheria, 545.

ASINARI SIGRAY DI SAN MARZRNO, LUIGI GABRIELE, conte, vice console a Locarne, 172.

ASTUTO DEI LUCCHESI, RICCARDO, governatore dell'Eritrea, 50, 87, 103, 104, 107, 114, 189, 190, 385, 386, 506, 563, 564, 565, 575, 576, 641, 647, 648,

701.

ATTOLICO, BERNARDO, ambasciatore a Mosca, 277, 279, 344, 402, 448, 507, 508, 509, 510, 541, 569, 602, 603, 605, 619, 620, 623, 674, 699, 700, 702.

AvENOL, JosEPH, segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni, 338, 339, 340, 393, 545, 546, 596.

AZANA Y DIAZ MANUEL, presidente del Consiglio spagnolo, 419, 490, 492, 493, 494, 495, 612.

AURITI, GIACINTO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Vienna, 17, 36, 45, 46, 52, 53, 66, 74, 84, 93, 99, 101, 130, 131, 142, 146, 171, 179, 234, 245, 246, 247, 253, 265, 273, 282, 287, 294, 327, 331, 380, 382, 448, 450, 458, 461, 520, 522, 524, 525, 526, 528, 554, 555, 580, 585, 593, 596, 597, 608, 619, 629, 632, 643, 658, 663, 674.

AVERESCU, ALEXANDRU, generale, ex presidente del Consiglio romeno,

693.

BAKACH-BESSENYEY, G., barone von, consigliere della legazione di Ungheria a Vienna, incaricato d'affari, 66, 458, 460.

BAJAMONTI, ANTONIO, uomo politico dalmata, 539.

BALBO, lTALO, generale di squadra aerea, ministro dell'Aeronautica, 33, 247, 251, 252, 274, 275, 276, 277, 278, 286, 295, 531, 629, 639, 640.

BALDONI, ALESSANDRO, professore di diritto internazionale, 152.

BALDWIN, STANLEY, presidente del Consiglio Privato britannico, dal 29 novembre 1932 anche Lord del Sigillo Privato, 159, 299, 370, 464, 501.

BALSAMO, GIOVANNI, capo dell'Ufficio l della Direzione Generale America, Asia e Australia, 507.

BALUGié, ZIVOJIN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Berlino, 301, 542.

BARRERA Y LUYANDO, EMILIO, generale spagnolo, 340, 369, 421.

BARRÈRE, CAMILLE, ex ambasciatore di Francia a Roma, 187, 601.

BARTOLO, sir AUGUSTUS, ministro dell'Istruzione Pubblica e dell'Emigrazione maltese, 399.

BARTON, MARY ETHEL WINIFRED, nata MACEWEN, 153, 154.

BARTON, sir SIDNEY, inviato straordinaro e ministro plenipotenziario di Gran Bretagna ad Addis Abeba, 245,

349.

BARTHOU, Louis, ex ministro degli Esteri francese, 600.

BASCH, VICTOR, membro della Lega dei diritti dell'uomo, 118.

BASSANESI, GIOVANNI, antifascista, 117.

BASTIANINI, GIUSEPPE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ad Atene, 81, 96, 97.

BAUER, ANTON, arcivescovo di Zagabria, 162.

BEAUMARCHAIS, vedi Delarue.

BEDEKOVIé, JANKO, capo della sezione sicurezza pubblica del ministero dell'Interno jugoslavo, 258.

BEHAR CALEFF, F'LORA, cittadina italiana residente a Sofia, 558.

BENEDUCE, ALBERTO, finanziere, 156, 164, 184, 190.

BENES, EDWARD, ministro degli Esteri cecoslovacco, 8, 55, 56, 57, 58, 63, 64, 65, 247, 250, 251, 252, 263, 264, 286,

51 -Documenti diplomatici -Serle VII -Vol. XII

289. 290, 401. 404, 445, 595, 626, 672, 673, 679, 696, 699, 703.

BENNI, ANTONIO STEFANO, presidente della Confederazione Generale Fascista dell'Industria, 2.

BENZONI, GIORGIO, console a DamaSCO, 453.

BEREND, P., giornalista tedesco, 444.

BÉRENGER, HENRI, senatore francese, presidente della commissione per gli Affari Esteri, 442, 443, 470, 517, 540, 570, 571, 579, 591, 600, 601, 602, 615.

BERGEN, DIEGO, von, ambasciatore di Germania presso la Santa Sede, 113.

BERNERI, CAMILLO, antifascista, 117.

BERNSTORFF, ALBRECHT, conte VOn, consigliere dell'ambasciata di Germania a Londra, incaricato d'affari, 226, 239, 240, 246, 277, 331, 356, 433, 434,

435.

BERTHELOT, PHILIPPE, Segretario generale agli Esteri francese, 22, 197, 517, 591, 601, 604, 615, 616, 680.

BESNARD, RENÉ, ex ambasciatore di Francia a Roma, 198, 591, 601, 615,

616.

BETHLEN DE BETHLEN, !STVÀN, conte, uomo politico ungherese, 56, 170, 419, 437, 498, 521, 522, 523, 524, 525, 526, 532, 535, 538, 646.

BIANCHERI CHIAPPORI, AUGUSTO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato del riordinamento degli archivi politici del ministero degli Esteri, 507.

BIANCHI, G., 51.

Bmovié, irrendentista jugoslavo, 305

BIZOT, J.J., direttore generale al Ministero delle Finanze francese, 50.

BOCKELBERG, vedi Vollard Bockelberg.

Bms, giornalista francese, redattore capo del Petit Parisien, 514, 570.

BONNET, GEORGES, ministro dei Lavori Pubblici francese dal 14 dicembre 1932, 616.

BONOMI, !VANOE, ex presidente del Consiglio, 243.

BONZANI, ALBERTO, generale, senatore del Regno, capo di Stato Maggiore dell'Esercito, 33, 51.

BORBONE PARMA, SISTO, principe, 273.

BoRDONI, funzionario dell'Istituto Nazionale per l'Esportazione, 2.

BOSIO, GIOVANNI JACK, segretario dell'ambasciata a Londra, 684.

BOTTAI, GIUSEPPE, ministro delle Corporazioni fino al 20 luglio 1932, 21, 78.

BOURGEOIS, LÉON, uomo politico francese, 548.

BOURQUIN, MAURICE, delegato belga alla Società delle Nazioni, 445, 446.

BRADICEANU, CAIUS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Romania a Vienna dal 12 luglio 1932, 580.

BRANDENBURG, ERNST, capo della sezione aeronautica al ministero dei Trasporti tedesco, 639.

BRANDICié, GERMANO, italiano residente in Jugoslavia, 558.

BRAUN, MAGNUS, barone von, ministro per l'Alimentazione tedesco dal 1° giugno 1932, 427, 432.

BRESCIANI-TURRONI, COSTANTINO, economista, 9.

BRIANO, ARISTIDE, uomo politico francese, 2, 10, 128, 195, 197, 207, 211, 214, 217, 239, 287, 337, 604.

BROCCHI, !GINO, ex consulente giuridico del ministero degli Esteri, 25, 52, 95, 181, 184.

BRUNING, HEINRICH, cancelliere del Reich tedesco fino al 31 maggio 1932, 11, 20, 24, 41, 42, 61, 62, 113, 133, 215.

BuDAK, MrLE, irredentista croato, 610.

BULOW, BERNHARD, principe von, segretario di Stato agli Esteri tedesco, 8, 11, 20, 42, 50, 206, 245, 246, 276, 309, 310, 311, 329, 334, 341, 412, 413, 414, 426, 438, 439, 472, 560, 561, 611.

BULOW, DANKWARD CHRISTIAN, consigliere della legazione di Germania a Roma, incaricato d'affari, 360, 361.

BuRESH, KARL, cancelliere e ministro degli Esteri austriaco fino al 19 maggio 1932, 52, 522, 523.

BuTI, Gmo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario in servizio presso la Direzione Generale per gli Affari della Società della Nazioni, dal 3 novembre 1932 direttore generale degli Affari Politici, 42, 50, 163, 231, 334, 346, 369, 385, 398, 399, 401, 402, 413, 440, 453, 502, 504, 505, 506, 507, 509, 510, 520, 555, 563, 569, 580, 613, 614, 619, 622, 647, 657, 664, 665, 666, 675, 677, 692, 693, 699, 703, 705.

BUTLER, HAROLD BERESFORD, direttore dell'Umcio Internazionale del Lavoro, 339.

CADOGAN, ALEXANDER, funzionario del Foreign Omce, 290, 291, 415.

CAILLAUX, JOSEPH, UOmO politico francese, 68, 82, 323, 540, 643.

CAIX DE SAINT-AYMOUR, ROBERT, conte de, rappresentante francese nella commissione mandati della Società delle Nazioni, 320.

CALISSE, CARLO, senatore del Regno,

152.

CAMPBELL, sir DAVID G. M., governatore di Malta, 466.

CAMPINI, UMBERTO, console ad Harrar,

293.

CANTALUPO, ROBERTO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario al Cairo, 605, 636, 664, 666.

CARAVALE, ERASMO, consigliere commerciale dell'ambasciata a Parigi, 602.

CARLO I, imperatore di Austria-Ungheria, 236, 278.

CAROL II, re di Romania, 642, 686.

CAROSELLI, FRANCESCO SAVERIO, reggente il governo della Somalia, 409.

CARTIER DE MARCHIENNE, EMILE, barone de, ambasciatore del Belgio a Londra, 519.

CASSA vedi K assa.

CASTIGLION!, CAMILLO, banchiere, 644.

CASTLE, WILLIAM RICHARD junior, segretario di Stato assistente degli Stati Uniti, 332, 333, 353, 354, 375, 418, 428, 469, 487.

CAVALLERO, Uao, conte, generale, presidente della Società Ansaldo, 28, 241, 242.

CAVALLETTI, FRANCESCO, segretario dell'Umcio Stampa del ministero degli Esteri, 164.

CECIL OF CHELWOOD, ROBERT, l 0 visconte, delegato britannico nella commissione preparatoria della conferenza del disarmo, 41, 365, 404.

CERRUTI, VITTORIO, ambasciatore a Berlino dall'ottobre 1932, 465, 475, 486, 515, 516, 519, 531, 539, 541, 555, 560, 581, 611, 613, 619, 639, 640, 646, 658,

681.

CERULLI, ENRICO, capo divisione del ministero delle Colonie, 292, 293.

CHAMBERLAIN, sir AUSTEN, Uomo politiCO britannico, 360, 363, 365, 514,

515.

CHAMBERLAIN, NEVILLE, cancelliere dello Scacchiere britannico, 132, 193, 194, 208, 209, 210, 276.

CHAMBRUN, Vedi Pineton.

CHASTENET, JACQUES, giornalista francese, d:irettore del Temps, 198, 601.

CHÉRON, HENRI, uomo politico francese,

138.

CHIARAMONTE BORDONARO, ANTONIO, ambasciatore a Londra fino al luglio 1932, 61, 296.

CHIAVOLINI, ALESSANDRO, capo della segreteria particolare del Capo del Governo, 115.

CHIESA, EUGENIO, uomo politico, 117.

CHURCHILL, WINSTON, uomo politico britannico, 226.

CIANCA, ALBERTO, antifascista, 117.

CIANCARELLI, BONIFACIO FRANCESCO, capo dell'u!H.cio di Politica Economica al ministero degli Esteri, 11, 342,

547.

CIANO, GALEAZzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Shangai, 541, 558.

CICCONARDI, VINCENZO, consigliere dell'ambasciata a Berlino, incaricato d'affari, 402, 413, 415, 416, 438, 445, 446, 448, 471.

CIMMARUTA, ROBERTO, capitano, 410.

CIUCHI, Ezro, italiano residente in Jugoslavia, 558.

CLAUDEL, generale francese, membro della commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, 507, 508.

CLAUDEL, PAUL, ambasciatore di Francia a Washington, 475.

CLAUZEL, BERTRAND, conte de, inviato straordinario e ministro pienipoten

ziario di Francia a Vienna, 49, 52, 580, 631, 632.

CLEMENCEAU, GEORGES, ex presidente del Consiglio francese, 207, 212, 394,

442.

COLETTE, GABRIELLE-SIDONIE, scrittrice francese, 680.

COLLIER, R., 114, 115, 144, 145.

COLLOREDO-MANSFELD, FERDINAND, conte, diplomatico austriaco, 273, 274.

COLONNA, ASCANIO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Budapest dal 6 ottobre 1932, 435, 448, 502, 538, 545, 561, 568, 580, 587, 606.

CONRAD VON HOTZENDORF, FRANZ, feldmaresciallo austriaco, 443.

CORA, GIULIANO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Sofia, 31, 253, 264, 448, 484, 558.

COSMACINI, GIUSEPPE, colonnello, 112.

CoT, PIERRE, deputato francese, 66.

CRAIGIE, ROBERT LESLIE, diplomatico inglese, 298, 299, 300, 502.

CuBEDDU, LUIGI, colonnello, comandante delle truppe in Eritrea, 51.

CUNLIFFE-LISTER, sir P H ILIP, segretario di Stato alle Colonie britannico, 465, 544.

CURTIUS, JULIUS, ex ministro degli Esteri tedesco, 463.

DABBAG, HUSSEIN, capo del «partito liberale » dell'HegHi.z, 385, 386.

DALADIER, ÉDOUARD, dal 4 giugno 1932 ministro dei Lavori Pubblici francese, dal 14 dicembre 1932 ministro della Guerra, 66, 673.

DALIMIER, ALBERT, ministro del Lavoro francese, 495.

DAMPIERRE, ROBERT, conte de, consigliere dell'ambasciata di Francia a Roma, incaricato d'affari, 164, 165, 309, 310, 311, 328, 333, 341, 342, 345, 692, 703.

DANIÉLOU, CHARLES, uomo politico francese, 195.

D'ANNUNZIO, GABRIELE, 455.

DAVIS, NORMAN, capo della delegazione degli Stati Uniti alla conferenza del disarmo, 21, 40, 408, 414, 415, 418, 423, 464, 466, 469, 470, 474, 477, 487, 499, 501, 502, 520, 528, 529, 553, 561, 577, 582, 585, 589, 590, 592, 598, 612, 626, 628, 633, 638, 646, 648, 660, 661.

DAWES, CHARLES GATES, generale, ex ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, 206, 310, 311.

DE BIASE, ANTONINO, prefetto di Fiume, 538.

DE BoNo, EMILIO, generale, ministro delle Colonie, 25, 26, 50, 51, 53, 86, 107, 189, 409, 502, 503, 504, 505, 506, 507, 564, 565, 576, 623, 640, 666, 701.

DE BOSIS, ADOLFO LAURO, antifascista,

117.

DE Cieco, ATTILIO, console generale a Beirut, 453.

DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA, FILIPPO, addetto al Gabinetto del ministro degli Esteri, 8, 9.

DE FELICE, R., 211, 238.

DELARUE CARON DE BEAUMARCHAIS, MAURICE-PAUL-JEAN, ambascdatore di Francia a Roma, 198, 401, 452, 601.

DELCASSÉ, THÉOP HILE, ex ministro degli Esteri francese, 207, 323.

DEL VECCHIO, GIUSEPPE, funzionario del ministero delle Finanze, 342.

DE MARTINO, GIACOMO, ambasciatore a Washington, 61, 105, 329, 330, 332, 344, 353, 354, 356, 362, 363, 375, 381, 418, 424, 428, 446, 448, 469, 474, 657.

DE MICHELIS, GIUSEPPE, ambasciatore, senatore del Regno, consigliere del Contenzioso diplomatico, 8.

DE PEPPO, 0TTAVIO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Gedda dal maggio 1932, 386.

DE ROSSI DEL LION NERO, PIER FILIPPO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ad Atene dal 28 ottobre 1932, 440, 441.

DE RUBEIS, ANGELO, capo gabinetto del ministro delle Colonie, 502.

DEvcaé, MATTEO, irredentista croato,

327.

DIANA, PASQUALE, marchese, capo dell'Ufficio I della direzione generale

Società delle Nazioni, dal 12 novembre 1932 incaricato d'affari a Washington, 619, 635, 657.

DOLLFUSS, ENGELBERT, ministro dell'Agricoltura e Foreste austriaco, dal 20 maggio 1932 cancelliere federale e ministro degli Esteri 75, 94, 100, 101, 102, 144, 146, 170, 176, 177, 178, 191, 233, 265, 266, 282, 283, 288, 298, 383, 436, 451, 458, 459, 461, 478, 479, 498, 502, 518, 524, 525, 526, 533, 534, 535, 536, 544, 553, 554, 555, 561, 567, 568, 569, 574, 575, 579, 580, 585, 586, 587, 590, 593, 594, 597, 606, 607, 608, 609, 610, 619, 620, 629, 630, 631, 632, 643, 644, 645, 646, 658, 659, 663, 674, 675, 685.

DOMINIQUE, PIERRE (LUCCHINI PIETRO), giornalista francese, redattore della République, 116, 117, 118, 119, 324,

673.

DONATI, GIUSEPPE, giornalista e Uomo politico, 117.

DouMER, PAUL, ex presidente della Repubblica francese, 54.

DoYNEL DE SAINT-QUENTIN, RENÉ, conte, capo della sottodirezione Africa del ministero degli Esteri francese, 129, 130, 309.

DREYFus, banchiere francese, 680.

DRUMMOND, sir ERre, segretario generale della Società delle Nazioni, 52, 64, 181, 224, 251, 338, 340, 380, 381, 546, 595, 596.

Duccr, GINO, ammiraglio, capo di Stato Maggiore della Marina, 33.

DUDAN, ALESSANDRO, conte, deputato al Parlamento, 93.

DUFOUR-FÉRONCE, ALBERT, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Germania a Belgrado, 687.

DULLES, ALLAN WELSH, consigliere giUridico della delegazione degli Stati Uniti alla conferenza del disarmo, 501, 562, 577.

DuPuY, CHARLES, giornalista francese, proprietario del Petit Parisien, 514, 515, 570, 602.

EBERT, FRIEDRICH, ex presidente del Reich tedesco, 253.

EGGER-MOLLWALD, LOTHAR, von, inviato straordinario e ministro plenipotenziario d'Austvia a Roma, 478, 479, 480, 498, 511, 523, 526, 554, 555, 561, 629.

ELENA, regina d'Italia, 273.

EPP, FRANZ XAVER, VOn, generale tedesco, 639.

EYNAC, ANDRÉ-VICTOR-LAURENT, ex ministro dell'Aeronautica, membro della delegazione francese alla conferenza del disarmo, 116, 117.

FABBRI, UMBERTO, tenente COlonnello, addetto militare e aeronautico a Vienna, 246, 249, 586, 631.

FAGIUOLI, direttore della Società Anonima Eritrea, 622.

FAISAL I, re dell'Ira!(, 385, 386, 575, 701.

FANI, AMEDEO, sottosegretario agli Esteri fino al 20 lugl,io 1932, 3, 4, 106, 150, 152, 160, 172, 210.

FEDERZONI, LUIGI, presidente del Senato, 392, 400, 531, 591.

FEY, EMIL, maggiore austriaco, capo delle Heimwehren di Vienna, dal 17 ottobre 1932 segretario di Stato della Sicurezza Pubblica, 17, 18, 383, 450, 460, 608, 609, 630, 631.

FIERLINGER, ZDENEK, inviato straordinario e ministro plenipotenziar.io di Cecoslovacchia a Vienna dal 30 settembre 1932, 580.

FILALITY, G., segretario generale del ministero degli Esteri romeno, 281, 282, 705.

FISCHER, HERBERT, COlonnello tedeSCO, 485, 486.

FLANDIN, PIERRE-ÉTIENNE, ministro delle Finanze francese fino al 3 giugno 1932, 25, 50.

FLEURIAU, AIMÉ, de, ambasciatore di Francia a Londra, 298, 330, 355, 519.

FOSCHI, lTALO, prefetto di Pola, 538.

FoTré, KosTA, ministro aggiunto degli Esteri jugoslavo, 106, 185, 679.

FRANCESCHINI, ANTONIO, tenente COlonnello, addetto militare a Belgrado,

303.

FRANCHETTI, RAIMONDO, barone, esploratore, 31, 35, 36, 39, 40, 52, 71, 76, 77, 98, 103, 104, 107, 114, 129, 130, 307, 314, 318, 319, 322, 346, 349, 350, 351, 614, 621.

FRANçOis-PONCET, ANDRÉ, ambasciatore di Francia a Berlino, 259, 309, 310, 311, 325, 328, 329, 334, 335, 336, 341, 359, 363, 417, 438, 446, 463, 548, 560,

612.

FRASHERI, MEHDI, presidente del Consiglio di Stato albanese, 203, 229, 270.

FRAUENFELD, ALFRED EDUARD, capo dei nazionalsocialisti austriaci, 66, 84, 85, 86, 142.

FRIEDRICH, !STVAN, uomo politico ungherese, 264.

FRIGERIO, rappresentante della Banca Commerciale Italiana a Parigi, 615.

FROHWEIN, HANS, segretario generale della delegazione tedesca alla conferenza del disarmo, 407.

FUMAGALLI, FILIPPO, capitano di Vascello, addetto navale a Parigi, 152.

GABELLI, OTTONE, direttore generale per le colonie dell'Africa Orientale· al ministero delle Colonie, 25, 26, 502, 504, 506.

GAIFFIER D'ESTROY, EDMOND, barone de, ambasciatore del Belgio a Parigi,

467.

GALLI, CARLO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Belgrado, 2, 12, 13, 43, 54, 83, 91, 106, 111, 161, 185, 257, 267, 268, 269, 271, 300, 456, 461, 536, 537, 557, 591, 618, 621, 626, 641, 657, 662, 667, 671, 679, 681,

684.

GARié, GIUSEPPE STEFANO, VeSCOVO di Banjaluka, 162.

GARNICA DE CASTRO, C., segretario della legazione di Spagna a Belgrado,

54.

GARRETT, JOHN WORK, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, 119, 150.

vembre 1932 ambasciatore a Roma, 303, 427, 431, 432, 457, 463, 465, 471, 472, 473, 474, 607, 634, 647, 657, 699.

HELD, HEINRICH, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri, dell'Economia e del Lavoro bavarese, 467, 586, 587.

HENDERSON, ARTHUR, ex ministro degli Esteri britannico, presidente della conferenza del disarmo, 120, 125, 147, 153, 154, 174, 182, 188, 251, 365, 368, 371, 378, 389, 393, 394, 395, 396, 407, 429, 430, 449, 553, 556, 638.

HENDERSON, NEVILLE MEYRICK, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Belgrado, 670.

HENNESSY, JEAN, ex ministro dell'Agricoltura francese, 198.

HENRY, JULES, consigliere dell'ambasciata di Francia a Washington, incaricato d'affari, 332.

HEPBURN, ARTHUR J., contrammiraglio, membro della delegazione degli Stati Uniti alla conferenza del disarmo, 577.

HERBETTE, JEAN, ambasciatore di Francia a Madrid, 496.

HERRIOT, ÉDOUARD, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese dal 4 giugno al 13 dicembre 1932, 54, 66, 67, 72, 74, 79, 80, 81, 82, 115, 116, 117, 122, 123, 125, 126, 127, 128, 129, 132, 133, 143, 144, 147, 148, 151, 154, 159, 167, 168, 169, 170, 174, 180, 181, 183, 186, 191, 192, 193, 194, 195, 196, 197, 198, 201, 202, 205, 206, 207, 212, 213, 214, 215, 216, 223, 225,

238, 239, 240, 252, 256, 259, 277, 286, 287, 323, 324, 341, 359, 366, 371, 374, 389, 390, 392, 393, 394, 396, 397, 398, 400, 401, 404, 405, 406, 408, 412, 422, 423, 425, 428, 429, 430, 432, 433, 434, 435, 443 447, 448, 460, 463, 464, 465, 467, 469, 474, 476, 477, 487, 488, 489, 490, 491, 493, 495, 514, 515, 517, 518, 529, 530, 531, 540, 541, 543, 545, 555, 560, 569, 570, 571, 574, 577, 579, 581, 585, 588, 589, 590, 597, 598, 601, 603, 604, 612, 613, 615, 616, 625: 626, 632, 634, 635, 642, 643, 648, 660, 661, 673,

699.

HERUI, WALDA SELLASE, ministro degli Esteri etiopico, 71, 76, 77, 98, 245, 307, 312, 314, 614, 621, 678.

HESSEN, PHILIP, principe, 471.

HESSEN, WOLFGANG, principe, 639.

HINDENBURG, PAUL LUDWIG VON BENECKENDORFF, maresciallo, presddente della Repubblica tedesca, 133, 280, 324, 326, 352, 383, 531, 640.

HITLER, AooLF, capo del partito nazionalsocialista, 17, 45, 46, 48, 49, 76, 85, 86, 100, 102, 114, 115, 130, 142, 144, 145, 152, 160, 223, 254, 255, 265, 301, 303, 326, 332, 333, 374, 383, 427, 432, 451, 459, 460, 462, 463, 468, 471, 472,

534.

HOESCH, LEOPOLD, VOn, ambasciatore di Germania a Parigi, 238, 239, 259.

HORNBOSTEL, THEODOR, von, diplomatiCO austriaco, 146.

HOOVER, HERBERT CLARK, presidente degli Stati Uniti, 22, 137, 147, 148, 149, 153, 154, 155, 159, 160, 163, 169, 174, 182, 188, 189, 195, 210, 213, 287, 290,

299, 355, 358, 362, 365, 368, 374, 375, 376, 381, 382, 415, 518, 423, 428, 450, 464, 474, 475, 477, 487, 499, 500, 501, 528, 551, 556, 583, 634, 635.

liORTHY VON NAGYBANJA, MIKLÒS, reggente del Regno di Ungheria, 403, 522, 526, 532, 533.

HoRY, ANDRAS, de, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Ungheria a Roma, 403, 419, 436, 448, 511, 580, 606.

HUBER, FRANZ, deputato austriaco, 265.

HUGENBERG, ALFRED, capo del partito tedesco nazionale, 17, 142, 265, 332, 428, 469.

HURST, sir CECIL J. B., giudice della Corte Permanente di Giustizia Internazionale dell'Aja, 216.

IBN SAuD, sultano del Neged e re dell'Higiaz, 385, 386, 563, 575, 576, 647,

701.

IMER, cagnasmacc etiopico, 104.

IRWIN, EnwARD Woon, 1° lord, ministro della Pubblica Istruzione britannico dal 16 luglio 1932, 297.

IsMET, MusTAFÀ, pascià, presidente del Consiglio turco, 5, 6, 7, 11, 30, 37, 38, 96, 97, 108, 109, 110, 111, 153, 333, 440, 482, 483.

JABLANovré, bano di Spalato, 557, 592,

613.

JABOTINSKIJ, VLADIMIR EUGENEVIC, capo del movimento sionista revisionista, 260, 261, 262.

JACOMONI, FRANCESCO, VICe capo gabinetto del ministro degli Esteri, segretario generale aggiunto della delegazione alla conferenza del disarmo, 8, 180, 241, 366, 381, 512, 629.

JAKONCIG, Gumo, ministro del Commercio e delle Comunicazioni austriaco dal 20 maggio 1932, 74, 75, 93, 94, 95, 96, 100, 170, 171, 176, 177, 178, 179, 207, 233, 254, 282, 284, 285, 287, 288, 294, 295, 327, 328, 331, 460, 461, 561, 609, 620, 632.

JAsu, ligg, ex imperatore d'Etiopia, 104, 140, 312, 503.

JEFTié, BOGOLJUB, ministro degli Esteri jugoslavo dal 2 luglio 1932, 14, 257, 267, 268, 269, 271, 300, 400, 619, 626, 662, 667, 668, 669, 670, 671, 679, 680, 689, 690, 696, 703.

JOUVENEL, HENRI, de, senatore francese, dal 29 dicembre 1932 ambasciatore a Roma, 540, 680, 703.

JOVANOVIé, JOVAN, detto PIZON, ex deputato jugoslavo, capo del partito agrario, 84.

JuLLIEN, ALBERT, giornalista francese, redattore del Petit Parisien, 116.

JuRICié-STOURM, M., ministro aggiunto degli Esteri jugoslavo, 626, 627.

KAAs, LunwrG, monsignore, capo del partito del Centro tedesco 113.

KAFANDARIS, GEORGIOS, ex presidente del Consiglio greco, 527.

KALLAY VON NAGY-KALLÒ, NIKOLAUS, ministro dell'Agricoltura ungherese,

580.

KARAGEORGEVIé, JURAI, principe, 162.

KARAKHAN, LEV MICHAJLOVIC, commissario del popolo aggiunto per gli Esteri sovietico, 563.

KAREco, L., ministro delle Finanze albanese, 637.

KAROLYI voN NAGYKAROLY, GJULA, conte, presidente del Consiglio ungherese fino al 29 settembre 1932, 523,

526.

KAROVIé, PAVLE, direttore degli Affari Politici al ministero degli Esteri jugoslavo, 112, 185, 271.

KAssA, DARGHIÈ, ras etiopico, governatore della provincia di Gondar, 77,

140.

KELLOGG, FRANK BILLINGS, ex segretario di Stato degli Stati Uniti, 287, 603,

650.

KEMAL, MUSTAFÀ, pascià, presidente della Repubblica turca, 38, 109, 111.

KERRL, HANS, presidente del Landtag prussiano, 639.

KHUEN-HEDERVARY, SANDOR, segretario generale agli Esteri ungherese, 568,

569.

KIENBOCK, VIKTOR, presidente della Banca Nazionale austriaca, 632.

KIRK, ALEXANDER C., Consigliere dell'ambasciata degli Stati Uniti a Roma, incaricato d'affari, 639.

Kisswv, A., generale, ministro della Guerra bulgaro, 484.

KOCH, OTTAVIANO ARMANDO, consigliere dell'ambasciata ad Angora, incaricato d'affari, dal novembre 1932 inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Tirana, 108, 485, 637.

KOEPKE, GERHARD, capo sezione al ministero degli Esteri tedesco, 223, 256, 417, 418, 438, 445, 446.

KONITZA, MEHMET, bey uomo politico albanese, 308, 309.

Koo, VI -KYYIN WELLINGTON, delegato cinese alla Commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, dal 13 ottobre 1932 inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Parigi, 628.

KoRosEc, ANTON, uomo politico jugoslavo, 54, 70, 93, 162, 512, 516.

KoTTA, KosTA, presidente della Camera albanese, 32, 34.

KRIPTovré, generale jugoslavo, 161.

KROFTA, KAMIL, ministro aggiunto degli Esteri cecoslovacco, 55, 56, 63.

KUNSCHAK, LEOPOLD, deputato austriaCO, 265.

KURSKY, DIMITRIJ, ambasciatore dell'U.R.S.S. a Roma fino al 30 ottobre 1932, 6, 38.

LABORDE, DE, ammiraglio, membro della delegazione francese alla conferenza del disarmo, 577.

LAMMERS, HANS, segretario di Stato e capo della Cancelleria del Reich, 343.

LA PROVA, VIRGILIO, italiano residente in Svizzera, 172, 173.

LARGO CABALLERO, FRANCISCO, ministro del Lavoro spagnolo, 421.

LA RiviÈRE, CHARLES, ingegnere francese, 410.

LAROCHE, JuLES, ambasciatore di Francia a Varsavia, 680.

LAVAL, PIERRE, ministro del Lavoro francese fino al 4 giugno 1932, 72, 118, 133, 195, 198, 200, 359, 604, 634.

LEBRUN, ALBERT, presidente della Repubblica francese dal 10 maggio 1932, 374, 632.

LEFEBVRE, D'OVIDIO, F., 520.

LEITNER, RUDOLF, consigliere dell'ambasciata di Germania a Washington, incaricato d'affari, 332, 362.

LEITH Ross, sir FREDERICK WILLIAM, esperto finanziario britannico, 209,

210.

LEPETIT, generale, addetto militare di Francia a Belgrado, 304.

LESSONA, ALESSANDRO, Sottosegretario alle Colonie, 502, 505, 507.

LEvn:soN, capo di una missione commerciale russa a Milano, 700, 703.

LEYGUES, GEORGES, ministro della Marina francese, 562, 577.

LIBERATI, EMIDIO, maggiore, 639.

LIBOHOVA, EKREM, bey, ministro della Casa Reale d'Albania, 58, 226, 306, 308, 546, 547.

53 -Documenn d1plomattc1 -Serie VII -Vol. XII

LITVINOV, MAKSIM MAKSIMOVIC, commissario del popolo per gli Esteri sov~etico, 9, 28, 29, 152, 277, 278, 563, 569, 604, 620, 621, 625, 648, 649, 702,

703.

LLOYD GEORGE, DAVID, ex primo ministro britannico, 226.

LOJACONO, VINCENZO, incaricato degli affari d'Albania, direttore generale del Lavoro Italiano all'estero, dal 26 novembre 1932 ambasciatore ad Angora, 32, 33, 34, 35, 202, 263, 333,

481.

LONDONDERRY, sir CHARLES STEWARD IIENRY VANE-TEMPEST-STEWART, 7° marchese di, segretario di Stato all'Aviazione britannico, 134, 148, 154.

LORAINE, sri PERCY LYHAM, 12° barone di Kirkharle, alto commissario britannico in Egitto, 636.

LUDWIG, EMIL (EMIL COHN) scrittore tedesco, 223, 244.

LUTSEMBURG MAAS, A., van, ingegnere al servizio del Governo etiopico, 409.

LYTTON, VICTOR ALEXANDER GEORGE RoBERT, 2° conte di, uomo politico inglese, presidente della commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, 182, 507, 508, 509, 51~ 540, 546, 55~ 594, 595, 61~ 628, 652, 653.

MAc CLOY, maggiore generale americano, membro della commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, 507.

MACDONALD, lSABEL, 154, 192, 193.

MACDONALD, JAMES RAMSAY, primo ministro britannico, 20, 21, 24, 27, 41, 61, 62, 115, 116, 120, 122, 123, 125, 126, 127, 132, 133, 143, 144, 147, 148, 149, 150, 153, 154, 155, 157, 163, 165, 167' 175, 180, 183, 192, 193, 194, 205, 206, 208, 210, 213,. 215, 232, 252, 276, 369, 370, 371, 37~ 414, 42~ 423, 42~ 430, 433, 434, 446, 447, 448, 449, 464, 574, 577, 579, 588, 607, 616, 617, 626, 634, 635, 638, 639, 646, 684, 699.

MAcDONALD, PETER DRUMMOND, deputato britannico, 10.

MACEK, VLADIMIR, uomo politico croato, 15, 16, 70, 461, 462, 512, 513, 516, 610, 682, 690.

MADARIAGA, SALVADOR, DE, ambasciatore di Spagna a Parigi, delegato alla conferenza del disarmo, 9, 425, 595, 652, 653.

MAFFEI, ARTURO, console ad Harbin,

559.

MAKONNEN, ras etiopico, 293.

MAJONI, GIOVANNI CESARE, ambasciatore a Tokio, 105, 344, 507, 508, 509,

541.

MALAGOLA CAPPI, GUIDO, antiquario, 3, 12, 43, 267, 269, 270, 454.

MAMELI, FRANCESCO GIORGIO, consigliere dell'ambasciata a Londra, incaricato d'affari, 225, 290, 344, 355, 398, 412, 416, 417, 422, 424, 429, 432, 433, 434, 435, 446, 447, 519, 520, 629.

MANCINELLI, GIUSEPPE, tenente Colonnello, addetto militare a Berlino, 485, 518, 519, 541, 542, 580, 581, 681.

MANDié, ANTE, uomo politico jugoslavo, 93.

MANDL, FRITZ, industriale austriaco, 17, 75, 170, 171, 177, 179, 208, 248, 249.

MANNERINI, ALBERTO, tenente Colonnello, addetto militare ad Angora, 7, 38.

MANZONI, GAETANO, conte, ambaSC·iatore a Parigi fino al 4 ottobre 1932, l, 6, 19, 61, 66, 72, 73, 79, 81, 103, 115, 116, 127, 129, 152, 169, 181, 186, 198, 252, 286, 309, 323, 329, 335, 344, 352, 359, 960, 366, 374, 389.

MARCHI, GIOVANNI, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Berna, 172.

MARIA, regina di Jugoslavia, 13, 16, 456.

MARINKOVIé, VOIJSLAV, ministro degli Esteri jugoslavo, dal 4 aprile fino al l o luglio 1932 anche presidente del Consiglio, 2, 9, 14, 25, 30, 44, 45, 54, 55, 56, 70, 83, 84, 91, 92, 93, 106, 112, 161, 162, 186, 257, 267, 269, 302, 305, 619, 627, 662, 669, 670, 683.

MARCKS, ERICH, maggiore capo dell'UfficiO Stampa del ministero degli Esteri tedesco, 325.

MARONI, PAOLO, capitano di vascello, 169, 502.

MARTIN, WILLIAM, giornalista svizzero, 160, 594.

MARUSié, FRANCESCO, irredentista jugoslavo, 305.

MASARYK, THOMAS GARRIGUE, presidente della Repubblica cecoslovacca, 443, 444, 445.

MASSIGLI, RENÉ, capo dell'Ufficio Società delle Nazioni al ministero degli Esteri francese, 42, 50, 392, 393, 400, 438, 446, 553, 556, 562, 661, 662.

MASTNY, VOJTECH, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Cecoslovacchia a Roma fino al 27 .J.uglio 1932, 55, 63.

MATI, ABDURRAMAN (KROSI) consigliere di re Zog, 59, 60, 68, 69, 226, 452.

MATSUOKA, YOSUKE, delegato del Giappone alla Società delle Nazioni, 563, 564, 594.

MAXIMOVIé, B,. ministro della Giustizia jugoslavo, 83.

MAZZOTTI, VITTORIO, informatore, 262,

263.

MELI LUPI DI SORAGNA, ANTONIO, marchese, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Tirana fino al novembre 1932, 32, 33, 34, 58, 68, 78, 203, 226, 269, 292.

MELLINI PONCE DE LEON, ALBERTO, segretario dell'Ufficio I della direzione generale Europa, Levante ed Africa,

507.

MELLON, ANDREW W., ambasciatore degli Stati Uniti a Londra, 519, 520.

MENELIK II, imperatore d'Etiopia, 312, 576, 665.

MENOTTI CORVI, ANTONIO, addetto commerciale a Varsavia 270.

MICHALACOPULOS, ANDREAS, ministro degli Esteri greco, 440.

MIHAILOV, IVAN, membro del comitato centrale dell'Organizzazione Rivoluzionaria Macedone Interna, 262, 263.

MlKLAS, WILHELM, presidente della Repubblica austriaca, 75, 94, 100, 176, 233, 234, 283, 382, 383, 645, 658.

MILOVANOVIé, M., generale, capo di Stato Maggiore jugoslavo, 689, 696,

703.

MIZZI, ENRICO, deputato maltese, 466, 476, 513.

MODIGLIANI, GIUSEPPE EMANUELE, uomo politico antifascista, 117, 421.

MOLLOV, WLADIMIR, Uomo politiCO bulgaro, 527.

MOMBELLI, ERNESTO, generale, 527.

MONZIE, ANATOLE, ministro dell'Istruzione francese dal 4 giugno 1932,

604.

MORGAN, JOHN PIERPONT, finanziere americano, 374, 657.

MoRITA, generale, delegato giapponese nella commissione d'inchiesta della Società delle Nazioni per la Manciuria, 617, 618, 629.

MORREALE, EUGENIO, addetto stampa a Vienna, corrispondente del Popolo d'Italia, 47, 84, 86, 99, 101, 284.

MoscoNI, ANTONIO, ministro delle Finanze fino al 20 luglo 1932, 132, 133, 156, 163, 180, 184, 193, 200, 210, 276.

Mosi, H., ministro dell'Istruzione Pubblica albanese, 637.

MoTTA, GIUSEPPE, presidente del Consiglio federale svizzero, 24, 172, 173,

596.

MUHAMMAD As SADIQ, bey di Tunisi,

243.

MuNCH, PETER, delegato danese alla Società delle Nazioni, 402.

MuRRAY, JOHN, consigliere dell'ambasciata di Gran Bretagna a Roma, incaricato d'affari, 232.

MUSCHANOV, NIKOLA, presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e dei Culti bulgaro, 30, 485.

MUSSOLINI, ARNALDO, giornalista, 44,

330.

MUSSOLINI, BENITO, capo del Governo, dal 20 luglio 1932 anche ministro degli Esteri, l, 3, 4, 6, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 17, 19, 20, 21, 23, 27, 30, 32, 33, 34, 43, 44, 45, 46, 4~ 51, 55, 66, 67, 6~ 69, 74, 75, 80, 81, 86, 95, 96, 97, 101, 106, 108, 110, 111, 113, 114, 115, 119, 120, 122, 125, 128, 131, 132, 133, 142, 144, 145, 146, 150, 151, 153, 156, 160, 161, 162, 163, 165, 171, 172, 173, 176, 183, 190, 194, 195, 196, 197, 198, 202, 208, 211, 227, 234, 238, 240, 241, 242, 243, passim.

MusY, JEAN MARIE, capo del dipartimento Finanze e Dogane del Consiglio Federale elvetico, 191.

NADELSTOCK, giornalista austriaco, redattore capo del Neues Wiener Journal, 658.

NADOLNY, RUDOLF, ambasciatore di Germania ad Angora, capo della delegazione tedesca alla conferenza

del disarmo, 20, 21, 62, 122, 123, 124, 125, 126, 138, 139, 143, 144, 155, 156, 256, 414.

NAPOLEONE III, imperatore dei francesi, 207.

NASTASIEVIé, JURAI, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Vienna dal 20 luglio 1932, 580.

NERAZ ZINI, CESARE, diplomatiCO, 26, 293.

NEURATH, KONSTANTIN, barone VOn, ministro degli Esteri tedesco dal 2 giugno 1932, 133, 134, 143, 147, 149, 150, 163, 164, 174, 175, 180, 183, 191, 192, 194, 223, 238, 240, 259, 309, 328, 329, 334, 335, 336, 341, 352, 353, 358, 359, 361, 363, 371, 372, 377, 380, 384, 386, 387, 388, 389, 391, 394, 396, 404, 405, 407, 412, 413, 414, 430, 449, 472, 475, 476, 539, 560, 561, 571, 573, 577, 585, 588, 596, 607, 616, 625, 628, 633, 634, 638, 646, 647, 657, 658.

NEWTON, BASIL COCHRANE, consigliere dell'ambasciata di Gran Bretagna a Berlino, incaricato d'affari, 412, 413, 414, 415, 426, 433.

NIKL DE 0PPAVAR, ALFRED, capo sezione al ministero degli Esteri ungherese,

25.

NINCié, MoMCILO, ex ministro degli Esteri jugoslavo, 44, 302, 536, 537,

542.

NITTI, FRANCESCO SAVERIO, ex presidente del Consiglio, 117.

NOEL BAKER, PHILIP J., deputato britannico, 290.

NoLHAC, PIERRE, de, letterato francese,

161.

NoNIS, ALBERTO, segretar·io particolare del ministro degli Esteri fino al luglio 1932 poi primo segretario della legazione al. Cairo, incaricato di affari, 165, 663.

ORLANDO, colonnello, addetto al ministero delle Colonie, 502.

0RSINI BARONI, LUCA, ambasciatore a Berlino f.ino all'ottobre 1932, 61, 113, 160, 223, 230, 238, 244, 246, 256, 259, 298, 324, 329, 344, 352, 358, 359, 363,

365.

OsusKY, STEFAN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Cecoslovacchia a Parigi, delegato alla Società delle Nazioni, 425.

OXILIA, GIOVANNI BATTISTA, tenente colonnello, addetto militare ed aeronautico a Budapest, 246, 249.

PABST, WLADIMIR, maggiore, ex dirigente delle Heimwehren, 3, 17, 46, 75, 99, 100, 101, 102, 130, 142, 170, 171, 176, 177, 178, 179, 282.

PACELLI, EuGENIO, cardinale, segretario di Stato, 603.

PACINI, ALFREDO, monsignore, Uditore della nunziatura della Santa Sede a Belgrado, 537.

PAGANON, JOSEPH, Sottosegretario agli Esteri francese, 181, 182, 194, 195, 196, 197, 198, 199, 200, 201, 202.

PAINLEVÉ, PAUL PRUDENT, ministro dell'Aeronautica francese dal 4 giugno 1932, 66.

PANDELI, EVANGHELI, presidente del Consiglio albanese, 637.

PAPANASTASIU, ALEXANDROS, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri greco dal 27 maggio al 5 giugno 1932, 81, 96, 97, 111.

PAPEN, FRANZ, von, cancelliere del Reich tedesco dal 1° giugno al 2 dicembre 1932, 113, 133, 134, 143, 144, 149, 154, 157, 164, 174, 191, 192, 194, 206, 215, 223, 240, 280, 325, 326, 332, 336, 339, 352, 358, 371, 372, 374, 383, 432, 459, 463, 464, 469, 473, 548, 653.

PARIANI, ALBERTO, generale, capo della missione militare a Tirana, 32, 33, 34, 59, 68, 241, 242, 243, 244.

PATEK, STANISLAW, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Polonia a Mosca, 563.

PATERNÒ DI MANCHI DI BILICI, GAETANO, marchese, invitato straordinario e ministro plenipotenziario ad Addis Abeba, 4, 25, 36, 77, 78, 89, 90, 91, 140, 245, 307, 322, 349.

PATENÒTRE, RAYMOND, deputato francese, sottosegretario all'Economia Nazionale, 66, 67, 72, 79, 80, 81, 116, 118, 198, 323, 540, 547, 548, 555, 613, 642, 643.

PAUL BONCOUR, JOSEPH, dal 4 giugno 1932 ministro della Guerra francese, dal 14 dicembre 1932 presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, 27, 62, 125, 126, 135, 143, 148, 154, 371, 384, 387, 389, 390, 391, 393, 396, 404, 412, 415, 423, 424, 425, 428, 477, 486, 487, 571, 572, 574, 577, 579, 585, 588, 589, 628, 633, 638, 673, 680, 692, 703.

PAULUCCI DE' CALBOLI, VIRGINIA, contessa, nata Lazari di Gifflenga, 266,

267.

PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, CAMILLA,

266.

PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE, GIACOMO, sottosegretario generale della Società delle Nazioni, 241, 246, 250, 266, 289, 338, 339, 380, 381.

PAVELié, ANTE, irredentista croato, 534, 535, 691.

PECANAC, KOSTA, esponente del movimento cetnico jugoslavo, 161, 669.

PEDRAZZI, ORAZIO, conte, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Praga, 55, 57, 63, 65, 263.

PELLEGRINETTI, ERMENEGILDO, arciveSCOVO di Adana, nunzio apostolico a Belgrado, 537, 538.

PELLEGRINI, ALDO, generale di brigata aerea, 639.

PERTINAX, vedi Gérand.

PETER, FRANZ, segretario generale agli Esteri austriaco, 518, 544.

PETITTO, REMO RENATO, avvocato e giornalista, 468.

PFEIFFER, EDOUARD, giornalista francese, 73.

PFRIMER, WALTER, dirigente delle Heimwehren, 74, 94, 99.

PHIPPS, sir ERrc, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Gran Bretagna a Vienna, 52.

PICCIO, PIER RUGGERO, generale di diVisione aerea, addetto aeronautico a Parigi, 116, 117.

PIETRABISSA, FRANCESCO, addetto commerciale a Belgrado 161.

PIETRI, FRANçOis, ex ministro delle Colonie francese, 199.

PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA, BONIFACIO, conte, ambasciatore a Parigi dal 5 ottobre 1932, 412, 428, 438, 446, 448, 460, 465, 466, 517, 529, 530, 531, 540, 547, 555, 574, 591, 597, 600, 613, 615, 619, 642, 672, 680.

PILJA, funzionario jugoslavo, 45, 161.

PILOTTI, MASSIMO, primo presidente di Corte d'Appello, consulente giuridico al ministero degli Esteri, 181, 182, 401, 402.

PINETON DE CHAMBRUN, LOUIS-CHARLES, conte, ambasciatore di Francia ad Angora, 110, 111, 481, 482.

PIO XI, papa, 113, 162.

PIRELLI, ALBERTO, industriale, 156, 192, 193, 209, 210, 366.

PITTALIS, FRANCESCO, console generale a Monaco di Baviera, 467, 471.

PLOWMAN CLIFFORD, HENRY FITZHERBERT, console di Gran Bretagna ad Harrar,

410.

POINCARÉ, RAYMOND, ex presidente del Consiglio francese, 198, 212, 359, 616,

680.

POLITIS, NIKOLAOS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Grecia a Parigi, 401, 404, 445.

POLVERELLI, GAETANO, deputato al Parlamento, capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, 119, 151, 164, 165, 284, 306, 345, 538, 611.

POLYCHRONIADIS, SPYRIDON, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Grecia ad Angora, 110.

PONSOT, AUGUSTE-HENRI, alto commissario francese tn Siria, 481, 482, 675.

PORRO, ETTORE, prefetto di Trieste, 538.

POSSE, HANS ERNST, esperto economico tedesco, 11, 291.

POTEMKIN, VLADIMm, ambasciatore dell'U.R.S.S. a Roma dal 31 ottobre 1932, 457, 488, 489, 625.

PREZIOSI, GABRIELE, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Bucarest, 225, 231, 281, 654, 656, 691, 692, 693, 694, 695, 696, 697, 698, 700, 703, 704, 705.

PRIBICEVIé, SvETOZAR, uomo politico jugoslavo, 93, 304, 682, 691.

PRIMO DE RIVERA Y 0RBANEJA, MIGUEL, marchese de Estella, ex presidente del Consiglio spagnolo, 420.

PRINETTI, GIULIO, ex ministro degli Esteri, 187.

PRISHTINA, HASSAN, bey, fuoruscito albanese, 262, 263.

PRUNAS, RENATO, primo segretario dell'ambasciata a Londra, 297, 298.

PRZEZDZIECKI, SzCZEPAN, COnte, ambasciatore di Polonia a Roma, 150, 225, 270.

QUARONI, PIETRO, capo dell'Ufficio I della direzione generale Europa, Levante ed Africa, 579.

QUINONES DE LEON, JOSÉ, diplomatico spagnolo, 422.

RADié, STJEPAN, uomo politico croato,

70.

RAGHIB, HUSSEIN, bey, ambasciatore di Turchia a Mosca, 29.

RAKié, MILAN, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Roma, 270, 271, 281, 306.

RAVA, MAURIZIO, governatore della Somalia, 53, 87, 292, 502, 504, 505.

REED, DAVID A., senatore americano,

418.

REFFYE, vedi Verchère.

RENAUDEL, PAUL, Uomo politico francese, 252, 286.

RENZETTI, GIUSEPPE, maggiore, presidente della Camera di Commercio a Berlino, 47, 114, 115, 144, 160, 427, 430, 451, 462, 471, 515, 639.

REQUIN, generale francese, capo gabinetto del ministro della Guerra 129.

RESCH, JosEF, ministro della Previdenza Sociale austriaco, 170, 176.

RHEINBADEN, WERNER, barone VOn, membro della delegazione tedesca alla Società delle Nazioni e delegato alla conferenza del disarmo, 658.

RICCARDI, ENRICO, generale di brigata, membro dlela delegazione alla conferenza del disarmo, 600.

RrcciARDI, GIULIO, console generale ad Innsbruck, 3, 573.

RINTELEN, ANTON, capitano provinciale

della Stiria, dal 20 maggio 1932 ministro della Pubblica Istruzione austriaco, 18, 74, 75, 76, 93, 94, 95,

96, 99, 100, 170, 171, 176, 178, 233, 234, 606, 609, 619, 620, 629, 630, 632, 643, 644, 645, 658, 664.

ROBERTS, Sir FREDERICK, generale inglese, 641.

RocHE, EMILE, giornalista francese, direttore della République, 66, 67, 73, 79, 80, 81, 82, 116, 117, 118, 119, 323, 324, 540, 541, 570, 643, 673.

Rocco, ALFREDO, ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari di Culto fino al 20 luglio 1932, 160.

Rocco, Gumo, vice direttore dell'Ufficio Stampa del ministero degli Ester.!, dall'ottobre 1932 inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Praga, 146, 443, 590, 699.

RODD, FRANCIS JAMES RENNEL, diplomatico inglese, deputato al Parlamento, 293.

RODRIGUEZ, SANPEDRO, conte de, presidente dell'Azione Cattolica spagnola, 341.

ROGERS, JAMES GRAFTON, segretario di Stato assistente degli Stati Uniti, 418, 469.

RoMIZI, GINO, vice console a Sussak,

106.

ROOSEVELT, FRANKLIN DELANO, governatore dello Stato di New York, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, 408, 499.

ROSENBERG, ALFRED, deputato nazionalSOCialista, 428, 468.

ROSENBERG, FREDERICK HANS, barone von, delegato tedesco alla Società delle Nazioni, 434, 435, 437, 438, 449.

ROSSELLI, CARLO, Uomo politico antifascista, 117.

ROSSI LONGHI, ALBERTO, primo segretario dell'ambasciata a Vienna, incaricato d'affari, 513, 518, 538, 544, 553, 560, 567, 574, 579.

Rosso, AuGUSTo, direttore generale per gli affari della Società delle Nazioni, segretario generale della delegazione italiana alla conferenza del disarmo, 8, 40, 50, 61, 62, 188, 199, 210, 241, 300, 367, 368, 392, 400, 407, 408, 415, 445, 446, 477, 486, 487, 496, 501, 512, 542, 545, 548, 553, 556, 561, 576, 582, 589, 592, 600, 660, 661.

RUGGERO, VITTORIO, tenente colonnello, addetto militare ad Addis Abeba, l, 50, 51, 91.

RUNCIMAN, WALTER, ministro del Commercio britannico, 408.

RUSPOLI, FABRIZIO, capitano di vascello, in servizio presso la direzione generale per gli Affari della Società delle Nazioni, 241.

SAHLE, vice presidente del Senato etiopico, l.

SAIF ED DIN, fuoruscito libico, 605, 663.

SAINT-QUENTIN, vedi Doynel.

SALERNO MELE, GIOVANNI, console generale ad Istanbul, 96.

SALVEMINI, GAETANO, storico, UOlnO politico antifascista, 117.

SAMUEL, sir HARRY, deputato britannico, 10.

SAMUEL, sir HERBERT LOUIS, ministro dell'Interno britannico, 134, 135, 137, 143, 148, 154, 159, 290, 369, 370.

SANJURJO Y SACANELL, JosÉ, generale spagnolo, 421.

SANSON, PIERRE, capitano di corvetta, addetto navale francese a Roma.

169.

SARGENT, ORME GARTON, funzionario del ministero degli Esteri britannico, 429, 433.

~ARié, GIOVANNI, vescovo di Sarajevo,

162.

SAVOIA, AMEDEO, principe, duca d'Aosta, 32, 35.

SBARDELLOTTO, ANGELO, antifascista, 117.

~BENIK, ST., ex ministro delle Foreste e Miniere jugoslavo, 512, 516.

SCAMMACCA, MICHELE, primo segretario della legazione ad Addis Abeba, incaricato d'affari, l, 4, 31, 35, 39, 52, 71, 76, 77, 78, 98, 103, 104, 107, 245, 292, 309, 331, 349, 614, 621, 672, 677.

SCHLEICHER, KURT, von, generale, ministro della Guerra tedesco dal 1° giugno 1932, dal 3 dicembre 1932 anche cancelliere, 113, 142, 253, 259, 324, 325, 326, 336, 341, 374, 397, 469, 486, 640, 653, 681.

ScHOBER, JOHANN, ex vice cancelliere e ministro degli Esteri austriaco, 95, 101, 458, 522, 523, 524, 526, 586, 587, 631, 645.

ScHONHEINZ, KuRT, generale, capo della sezione Società delle Nazioni al ministero della Guerra tedesco, 518, 519, 542, 580, 581.

ScHUBERT, KARL, von, ambasciatore di Germania a Roma fino all8 novembre 1932, 124, 201, 202, 230, 231, 238, 240, 246, 253, 277, 291, 327, 333, 341, 344, 352, 358, 360, 363, 376, 377, 378, 379, 387, 427, 463, 474.

SCHULLER, RICHARD, capo della sezione Accordi Commerciali al ministero deg1i Esteri austriaco, 25, 52, 53, 94, 478, 479, 522, 523, 609, 630, 631, 632, 645, 659, 664, 674.

ScHuscHNIGG, KuRT, ministro della Giustizia austriaco, 74, 75, 176.

SCHWARZBURG, GUNTHER WLADYSLAW, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Polonia a Belgrado, 457.

SciAKY, !sAcco, professore del Liceo Galilei di Firenze, 260, 261.

SCIALOJA, VITTORIO, senatore del Regno, vice presidente del Consiglio del Contenzioso diplomatico, 41, 181.

SEBASTIANI, 0SVALDO, Vice capo della segreteria particolare del Capo del Governo, 381.

SEECKT, HANS, von, generale tedesco, 397, 404.

SEGRE, GuiDO, console generale a Spalato, 557, 592. 613, 618, 619, 621, 627.

SEGURA Y SAENZ, PIETRO, cardinale, 341.

SEIPEL, lGNAZ, monsignore, uomo politico austriaco, 522, 644.

SEITz, K., capitano provinciale di Vienna, 18, 630.

SEIUM, ras etiopico, 576.

SELBY, WALFORD HARMOOD MONTAGUE, diplomatico inglese, 422, 429.

SELDTE, FRANZ, dirigente dello Stahlhelm, 428.

SEMSEY DE SEMSE, A., conte, segretario della legazione di Ungheria a Vienna, 170, 171.

SENZADENARI, RAFFAELE, tenente colonnello, addetto aeronautico a Berlino, 639.

SEREGGI, ZEF, colonnello, aiutante di campo d~ re Zog, 59, 68, 69, 226, 452.

SERENA DI LAPIGIO, 0TTAVIO, addetto al Gabinetto del ministro degli Esteri, 250,

SERVATZI, LUIGI, irredentista croato, 106, 327.

SFORZA, CARLO, ex ministro degli Esteri, 117, 242, 460.

SHERRIL, H. CHARLES, ambasciatore degli Stati Uniti, ad Angora dal 20 maggio 1932, 110.

SIBILIA, ENRico, monsignore, nunzio apostolico a Vienna, 383.

SIDKI, IsMAIL, . pascià, presidente del Consiglio, ministro dell'Interno e delle Finanze egiziano, 636, 637.

SILENZI, GUGLIELMO, console generale a Malta, 399, 400, 465, 476, 544.

SILOVIé, senatore jugoslavo, 93.

SIMON, sir JOHN, segretario di Stato agli Esteri britannico, 10, 21, 23, 27, 28, 40, 41, 42, 64, 115, 116, 123, 125, 126, 127, 132, 133, 134, 135, 136, 138, 143, 147, 148, 149, 154, 159, 174, 182, 183, 188, 189, 193, 194, 208, 209, 210, 225, 226, 231, 232, 239, 240, 246, 256, 264, 277, 286, 290. 297, 299, 355, 356, 359, 369, 370, 371, 372, 373, 384, 387, 388, 389, 390, 391, 393, 404, 405, 414, 415, 422, 423, 429, 432, 433, 434, 447, 448, 464, 519, 520, 542, 543, 544, 545, 553, 556, 560, 561, 562, 571, 572, 5'Ì3, 574, 579, 588, 589, 616, 628, 640, 660, 661, 684.

SIRIANNI, GIUSEPPE, ministro della Martna, 33 247, 298, 499.

SMEND, HANS, consigliere dell'ambasciata di Germania a Roma, 579.

SOKOLOW, NAHOUM, presidente dell'Organizzazione sionistica, 261.

SOLDATI, ROBERTO, capitano di vascello addetto navale ed aeronautico ad Angora, 7, 38.

SORAGNA vedi Meli Lupi.

SPALAJKOVIé, MIROSLAV, inV•iato straordinario e ministro plenipotenziario di Jugoslavia a Parigi, 615, 673.

SPINCié, senatore jugoslavo, 93.

SRSKié, MILAN, presidente del Consiglio jugoslavo dal 2 luglio 1932, 257, 305, 516, 683.

STAFFORD, J. H., colonnello. inglese, 293.

STARACE, ACHILLE, segretario del partito nazionale fascista, 114, 115, 160, 164,

169.

STARHEMBERG, ERNST RUDIGER, principe von, capo delle Heimwehren, 3, 17, 19, 45, 46, 48, 49, 74, 75, 76, 86, 93, 94, 95, 99, 100, 101, 102, 130, 131, 142, 170, 171, 176, 177, 178, 179, 207, 208, 233, 234, 238, 247, 248, 249, 250, 253, 254, 255, 265, 266, 282, 283, 284, 285, 287, 288, 294, 295, 331, 382, 383, 451, 458, 459, 460, 525, 528, 533, 596, 608, 609, 610, 620, 630, 632, 643, 644, 645, 658, 659, 663, 674.

STEED, HENRY WICKHAM, giornalista inglese, 392, 593, 672, 686.

STEIDLE, RICHARD, capo delle Heimwehren del Tirolo, 3, 17, 18, 100, 458, 596.

STIMSON, HENRY LEWIS, segretario di Stato degli Stati Uniti, 10, 20, 21, 22, 23, 40, 41, 61, 62, 122, 159, 163, 210, 211, 287, 353, 354, 355, 356, 358, 362, 363, 364, 365, 375, 381, 382, 414, 418, 469, 474, 475, 549.

STOPPANI, PIETRO direttore della sez1one economica della Società delle Nazioni, 8, 9, 42.

STRASSER, OTTO, dirigo:!nte del partito nazionalsocialista, 469.

STRESEMANN, GUSTAV, ex ministro degli Esteri tedesco, 253, 432.

STRICKLAND, sir GERALD, primo ministro maltese, 399.

STULPNAGEL, OTTO, von, generale tedesco, 432.

STUMPF, FRANZ, capitano provinciale del Tirolo, 18, 538, 544, 554, 568, 573,

574.

SuGIMURA, YOTARO, sottosegretario generale della Società delle Nazioni,

339.

SuRITs, JACOB Z., ambasciatore dell'U.R.S.S. ad Angora, 29, 155, 482, 483, 484, 485, 650.

SuviCH, FuLVIO, sottosegretario di Stato agli Esteri dal 20 luglio 1932, 245, 253, 262, 270, 271, 280, 291, 307, 315, 322, 329, 330, 333, 337, 340, 341, 345, 350, 351, 360, 365, 367, 369, 376, 394, 399, 401, 402, 411, 413, 419, 449, 465, 487, 488, 498, 502, 504, 510, 515, 532, 541, 545, 554, 555, 560, 561, 562, 569, 572, 579, 589, 595, 606, 622, 647, 655, 657, 662, 677, 692, 699, 701, 703, 704.

SYLVERCRUYS, R., consigliere dell'ambasciata di Belgio a Londra, incaricato d'affari, 226.

SYROVY, J., generale, capo di Stato Maggiore cecoslovacco, 689, 696, 703.

TAHY VON TAHVAR UND TARKEO, LADISLAS, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Ungheria ad Angora, 483.

TARDIEU, ANDRÉ, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri francese fino al 4 giugno 1932, l, 8, 9, 10, 11, 21, 22, 24, 25, 27, 28, 40, 41, 55, 56, 61, 62, 64, 72, 111, 122, 123, 127, 128, 144, 175, 184, 195, 197, 198, 202, 276, 342, 343, 359, 423, 475, 476, 477, 548,

552.

TAsBu, degiac etiopico, l.

TECLAIMANOT, fitaurari etiopico, 576.

THEODOLI, ALBERTO, marchese, presidente della commissione permanente dei Mandati della Società delle Nazioni, 320, 453.

TEWFIK, RUSCHDI ARAS, bey, ministro degli Esteri turco, 5, 6, 8, 10, 11, 28, 29, 30, 37, 38, 97, 108, 110, 153, 279, 280, 333, 440, 481, 482, 483, 484, 485, 620, 621.

THOMAS, ALBERT, ex direttore dell'Ufficio Internazionale del lavoro, 338.

THORNE, AUGUSTUS, colonnello, addetto militare britannico a Berlino, 485.

TIENGO, CARLO, prefetto di Gorizia, 538.

TIRPITZ, ALFRED, VOn, ammiraglio tedesco, 471.

TITULESCU, NICOLAE, ministro degli Esteri romeno dal 19 ottobre 1932, 281, 603, 649, 654, 655, 656, 679, 686, 687, 689, 691, 692, 693, 695, 696, 697, 703, 704, 705.

ToMLJANOVIé, STOJAN, irredentista croato, 327.

TOPTANI, S., ministro dell'Economia Nazionale albanese, 59, 637.

TREVES, CLAUDIO, uomo politico antifascista, 117.

TRUMBié, ANTE, uomo politico jugoslavo, 93, 610, 682.

TURATI FILIPPO, uomo politico, 117.

TUTULANI, M., ministro della Giustizia albanese, 637.

'l'YRRELL OF AVON, WILLIAM GEORGE, barone, ambasciatore di Gran Bretagna a Parigi, 429, 467, 574, 589.

UJIC!é, commissario di polizia jugoslavo, 106.

UMILTÀ, CARLO, console generale a Zagabria, 14, 16, 45, 69, 304, 327, 461, 512, 516, 610, 690.

UMAMUNO, MIGUEL, de, scrittore spagnolo, 611, 612.

VACCARI, MARCELLO, prefetto di Zara. 451, 538.

VALERA, EAMON, de, presidente del Consiglio irlandese, 374, 595, 596.

VALLÉ, ERNEST, ex ministro della Giustizia francese, 680.

VANNUTELLI REY, LUIGI, conte, ambasciatore a Varsavia, poi a Bruxelles, 224, 619.

VANSITTART, Sir ROBERT, sottosegretario permanente agli Esteri britannico, 416, 422, 423, 466, 467.

VASSIF, HUSSEIN, bey, ambasciatore di Turchia a Roma, 279, 308, 483.

VAUGOIN, KARL, ministro della Guerra austriaco, 74, 75, 76, 95, 99, 102, 170, 248, 458.

VENIZELOS, ELEUTERIOS CIRIACOS, presidente del Consiglio greco, 81. 111,

440.

VERCHÈRE DE REFFYE, PAUL, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Francia ad Addis Abeba. 245, 309, 349, 672.

VILDER, VECESLAV, irredentista croato,

610.

VILLA, addetto all'Ufficio Stampa della legazione a Vienna, 131.

VINCI GIGLIUCCI, LUIGI ORAZIO, conte, consigliere dell'ambasciata a Parigi, incaricato d'affari, poi ministro destinato ad Addis Abeba, 129, 664, 665,

666.

VINGIANO, sottufficiale di marina ,in servizio all'ambasciata a Parigi, 152, 165, 169, 181, 182, 198.

VIOLA, Gumo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario a Teheran, 272.

VITETTI, LEONARDO, capo dell'Ufficio II della direzione generale Soc,ietà delle Nazioni, 189, 211, 241, 507, 508, 509.

VITTORIO EMANUELE Il, re, d'Italia, 206.

VITTORIO EMANUELE III, re d'Italia, 147, 148, 273, 296, 330, 458, 488, 531, 605.

VOLLARD-BOCKELBERG, ALFRED, von, tenente generale, capo dell'Ufficio Armamenti del ministero della Guerra tedesco, 681.

WAGNIÈRE, GEORGES, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Svtzzera a Roma, 172, 173.

W ALKO, LAJos, ministro degli Esteri ungherese fino al 29 settembre 1932, 24, 25, 170, 177.

WALTERS, FRANK P., capo gabinetto del segretario generale della Società delle Nazioni, 340.

WARMBOLD, HERMANN, ministro del Commercio tedesco, 164.

WEDGWOOD, JOSIAH CLEMENT, deputato britannico, 10.

WEIDENHOFFER, EMANUEL, ministro delle Finanze austriaco, 170.

WEILL SCHOTT, LEONE, consigliere dell'ambasciata a Tokio, incaricato d'affari, 633, 638.

WEIZMANN, CHAIM, dirigente del movimento sionista, 261, 262.

WEULDE, GABRIEL YLMA, primo segretario della legazione di Etiopia a Roma, incaricato d'affari ad interim, 307, 314, 319, 322.

WEYGAND, MAXIME, generale francese, vice presidente del Consiglio super,iore della guerra, 443.

WILSON, HUGH R., delegato degli Stati Uniti alla conferenza del disarmo, 382, 415, 486, 487, 576, 577, 578, 582, 660, 662.

WILSON, THOMAS WOODROW, ex presidente degli Stati Uniti, 336.

WIED, VICTOR, principe, 639.

WIED, MARIA ELISABETH, principessa,

639.

WIED, VICTOR, principe, 639.

WrLDNER, funzionar~o austriaco, 590.

WrLFAN, uomo politico jugoslavo, 93.

WrMMER, LOTHAR, barone, consigliere della legazione di Austria a Londra, incaricato d'affari, 297, 298.

WINDSOR, EDWARD, principe di Galles,

297.

WINKLER, capo della sezione Economica del ministero degli Esteri ungherese, 606, 607.

WrNKLER, FRANZ, vice cancelliere austriaco, 75, 170, 176, 568, 586, 590.

WITTELSBACH, RUPPRECHT, pr,incipe reale di Baviera, 145.

WODIANER, ANDRAS, de, consigliere dell'ambasciata di Ungheria a Roma, incaricato d'affari, 278, 280, 682.

WRIES, de, ingegnere al servizio del Governo etiopico, 409.

YAHYA IBN MUHAMMAD, imam dello Yemen, 563, 575, 576, 622, 640, 641, 648, 666, 667, 701.

YAsUHITO, pr1ncipe ereditario del Giappone, 508.

YEVTICH, vedi Jejtié.

YOSHIZAWA, KENKICHI, ministro degli Esteri giapponese fino al 24 maggio 1932, 649.

YouNG, OWEN D., finanziere americano, 310.

ZALESKI, AUGUST, ministro degli Esteri polacco fino al 2 novembre 1932, 9, 57, 181, 281.

ZAMBON, MARIO, capitano di corvetta, 72, 98, 103, 107.

ZAMORAY, NICETO ALCALA, presidente della Repubblica spagnola, 493.

ZANESCU, COSTANTIN, consigliere dell'ambasciata di Romania a Roma, incaricato d'affari, 131, 231, 654.

ZIEHM, ERNST, presidente del Senato di Danzica, 224.

ZINGARELLI, lTALO, giornalista, 113.

ZxvKovxé, PERA, generale, presidente del Consiglio jugoslavo fino al 4 aprile 1932, 14, 16, 43, 69, 83, 669.

ZITA, imperatrice di Austria-Ungheria, 273.

Zoa I, re degli albanesi, 33, 59, 60, 68, 69, 203, 226, 227, 228, 229, 230, 243, 244, 269, 270, 306, 330, 413, 452, 546, 547, 637.

ZOGHEB, ENRICO, conte de, italiano residente a Parigi, 66, 540, 541, 547.

ZOPPI, VITTORIO, segretario dell'Uillcio IV della direzione generale Europa, Levante ed Africa, 664.

ZULUETA, LUIS, de, ministro degli Esteri spagnolo, 419, 420, 421, 422,

490.

INDICE

AVVERTENZA Pag. VII

))

INDICE-SOMMARIO XI DocuMENTI )) l APPENDICI )) 707 TAVOLA METODICA )) 739 INDICE DEI NOMI )) 749